Presenza dell'amianto nel condominio e necessità di interventi di bonifica
03 Settembre 2019
Il quadro normativo
In un panorama legislativo molto articolato, poiché frutto della coesistenza di legislazione nazionale e periferica, la normativa di riferimento è la l. 27 marzo 1992, n. 257 e successive modificazioni con la quale è stato sostanzialmente messo al bando l'amianto per quanto concerne tutte le fasi che lo riguardano, tra le quali: estrazione, importazione, lavorazione, utilizzazione, commercializzazione. La finalità della legge è stata anche quella di consentire, tramite operazioni di bonifica dei luoghi interessati dall'amianto, consistenti nel suo trattamento e smaltimento secondo modalità segnate da rigide prescrizioni, la decontaminazione delle aree e delle strutture interessate dall'inquinamento. Uno degli adempimenti che dovrebbe avere un carattere preliminare rispetto allal. n.257/1992, che si applica agli edifici ad uso civile, commerciale o industriale aperti al pubblico o, comunque di utilizzazione collettiva, è rappresentato dal censimento degli immobili nei quali siano presenti materiali o prodotti contenenti amianto, da effettuare anche per i blocchi di appartamenti. La fissazione di sanzioni punitive applicabili sia in caso del mancato rispetto dei valori minimi dell'inquinamento da amianto, sia dell'inosservanza del divieto concernente l'esercizio delle attività riferibili all'amianto, ha rappresentato il mezzo per garantire il rispetto di tale normativa. Tra gli innumerevoli provvedimenti ministeriali adottati nel corso degli anni assume valore di rilevanza il d.m. 6 settembre 1994 che ne costituisce il decreto attuativo, mentre non ha visto la luce la opportuna formazione di un testo unico (già depositato nel 2016) che avrebbe riordinato l'intera materia. Questa legislazione di settore ha piena applicazione in ambito condominiale, tenuto presente che in questo contesto il concetto di sicurezza trova ampio spazio essendo attinente non solo alle strutture e parti condominiali (v., ad esempio, artt. 1120, 1127, 1129 c.c.), ma interessando anche tutti i soggetti che lavorano nel condominio e per il condominio. E per tale profilo non si può non pensare al d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, in base al quale sono state fissate precise responsabilità a carico del “datore di lavoro” che nel condominio sono sostanzialmente i proprietari e formalmente l'amministratore di condominio, trattandosi di ente notoriamente privo di personalità giuridica. Se per tutti gli immobili edificati successivamente alla l. n.257/1992 il problema dell'utilizzo dell'amianto deve essere ritenuto risolto, la questione resta in piedi per tutti gli edifici costruiti in epoca antecedente, anche se questi dovrebbero oramai essersi adeguati alle norme in vigore. Se esaminiamo la normativa di settore, in modo necessariamente sommario in ragione della estrema specificità della materia, ci possiamo rendere conto che nei nostri condominii l'amianto potrebbe ancora essere presente ovunque. Premesso che il decreto attuativo della l. n. 257/1992 prescrive l'obbligatorietà di smaltire l'amianto quando la presenza di tale componente risulti pericolosa (si è parlato, infatti, di “potenziale pericolosità” dei materiali di amianto collegata all'eventuale rilascio nell'ambiente di fibre che, disperse nell'aria, potrebbero essere inalate dagli occupanti), una volta constatata l'esistenza di parti condominiali contaminate dall'amianto sarà necessario valutarne il grado di nocività, rivolgendosi alle ditte competenti che certifichino i requisiti di legge per operare nel settore. Da uno screening della letteratura in materia risulta che negli edifici condominiali l'amianto, nelle sue varie forme (compatta o friabile) può essere teoricamente localizzato in tutte le strutture e parti condominiali come: piastrelle per pavimenti, tegole tipo marsigliese; controsoffittature, serbatoi, cassoni per l'acqua, tubazioni, canne fumarie e comignoli, grondaie e discendenti, vano corsa dell'ascensore, locali caldaie, pannelli di coibentazione delle caldaie, rivestimenti delle tubazioni, e così via. In considerazione di tale elenco, del tutto variegato e non esaustivo, la considerazione più immediata che viene da fare è che non sempre è possibile individuare dove l'amianto sia annidato. Infatti, se l'accertamento è abbastanza semplice per tutte quelle strutture condominiali esterne e facilmente monitorabili (tetti, coperture, canne fumarie, caldaie da riscaldamento ecc.), non altrettanto può dirsi per quelle parti che non siano a vista e la cui criticità potrebbe emergere solo casualmente. Questo è quanto avvenuto nel caso di infiltrazioni determinate da tubazioni comuni (nella specie: braga condominiale), in seguito alle quali da un'ispezione finalizzata all'individuazione delle cause era emerso che nella conduttura era presente amianto. In questo caso il condominio avrebbe dovuto intervenire con la massima urgenza per riparare e/o sostituire il tratto di tubazione condominiale, provvedendo alla chiusura del vano aperto ed evitando di lasciare il condomino