L'utilizzabilità nel giudizio civile delle sommarie informazioni assunte in sede penale

02 Settembre 2019

La questione sottoposta all'attenzione della Suprema Corte concerne l'utilizzabilità dei verbali di sommarie informazioni acquisite nel corso delle indagini penali senza contraddittorio.
Massima

Nei casi in cui non possono attribuirsi alla sentenza penale effetti vincolanti nel giudizio civile ai sensi degli artt. 654, 652 e 651 c.p.p., nulla impedisce al giudice civile, tenuto a rivalutare integralmente i fatti di causa, di tener conto delle acquisizioni probatorie del processo penale e di ripercorrere lo stesso iter argomentativo della sentenza di condanna, condividendone gli esiti. Al di fuori delle ipotesi in cui la sentenza penale ha effetto di giudicato nel processo civile, occorre distinguere tra gli elementi acquisiti dal giudice penale senza la successiva verifica dibattimentale, da quelli sottoposti al contraddittorio o per i quali il dibattimento è mancato per scelta dell'imputato di optare per un rito alternativo; questi ultimi sono liberamente valutabili in sede civile ex art. 116 c.p.c., posto che la loro acquisizione in sede penale è riconducibile ad una scelta processuale dell'interessato.

Il caso

C.T., erede legittimo di A.T., evocava in causa innanzi al Tribunale di Messina V.B. affermando che il de cuius, con il testamento olografo del 2003, pubblicato nel 2004, aveva disposto di tutti i suoi beni in favore di V.B. ma che, con sentenza passata in giudicato il Tribunale penale di Siracusa aveva condannato V.B. per circonvenzione di incapace, accertando lo stato di incapacità assoluta del defunto al momento della redazione del testamento.

C.T. chiedeva pertanto l'annullamento del testamento per incapacità del testatore e di ordinare a V.B. la restituzione dei beni ereditari. Il Tribunale accoglieva la domanda ritenendo che l'accertamento dello stato di incapacità del testatore al momento della redazione del testamento olografo, effettuato con la sentenza penale di condanna, facesse stato nel giudizio civile e che, dalle informazioni acquisite nel processo penale e dalle perizie di parte prodotte in causa, fosse dimostrato pienamente che il de cuius, al momento della redazione del testamento, era privo della capacità di intendere e di volere.

V.B. interponeva appello che veniva dichiarato inammissibile; per la cassazione della sentenza di primo grado e dell'ordinanza di inammissibilità dell'appello, V.B. proponeva ricorso per cassazione sulla base di nove motivi.

La questione

La questione sottoposta all'esame della Corte di cassazione concerne, soprattutto, la violazione e falsa applicazione degli artt. 651 e 654 c.p.p. per aver la sentenza di primo grado ritenuto che la sentenza penale di condanna avesse effetti nel giudizio civile di annullamento del testamento olografo, benché la pronuncia fosse stata emessa a seguito di giudizio abbreviato e non di dibattimento.

Deduceva poi il ricorrente l'inutilizzabilità dei verbali di sommarie informazioni acquisite nel corso delle indagini penali senza contraddittorio e alle quali, secondo il ricorrente, non si poteva dare valore probatorio non trattandosi peraltro di dichiarazioni rese sotto giuramento.

Oltre al quesito strettamente inerente al caso di specie, il tema coinvolge anche l'utilizzabilità e il valore delle “prove atipiche” nel processo civile.

Le soluzioni giuridiche

A parere della Corte, in relazione al tema specifico della utilizzabilità delle sommarie informazioni assunte in sede penale, come confermato dall'orientamento dominante al riguardo, laddove non si possa attribuire alla sentenza penale effetti vincolanti nel processo civile, nulla vieta al giudice civile, che è tenuto a rivalutare integralmente i fatti di causa, di tenere conto delle acquisizioni probatorie del processo penale e di ripercorrere lo stesso iter argomentativo della sentenza di condanna, condividendone gli esiti.

La sentenza penale, pronunciata sui medesimi fatti oggetto del giudizio civile, non ha efficacia di giudicato in quest'ultimo quando esuli dalle ipotesi previste negli artt. 651 e 652 c.p.p. le quali, avendo contenuto derogatorio del principio di autonomia e separazione tra giudizio penale e civile, non sono suscettibili di applicazione analogica. Ne consegue che il giudice civile deve interamente ed autonomamente rivalutare, nel rispetto del contraddittorio, il fatto in contestazione, sebbene possa tenere conto di tutti gli elementi di prova acquisiti in sede penale, ripercorrendo lo stesso iter argomentativo del decidente (Cass. civ., 3 luglio 2018, n. 17316).

Con specifico riferimento alla sentenza di patteggiamento nel processo penale, la Cassazione ha affermato che tale sentenza, nel giudizio civile di risarcimento e restituzione, non ha efficacia di vincolo né di giudicato e neppure inverte l'onere della prova, costituendo, invece, un indizio utilizzabile solo insieme ad altri indizi se ricorrono i tre requisiti previsti dall'art. 2729 c.c., atteso che una sentenza penale può avere effetti preclusivi o vincolanti in sede civile solo se tali effetti siano previsti dalla legge, mentre nel caso della sentenza penale di patteggiamento esiste, al contrario, una norma espressa che ne proclama l'inefficacia agli effetti civili (Cass. civ., 30 luglio 2018, n. 20170).

