Le note di variazione in diminuzione IVA in caso di sopravvenuto accordo transattivo

28 Agosto 2019

Con la risposta n. 178 del 3 giugno 2019, fornita a seguito alla presentazione di un'istanza di interpello, l'Agenzia delle Entrate si è occupata della problematica relativa alle note di variazione IVA da emettere in caso di un accordo transattivo avvenuto tra una società fallita (Alfa) e un'altra società (Beta) che, a seguito di un contratto di concessione, le aveva venduto e consegnato delle autovetture.
Premessa

Con la risposta n. 178 del 3 giugno 2019, fornita a seguito alla presentazione di un'istanza di interpello, l'Agenzia delle Entrate si è occupata della problematica relativa alle note di variazione IVA da emettere in caso di un accordo transattivo avvenuto tra una società fallita (Alfa) e un'altra società (Beta) che, a seguito di un contratto di concessione, le aveva venduto e consegnato delle autovetture.

In particolare, prima della dichiarazione di fallimento della società acquirente, era sorto tra i due soggetti un contenzioso avente a oggetto:

  • la richiesta di restituzione, da parte di Beta di n. 84 autovetture vendute con la clausola della riserva della proprietà a Alfa che non aveva però provveduto al pagamento del relativo corrispettivo regolarmente fatturato;
  • la richiesta di risarcimento danno e/o di restituzione di indebito, oltre che all'indennità ex art. 1751 del codice civile, da parte di Alfa, che riteneva la condotta di Beta violativa dei principi di correttezza e buona fede.

Nelle more della formazione dello stato passivo, veniva stipulato un accordo transattivo tra il fallimento di Alfa e Beta che ha comportato la definizione di tutti gli aspetti relativi al giudizio pendente e, in particolare:

  • l'impegno del Fallimento di Alfa di restituire immediatamente a Beta le n. 84 autovetture (oggetto di contenzioso);
  • il pagamento da parte di Beta della somma di euro 300.000,00 in favore del fallimento di Alfa a saldo, stralcio e transazione di ogni e qualsiasi pretesa, dedotta o deducibile, con riferimento alle pretese di risarcimento dei danni conseguenti alla gestione del rapporto contrattuale di concessione da parte di Beta.

Tra gli altri quesiti, è stato richiesto se sussistano i presupposti per l'emissione da parte di Beta delle note di variazione in diminuzione ai sensi dell'art. 26 del d.P.R. n. 633 del 1972, nei confronti di Alfa che si è obbliga a restituire le autovetture.

Con la risposta 178 del 2019 in commento, l'Agenzia delle Entrate ha precisato che, nel caso in oggetto, dove non risulta verificata la risoluzione del contratto di concessione, essendosi estinto il relativo giudizio, l'evento che ha determinato il venir meno dell'operazione originaria di vendita degli autoveicoli si è verificato con il sopravvenuto accordo transattivo.

Pertanto, la fattispecie in esame è riconducibile agli eventi “simili” di cui al comma 3 dell'art. 26 del d.P.R. n. 633 del 1972, che non permettono l'emissione di una nota di variazione ai fini IVA dopo il decorso di un anno dal momento di effettuazione delle operazioni originarie di vendita degli autoveicoli

L'Agenzia ha inoltre precisato che, nel caso di procedure concorsuali la facoltà di emettere note di variazione ai sensi dell'articolo 26, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, in caso di mancato pagamento in tutto o in parte conseguente all'accertata infruttuosità della procedura (Cfr. circolare n. 77/E) è subordinato alla circostanza che il creditore (cedente/prestatore) partecipi alla procedura ossia, nel caso di fallimento, si sia insinuato nel passivo fallimentare. Circostanza, questa, assente nel caso in esame, atteso che, a seguito della restituzione dei veicoli, Beta si è impegnata a rinunciare alla domanda di ammissione al passivo.

Per tutti questi motivi, si è concluso che Beta non avrebbe potuto emettere la nota di variazione IVA in diminuzione.

