L'ammissibilità della dilazione ultrannuale del credito privilegiato nel sovraindebitamento

21 Agosto 2019

In materia di concordato preventivo è possibile prevedere la dilazione del pagamento dei crediti privilegiati o con prelazione, ma equiparando i creditori ai chirografari ai fini del voto, per la parte del credito che si possa in tal senso ritenere non interamente soddisfatto. Non rileva in senso ostativo...
Massima

In materia di concordato preventivo è possibile prevedere la dilazione del pagamento dei crediti privilegiati o con prelazione, ma equiparando i creditori ai chirografari ai fini del voto, per la parte del credito che si possa in tal senso ritenere non interamente soddisfatto.

Non rileva in senso ostativo la previsione dell'art. 8, comma 4, poiché questa riproduce esattamente - per la parte che interessa gli accordi - l'art. 186-bis, comma 2, lett. c), l. fall. Ed è risolutivo che l'art. 186- bis citato pur convive, nell'omologo caso del concordato preventivo, con la possibilità di dilazione pluriannuale del pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, ferma naturalmente la condizione (suddetta) della necessità di assicurare il voto.

È dunque errato affermare che, nella procedura di accordo ex lege n. 3 del 2012, sia precluso al debitore proporre una dilazione di pagamento del creditore ipotecario al di là della fattispecie di continuità d'impresa e al di là del termine previsto dalla disposizione sopra citata.

Il caso

Il ricorrente, debitore-sovraindebitato, proponeva ai creditori un accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento, ai sensi dell'art. 8, comma 1, della Legge n. 3/2012 in virtù del quale la proposta di accordo o di piano del consumatore può prevedere la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti "attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei crediti futuri".

Sennonchè, il giudice delegato del Tribunale di Civitavecchia rigettava la domanda di omologazione, atteso che questa aveva previsto il pagamento dilazionato di un credito ipotecario.

Il reclamo, successivamente promosso dal ricorrente, veniva rigettato dal Tribunale di Civitavecchia, sulla base di tre considerazioni:

(i) perché, anche ammettendo l'ipotesi di una interpretazione analogica della moratoria per il pagamento dei creditori prelatizi prevista per il concordato preventivo, tale opzione non poteva che riguardare il caso, non ricorrente nella specie, della proposta di accordo con continuazione dell'attività d'impresa, solo per questa ipotesi potendo ricorrere l'identità di ratio rispetto alla disciplina del concordato in continuità ex art. 186-bis l. fall.;

(ii) perché, alla luce della letterale formulazione dell'art. 8, comma 4, della I. n. 3 del 2012, il debitore può proporre la dilazione solo nei termini sopra indicati, mentre il piano proposto dal ricorrente non contemplava alcuna continuità;

(iii) perché in ogni caso, nel silenzio della legge, la procedura non liquidatoria non poteva che riferirsi al parametro di ragionevole durata di cui alla cd. legge Pinto, e dunque a un massimo di durata di sei anni, essendo quella di sovraindebitamento una procedura concorsuale; e nella specie la dilazione di pagamento era stata prevista, quanto al credito [ipotecario], in sedici anni.

Per la cassazione del decreto il sovraindebitato ha proposto ricorso sorretto da tre motivi.

Col primo motivo il ricorrente, denunziando la violazione ed erronea interpretazione degli artt. 8 della I. n. 3 del 2012, 186-bis e 177 l. fall., ha censurato la decisione del tribunale nella parte in cui ha affermato che la dilazione di pagamento oltre l'anno dall'omologazione dell'accordo è ammissibile solo in presenza di una proposta con continuità d'impresa, quando invece la dilazione andrebbe considerata ammissibile a prescindere dal menzionato presupposto, in applicazione analogica dell'art. 177 l. fall.

Col secondo motivo, denunziando la violazione ed erronea interpretazione degli artt. 12-bis della I. n. 3 del 2012 e 181 l. fall., il ricorrente ha censurato la decisione nella parte in cui ha ritenuto ostativo il parametro della ragionevole durata del processo desunto dalla legge Pinto, quando invece la detta legge poteva utilmente esser richiamata solo nei limiti della durata della procedura giudiziale fino all'omologazione, non anche in relazione alla fase successiva di esecuzione dell'accordo omologato.

Col terzo motivo, infine, il ricorrente, deducendo violazione e falsa interpretazione degli artt. 12 delle preleggi, 160, 186-bis e 177 l. fall., ha censurato la decisione nella parte in cui ha escluso la possibilità di un'interpretazione analogica delle norme della legge fallimentare relative alla libertà della forma e del contenuto della proposta e di dilazionamento dei pagamenti oltre l'anno, a fronte invece del comune dato costituito dalla natura concorsuale della procedura.

