Il doppio rapporto del socio lavoratore nella cooperativa

Paolo Laguzzi
20 Agosto 2019

Nelle società cooperative il rapporto di scambio mutualistico si aggiunge al rapporto associativo che lega i soci in ogni tipo di società. I soci di cooperativa devono prestare un'attività per il conseguimento dello scopo sociale, proponendosi come lavoratori del settore d'impresa nel quale la cooperativa intende operare.
Le cooperative di produzione e lavoro

Il codice civile definisce le società cooperative come società con uno scopo mutualistico: fornire beni, servizi ed occasioni di lavoro direttamente ai membri dell'organizzazione a condizioni più vantaggiose di quelle che otterrebbero sul mercato (artt. 2511 e 2545 octiesdecies c.c.).

Il rapporto di scambio mutualistico caratterizza l'ente cooperativo e si aggiunge al rapporto associativo che lega i soci in ogni tipo di società (conferimento di capitale, partecipazione agli utili, partecipazione alla gestione della società, etc.).

Le cooperative di produzione e lavoro si specificano per avvalersi, nello svolgimento della loro attività, prevalentemente delle prestazioni lavorative dei soci (art. 2512, c. 1 n. 2, c.c.), che partecipano alla “mutualità prevalente”, definita dal legislatore nello stesso articolo.

La L. 142/2001 (in molte parti modificata dalla L. 30/2003) revisiona la normativa cooperativistica e qualifica queste società come cooperative nelle quali il rapporto mutualistico abbia ad oggetto la prestazione lavorativa da parte del socio, sulla base di previsioni di regolamento che definiscono l'organizzazione del lavoro dei soci” (art. 1, c. 1, L. 142/2001).

La legge ha introdotto un idoneo sistema di diritti e di garanzie, minime e inderogabili, a tutela del socio lavoratore per superare “l'equivoco” della natura del rapporto di lavoro in cooperativa, stabilendo normativamente i tratti definitori della speciale figura del socio, anche per meglio contrastare il diffuso fenomeno delle cooperative “false” o “non genuine”.

I soci di questo tipo di cooperativa devono essere in grado di prestare un'attività idonea a permettere il conseguimento dello scopo sociale, proponendosi quali lavoratori del particolare settore di impresa nel quale la cooperativa intende operare. Possono essere soci anche coloro che svolgono compiti tecnici o amministrativi, ma solo nel numero necessario al buon funzionamento dell'ente (art. 23, c. 5 e 6, D.Lgs. C.P.S. 1577/47).

Il socio è tenuto alla prestazione di lavoro in adesione allo statuto (comprensivo anche delle disposizioni del regolamento interno) e lo svolgimento della sua attività si presenta come adempimento del contratto sociale, divenendo prestazione “ulteriore” (art. 1, c. 3, L. 142/2001) rispetto al rapporto associativo-societario.

Per queste cooperative è prevista l'iscrizione, quale elemento essenziale della qualificazione mutualistica ai fini delle agevolazioni tributarie disposte dalla legge (art. 223 duodecies, c. 6, disp. att. c.c. e art. 14 DPR 601/73), all'Albo delle Società Cooperative, sezione “produzione e lavoro”.

L'Albo, istituito con D.M. 23 giugno 2004 in attuazione dell'art. 2512 c.c., è tenuto con modalità informatiche dal Ministero dello Sviluppo Economico sulla base dei dati trasmessi dal Registro delle Imprese delle Camere di Commercio.

Attualmente, il numero totale delle cooperative iscritte ammonta ad oltre 55.000. Si tratta di imprese che, forse più di altre, hanno saputo assicurare continuità occupazionale e trattamenti retributivi adeguati in relazione ai presenti profondi cambiamenti del sistema economico e delle corrispondenti esigenze sociali.

La L. 205/2017, innovando la legislazione sulla governance delle società cooperative, ha soppresso la figura dell'Amministratore Unico, obbligando le stesse ad essere amministrate da un Consiglio di Amministrazione composto da almeno 3 persone (nominate per un periodo non superiore a 3 esercizi) a partire dal 1° gennaio 2018.

Il quadro normativo di riferimento per il lavoro in cooperativa, se raffrontato a quello vigente per la generalità dei lavoratori subordinati, presenta alcune peculiarità che derivano, in buona misura, dai contenuti della legge speciale sul socio lavoratore (L. 142/2001) e dall'adozione di un regolamento interno della cooperativa che definisce l'organizzazione del lavoro dei soci fissando in primis la tipologia dei rapporti che con questi si intendono attuare (art. 6 L. 142/2001).

