Concordato inadempiuto ma non risolto e successivo fallimento omisso medio

20 Agosto 2019

Sulle pagine di questo portale si è ampiamente scritto e dibattuto sull'ammissibilità, o meno, del fallimento "omisso medio” ed anche la giurisprudenza si è interrogata spesso sulla questione proponendo soluzioni diverse. Le recenti pronunce dei Tribunali di Reggio Emilia e Modena, e quella della Corte d'Appello di Firenze, offrono l'occasione per fare il punto sull'argomento.
Premessa

Sulle pagine di questo portale si è ampiamente scritto e dibattuto sull'ammissibilità, o meno, del fallimento "omisso medio” (ossia il fallimento di un'impresa in concordato preventivo omologato, dichiarato senza preliminarmente disporne la risoluzione; v. ad es. Galletti, Fallimento del debitore concordatario in assenza o nell'impossibilità di pronunziare la risoluzione del concordato, 29 Luglio 2015; Rasile, Concordato preventivo inadempiuto ma non risolto e successivo fallimento, 1 Dicembre 2016; Platania, La dichiarazione di fallimento senza preventiva risoluzione del concordato, 4 maggio 2017; Lamanna, Fallimento dell'impresa in concordato senza previa risoluzione: un problema ancora aperto, 5 maggio 2017).

Anche la giurisprudenza si è interrogata spesso sulla questione, e ha proposto soluzioni diverse.

Le recenti pronunce dei tribunali di Reggio Emilia e Modena, e quella della Corte d'Appello di Firenze, offrono l'occasione per fare il punto sull'argomento.

La possibilità, o meno, di dichiarare il fallimento “omisso medio"

In epigrafe sono state elencate, suddividendole per orientamento, alcune delle pronunce più recenti (altre pronunce meno recenti sono già state ampiamente richiamate e commentate nei precedenti articoli pubblicati sul portale) che hanno affrontato l'argomento ammissibilità/non ammissibilità del fallimento omisso medio.

Nel presente contributo cercherò di riassumere le motivazioni e i ragionamenti utilizzati dalla giurisprudenza per argomentare le rispettive conclusioni sul tema.

Le pronunce della Cassazione nel 2017 e nel 2018 (favorevoli).

Nel 2017, la SC è intervenuta ex professo sull'argomento con 2 ordinanze (entrambe della Sez. VI, relatore Ferro): la n. 17703 del 17.7.2017 e la n. 29632 dell'11.12.2017.

Nella prima delle due pronunce (n. 17703/17) si legge testualmente che:

non sussistono preclusioni alla dichiarazione di fallimento di società con concordato preventivo omologato ove si faccia questione – come non è contestato nella vicenda – dell'inadempimento di debiti già sussistenti alla data del ricorso L. Fall., ex artt. 160-161 e però modificati con detta omologazione, dovendosi verificare all'epoca della decisione così sollecitata i presupposti di cui alla L. Fall., artt. 1 e 5;

a prescindere dalla risoluzione del concordato preventivo, il cui procedimento andrebbe attivato - previamente o concorrentemente - solo se l'istante facesse valere non il credito nella misura ristrutturata (e dunque falcidiata) ma in quella originaria.

Con la successiva ordinanza n. 29632 dell'11/12/2017, il Collegio – dopo aver ribadito i principi già esposti da Cass. 17703/2017 – aggiunge anche che:

è un principio generale quello che permette ai soggetti legittimati L. Fall., ex artt. 6 e 7 di provocare la dichiarazione di fallimento del debitore commerciale insolvente, escludendosi che la specialità della L. Fall., art. 186, pur predicabile, abbia portata soppressiva delle prime disposizioni.

(Ipotesi in cui il PM, rilevata l'insolvenza della debitrice a causa del mancato adempimento delle obbligazioni concordatarie, ha chiesto la dichiarazione di fallimento, senza dover chiedere anche la risoluzione del concordato).

Nel 2018 la SC si è pronunciata ancora sul tema, stavolta con una sentenza resa dalla I Sezione (rel. Lamorgese), la n. 26002 del 17/10/2018.

In tale occasione, il giudice di legittimità è stato adito per risolvere la questione à «se gli accordi stipulati nel piano di concordato preventivo omologato, non risolto né annullato, cui segua la dichiarazione di fallimento, restino fermi e dunque il credito ammissibile al fallimento sia quello originario (per l'intero) o quello soggetto alla falcidia concordataria».

