Proroga della proroga del termine per il deposito di piano e proposta di concordato: forma e sostanza a confronto

Luca Jeantet
07 Agosto 2019

Il termine di proroga di sessanta giorni che il Tribunale, ai sensi dell'art. 161, u.c., l. fall., può concedere alla parte ricorrente è perentorio e, come tale, non ulteriormente estendibile, anche qualora detta proroga limiti la durata della procedura di concordato preventivo c.d. in bianco entro i cento venti giorni.
Massima

Il termine di proroga di sessanta giorni che il Tribunale, ai sensi dell'art. 161, u.c., l. fall., può concedere alla parte ricorrente è perentorio e, come tale, non ulteriormente estendibile, anche qualora detta proroga limiti la durata della procedura di concordato preventivo c.d. in bianco entro i cento venti giorni.

Il caso

La vicenda trae origine da una domanda di concordato preventivo ai sensi dell'art. 161, comma 6, l. fall. depositata da società nei confronti della quale pendeva istanza di fallimento.

Il Tribunale di Milano, in ossequio all'art. 161, u.c., l. fall., concede un termine per la presentazione del piano e della proposta di giorni sessanta. In prossimità della scadenza, la debitrice deposita un'istanza chiedendo una proroga del termine, che la Corte meneghina concede, motivando tuttavia nel proprio provvedimento le ragioni di merito per le quali il differimento doveva essere contenuto e, al contrario di quanto richiesto dalla società, limitato a soli trenta giorni.

La società, in occasione della scadenza di tale ultimo termine, presenta una nuova istanza di proroga al fine di ottenere ulteriori trenta giorni per il deposito della proposta di concordato preventivo ovvero della domanda di omologa dell'accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l. fall., così ottenendo un termine complessivo di sessanta giorni.

La questione giuridica e le soluzioni

Il Tribunale di Milano rigetta l'istanza della società, precisando che il termine ex art. 161, u.c., l. fall. “è prorogabile una volta soltanto fino ad un massimo di sessanta giorni e con valutazione unica e discrezionale da parte del Tribunale in ordine all'arco temporale concedibile ulteriormente”, sebbene esso sia senz'altro concedibile in misura inferiore (in questo caso, trenta giorni) a quella massima indicata dalla norma.

Il Tribunale osserva come il termine di proroga sia perentorio e che, in quanto tale, ai sensi del combinato disposto degli artt. 152 u.c. e 153 comma 1 c.p.c., esso è soggetto al generale principio di improrogabilità. Il Tribunale osserva inoltre che non è consentito trarre argomenti giuridici sull'ulteriore prorogabilità, raffrontando la formulazione dell'art. 181 l. fall., sia perché esso prevede una proroga “secca” di sessanta giorni, qualora il Tribunale decida di esercitare tale potere (al contrario del termine ex art. 161 u.c. l. fall. che è modulabile liberamente dall'organo giudicante sebbene “non oltre” sessanta giorni), sia perché il temine di cui all'art. 181 l. fall. ha valenza acceleratoria, mentre quello di cui all'art. 161 u.c. l. fall. intende assicurare in modo più pregnante che il concordato in bianco non sia utilizzato come strumento dilatorio nell'adempimento delle obbligazioni contratte dal ricorrente.

Sulla scorta di tali motivazioni, il Tribunale di Milano, preso atto della scadenza del termine e del mancato deposito della proposta e del piano concordatari, fissa udienza per la declaratoria di inammissibilità ai sensi dell'art. 162 l. fall.

Osservazioni

Il provvedimento in esame offre lo spunto per riflettere con più attenzione sulle possibili vie interpretative della norma di cui all'art. 161, u.c., l. fall., che, rammentiamo, è stata aggiunta dall'art. 33 comma 1, lett. b), n. 4) del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134 e che è strettamente connessa al principio dalla Suprema Corte di Cassazione (Cass. Sez. Un., 15 maggio 2015 n. 9935; così anche, tra le tante, Cass. 12 ottobre 2018, n. 25602), secondo cui, in caso di contestuale pendenza del procedimento prefallimentare e preconcordatario, occorre che quest'ultimo venga trattato ed esaurito per primo, con la conseguenza che il fallimento può essere soltanto dichiarato in caso di declaratoria di inammissibilità della domanda concordataria

Per un verso, infatti, può essere seguita un'interpretazione strettamente formale della norma (adottata dal Tribunale di Milano nella pronuncia in esame), dando così rilevanza pregnante sia alla natura perentoria del termine - e, quindi, alla sua non prorogabilità ai sensi dell'art. 153, comma 1, c.p.c. -, sia interpretando la lettera dell'art. 161, comma 10, l. fall. come legittimante la concessione di una ed una sola proroga.

Per altro verso, è individuabile una seconda linea interpretativa “sostanziale” che valorizza il numero di giorni effettivamente concessi ai fini del deposito della proposta e del piano concordatari, prescindendo dai provvedimenti di proroga concessi dall'organo giudicante.

