Rumori: la cessazione dell'attività commerciale costituisce il rimedio più estremo
05 Agosto 2019
A causa dell'esistenza di immissioni intollerabili di rumore provenienti dall'attività di revisione auto svolta dall'officina frontistante, Tizio aveva chiesto l'intervento del giudice. Sia in primo che in secondo grado, i giudici del merito inibivano a Caio l'esercizio dell'attività, condannandolo anche al risarcimento dei danni. Avverso tale decisione, Caio ha proposto ricorso in Cassazione eccependo la violazione dell'art. 844 c.c., per avere la Corte d'appello rigettato il motivo di gravame con il quale si lamentava la mancata adozione di rimedi tecnici idonei a ricondurre le immissioni entro i limiti della normale tollerabilità (c.d. inibitoria positiva). Nel giudizio di legittimità, la S.C. contesta il ragionamento espresso nel provvedimento impugnato. Invero, il giudice del merito, pur avendo la facoltà di scegliere tra le diverse misure consentite dalla norma, ha tuttavia l'obbligo di precisare le ragioni della scelta dell'una o dell'altra e di indicare, con sufficiente determinazione, le misure in concreto adottate, soprattutto quando ritenga: impossibile adottare misure meno invasive; indispensabile condannare il convenuto alla cessazione delle immissioni e quindi anche dell'attività che ad esse dà luogo. Detto ciò, nella vicenda in esame la Corte d'appello, in contrasto con il detto principio, aveva ritenuto esulare dai propri obblighi decisori la verifica, attraverso apposito incarico al CTU, circa la fattibilità e utilità di accorgimenti alternativi solo in ragione del fatto che nessuna indicazione era stata al riguardo fornita dallo stesso appellante, la quale però non era invece affatto necessaria a tal fine, costituendo detta verifica contenuto implicito e necessario del thema decidendum. Per le suesposte ragioni, il ricorso di Caio è stato accolto; per l'effetto, la pronuncia è stata cassata con rinvio. |