La questione

La pronuncia in commento si inserisce nel contesto del dibattito dottrinale e giurisprudenziale relativo all'ammissibilità della dilazione ultrannuale del credito privilegiato nelle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento rispetto a quanto previsto sul punto in materia di concordato preventivo.

Il ricorso prospetta una questione variamente affrontata in sede di merito ma sulla quale non si registrano precedenti nella giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione.

Nel caso di specie, il ricorrente aveva previsto il pagamento del credito ipotecario, per l'importo del saldo residuo di un mutuo, "sino ad estinzione del debito secondo l'originario piano di ammortamento".

Sul tema si è sviluppato, in effetti, un certo dibattito nella giurisprudenza di merito, visto che alcune decisioni hanno ritenuto in tal caso possibile il mantenimento delle originarie scadenze del piano. Questo perché in materia di soddisfacimento del creditore ipotecario, nel procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento, la fattispecie di cui all'art. 8, comma 4, della legge n. 3/2012 troverebbe applicazione solo nell'ipotesi in cui il contratto di mutuo ipotecario fosse risolto, non anche invece nel caso in cui il consumatore si proponesse di onorare il mutuo secondo le ordinarie scadenze: in tal caso la citata disposizione non osterebbe all'omologa del piano.

Questo profilo, pur non essendo stato direttamente affrontato dal ricorrente, ma stante la mancanza di precedenti sul tema, è stato esaminato dal collegio, trattandosi di questione di diritto e non essendosi formato alcun giudicato interno ostativo.

Le soluzioni giuridiche

Passando all'esame della questione giuridica, la Corte osserva preliminarmente che qualora l'art. 8, comma 4, della I. n. 3 del 2012 fosse ritenuto come unica espressione della volontà legislativa, osterebbe in ogni caso a ravvisare la legittimità di un differimento della soddisfazione dei crediti ipotecari di più lunga scadenza, finanche ove le scadenze restassero quelle del piano di ammortamento originario.

Da un lato, infatti, l'art. 9, comma 3-quater, della I. n. 3 del 2012 prevede la sospensione di diritto, "ai soli fini del concorso", del decorso degli interessi, tranne che per i crediti prelatizi, salvo quanto previsto dagli artt. 2749, 2788 e 2855 c. c. ed è ovvio che la sospensione o limitazione degli interessi per un tempo assai prolungato si rivela di per sé incompatibile con la regola della necessità di assicurare l'integrale soddisfazione dei creditori muniti di prelazione; dall'altro, e soprattutto, specifiche disposizioni si frappongono all'assunto per il quale l'accordo sarebbe pur sempre omologabile in caso di mantenimento dell'originario piano di ammortamento del mutuo.

In particolare va sottolineato che, sebbene la I. n. 3 del 2012 non contenga un esplicito richiamo all'art. 55, comma 2, l. fall., resta che la regola per cui tutti i crediti anteriori si considerano scaduti alla data dell'apertura della procedura deve trovare applicazione anche rispetto all'accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento (ovvero al piano del consumatore), attesa la comune natura di procedura caratterizzata dal crisma della concorsualità, per quanto rivolta (l'accordo) agli imprenditori non fallibili e (il piano del consumatore) ai soggetti in condizione di insolvenza cd. civile.

Questo comporta che anche il debito derivante da un mutuo ipotecario deve considerarsi infine scaduto nel momento dell'apertura del procedimento, così da dover essere soddisfatto per intero senza rilevanza dell'ammortamento originario. E ben vero tale conclusione resisterebbe anche se si ipotizzasse l'inestensibilità all'accordo di composizione dell'art. 55, comma 2, l. fall., in base all'omesso richiamo di tale norma nella legge speciale. Rileverebbe pur sempre l'art. 1186 c. c., secondo cui, anche se il termine di pagamento è stabilito nell'interesse del debitore, esso si considera scaduto ove il debitore sia divenuto insolvente.

Il presupposto oggettivo della procedura che qui rileva è costituito dallo stato di sovraindebitamento. Ma la nozione coincide con quella d'insolvenza richiesta dalla citata norma.

Ai sensi dell'art. 6 della I. n. 3 del 2012 la situazione di sovraindebitamento è data infatti dal "perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente". E dunque ben va associata alla nozione di insolvenza che interessa ai fini dell'art. 1186 c. c., visto che, per consolidata giurisprudenza, lo stato di insolvenza, cui fa riferimento l'art. 1186 c. c. ai fini della decadenza del debitore dal beneficio del termine, è costituito da una situazione di dissesto economico, sia pure temporaneo, in cui il debitore venga a trovarsi, la quale renda verosimile l'impossibilità da parte di quest'ultimo di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.