Il duplice rapporto tra socio lavoratore e cooperativa

Il socio lavoratore, aderendo alla cooperativa, attua lo scambio mutualistico attraverso la sua prestazione di lavoro.

Tra il socio lavoratore e la cooperativa di produzione e lavoro si instaurano, ed in seguito coesistono, due diversi rapporti giuridici: societario o associativo, da una parte, e di lavoro, dall'altra.

Data l'interdipendenza dei due rapporti, il fenomeno è di difficile inquadramento giuridico.

Lo specifico status del socio cooperatore è così descritto: "Il socio lavoratore di cooperativa stabilisce con la propria adesione o successivamente all'instaurazione del rapporto associativo un ulteriore rapporto di lavoro, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata non occasionale, con cui contribuisce comunque al raggiungimento degli scopi sociali. Dall'instaurazione dei predetti rapporti associativi e di lavoro in qualsiasi forma derivano i relativi effetti di natura fiscale e previdenziale e tutti gli altri effetti giuridici rispettivamente previsti dalla presente legge, nonché, in quanto compatibili con la posizione del socio lavoratore, da altre leggi o da qualsiasi altra fonte" (art. 1, c. 3, L. 142/2001).

L'originario testo della norma accompagnava la qualificazione "ulteriore", riferita al rapporto di lavoro del socio, con l'aggiuntivo termine "distinto”.

Le modifiche apportate dall'art. 9 L. 30/2003 hanno soppresso il secondo aggettivo.

Dottrina e giurisprudenza si sono subito interrogate sul valore sostanziale della modifica lessicale.

In un primo momento, la maggioranza degli interpreti ha ritenuto che l'intervento riformatore del 2003 avesse costituito un ripensamento parziale del legislatore, volto a riconfermare la dipendenza o accessorietà del rapporto lavorativo rispetto al rapporto associativo. La subalternità è invece posta in dubbio, e per taluni del tutto eliminata, dalla L. 142/2001.

La “teoria dell'accessorietà”, maggioritaria prima dell'emanazione della legge (Cass. SU. 5813/89 e Corte Cost. 30/96), sostiene che il legislatore, con l'accentuazione dell'inerenza della prestazione lavorativa allo scopo mutualistico, abbia fatto emergere con chiarezza il carattere preminente del rapporto associativo e la natura accessoria del rapporto di lavoro.

Su questa linea si è posta la prassi amministrativa. Il Ministero del Lavoro e della Politiche Sociali infatti ha sostenuto che, con il nuovo art. 1, c. 3, L. 142/2001 "viene ulteriormente confermata la preminenza del rapporto associativo su quello di lavoro, in ossequio alla tesi dello scambio ulteriore […] viene fugato ogni possibile dubbio sul fatto che il rapporto di lavoro sia strumentale al vincolo di natura associativa, tra l'altro puntualmente descritto al primo comma, tramite la definizione degli obblighi sociali posti a carico del socio lavoratore di cooperativa" (Circ. MinLav 8 marzo 2004 n. 10).

La volontà legislativa di accentuare l'inerenza della prestazione di lavoro del socio allo scopo mutualistico è dimostrata dal segno dell'interdipendenza tra i due rapporti: è il rapporto di lavoro ad essere influenzato dalle vicende del rapporto associativo e non viceversa, visto che “il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l'esclusione del socio deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie e in conformità con articoli 2532 e 2533 del codice civile” (art. 5, c. 2, L. 142/2001).

La disposizione valorizza la dipendenza del rapporto di lavoro da quello societario. Mancando quest'ultimo, l'altro non può ulteriormente protrarsi.

Al contrario, la sua ricostituzione passa necessariamente per l'invalidazione della delibera di esclusione (Cass. SU 20 novembre 2017 n. 27436).

Col tempo ha prevalso l'opinione secondo cui la riforma del 2003 nella sostanza non ha modificato le disposizioni della legge sul socio lavoratore. L'eliminazione dell'attributo "distinto" non ha contraddetto né mutato la duplicità dei rapporti i quali, pur in rapporto di collegamento negoziale necessario, mantengono ciascuno autonoma disciplina.

In giurisprudenza, la predetta teoria dualistica o del doppio binario, al di là delle disquisizioni terminologiche, si è nel tempo sostanzialmente consolidata.