Nella stessa sentenza si legge anche che «Il Collegio non ignora il principio, che deriva dalla caduta di ogni automatismo tra risoluzione del concordato e fallimento, secondo cui, nell'ipotesi in cui il fallimento faccia seguito ad un concordato preventivo omologato, il procedimento per la risoluzione del concordato "andrebbe attivato - previamente o concorrentemente solo se l'istante facesse valere non il credito nella misura ristrutturata (e dunque falcidiata) ma in quella originaria" (Cass. n. 17703/2017.

Tale ultimo passaggio - abbinato al rilievo che tutto il ragionamento svolto dalla SC parte proprio da un fallimento dichiarato omisso medio - conferma che anche la Sez. I della Cassazione con la sentenza n. 26002 del 2018 ha inteso dare continuità al principio di diritto dell'ammissibilità del fallimento ("omisso medio") di un'impresa in concordato preventivo omologato, senza preliminarmente disporne la risoluzione, così come esposto l'anno prima dalle 2 ordinanze della Sez. VI della stessa Corte (nn. 17703/17 e 29632/17).

Le ultime pronunce di merito a favore.

Tra le più recenti sentenze di merito che hanno seguito il principio di diritto affermato dalla SC nel 2017 e nel 2018, troviamo (tutte su questo portale):

Tribunale di Arezzo – Sez. Fall. – 3 maggio 2018, sent.

Il caso deciso dal tribunale di Arezzo riguardava una istanza di fallimento presentata dal PM nei confronti di una società in liquidazione ed in concordato preventivo, istanza di fallimento che si fondava sulle relazioni periodiche del liquidatore giudiziale dalle quali emergeva l'impossibilità di soddisfacimento, anche in minima parte, dei creditori concorsuali.

Interrogandosi sulla proponibilità della istanza di fallimento, il tribunale toscano segue la scia tracciata dalle 2 ordinanze della Cassazione del 2017 su annotate.

In primo luogo, rileva che la risoluzione del concordato preventivo si pone su di un piano completamente diverso rispetto alla dichiarazione di fallimento, essendo evidente la diversità di presupposti (uno implicante l'accertamento dell'inadempimento del patto concordatario e l'altro dello stato di insolvenza della società).

Inoltre, il Collegio di merito, afferma che non consentire la dichiarazione di fallimento nell'ipotesi in cui la società in concordato versi in stato di insolvenza significherebbe creare una ingiustificata disparità di trattamento con gli altri soggetti imprenditoriali in bonis, peraltro non confortata da alcuna previsione legislativa.

Del resto, l'art. 168 l.f. nell'inibire l'inizio o la prosecuzione di azioni esecutive (e cautelare) sul patrimonio del debitore "dalla data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e fino al momento in cui il decreto di omologa del concordato preventivo diventa definitivo" fissa in maniera inequivoca i limiti temporali di vigenza del divieto, con la conseguenza che dopo l'intervenuta definitività del divieto di omologa deve ritenersi cessato ogni effetto protettivo per il debitore concordatario.

Tribunale di Modena – Sez. Fall. – 11 febbraio 2019, decr. (inedito)

Tribunale di Reggio Emilia – Sez. Fall. – 13 maggio 2019, sent. (inedito)

Tali provvedimenti (quasi coevi) dei due tribunali emiliani verranno analizzati meglio nel paragrafo 3.

Tuttavia, è opportuno segnalare sin d'ora che anch'essi si pongono nella scia dell'orientamento maggioritario avallato dalla SC.

Il Tribunale di Modena considera “assodata … la possibilità di far dichiarare il fallimento dell'imprenditore nella fase esecutiva del concordato non solo per crediti successivi all'omologa, ma anche per crediti anteriori conformati alla proposta ma rimasti inadempiuti”.

Il Tribunale di Reggio Emilia ritiene condivisibile l'orientamento della Corte di Cassazione espresso nelle ordinanze n. 17703/2017 e n. 29632/2017.

Queste due pronunce, come vedremo successivamente, offrono anche un esempio utile e pratico per comprendere come (in che misura) andrà ammesso al passivo del fallimento “omisso medio” il creditore concordatario.

Le ultime pronunce di merito contrarie (o parzialmente contrarie).