Il quadro normativo IVA

Si deve ricordare che le variazioni dell'IVA dovuta sono regolate dall'art. 26 del D.P.R. n. 633/1973.

Le principali fattispecie che consentono l'emissione delle note di variazione in diminuzione sono le seguenti:

  • dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili (art. 26 comma 2 primo periodo del DPR 633/72);
  • mancato pagamento del corrispettivo da parte del cessionario o committente, a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose (art. 26 comma 2 secondo periodo del DPR 633/72);
  • applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente (art. 26 comma 2 terzo periodo del DPR 633/72);
  • rettifica di inesattezze della fatturazione (art. 26 comma 3 del DPR 633/72);
  • risoluzione contrattuale, relativa a contratti a esecuzione continuata o periodica, conseguente a inadempimento di una delle due parti; tipicamente, il mancato pagamento del corrispettivo da parte del cessionario o committente (art. 26 comma 9 del DPR 633/72). In merito si ricorda che l'Agenzia delle Entrate ritiene che, laddove le parti abbiano pattuito una clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.) e il fornitore si avvalga della suddetta clausola per "supposto" mancato adempimento della controparte che contesta l'addebito in sede giudiziale, l'emissione della nota di variazione in diminuzione sia subordinata all'esito del giudizio (principio di diritto del 2.4.2019 n. 13).

In particolare, il secondo comma sancisce che è possibile operare una variazione in diminuzione quando un operazione, per la quale sia stata emessa fattura e sia stata registrata secondo gli artt. 23 e 24, venga meno o se ne riduca l'ammontare imponibile a causa della dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili, oppure in conseguenza dell'applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, oppure per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose o a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'art. 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero di un piano attestato ai sensi dell'articolo 67, terzo comma, lettera d), del medesimo regio decreto n. 267 del 1942 (di seguito anche legge fallimentare), pubblicato nel registro delle imprese o in conseguenza dell'applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente.

Il terzo comma prevede anche che gli eventi sopraindicati possano verificarsi in dipendenza di un sopravvenuto accordo fra le parti. In tali casi, la variazione deve essere registrata entro un anno dall'effettuazione dell'operazione imponibile.

Secondo l'Agenzia delle Entrate, la nota di variazione deve essere emessa, al più tardi, entro i termini per l'esercizio della detrazione IVA ex art. 19, comma 1, del DPR 633/72, vale a dire entro la data di presentazione della dichiarazione IVA relativa all'anno in cui si è verificato il presupposto per operare la variazione in diminuzione (Circolare n. 1/E/2018).

È stato, infatti, chiarito che "le variazioni possono essere effettuate senza limiti temporali, anche se il diritto alla detrazione dell'imposta può essere esercitato al più tardi con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui si verifica il presupposto per operare la variazione in diminuzione" (risoluzione n. 89/E del 18 marzo 2002).
Si ricorda che, per effetto delle modifiche recate all'art. 19, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972 dall'art. 2, comma 1, del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96, "Il diritto alla detrazione dell'imposta relativa ai beni e servizi acquistati o importati sorge nel momento in cui l'imposta diviene esigibile ed è esercitato al più tardi con la dichiarazione relativa all' anno in cui il diritto alla detrazione è sorto ed alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo.". A norma del successivo comma 2-bis, tale disposizione si applica alle fatture e alle bollette doganali emesse dal 1° gennaio 2017.
Pertanto, laddove il dies a quo per l'emissione delle note di variazione sia antecedente il 1° gennaio 2017, il diritto alla detrazione può essere esercitato "con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto"; a decorrere invece dal 1° gennaio 2017, la detrazione può essere esercitata al più tardi "con la dichiarazione relativa all'anno in cui il diritto alla detrazione è sorto" (Risposta interpello Agenzia Entrate del 18.12.2018 n. 113).