La Corte di Cassazione, infatti, sulla scorta del pensiero tra gli altri di Marco Biagi, che aveva sostenuto la compatibilità ontologica tra mutualità (associazione in cooperativa) e scambio (lavoro):

  • ha ridimensionato la portata di “una concezione puramente associativa del fenomeno cooperativo, per come espressa dalla tradizionale formula del “socio imprenditore di sé stesso” che meritava ormai di essere rivista alla luce della assai precaria tutela che l'ordinamento delle società assicurava alla prestazione di lavoro" (Cass. 21 novembre 2014 n. 24917);
  • ha configurato il lavoro del socio di cooperativa alla stregua di “un rapporto qualificato dal concorso di una molteplicità di cause negoziali collegate (e, quindi, dalla presenza di un rapporto di lavoro, subordinato, autonomo o in qualsiasi altra forma, a lato di quello associativo)” (Cass. 21 novembre 2014 n. 24917);
  • ha affermato che “anche dopo la riforma del 2003 il lavoro in cooperativa resta caratterizzato, pur nell'ambito di un più stretto collegamento genetico e funzionale del rapporto di scambio mutualistico con quello associativo, da una pluralità di rapporti contrattuali, con la connessa coesistenza di una pluralità di tutele” (Cass. 5 luglio 2011, n. 14741; conformi ex multis Trib. Torino 27 novembre 2012; Trib. Torino, sez. civ., 1° marzo 2013).

Sembrano quindi definitivamente abbandonate le contrarie teorie sopra descritte che, prima dell'entrata in vigore L. 142/2001 e dopo le modifiche della L. 30/2003, avevano inteso configurare il lavoro del socio come adempimento del contratto di società.

Oggi, in definitiva, sebbene la legge abbia attribuito al rapporto sociale una posizione di maggiore risalto rispetto a quello lavorativo, costituisce ius receptum la regola secondo la quale alla pluralità dei rapporti contrattuali consegue una pluralità di autonome tutele: giuslavoristica e societaria.

Diritti del socio

Al socio cooperatore, per la doppia natura del suo rapporto, sono riferibili due categorie di diritti, rispettivamente derivanti dallo status di socio e dal rapporto di lavoro, svolto quest'ultimo in forma subordinata o autonoma od in qualsiasi altra forma (art. 1 c. 3 L. 142/2001).

La prima categoria trova la sua primaria fonte di disciplina negli artt. 2511 e segg. c.c. in tema di società cooperative.

Il regime del diritto di informazione dei soci è regolato dagli artt. 2545 e 2545 bis c.c. (disposizioni che riprendono, rispettivamente, il contenuto degli artt. 1 e 2 L. 59/92).

Con tali norme si prevede in particolare che, in occasione dell'approvazione del bilancio d'esercizio, gli amministratori, nella relazione sulla gestione debbono indicare specificamente i criteri seguiti nella gestione sociale per il conseguimento dello scopo mutualistico (art. 2428 c.c.).

Inoltre, un decimo dei soci (ridotto ad un ventesimo se la cooperativa ha oltre 3000 soci) ha il diritto di esaminare il libro dei verbali consiliari e del comitato esecutivo.

La legge fa riferimento alle sole società cooperative cui si applica la disciplina della società per azioni (art. 2545 bis c.c.).

Nelle cooperative s.r.l. il socio ha l'accesso diretto non solo al libro dei verbali degli organi gestori ma a tutti i documenti relativi all'amministrazione della società (art. 2476, c. 2, c.c).

Di notevole importanza sono poi le regole dettate dal legislatore sui compiti e sul funzionamento dall'assemblea della cooperativa, luogo paradigmatico della democrazia partecipativa tipica di tale forma societaria (artt. 2538 ss c.c.).

In particolare, va evidenziata la regola del voto capitario (una testa un voto: qualunque sia la quota di capitale posseduta, il valore del socio in assemblea è sempre uguale ad uno) volta a contrastare la concentrazione in poche mani della proprietà della società.

Il ristorno è istituto tipico della società cooperativa (art. 2545 sexies c.c).

La giurisprudenza afferma che i ristorni vanno tenuti distinti dagli utili in senso proprio, che costituiscono una remunerazione del capitale e, pertanto, vengono distribuiti in proporzione ai conferimenti effettuati da ciascun socio.