Tribunale di Padova - 30 marzo 2017, sent.

Tribunale di Rovigo - 7 dicembre 2017, sent.

Tribunale di Pistoia - Sez. Civ. - 21 dicembre 2017, decr.

Corte d'Appello di Firenze - 16 maggio 2019, sent. (www.ilcaso.it)

Nella giurisprudenza di merito, la tesi minoritaria che nega l'ammissibilità del fallimento senza preventiva risoluzione del concordato è stata sostenuta nel 2017 dai 3 provvedimenti indicati (tutti presenti sul portale).

E, da ultimo, anche da una pronuncia della Corte d'Appello di Firenze.

A ben vedere, sia il tribunale di Padova sia quello di Rovigo escludono la possibilità di una dichiarazione di fallimento senza preventiva pronuncia di risoluzione à ma soltanto qualora siano ancora pendenti i termini per chiedere la risoluzione.

Se, invece, la risoluzione non si può più domandare, anche tali tribunali ammettono il fallimento senza risoluzione.

Per il tribunale di Padova: “non è possibile, pendenti i termini per la risoluzione, dichiarare il fallimento della società senza previa risoluzione, per di più su istanza dello stesso proponente il concordato ormai omologato”.

Parimenti, il tribunale di Rovigo afferma: “allorché sia decorso l'anno di cui all'art. 186 l.f. (durante il decoroso di tale termine la ammissione del c.d. fallimento omisso medio determinerebbe evidentemente una violazione implicita dell'art. 186 l.f., poiché sulla base di presupposti diversi e più ampi si otterrebbe il medesimo effetto della risoluzione limitata sotto il profilo della legittimazione attiva e sotto quello più stringente dei presupposti), si riespanda un potere di istanza fallimentare sia da parte dell'imprenditore, sia da parte del pubblico ministero, rivelandosi l'insolvenza nella incapacità di far fronte con regolarità - ovvero secondo le modalità e i tempi del piano - alle obbligazioni assunte con la proposta concordataria e maturate durante la procedura”.

Molto più articolato e complesso è, invece, il decreto del Tribunale di Pistoia che – all'esito di una lunga dissertazione, a tratti difficile da comprendere – afferma che “il pur autorevole arresto di cui alla duplice pronuncia di C. 17703/17 e C. 29632/17 non può essere seguito”.

Quindi, conclude per l'inammissibilità di una declaratoria di fallimento che non sia preceduta dalla risoluzione del concordato preventivo omologato (sempre e in ogni caso: sia che penda ancora il termine per l'esecuzione del concordato preventivo omologato sia quando è già trascorso il termine annuale previsto dall'art. 186, comma 3, l. fall.).

Tale ultimo provvedimento – sul quale non ritorno - è stato già commentato in questo portale (Tarolli e Riondato, L'inadempimento del concordato e il fallimento c.d. "omisso medio", 26 marzo 2018).

Corte d'Appello di Firenze - 16 maggio 2019, sent. (www.ilcaso.it)

Parimenti articolata e complessa è la sentenza della Corte d'Appello di Firenze, che si pone - anch'essa, come il tribunale di Pistoia – in espresso “dissenso rispetto alla soluzione data al caso di specie dalla SC”.

Anche la Corte Fiorentina propende per “l'inammissibilità del fallimento della impresa in concordato preventivo laddove non si sia prima pronunciata la risoluzione ex art. 186 l. fall.”. Le motivazioni sono sostanzialmente allineate a quelle del tribunale di Pistoia.

La pronuncia della Corte fiorentina, a differenza del Tribunale di Pistoia, ha la possibilità di confrontarsi - oltre che con le due ordinanze della Cassazione del 2017 (rel. Ferro), con le quali si dichiara in dissenso - anche con la sentenza della SC del 2018 (n. 26002 del 17/10/2018).

Però (almeno dalla lettura che sono stato in grado di farne), non mi pare che la sentenza della Corte d'Appello abbia afferrato correttamente i principi enunciati dalla Cassazione nel 2018 (altrimenti non avrebbe potuto concludere per l'inammissibilità del fallimento omisso medio).

A mio avviso - infatti - la sentenza della SC n. 26002 del 17/10/2018 à conferma proprio, ancora una volta, l'ammissibilità del fallimento “omisso medio”.