Da sempre si afferma che tale stato di insolvenza non deve rivestire i caratteri di gravità e irreversibilità, potendo conseguire anche a una situazione di difficoltà economica e patrimoniale reversibile, purché idonea ad alterare, in senso peggiorativo, le garanzie patrimoniali offerte dal debitore (cfr. Cass. n. 24330/2011).

Ne consegue che l'essere stato nel caso di specie mantenuto l'originario piano di ammortamento del mutuo non è circostanza dirimente per risolvere la questione della dilazionabilità del credito ipotecario, soluzione alla quale si può pervenire attraverso l'analisi del quadro normativo di riferimento.

In base all'art. 7, comma 1, della I. n. 3 del 2012, il debitore in stato di sovraindebitamento può proporre ai creditori, con l'ausilio degli organismi di composizione della crisi, un accordo di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti sulla base di un piano che, assicurato il regolare pagamento dei titolari di crediti impignorabili ai sensi dell' art. 545 c. p. c. e delle altre disposizioni contenute in leggi speciali, preveda scadenze e modalità di pagamento dei creditori, anche se suddivisi in classi, indichi le eventuali garanzie rilasciate per l'adempimento dei debiti e le modalità per l'eventuale liquidazione dei beni.

La norma consente di prevedere che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca possono non essere soddisfatti integralmente, ma solo allorché ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione come attestato dagli organismi di composizione della crisi.

La disciplina dei presupposti, desunta dalla citata disposizione (nella parte, ovviamente, che qui rileva), è completata dalle previsioni di cui all'art. 8, primo e quarto comma, secondo le quali, rispettivamente: (a) la proposta di accordo o di piano del consumatore può prevedere la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti "attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei crediti futuri"; (b) la proposta di accordo con continuazione dell'attività d'impresa e il piano del consumatore possono prevedere "una moratoria fino ad un anno dall'omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione".

Infine l'art. 11, dopo aver previsto che per l'omologazione di cui all' art. 12 è necessario che l'accordo sia raggiunto con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti, contiene la regola - analoga a quella dell'art. 177, comma 2, l. fall. - per cui i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca dei quali la proposta prevede l'integrale pagamento non sono computati ai fini del raggiungimento della maggioranza e non hanno diritto di esprimersi sulla proposta, salvo che non rinuncino in tutto o in parte al diritto di prelazione.

Eguale regola non è invece riprodotta per il piano del consumatore negli artt. 12-bis e seg.

La Suprema Corte nel condividere la tesi sostenuta dal ricorrente - secondo cui, in ragione del principio di libertà delle forme (art. 8), e considerata l'analogia con l'istituto concordatario (artt. 11 della I. cit. e 177 l. fall.), sarebbe sempre ammissibile prospettare l'accordo di composizione nel senso della previsione di una dilazione di pagamento dei crediti ipotecari, a prescindere dalla ipotesi della continuità d'impresa - ha ricordato che le speciali procedure da sovraindebitamento hanno avuto la funzione di colmare almeno in parte una lacuna dell'ordinamento, estendendo il principio della concorsualità oltre il limite tradizionalmente segnato dall'insolvenza dei soli debitori commerciali di dimensioni non piccole.

L'ampliamento è stato realizzato attraverso l'introduzione di una disciplina peculiare e differenziata che trova fondamento nella condivisione della natura concorsuale e concordataria dell'accordo, risultando netta la similitudine con l'istituto del concordato preventivo.

La composizione della crisi, infatti, è una procedura che mira all'omologazione giudiziale di una proposta di accordo, che il debitore in stato di sovraindebitamento, non suscettibile di essere dichiarato fallito, formula ai propri creditori.

Si tratta di un accordo dal contenuto non predeterminato dalla legge che, in caso di esito positivo del procedimento, vincola "tutti i creditori", operando la sua efficacia anche nei confronti dei creditori dissenzienti.

In tal senso, pertanto, la Corte ha ritenuto di poter estendere all'accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento i principi giurisprudenziali già enucleati in relazione al possibile contenuto della proposta concordataria, col solo limite della compatibilità.