I ristorni costituiscono invece uno degli strumenti tecnici per attribuire ai soci il vantaggio mutualistico (risparmio di spesa o maggiore retribuzione) derivante dai rapporti di scambio intrattenuti con la cooperativa (Cass. 10641/2015; Cass. 9513/99; App. Milano, 10 giugno 2003).

Nelle cooperative di produzione e lavoro il ristorno costituisce un'integrazione della retribuzione del socio (mentre ad esempio nelle cooperative di consumo si traduce in un rimborso ai soci di parte del prezzo pagato per i beni o servizi acquistati dalla cooperativa).

Caratteristica comune ai ristorni e agli utili è l'aleatorietà, in quanto la società può distribuirli solo se la gestione mutualistica dell'impresa si chiuda con un'eccedenza dei ricavi rispetto ai costi.

Infatti la legge non riconosce al socio un diritto soggettivo al ristorno, come non riconosce al socio di società di capitali un diritto alla distribuzione degli utili, restando in entrambi i casi le aspettative del socio subordinate alle deliberazioni della assemblea, su proposta degli amministratori, in sede di approvazione del bilancio (Cass. 9513/99)

Altra caratteristica del ristorno deriva dal fatto che l'eventuale corresponsione al socio del vantaggio mutualistico è differita. Pertanto, nelle cooperative di lavoro, tale remunerazione integrativa non è attuata con la periodica retribuzione della prestazione lavorativa ma in sede di approvazione bilancio di esercizio.

La legge si occupa del ristorno inserendolo tra i trattamenti economici ulteriori che possono essere deliberati dall'assemblea a favore dei soci lavoratori (art. 3, c. 2, lett. b), L. 142/2001).

I ristorni non possono superare il 30% del trattamento retributivo complessivo corrisposto ai soci lavoratori in corso d'anno. Sono compresi, quindi, sia eventuali superminimi attribuiti singolarmente o collettivamente ai soci, sia i trattamenti economici ulteriori erogati a titolo di maggiorazione retributiva (art. 3, c. 2, lett. a), L. 142/2001).

Qualora l'erogazione avvenisse per percentuali superiori, il ristorno costituirebbe, per la parte eccedente, una distribuzione di utili o dividendo, dovendosi in tal caso applicare il relativo regime giuridico.

Le somme individuate a titolo di ristorno possono essere erogate mediante (art. 3, c. 2 lett. b) L. 142/2001):

  • integrazione delle retribuzioni;
  • aumento gratuito del capitale sociale sottoscritto e versato (in deroga ai limiti stabiliti dall'art. 24 D.Lgs. C.p.S. 1577/47, ratificato, con modificazioni, dalla L. 302/51, e successivi modificazioni);
  • distribuzione gratuita di azioni di partecipazione cooperativa.

Se erogato in forma di integrazione retributiva, il ristorno deve essere evidenziato in busta paga e costituisce reddito da lavoro dipendente ai fini IRPEF.

Nel caso in cui invece sia corrisposto come incremento delle quote del capitale sociale o delle azioni, esso è tassato con ritenuta a titolo di imposta al momento della liquidazione al socio.

Quale elemento integrativo della retribuzione, il ristorno non ė assoggettato a contribuzione previdenziale (art. 4 c. 2 L. 142/2001) ma solo a ritenuta fiscale, secondo l'ordinaria imposizione prevista per il tipo di reddito conseguente alla tipologia contrattuale adottata nell'espletamento della prestazione lavorativa.

L'esonero contributivo, circoscritto agli “effetti previdenziali”, non si estende pertanto ai premi assicurativi INAIL.

Diritti del lavoratore

Veniamo ora ai diritti del socio cooperatore connessi al rapporto di lavoro.

In proposito la legge attua una sostanziale equiparazione tra il rapporto (mutualistico) di lavoro esistente in capo ai medesimi rispetto a quello intrattenuto dai lavoratori dipendenti tout court (art. 2 L. 142/2001).

Di rilievo, quantomeno in via di principio (appare infatti scontato che il socio, sottoscrivendo con la cooperativa anche un contratto di lavoro subordinato, possa invocare l'applicazione delle norme previste dal relativo Statuto), è certamente il richiamo alla L. 300/70 nel suo insieme.

Fa eccezione l'art. 18, quantomeno nel caso di cessazione col rapporto di lavoro anche [di] quello associativo”.

Lo stesso art. 2 prevede inoltre che il titolo III dello Statuto dei lavoratori trova applicazione solo compatibilmente con lo status di socio e secondo quanto determinato dagli accordi collettivi.