Nella motivazione di tale sentenza si legge chiaramente (anche) che: “il fallimento sopravvenuto medio tempore determina la caducazione del concordato quale effetto della risoluzione implicita dello stesso”.

Quindi: il fallimento è possibile anche senza preventiva risoluzione, esso importa risoluzione implicita del concordato.

Ancora (punto 4 della motivazione della sent. 26002/18): la Cassazione precisa chiaramente che la dichiarazione di fallimento può intervenire in corso di esecuzione del concordato,

quale evento traumatico e destabilizzante che impedisce l'attuazione del piano concordatario, rendendolo successivamente e giuridicamente irrealizzabile.

Conclusioni sul punto.

Per quel che risulta allo scrivente, dopo gli arresti della Cassazione del 2017 e del 2018, l'ammissibilità della pronuncia di fallimento “omisso medio” non è più stata messa in discussione dalla giurisprudenza di merito, eccezione fatta per la recentissima sentenza della Corte d'Appello di Firenze.

Quest'ultima è certamente rispettabile ma, al pari di quella di Pistoia, per motivare la propria posizione dissonante pare costretta a ricorrere a percorsi logico-argomentativi non sempre chiari e condivisibili.

Credo che oggi – a parte isolate voci contrarie – la giurisprudenza reputi un dato acquisito quello dell'ammissibilità di una domanda (e di una pronuncia) di fallimento “omisso medio”, ossia non preceduto dalla risoluzione del concordato preventivo omologato.

L'ammissione al passivo nel fallimento dichiarato “omisso medio”

Cass. Civ. - Sez. I – 17 ottobre 2018 - n. 26002, sent. (su questo portale)

Tribunale di Modena – Sez. Fall. – 11 febbraio 2019, decr. (inedito)

Tribunale di Reggio Emilia – Sez. Fall. – 13 maggio 2019, sent. (inedito)

Le due pronunce dei tribunali di Reggio Emilia e Modena del 2019 - oltre a dare continuità all'orientamento maggioritario che ammette la dichiarazione di fallimento senza la preventiva risoluzione del concordato - meritano attenzione anche perché fanno chiarezza sulle regole da applicare nel procedimento di accertamento dei crediti, ai fini dell'ammissione al passivo (L. Fall., art. 93) nel fallimento dichiarato omisso medio.

Entrambe le pronunce applicano i principi espressi sull'argomento dalla più volte citata Cass. 26002/18.

La Suprema Corte era stata chiamata proprio a decidere:

è “se gli accordi stipulati nel piano di concordato preventivo omologato, non risolto né annullato, cui segua la dichiarazione di fallimento, restino fermi e dunque il credito ammissibile al fallimento sia quello originario (per l'intero) o quello soggetto alla falcidia concordataria”.

[Nella fattispecie all'esame della Corte, il concordato (liquidatorio), omologato nel 2014, prevedeva un termine di 5 anni per il compimento del piano, quindi con scadenza nel 2019.

Ma il fallimento è stato dichiarato nel 2016 su ricorso del P.M., poiché si era già manifestata la "strutturale e irreversibile incapacità della società di far fronte ai debiti sociali come riconfigurati nel concordato".]

All'esito dei suoi ragionamenti, la SC nella sentenza in discorso (n. 26002/18) arriva ad affermare che:

a) nel caso in cui la dichiarazione di fallimento sia pronunciata dopo che sia scaduto il termine per la risoluzione del concordato (di cui all'art. 186, comma 3 LF):

  • il creditore può chiedere l'ammissione al passivo solo nella misura falcidiata (o meno) prevista dal piano concordatario consolidato (perché i creditori, pur potendo, non si sono attivati per chiedere la risoluzione);

b) se, invece, il fallimento interviene medio tempore (senza che il creditore abbia potuto proporre la domanda di risoluzione del concordato, pur pendendo ancora il termine di cui all'art. 186 LF):

  • i creditori possono chiedere l'ammissione al passivo per l'intero credito, senza la falcidia concordataria (in quanto essi avrebbero ancora potuto proporre la risoluzione e far venir meno gli effetti esdebitatori e definitivi del concordato omologato; ma -nel frattempo- l'attuazione del piano è divenuta impossibile per l'intervento medio tempore di un evento come il fallimento che, sovrapponendosi al concordato, inevitabilmente lo rende irrealizzabile).

