"Gravità" del fatto e tutela reintegratoria

09 Agosto 2019

Nel licenziamento per giusta causa, l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, determinante ai fini del corretto riconoscimento della tutela, comprende anche i casi in cui il fatto non abbia rilievo disciplinare.
La giurisprudenza della Cassazione

In caso di licenziamento per giusta causa, l'insussistenza della rilevanza disciplinare del fatto contestato al lavoratore unitamente all'assenza di danno, costituisce giusta causa di applicazione della tutela reintegratoria, come prevista dall'art. 3 D. Lgs. 23/2015.

Tale principio viene espresso nella sentenza dell' 8 maggio 2019 n. 12174, in cui la Suprema Corte cassa con rinvio la sentenza impugnata per erronea applicazione della tutela applicata nei confronti della lavoratrice che, risultata vittoriosa nei primi due gradi di giudizio, asseriva nel ritenere l'applicabilità alla propria condizione della tutela reintegratoria, per essere il fatto posto alla base del licenziamento non disciplinarmente rilevante stante la lievità della condotta, passibile al più di una sanzione conservativa.

In particolare, la ricorrente sottopone al vaglio della Corte due argomentazioni:

- la prima, relativa, ad un'asserita violazione del giudicato interno in ordine all'accertamento del fatto posto alla base del provvedimento espulsivo (in particolare, in ordine agli aspetti della non illiceità e della non rilevanza disciplinare);

- la seconda, in ordine alla correttezza del regime di tutela applicato in ragione dell'accertamento dell'illegittimità (sotto un profilo di insussistenza del fatto, nonché della sua eventuale antigiuridicità) del licenziamento irrogatole.

La Corte ha rigettato il primo motivo di ricorso e accolto il secondo, rinviando al giudice di appello per un nuovo esame della vicenda.

La formazione del giudicato interno

La prima questione sottoposta alla Corte, di ordine squisitamente processuale, attiene alla formazione del giudicato interno su una determinata questione di fatto esaminata nel corso del processo.

Nel caso di specie qui analizzato, secondo la ricostruzione della lavoratrice, la Corte d'Appello non avrebbe tenuto conto dell'accertamento relativo alla non illegittimità del fatto posto alla base del licenziamento formatosi durante il giudizio di prime cure, che sarebbe, pertanto, pacifico.

Osserva invece la Corte, e giustifica così il rigetto del motivo di ricorso, che la riproposizione delle argomentazioni in sede di ulteriore giudizio, riapre la possibilità di riesame della motivazione proposta richiamando sul punto il proprio orientamento (Cass. 22 febbraio 2013 n. 4572, Cass. 4 febbraio 2016 n. 2217, Cass. 16 maggio 2017 n. 12202, Cass. 26 giugno 2018 n. 16853). Nel caso specifico, la lavoratrice ha nuovamente riproposto l'analisi della condotta contestata al fine di ottenere la reintegra.

L'erronea applicazione del regime di tutela: l'insussistenza del fatto contestato

Il secondo motivo di ricorso attiene, invece, all'asserita erronea applicazione del regime di tutela in relazione alla valutazione del fatto posto alla base del licenziamento.

La Suprema Corte ripercorre, pertanto, l'evoluzione in materia delle tutele a garanzia del lavoratore e pone in confronto l'art. 3 D. Lgs. 23/2015, con l'art. 18 L. 300/70 nonché con le tutele previste dalla L. 92/2012, mettendoli in relazione al concetto di “insussistenza del fatto contestato”.

Prima di ogni altra considerazione, il Supremo Consesso riconduce la fattispecie di causa nell'alveo del D. Lgs. 23/2015, ed osserva come il Legislatore abbia emanato tale decreto nell'ottica di garantire l'occupazione e, alla luce della storica pronuncia C. Cost. 8 giugno 1965 n. 45, di consentire al lavoratore licenziato in maniera ingiustificata di ottenere la tutela del posto di lavoro.

Il tutto orientato al principio posto dalla Corte Costituzionale, secondo cui al lavoratore debba essere garantito non tanto il posto di lavoro, ma la sua conservazione, in assenza di cause giustificatrici del recesso da parte del datore di lavoro.

Si osserva, inoltre, che, la previsione normativa dell'art. 3 D. Lgs. 23/2015, differisce dall'art. 18 L. 300/70 nella parte in cui prevede che la tutela reintegratoria abbia carattere residuale rispetto a quella indennitaria, mentre la norma dello Statuto dei lavoratori prevedeva la reintegra nei casi in cui venisse riconosciuta l'insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento per giustificato motivo o nel caso in cui il licenziamento risultasse sproporzionato rispetto al fatto contestato, punibile con una sanzione conservativa: nel D. Lgs. 23/2015 la reintegra è connessa all'insussistenza del fatto materiale contestato.

La giurisprudenza di legittimità fornisce, alla luce dei precedenti in materia, una versione più chiara relativa alla nozione di insussistenza del fatto contestato, ritenendo che, in questa dicitura, debbano essere ricomprese tutte le fattispecie in cui il fatto non solo sia giudicato insussistente, ma che lo stesso sia irrilevante da un punto di vista disciplinare nonché privo del carattere di illiceità (si veda sul punto Cass. 25 maggio 2017 n. 13178), includendo pertanto negli aspetti da valutare anche un ulteriore elemento, vale a dire la gravità del fatto contestato, in termini di danno procurato.

La riflessione su questo specifico tema, pone l'obbligo di richiamare una fattispecie similare a quella in esame che ha avuto una grande risonanza mediatica: è il caso relativo alla lavoratrice, dipendente di un'azienda pubblica, che si appropria di un monopattino smaltito dall'azienda e collocato nei rifiuti, per portarlo al proprio figlio (App. Torino 7 gennaio 2019 n. 686).

La Corte d'Appello di Torino, investita della questione affermava, dichiarando illegittimo il licenziamento, che ogni qual volta si faccia luogo ad esame del fatto contestato posto alla base del licenziamento, al fine di stabilirne la sua sussistenza o meno, e ci si trovi di fronte ad un ulteriore elemento che è quello della gravità del fatto medesimo, gli stessi vadano esaminati congiuntamente, pervenendo così non solo alla valutazione di sussistenza dello stesso, ma anche a quella di rilevanza disciplinare e di liceità.

Nel caso specifico, posto che la condotta della lavoratrice non era tale da giustificare il licenziamento e che la condotta non risultava né antigiuridica né violativa di norme disciplinari, la Corte concludeva per l'applicazione della tutela reintegratoria come previsto dall'art. 18 c.4 L. 300/70.

La rilevanza dell'elemento non materiale

La Corte ha così concluso il proprio iter argomentativo ritenendo che, la nozione di insussistenza di fatto posto alla base del licenziamento, debba tener conto, ai fini dell'applicazione della tutela risarcitoria e/o reintegratoria, qualora sussistente, anche dell'elemento non materiale, relativo alla mancanza di rilevanza sotto un profilo disciplinare e di ipotetico danno prodotto.

Pertanto, accogliendo il secondo motivo di ricorso, rinviava l'esame della vicenda alla Corte d'Appello formulando il seguente principio di diritto cui la Corte di rinvio dovrà uniformarsi: “Ai fini della pronuncia di cui all'art. 3 c. 2 D. Lgs. 23/2015, l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, comprende non soltanto i casi in cui il fatto non si sia verificato nella sua materialità, ma anche tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia rilievo disciplinare".

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