La normativa ai fini delle variazioni IVA in tema di procedure concorsuali

La nota di variazione può essere emessa solo quando è definitivamente accertata l'infruttuosità della procedura concorsuale.

In via generale, vale la pena d‘osservare che in base all'attuale previsione dell'art. 26 secondo comma DPR 633/72, la possibilità di emettere la nota di variazione IVA si verifica allorquando il soddisfacimento del creditore attraverso l'esecuzione collettiva sul patrimonio dell'imprenditore viene meno, interamente o parzialmente, per l'insussistenza di somme disponibili per la relativa soddisfazione una volta ultimata la ripartizione dell'attivo.

Al fine di individuare il momento in cui tale circostanza si verifica, è necessario rifarsi ai numerosi chiarimenti forniti in passato dall'Amministrazione finanziaria.

Pertanto, secondo l'orientamento erariale, il cedente o prestatore dell'operazione può emettere la nota di variazione in diminuzione:

  • per il fallimento, in presenza di piano di riparto, in seguito alla pubblicazione del decreto con il quale il giudice delegato stabilisce tale piano (risoluzione n. 120/E/2009) o, più prudentemente, decorso il termine per le osservazioni al piano di riparto (circolare n. 77/E/2000);
  • per il fallimento, in assenza del piano di riparto, alla scadenza del termine per il reclamo avverso il decreto di chiusura della procedura (risoluzione n. 155/E/2001 e risoluzione n. 2008/E/195);
  • per il concordato preventivo liquidatorio o con continuità aziendale, con la definitività della sentenza di omologazione e al rispetto da parte del debitore concordatario degli obblighi ivi assunti (circolare n. 77/E/2000 e circolare n. 8/E/2017 par 13.2). In altri termini, rileva il compimento del piano di riparto (risposta ad interpello n. 113/E/2018);
  • per la liquidazione coatta amministrativa, con il decorso dei termini per l'approvazione del piano di riparto (circolare n. 77/E/2000).

Il condizionamento della legittimità dell'emissione della nota di variazione in diminuzione all'esito infruttuoso delle procedure concorsuali ha sollevato dei dubbi circa la conformità dell'art. 26 del DPR n. 633/1972 alla normativa comunitaria, atteso che in tal modo viene esclusa la rilevanza di ogni altra ipotesi nella quale si verifichi la perdita, totale o parziale, del corrispettivo, sia perché continua a posticiparsi ad un termine - a priori indefinibile - il momento in cui poterla emettere.

Sul tema, è intervenuta la Corte di Giustizia con la sentenza del 23 novembre 2017, causa C-246/16, con la quale sono state messe in discussione le regole oggi previste nel nostro ordinamento per l'emissione delle note di variazione in diminuzione, in caso di mancato pagamento totale o parziale del corrispettivo.

Ad ogni buon conto, come ricordato anche dalla risposta dell'Agenzia in esame, la nota di variazione può essere emessa solo se il creditore si è insinuato nel passivo fallimentare.

In merito, si ricorda che, con la risposta n. 91 del primo aprile 2019, fornita a seguito alla presentazione di un'istanza di interpello, l'Agenzia delle Entrate si è occupata della problematica relativa alle note di variazione IVA da emettere in caso di cessione di un credito, con la formula “pro -solvendo”, vantato nei confronti di un soggetto dichiarato fallito.

La richiesta di parere è stata presentata, in quanto, con la risoluzione del 5 maggio 2009, n. 120, l'Agenzia delle Entrate ha precisato che il cedente potrebbe emettere la nota di variazione IVA solamente nel caso in cui lo stesso si sia insinuato al passivo del fallimento prima di aver ceduto il credito. Diversamente l'originario cedente/prestatore non avrebbe più alcun titolo a disposizione per insinuarsi nel fallimento del debitore e per emettere, quindi, alla chiusura del fallimento la nota di variazione. Inoltre, è stato precisato che sarebbe necessario, altresì, che il cedente rimanga parte processuale del fallimento, ossia che non vi sia estromissione del medesimo da parte del cessionario.