I due tribunali emiliani applicano proprio tali regole.

Tribunale di Modena – Sez. Fall. – 11 febbraio 2019, decr. (inedito)

Il Tribunale di Modena era chiamato a decidere sull'opposizione promossa da un creditore chirografario ammesso al passivo del fallimento “omisso medio” in misura falcidiata (55% previsto dal concordato omologato) anziché nella misura originaria.

Il fallimento era stato dichiarato su istanza presentata in proprio dalla società senza preventiva declaratoria di risoluzione del concordato in continuità omologato (che prevedeva appunto il soddisfacimento dei chirografari nella misura del 55%)

Il GD aveva ammesso al passivo il credito con la falcidia concordataria ritenendo che, in assenza di risoluzione (che non conseguirebbe automaticamente alla declaratoria di fallimento), l'accordo con i creditori non sarebbe venuto meno.

Nel giudizio di opposizione, quindi,

à si discute di quali siano egli effetti del concordato preventivo omologato non risolto al quale ha fatto seguito la dichiarazione di fallimento e in particolare se il creditore possa insinuarsi al passivo del fallimento per l'intero originario credito ovvero per il solo credito falcidiato in base alla proposta di concordato omologata ai sensi dell'art. 184 L. Fall.

Così prosegue il tribunale di Modena:

Data per assodata dunque la possibilità di far dichiarare il fallimento dell'imprenditore nella fase esecutiva del concordato non solo per crediti successivi all'omologa, ma anche per crediti anteriori conformati alla proposta ma rimasti inadempiuti, si pone quindi il problema della permanenza del vincolo conseguente all'omologa del concordato.

Per risolvere la questione, il Collegio modenese richiama proprio quanto affermato dalla recente sentenza Cass. 26002/18, e

  • aderisce alla tesi per la quale “il discrimine essenziale sarebbe pertanto la pendenza o meno del termine per richiedere la risoluzione del concordato”.

Quindi, rilevato che nel caso di specie, il concordato, proposto nel 2013, doveva avere attuazione in cinque anni per cui, intervenuta la dichiarazione di fallimento nel 2016, il termine di cui all'art. 186 comma 3 L. Fall. non poteva dirsi scaduto

  • il Tribunale ha accolto l'opposizione ed ha ammesso al passivo l'intero credito originario vantato dalla banca chirografaria (privata della possibilità di proporre la risoluzione a causa del fallimento intervenuto medio tempore).

Tribunale di Reggio Emilia – Sez. Fall. – 13 maggio 2019, sent. (inedito)

Il Tribunale di Reggio Emilia invece si pronuncia sul ricorso di un creditore che chiedeva la risoluzione del concordato preventivo omologato e non adempiuto e, in ogni caso, chiedeva anche la dichiarazione di fallimento del debitore.

Il Collegio reggiano, dopo aver dichiarato improcedibile la domanda di risoluzione del concordato perché proposta oltre il termine decadenziale previsto dall'art. 186 comma 3 LF, aderendo all'orientamento giurisprudenziale che ritiene possibile la dichiarazione di fallimento anche senza la preventiva risoluzione del concordato, ha concluso affermando che

  • non essendo stata pronunciata la risoluzione del concordato (perché ormai decorso il termine di legge) - i crediti potranno essere accertati in sede fallimentare soltanto nella ridotta misura prevista dalla proposta concordataria.

L'aver precisato -già nella sentenza di fallimento- come dovranno insinuarsi al passivo i crediti concordatari è stata, a mio avviso, una scelta molto opportuna in grado di semplificare il compito a tutti in vista della verifica dei crediti (oltre che, probabilmente, in grado di scongiurare opposizioni sull'argomento).

Tirando le fila

La giurisprudenza di merito maggioritaria e la Cassazione (su indicate) inducono ad affermare che:

1) il fallimento omisso medio è un istituto che esiste e trova applicazione pratica;

2) il fallimento omisso medio può essere chiesto e dichiarato, ricorrendone i presupposti:

  • sia dopo che sia spirato il termine per la risoluzione del concordato,
  • sia medio tempore, pendendo ancora il termine di cui all'art. 186 LF;

3) il fallimento omisso medio può essere chiesto dallo stesso debitore, dal PM, dai creditori (forse i creditori concordatari - altro e più articolato discorso dovrebbe farsi per i creditori “nuovi”, ossia successivi all'omologazione - possono chiederlo solo dopo lo spirare del termine per chiedere la risoluzione o dopo che è stata rigettata la relativa domanda);

4) per valutare l'insolvenza ai fini della declaratoria del fallimento omisso medio si devono prendere in considerazione i debiti sociali come riconfigurati nel concordato (non i debiti concordatari originari, che dovrebbero rilevare -invece- nel procedimento per la risoluzione).