In materia di concordato preventivo è stato già affermato il principio per cui regola generale è quella del pagamento non dilazionato dei creditori privilegiati (o prelatizi), mentre l'adempimento con una tempistica superiore a quella imposta dai tempi tecnici della procedura (e della liquidazione, in caso di concordato cosiddetto liquidatorio) equivale a soddisfazione non integrale degli stessi, in ragione della perdita economica conseguente al

ritardo, rispetto ai tempi "normali", con il quale i creditori ottengono la disponibilità delle somme a essi spettanti.

In questi casi si è precisato che la determinazione in concreto di tale perdita è peraltro rilevante ai fini del computo del voto ex art. 177, comma 3, l. fall., e costituisce un accertamento di fatto che il giudice di merito deve compiere alla luce della relazione giurata ex art. 160, comma 2, l. fall., tenendo conto degli eventuali interessi offerti ai creditori e dei tempi tecnici di realizzo dei beni gravati in ipotesi di soluzione alternativa al concordato, oltre che del contenuto concreto della proposta nonché della disciplina degli interessi di cui agli artt. 54 e 55 l. fall. (richiamata dall'art. 169 l. fall.) (v. Cass. n. 10112/14, Cass. 20388/14).

In sostanza, nel concordato preventivo è possibile prevedere la dilazione del pagamento dei crediti privilegiati o con prelazione, ma equiparando i creditori ai chirografari ai fini del voto, per la parte del credito che si possa in tal senso ritenere non interamente soddisfatto.

Questa conclusione è stata tratta dalla riforma dell'art. 160 l. fall. (conseguente al d.lgs. n. 169 del 2007), nella espressa previsione per cui la proposta di concordato "può prevedere che i creditori muniti di diritto di privilegio, pegno o ipoteca, non vengano soddisfatti integralmente, purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione indicato nella relazione giurata di un professionista in possesso dei requisiti di cui all'art. 67, comma 3, lett. d)". Donde la possibilità di far riferimento proprio e anche all'art. 177, comma 3, secondo il quale, ai fini della legittimazione al voto, "i creditori muniti di diritto di prelazione di cui la proposta di concordato prevede, ai sensi dell'art. 160, la soddisfazione non integrale, sono equiparati ai chirografari per la parte residua del credito".

Tali principi possono esser traslati nel contesto degli accordi di composizione, avuto riguardo alla esattamente conforme disciplina contenuta negli artt. 7, comma 1, e 11, comma 2, della I. n. 3 del 2012.

Contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale di Civitavecchia, per la Suprema Corte non rileva in senso ostativo la previsione dell'art. 8, comma 4, poiché questa riproduce esattamente - per la parte che interessa gli accordi - l'art. 186-bis, comma 2, lett. c), l. fall. Ed è risolutivo che l'art. 186- bis citato pur convive, nell'omologo caso del concordato preventivo, con la possibilità di dilazione pluriannuale del pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, ferma naturalmente la condizione (suddetta) della necessità di assicurare il voto.

E' dunque errato affermare che, nella procedura di accordo ex lege n. 3 del 2012, sia precluso al debitore proporre una dilazione di pagamento del creditore ipotecario al di là della fattispecie di continuità d'impresa e al di là del termine previsto dalla disposizione sopra citata.

Né la diversa conclusione può trovare ostacolo nel fatto che il piano del consumatore invece non prevede la possibilità del voto, atteso che l'asimmetria può essere colmata in via interpretativa, nell'ambito delle regole che attengono a quel piano; regole che, per come formulate, non escludono la possibile rilevanza di libere e appropriate forme di manifestazione di volontà cui associare la tutela del creditore.

In merito, poi, al termine di ragionevole durata, per la Suprema Corte il tribunale ha errato nel ritenere illegittima la prospettata dilazione facendo riferimento al periodo di sei anni previsto dalla legge Pinto per le procedure concorsuali.

Ciò in quanto le possibili perplessità dinanzi a piani di pagamento con orizzonte temporale rilevante non impongono la conseguenza di una illegittimità tout court di previsioni di pagamenti rateali ultrannuali. Esse non sono cioè decisive, perché il punto resta per intero

suscettibile di esser compreso nella valutazione di convenienza, notoriamente riservata ai creditori che hanno diritto di voto. Sono difatti i creditori a dover valutare se, in casi simili, una proposta di accordo del tipo di quella indicata, implicante pagamenti dilazionati, sia o meno conveniente a fronte delle possibili alternative di soddisfacimento.

Quel che è certo è che il tribunale non può affermare, se non violando i principi informatori della materia, che un accordo del genere di quello indicato di per sé non sia omologabile.

Sulla scorta di tali argomentazioni, la Suprema Corte, accogliendo il ricorso, ha cassato il decreto impugnato, rinviando al medesimo tribunale in diversa composizione, per nuovo esame.