Con la risposta 91 del 2019, l'Agenzia delle Entrate ha precisato che, nel caso in oggetto, dove il credito è stato ceduto “pro solvendo”, al contrario della fattispecie esaminata dieci anni prima, dove la cessione era avvenuta “pro soluto”, il cedente ha la facoltà di emettere la nota di variazione IVA, anche nell'ipotesi in cui l'insinuazione al passivo sia stata richiesta da un soggetto diverso (il cessionario).

Conclusioni

La risposta ad interpello in esame non chiarisce se la società Beta possa recuperare l'IVA versata all'erario.

Il recupero dell'IVA assolta potrebbe avvenire mediante presentazione di una dichiarazione IVA integrativa "a favore" (art. 8 comma 6-bis del DPR 322/98), ma va evidenziato che l'Agenzia delle Entrate (Risposta interpello del 14.2.2019 n. 55) ha stabilito che , se la nota non è stata emessa entro il termini concessi per la detrazione, tale procedimento non sarebbe ammesso, in quanto mancherebbero i relativi presupposti, non ravvisandosi alcun errore ed omissione cui rimediare con riferimento all'anno di emissione della fattura originaria. L'emissione di una nota di variazione in diminuzione, secondo la tesi erariale, sarebbe una facoltà cui il contribuente può rinunciare.

Inoltre, secondo l'Agenzia delle Entrate, l'emissione di una nota di variazione produce effetti diversi dalla dichiarazione integrativa. Mentre la prima assicura che sia rispettato il principio di neutralità dell'IVA (al diritto alla detrazione in capo a colui che emette la nota di variazione corrisponde l'obbligo di iscrivere l'imposta a debito per chi la riceve), la dichiarazione integrativa consente il solo recupero dell'imposta versata in misura superiore ma non anche il riversamento da parte di chi l'ha detratta.

Nel caso in cui sia condivisibile tale soluzione fornita dall'Agenzia delle Entrate e onde evitare che venga violato il principio di neutralità dell'IVA, si potrebbe ritenere possibile richiedere il rimborso dell' IVA versata all'erario.

Infatti, come sancito dalla Risoluzione n. 74/E del 19 aprile 2007, nel caso in cui non sia possibile recuperare il credito attraverso la dichiarazione, il contribuente ha la possibilità di recuperare il credito Iva solo attraverso il procedimento del cosiddetto rimborso anomalo di cui al citato art. 21 del D.Lgs. n. 546 del 1992.

Si ricorda che tale articolo sancisce che la domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.

Inoltre, ora è possibile invocare anche quanto sancito dall'art. 30-ter del D.P.R. 633/1972, secondo cui la restituzione dell'imposta non dovuta può essere richiesta, a pena di decadenza, all'Erario entro il termine biennale dalla data del versamento, ovvero, se successivo, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione (per un maggiore approfondimento di tale novità normativa, si rinvia alla Circolare di Assinome n. 12 del 31 maggio 2018).

Dal momento che il presupposto per la restituzione sarebbe maturato con l'accordo di transazione, che si è verificato in un momento successivo al versamento dell'IVA, a questo punto non più dovuta, visto la restituzione dei beni, si potrebbe presentare istanza di rimborso entro i due anni dalla data dell'atto.

Tale conclusione troverebbe conferma nella risposta interpello Agenzia delle Entrate del 13 giugno 2019 n. 190), con la quale è stato chiarito che quando il cliente non può recuperare l'IVA, mediante la nota di variazione, dal cessionario in amministrazione straordinaria può presentare all'Erario la domanda di restituzione ex art. 30-ter del DPR 633/1972.

L'istanza di restituzione dovrebbe essere presentata entro il termine di due anni dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione, che, nella specie, è costituito dalla definitività del piano di riparto finale, a seguito della scadenza del termine per l'opposizione dei creditori, dal quale risulti l'infruttuosità della procedura.

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