Una volta dichiarato il fallimento omisso medio:

5) se la dichiarazione di fallimento è stata pronunciata dopo la scadenza del termine per la risoluzione del concordato à il creditore può chiedere l'ammissione al passivo solo nella misura falcidiata (o meno) prevista dal piano concordatario consolidato

6) se, invece, il fallimento interviene medio tempore, pendendo ancora il termine di cui all'art. 186 LF - il debitore può chiedere l'ammissione al passivo per l'intero credito, senza la falcidia concordataria.

Resta ferma – prima della pronuncia di fallimento omisso medio - la facoltà per il creditore concordatario di agire per la risoluzione (con contestuale domanda di fallimento) in presenza dei presupposti di cui all'art. 186 LF.

De iure condendo: il nuovo Codice della Crisi

Il nuovo Codice della crisi e dell'insolvenza (CCI), in vigore da agosto 2020, non ha affrontato espressamente la problematica e non ha precisato se il fallimento (rectius: la liquidazione giudiziale) omisso medio farà ancora parte del sistema concorsuale.

La risoluzione del concordato viene disciplinata dall'art. 119 del CCI, rubricato “Risoluzione del concordato”.

Rispetto all'attuale art. 186 della LF, l'art. 119 del CCI contiene una rilevante novità rispetto all'attuale disciplina.

Viene previsto espressamente che la legittimazione ad agire per la risoluzione spetti non soltanto ai creditori ma anche al commissario giudiziale ove un creditore gliene faccia richiesta.

Come si legge nella relazione illustrativa al CCI, “L'attribuzione anche al commissario giudiziale della legittimazione, espressamente prevista dalla legge delega (art. 6, comma 1, lettera m) è finalizzata ad evitare che vi siano procedure concordatarie che si prolungano per anni ineseguite in quanto i creditori, spesso scoraggiati dall'andamento della procedura e preoccupati dei costi per l'avvio di un procedimento giudiziale, non si vogliono assumere l'onere di chiederne giudizialmente la risoluzione.

La facoltà del commissario giudiziale di agire per la risoluzione del concordato (ove un creditore gliene faccia richiesta) può indurre a pensare che ci saranno più attivazioni finalizzate alla risoluzione, così depotenziando automaticamente l'esigenza di giungere al fallimento omisso medio.

Ma ciò non aiuta a risolvere la questione in diritto.

L'art. 37 del CCI (“Iniziativa per l'accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza”) al 2° comma prevede che “La domanda di apertura della liquidazione giudiziale (ndr: l'attuale fallimento) è proposta con ricorso del debitore, degli organi e delle autorità amministrative che hanno funzioni di controllo e di vigilanza sull'impresa, di uno o più creditori o del pubblico ministero”.

Quindi la platea dei soggetti legittimati a richiedere l'apertura della liquidazione giudiziale si arricchisce. E allora: i soggetti che non sono legittimati a richiedere la risoluzione del concordato preventivo (debitore e PM; in futuro anche gli organi e le autorità amministrative che hanno funzioni di controllo e di vigilanza sull'impresa) conserveranno ancora la legittimazione per una richiesta di liquidazione giudiziale senza preventiva risoluzione del concordato?

L'introduzione nel CCI (almeno sulla carta) di un “procedimento unitario” per l'accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza ai sensi degli articoli 40 e 41, che regolerà anche il procedimento per la risoluzione del concordato (cfr. art. 119, uc, CCI), aiuterà a risolvere il contrasto sull'ammissibilità o meno del fallimento/liquidazione giudiziale omisso medio?

Ritengo che se gli articoli del nuovo CCI non offrono risposta diretta al quesito, certamente offriranno nuove argomentazioni a sostegno di entrambi gli orientamenti che propendono per l'ammissibilità o meno del fallimento (in futuro liquidazione giudiziale) omisso medio.

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