É pacifico tuttavia che nei poteri del giudice in tema di disponibilità e valutazione delle prove rientra quello di fondare il proprio convincimento su accertamenti compiuti in altri giudizi fra le stesse od anche fra altre parti, quando i risultati siano acquisiti nel giudizio della cui cognizione egli è investito, potendo chi vi abbia interesse contestare quelle risultanze ovvero allegare prove contrarie (Cass. civ., 3 aprile 2017, n. 8603).

In questo senso si sono espresse anche le Sezioni Unite, affermando che la disposizione di cui all'art. 652 c.p.p. (così come quelle degli artt. 651, 653 e 654 c.p.) costituisce un'eccezione al principio dell'autonomia e della separazione dei giudizi penale e civile, in quanto tale soggetta ad un'interpretazione restrittiva e non applicabile in via analogica oltre i casi espressamente previsti. Ne consegue che la sola sentenza penale irrevocabile di assoluzione (per essere rimasto accertato che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima) pronunciata a seguito di dibattimento ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno, mentre alle sentenze di non doversi procedere perché il reato è estinto per prescrizione o amnistia non va riconosciuta alcuna efficacia extrapenale, benché, per giungere alle relative decisioni, il giudice abbia accertato e valutato il fatto. In tal caso il giudice civile, pur tenendo conto degli elementi di prova acquisiti in sede penale, deve interamente e autonomamente rivalutare il fatto in contestazione (Cass. civ., Sez.Un., 26 gennaio 2011, n. 1768).

Con riferimento specifico alle ipotesi in cui la sentenza penale non può avere effetto di giudicato nel processo civile, la Corte ha precisato che laddove gli elementi probatori siano stati acquisiti in un giudizio in cui il dibattimento è mancato per scelta dell'imputato, perché ad esempio lo stesso ha scelto di optare per un rito alternativo o per il patteggiamento, tali elementi sono senz'altro liberamente valutabili nel processo civile ai sensi dell'art. 116 c.p.c. perché la loro acquisizione al processo penale, senza dibattimento, è riconducibile ad una libera scelta processuale dell'interessato. Il principio è stato più volte affermato dalla giurisprudenza; per tutte, richiamata anche in motivazione, si legga Cass. civ., 9 ottobre 2014, n. 21299 secondo cui il giudice civile, salvo che le parti non gliene facciano concorde richiesta, non può avvalersi del materiale probatorio acquisito senza contraddittorio in sede penale, a meno che il dibattimento non sia mancato per scelta di un rito alternativo da parte dell'imputato.

Osservazioni

É noto che con l'espressione prove tipiche si intendono quelle direttamente regolate dal nostro ordinamento mentre con l'espressione prove atipiche o innominate si fa riferimento a quelle utilizzate dalla giurisprudenza in base al principio cd. di non dispersione delle prove; ad es. atto di notorietà proveniente da terzi; verbale di polizia giudiziaria; prova raccolta in un diverso processo anche penale; perizia stragiudiziale e, a volte, prove tipiche illegittime.

Il codice di procedura civile, a differenza di quello penale, non contiene alcuna disposizione al riguardo e si sono pertanto formati alcuni orientamenti dottrinali.

Un primo indirizzo desume dal sistema il principio della tassatività delle previsioni legali, per cui solo i mezzi di prova espressamente disciplinati dalla legge sarebbero ammissibili;

Un secondo indirizzo, in difetto di una previsione normativa, afferma che non potrebbero essere escluse le prove atipiche e quindi si sposta il problema sull'impiego in modo corretto di dette prove; il giudice non potrebbe utilizzare come atipcihe prove tipiche illegittime e comunque anche l'impiego delle prove atipiche dovrebbe avvenire nel contraddittorio delle parti.

Per un ultimo orientamento, che possiamo definire intermedio, questo genere di prova si sostanzia in un indizio e si cerca la norma che legittima l'ammissibilità di prove atipiche negli artt. 2727 e 2729 c.c.

Con riferimento al caso di specie la soluzione adottata dalla Corte di cassazione si presenta senz'altro condivisibile. Infatti l'apprezzamento del rilievo probatorio degli elementi acquisiti nel rito alternativo scelto dall'interessato (e che ha condotto alla sentenza penale di condanna) è, dice la sentenza, giunto a conclusione nel giudizio civile svoltosi nel rispetto del contraddittorio tra le parti; peraltro il giudice del merito ha rivalutato l'intero quadro probatorio senza in alcun modo limitarsi a recepire le conclusioni adottate dal giudice penale e senza attribuire un peso specifico o prevalente alle dichiarazioni rese dagli informatori in sede penale, mentre ne ha correttamente valutato le risultanze e la rilevanza nel confronto con le restanti istanze probatorie.

Peraltro non occorreva che i dichiaranti, come affermato dal ricorrente, prestassero giuramento dato che, afferma la Corte, nel nostro sistema processuale non vi è una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova, sicché il giudice poteva senz'altro – e legittimamente – mettere a fondamento del proprio convincimento anche prove atipiche, con l'espresso fine di stabilire quali fossero le condizioni di salute del defunto al momento della redazione del testamento olografo. In altre pronunce la stessa Corte ha infatti affermato che il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico – riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato – con le altre risultanze del processo (Cass. civ., 25 marzo 2004, n. 5965).

Si conferma pertanto il principio secondo cui nell'ordinamento processuale vigente, in forza della norma di cui all'art. 116 c.p.c. il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico con le altre risultanze del processo, con il solo limite di dare congrua motivazione dei criteri adottati per la sua valutazione (Cass. civ., 27 marzo 2003, n. 4666).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.