La limitazione del richiamo normativo è frutto della modifica apportata alla norma stessa dall'art. 9 L. 30/2003 ed è tesa a sottolineare l'influenza che la titolarità del rapporto associativo, con i connessi diritti attribuiti al socio lavoratore in ambito societario, può avere anche sulle attività sindacali interne all'azienda.

Il titolo III riconosce ai lavoratori la possibilità di esercitare sul luogo di lavoro una serie di poteri e prerogative essenzialmente volte ad agevolare la presenza e l'azione delle organizzazioni sindacali in azienda, al di là della sfera della libertà sindacale (Corte Cost. 54/74).

In particolare la L. 300/1970 prevede:

  • la possibilità di costituire rappresentanze sindacali aziendali (r.s.a.) (art. 19);
  • il diritto dei lavoratori di riunirsi in assemblea all'interno dell'unità produttiva (art. 20);
  • la facoltà di indire, nell'ambito aziendale ma fuori dell'orario di lavoro, referendum, sia generali che per categoria, su materie inerenti all'attività sindacale (art. 21);
  • limitazioni al potere datoriale di trasferimento dall'unità produttiva dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali (art. 22);
  • il diritto dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali a permessi, retribuiti (art. 23) e non retribuiti (art. 24) per l'espletamento del loro mandato e per la partecipazione a trattative sindacali o a congressi e convegni di natura sindacale;
  • il diritto di affissione da parte delle r.s.a. all'interno dell'unità produttiva di materiale informativo di interesse sindacale e del lavoro (art. 25);
  • il diritto dei lavoratori hanno a raccogliere contributi e di svolgere opera di proselitismo per le loro organizzazioni sindacali all'interno dei luoghi di lavoro (art. 26);
  • l'obbligo del datore di lavoro di mettere a disposizione delle r.s.a. idonei locali per l'esercizio delle loro funzioni, permanentemente nelle unità produttive con almeno 200 dipendenti, a richiesta per singole riunioni nelle unità di dimensioni inferiori (art. 27).

Scorrendo le pronunce di giurisprudenza, in favore del socio lavoratore viene riconosciuta la piena legittimità all'attività sindacale svolta all'interno dell'ente cooperativo, compatibile a priori con lo status di socio, superando di fatto i limiti imposti dall'art. 2 L. 142/2001 come riformato dalla L. 30/2003.

È stato, ad esempio, ritenuto comportamento antisindacale (art. 28 L. 300/70) il rifiuto espresso da parte di una cooperativa a riconoscere ai propri soci lavoratori il diritto di partecipare ad assemblee retribuite convocate ai sensi dell'art. 20 L. 300/70 e dell'art. 2 L. 142/2001 (Trib. Cuneo, 5 gennaio 2002, n. 71); ed altrettanto è stato affermato con riferimento alla negazione da parte di una cooperativa dei diritti sindacali di assemblea e di affissione di comunicati sindacali (Trib. Roma, 23 gennaio 2003, n. 388), precisandosi in tale ultima pronuncia che l'applicabilità delle norme dello statuto dei lavoratori anche ai soci lavoratori con rapporto di lavoro subordinato non è condizionata dall'approvazione, da parte dell'assemblea sociale, del regolamento di cui all'art. 6 L. 142/2001.

Analoghe considerazioni valgono in tema di rappresentanze sindacali aziendali (r.s.a.) ex art. 19 L. 300/70, la cui costituzione, con l'esercizio dei relativi diritti ed il rispetto da parte datoriale delle connesse immunità, si riteneva dovesse essere riconosciuta dalla cooperativa di produzione e lavoro ancor prima dell'emanazione della L. 142/2001 (Trib. Milano 14 luglio 1999, n. 813; Pret. Roma, 28 dicembre 1988, n. 335).

La legge impone altresì, a tutela del socio lavoratore, l'applicazione di tutte le vigenti disposizioni in materia di sicurezza e igiene del lavoro (art. 2 L. 142/2001).

Il richiamo normativo è attualmente da riferirsi al Testo Unico sulla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (D.Lgs. 81/2008).

Anche nel settore delle cooperative di produzione e lavoro sono pertanto operanti gli obblighi datoriali tipici della materia.