Orbene, al fine di prendere posizione rispetto alle due alternative sopra rappresentate, può essere opportuno considerare la ratio della norma in questione, ovverosia prevenire tattiche dilatorie del ricorrente-debitore allorquando pendano nei suoi confronti istanze di fallimento, limitando in centoventi giorni - come limite massimo - l'arco temporale per la predisposizione ed il deposito del piano e della proposta. Come si legge nella relazione illustrativa del disegno di legge di conversione del D.L. 22 giugno 2012 n. 83, tramite la previsione di cui all'art. 161, u.c., l. fall. si è inteso consentire al debitore di beneficiare degli effetti protettivi del proprio patrimonio connessi al deposito della domanda di concordato, impedendo al contempo che i tempi di preparazione della proposta e del piano aggravino la situazione di crisi sino a generare un vero e proprio stato di insolvenza.

Ora, se questo è il fine dell'art. 161, u.c., l. fall., riteniamo che la concessione di una seconda proroga, seppur entro il limite massimo legalmente previsto di centoventi giorni, sia maggiormente coerente e razionale con l'impianto normativo della disciplina concordataria. Infatti, l'art. 161 comma 10 l. fall., prevede un termine iniziale e fisso di giorni sessanta “prorogabili, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni”, conferendo pertanto ampia discrezionalità al Tribunale che è vincolato a concedere il termine iniziale (giorni sessanta), ma è totalmente libero nel concedere una proroga che può variare notevolmente in ragione ed in funzione dei “giustificati motivi” che la debitrice è in grado di presentare al Tribunale stesso.

Parrebbe orientarsi così la Suprema Corte (Cass. 10 gennaio 2017 n. 270), chiamata a giudicare in merito ad una procedura concordataria nella quale, nonostante un'istanza di fallimento pendente, il Tribunale aveva concesso un termine per il deposito del piano e della proposta pari a giorni 92, salvo poi negare l'autorizzazione ad una proroga (di giorni 28) che avrebbe contenuto entro il limite legale di 120 giorni la durata della procedura pre-concordataria. La Suprema Corte, con ciò sostanzialmente confermando la pronuncia in Appello (App. Catanzaro, 20 ottobre 2014 n. 1462), ha sottolineato come “la concessione dei 92 giorni si rifletteva in una irregolarità parziale del decreto del tribunale, che ampliava senza motivazione il termine legale ma non ancora facendolo diventare, oltrepassando il limite normativo applicabile all'istituto della proroga (e cioè quello complessivo dei 120 giorni), affetto da abnormità”.

Dunque la Corte di Cassazione considera come vizio comportante mera irregolarità la concessione del termine in misura superiore a quella prevista dall'art. 161, u.c., l. fall., mentre reputa assolutamente perentorio il termine finale di 120 giorni, oltrepassato il quale la proroga sarebbe abnorme e, dunque, radicalmente nulla.

Sulla scorta di tale interpretazione, pertanto, non ravvisiamo elementi ostativi alla concessione di una nuova proroga del termine ex art. 161, u.c., l. fall., ferma restando sia l'invalicabilità del complessivo termine di 120 giorni, sia la possibilità per il Tribunale di negare tale proroga in assenza di giustificati motivi.

Interessante notare, infine, che all'art. 44 comma 1 del nuovo codice della crisi e dell'insolvenza (rubricato “Accesso al concordato preventivo e al giudizio per l'omologazione degli accordi di ristrutturazione”), si prevede che il tribunale, in caso di contemporanea pendenza di domande per l'apertura della liquidazione giudiziale, possa concedere soltanto un termine, non prorogabile, compreso tra trenta e sessanta giorni, entro il quale il debitore deposita la proposta di concordato preventivo con il piano, l'attestazione di veridicità dei dati e di fattibilità e la documentazione di cui all'art. 39, comma 1, oppure gli accordi di ristrutturazione dei debiti.

Conclusioni

La lettura dell'art. 161, u.c., l. fall. resa dal Tribunale di Milano, secondo cui il termine di proroga al fine del deposito del piano e della proposta di concordato ivi statuito non è ulteriormente estendibile nonostante il rispetto del complessivo termine di cento venti giorni, appare corretta da un punto di vista strettamente formale.

Tuttavia un utilizzo maggiormente elastico della norma non sembra essere in contrasto con lo scopo originario dell'art. 161, u.c., l. fall., conferendo al contrario, naturalmente in presenza di giustificati motivi idonei ad escludere ipotesi di abuso, maggiore autonomia all'organo giudicante, capace di accorciare ovvero allungare, secondo necessità, il complessivo temine di cento venti giorni a disposizione del ricorrente per il deposito del piano e della proposta.

Minimi riferimenti giurisprudenziali e bibliografici

In giurisprudenza, favorevole ad un'interpretazione “sostanziale” Trib. Pordenone, 6 maggio 2013, su www.unijuris.it. App. Catanzaro, 20 ottobre 2014 n. 1462, Cass. 10 gennaio 2017 n. 270. Incline ad una lettura formale della norma Trib. Terni, 16 settembre 2013, su www.ilcaso.it.

In dottrina: FINOCCHIARO, I termini nei procedimenti riuniti di concordato preventivo e di dichiarazione di fallimento, in il Fallimento, 3, 2019, p. 353.

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