Il tribunale dovrà ora uniformarsi agli indicati principi di diritto e provvedere anche sulle spese del giudizio svoltosi in sede di legittimità.

Osservazioni

La sentenza in commento è apprezzabile nella misura in cui, a fronte di orientamenti sino ad oggi contrastanti tra i diversi tribunali, interviene suggerendo la corretta interpretazione alla luce del coordinamento tra le norme che disciplinano le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento ed i principi giurisprudenziali già enucleati in relazione al possibile contenuto della proposta in materia di concordato preventivo.

L'attuale art. 8, comma 4, L.3/2012 prevede una moratoria fino ad un anno dall'omologazione per il pagamento dei creditori muniti di pegno, privilegio ed ipoteca in caso di accordo di ristrutturazione con continuazione dell'attività di impresa e di piano del consumatore.

Tuttavia, sino ad oggi, l'interpretazione restrittiva della norma citata, senza alcun coordinamento con le altre disposizioni della legge 3/2012, ha impedito l'omologa di piani e accordi così svilendo gli sforzi del legislatore di arginare il fenomeno del sovraindebitamento.

In particolare, la questione della dilazione ultrannuale del credito privilegiato-ipotecario emerge in tutti i casi in cui il debitore-sovraindebitato propone un piano/accordo di ristrutturazione, come disciplinato dalla L.3/2012, escludendo la vendita del bene ipotecato e prevedendo un piano dei pagamenti secondo l'originale ammortamento del mutuo, quindi in diversi anni.

Il dilazionamento del credito privilegiato è stato contestato da alcuni giudici adducendo, a giustificazione della mancata omologazione del piano/accordo prospettato dal debitore-sovraindebitato, la violazione dell'art.8, comma 4, e dell'art.11, comma 2, della L.3/2012, norme che prevederebbero il pagamento integrale ed immediato dei creditori privilegiati.

Siffatta interpretazione restrittiva riduce l'applicazione della L.3/2012 in quanto ridimensiona notevolmente l'efficacia delle procedure di composizione della crisi e annulla il presunto favor legislativo nei confronti di un debitore che, rispetto ad altre procedure esistenti a tutela del creditore (si pensi ad es. alla conversione del pignoramento), sarebbe penalizzato sotto il profilo temporale.

L'art. 7, comma 1, della I. n. 3 del 2012, infatti, stabilisce che il debitore in stato di sovraindebitamento può proporre ai creditori un accordo di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti sulla base di un piano che preveda scadenze e modalità di pagamento dei creditori, anche se suddivisi in classi, indichi le eventuali garanzie rilasciate per l'adempimento dei debiti e le modalità per l'eventuale liquidazione dei beni.

La norma prevede che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca possono non essere soddisfatti integralmente, ma solo allorché ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione come attestato dagli organismi di composizione della crisi.

Tuttavia, la possibilità di falcidiare (per l'importo risultante dalla differenza tra credito e valore valutato) i creditori privilegiati quando il bene oggetto della garanzia, secondo l'attestazione del professionista gestore, è di valore minore rispetto al credito vantato ed accertato, comporta che per la differenza il creditore viene retrocesso a chirografo e come tale può essere falcidiato al pari di tutti gli altri creditori della stessa categoria: quando il credito viene falcidiato il creditore assume la veste di chirografario per la parte incapiente, diventando così destinatario della proposta, e nei limiti in cui viene falcidiato, si attiva il suo diritto di voto. Infatti, il creditore ipotecario non integralmente soddisfatto ha diritto ad esprimersi sulla proposta solo per la parte di credito stralciata, applicandosi alla procedura per la composizione della crisi da sovraindebitamento, in via analogica, l'art.177, comma 3, l.fall.

Pertanto, la moratoria prevista all'art.8, comma 4, è da intendersi come eccezione al principio generale previsto dall'art.11, comma 2, che ammette il diritto di voto dei creditori privilegiati in assenza di pagamento integrale. Se così non fosse, verrebbe meno la libertà di forma per la proposta di accordo, prevista dall'art.8, comma 1, opzione riconosciuta al debitore anche in termini di dilazionamento e mitigata dall'esercizio del diritto di voto nei casi in cui non sia possibile soddisfare integralmente in credito vantato dai privilegiati.

Alla luce della recente pronuncia della Suprema Corte, quindi, l'art.8, comma 4, non è da intendere come un divieto assoluto alla possibilità di dilazionamento dei crediti privilegiati atteso che è ammesso il diritto di voto nel caso di mancato pagamento integrale.

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