Tra i principali obblighi del datore di lavoro (art. 18 D.Lgs. 81/2008) ricordiamo:

  • la valutazione dei rischi e la redazione del relativo documento (DVR);
  • l'organizzazione del servizio di prevenzione e protezione all'interno della azienda o della unità' produttiva, con la nomina di un soggetto Responsabile (RSPP) in possesso delle necessarie capacità e requisiti professionali;
  • l'informazione, la formazione e l'addestramento di ciascun lavoratore lavoratori nonché la dotazione allo stesso di idonei dispositivi di protezione individuale;
  • l'attuazione del programma di sorveglianza sanitaria, ad iniziare dalla nomina del Medico Competente.
L'estinzione dei rapporti

La duplicità del rapporto con la cooperativa esplica i suoi effetti anche al momento dell'uscita del socio lavoratore dall'ente.

La L. 142/2001, per sancire la preminenza del rapporto associativo su quello di lavoro, ha previsto che l'estinzione del primo rapporto, tramite il recesso del socio o la delibera di esclusione della cooperativa, automaticamente comporta la cessazione anche del rapporto di lavoro.

Non è previsto il meccanismo opposto, potendo quindi verificarsi la situazione in cui il socio rassegni soltanto le dimissioni dal contratto di lavoro, oppure venga unicamente licenziato, comunque conservando lo status di socio della cooperativa (c.d. socio inerte).

In particolare la legge dispone che “il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l'esclusione del socio deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie e in conformità con gli articoli 2532 e 2533 del codice civile” (art. 5, c. 2, L. 142/2001).

La scelta operata dal legislatore svaluta quindi l'atto estintivo del rapporto lavorativo rispetto alle vicende che determinano invece la cessazione del rapporto associativo.

Questa regola del resto risulta coerente con la disciplina generale prevista dal codice civile per ogni tipo di cooperativa.

Viene infatti disposto che “qualora l'atto costitutivo non preveda diversamente, lo scioglimento del rapporto sociale determina anche la risoluzione dei rapporti mutualistici pendenti” (art. 2533 c.c.).

Del tema si sono recentemente occupate anche le Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

Invero, la sentenza 20 novembre 2017 n. 27436, nello stabilire che risulta preclusa la tutela restitutoria (art. 18 L. 300/70) ma non quella risarcitoria (art. 8 L. 604/66) quando il socio lavoratore omette di impugnare tempestivamente la delibera societaria di esclusione (impugnazione da proporsi avanti il Tribunale entro 60 giorni dalla comunicazione, ex art. 2533, c. 3, c.c.), in via preliminare ricostruisce i principi informatori della disciplina sul socio lavoratore.

La sentenza, con pregevole sintesi espositiva, esamina infatti sia le varie disposizioni di legge succedutesi nella materia sia i relativi diversi orientamenti interpretativi, riconducendo questi ultimi a distinte “impostazioni di fondo” ovverosia ad una “divergenza di principi” derivante “dal differente peso che si assegna alla specialità che il rapporto cooperativo esprime rispetto allo schema della subordinazione”.

Partendo dai principi generali la Corte riconosce di essere oramai superata ed insufficiente a contrastare il fenomeno della cooperativa spuria o fraudolenta l'impostazione tradizionale secondo la quale le prestazioni del socio di società cooperativa di produzione e lavoro integrano adempimento del contratto sociale e non sono riconducibili ad un rapporto di lavoro, subordinato o di altro tipo.

Il riferimento è alla c.d. teoria monistica, principalmente espressa nella sentenza delle Sezioni Unite 28 dicembre 1989, n. 5813 ed in seguito avallata anche dalla Corte Costituzionale con la pronuncia 12 febbraio 1996 n. 30.

In epoca più recente, successiva all'entrata in vigore della L. 142/2001, tale teoria è stata ripresa dalla stessa Corte con le ordinanze 460/2006 e 95/2014.

La Corte osserva che, seguito della L. 142/2001, i due rapporti, associativo e di lavoro, coesistono e la loro combinazione assume la veste di collegamento negoziale necessario.

Tale collegamento, nella fase estintiva dei rapporti, ha carattere unidirezionale stante la regola di cui agli artt. 5, c. 2, L. 142/2001 e 2533 c.c.

Perentoria è l'enunciazione di principio conclusiva delle Sezioni Unite.: “La cessazione del rapporto associativo […] trascina con sé ineluttabilmente quella del rapporto di lavoro. Sicché il socio, se può non essere lavoratore, qualora perda la qualità di socio non può più essere lavoratore”.

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