Vendita dell'immobile senza l'esatta specificazione di servitù: le parti devono osservare le distanze legali

Redazione scientifica
22 Agosto 2019

Le servitù di veduta sono opponibili soltanto se risultano dalla nota di trascrizione dell'atto di acquisto e a condizione che dalla stessa sia possibile desumere l'indicazione del fondo dominante e di quello servente, la volontà delle parti di costituire una servitù, nonché l'oggetto e la portata del diritto, oltre che eventuali termini o condizioni.

Tizia conveniva in giudizio Caia lamentando che quest'ultima aveva sopraelevato la sua costruzione in violazione di legge. Constituendosi in giudizio, in via riconvenzionale, la convenuta eccepiva che la finestra del bagno e i balconi posti sui lati est ed ovest dell'edificio dell'attrice erano stati realizzati in violazione delle distanze legali e che, pertanto, la servitù di veduta a favore della proprietà di Tizia era inesistente. Sia in primo che in secondo grado, i giudici del merito avevano accolto la domanda riconvenzionale. Di conseguenza, l'attrice era stata condannata a ridurre la finestra del bagno e, a partire dal corrimano dei balconi sino al solaio superiore, a realizzare una parete atta ad impedire l'affaccio sulla proprietà di Caia. Avverso tale pronuncia, Tizia ha proposto ricorso in Cassazione eccependo che in origine l'immobile costituiva un unico corpo, assentito con unica licenza edilizia prevedente servitù reciproche tra le diverse porzioni.

Nel giudizio di legittimità, la S.C. conferma il ragionamento espresso dai giudici di merito. Invero, nell'atto di compravendita dell'immobile acquistato da Tizia era compresa una clausola secondo cui la vendita era stata fatta a corpo senza alcuna specificazione di servitù; sicchè, proprio a cagione della genericità della clausola, certamente non poteva dirsi esistente una servitù di veduta tale da comportare per l'appellata Caia, ai sensi dell'art. 907 c.c., il divieto di fabbricare a distanza minore di tre metri. Circa la violazione delle distanze con riguardo alle aperture, il CTU, in relazione al bagno, aveva specificato che i grafici allegati alla concessione del 1990 la prevedevano come luce; mentre, i grafici della variante della concessione edilizia la consideravano come veduta. Da tali premesse, la Corte di Appello aveva correttamente concluso per l'insussistenza del diritto di Tiza al mantenimento della veduta e per la riduzione della stessa in luce. Per le suesposte ragioni, il ricorso è stato rigettato.

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