per lungo tempo esposto al rischio da amianto. E' stato, quindi, ritenuto (Trib. Roma 26 luglio 2017, n. 15236) che un ingiustificato ritardo nell'esecuzione dei lavori da parte del condominio rappresenta una evidente negligenza che giustifica il risarcimento dei danni in favore del condomino e ciò con particolare riferimento al danno da “mera esposizione all'amianto” a prescindere da una lesione dell'integrità psicofisica del soggetto. Sul punto, infatti, la Corte di Cassazione, richiamata dal giudice monocratico, ha affermato in più decisioni che in caso di compromissione dell'ambiente a seguito di disastro colposo (art. 449 c.p.), il danno morale soggettivo lamentato da coloro che, trovandosi in una particolare situazione con tale ambiente (nel senso che ivi abitano e/o svolgono attività lavorativa), provino in concreto di avere subito un turbamento psichico (sofferenze e patemi d'animo) di natura transitoria a causa dell'esposizione a sostanze inquinanti ed alle conseguenti limitazioni del normale svolgimento della loro vita, è risarcibile autonomamente anche in mancanza di una lesione all'integrità psico - fisica (danno biologico) o di altro evento produttivo di danno patrimoniale, trattandosi di reato plurioffensivo che comporta, oltre all'offesa all'ambiente ed alla pubblica incolumità, anche l'offesa ai singoli, pregiudicati nella loro sfera individuale (Cass. pen., sez. un., 21 febbraio 2002, n. 2515; Cass. pen., sez. un., 2 aprile 2002, n. 4648). Va da ultimo ricordato che ancora l'ultima la legge finanziaria, come le precedenti, ha esteso le detrazioni fiscali relative agli interventi di recupero del patrimonio edilizio residenziale anche ai lavori di bonifica dall'amianto, a prescindere dalla categoria edilizia in cui le stesse opere possono essere inquadrate. E questo è un segnale ed un invito ai condominii di provvedere ad una verifica della struttura dello stabile, in tutte le sue parti, per garantire ai suoi abitanti ed ai lavoratori ivi impiegati un grado di sicurezza nei limiti del consentito. In questi casi la procedura da seguire è quella indicata dalle norme vigenti. Dall'esame della giurisprudenza di merito sono emerse varie problematiche che vale la pena di evidenziare. In primo luogo va rilevato che la legislazione in materia è finalizzata alla salvaguardia del diritto alla salute in generale, senza distinzione per quanto concerne specificamente l'area condominiale tra proprietari ed altri soggetti che utilizzino l'immobile (conduttore, usufruttuario, comodatario, titolare del diritto d'uso o di abitazione e così via). Nel caso in cui sorga controversia tra il soggetto che abita l'immobile ed il condominio ed avente ad oggetto domanda risarcitoria che si fondi su una presunta colpa del condominio per non aver adottato le misure di prevenzione e di sicurezza in riferimento alla mancata rimozione dell'amianto dalla parte condominiale, la legittimazione spetta a chi subisce effettivamente il danno, ma è stato anche affermato che il titolo di godimento deve essere comunque provato in giudizio (Trib. Roma 29 maggio 2017, n. 10831). Anche se in via di fatto viene accertato (tramite ASL) che - come nel caso di specie - in parte del tetto (le tegole) sia presente elevato quantitativo di amianto e materiali cancerogeni, per ottenere il riconoscimento del danno alla salute occorre che il richiedente ne fornisca prova, non essendo questo ricavabile solo da una raccomandazione dell'organismo di procedere, anche se entro un determinato termine, alla bonifica del bene comune. In ogni caso, appare evidente che una volta che vi sia un documento pubblico dal quale emerga la situazione di pericolo il condominio - come già accennato - è tenuto ad intervenire con tempestività, affidandosi a tecnici specializzati nel settore. Si è, altresì, posta la questione se, in sede di compravendita di un appartamento sito all'ultimo piano dello stabile, la scoperta di tale anomalia, considerata alla stregua di vizio occulto, successivamente alla firma del preliminare di vendita possa giustificare la risoluzione del contratto per inadempimento del promissario venditore, con obbligo a suo carico della restituzione del doppio della caparra. La questione, oggetto di giudizio di legittimità (Cass. civ., sez. II, 23 giugno 2017, n. 15742) è stata risolta alla luce delle circostanze di fatto concernenti la fattispecie concreta. La Suprema Corte, nel rigettare la domanda, ha richiamato quell'aspetto della l. n. 257/1992 - cui già si è accennato - concernente l'attualità del pericolo necessaria per potersi qualificare la situazione pericolosa per le persone. Il giudicante ha, inoltre, evidenziato che la l. n. 257/1992, posta a tutela dell'ambiente e della salute, ha vietato per il futuro la commercializzazione e l'utilizzazione di materiali costruttivi in fibrocemento, ma non ha imposto una rimozione generalizzata di tali materiali nelle costruzioni già esistenti al momento della sua entrata in vigore. Ciò, invece, che impone la legge è l'obbligo dei proprietari degli immobili (tra i quali il condominio per le parti comuni) di comunicare agli organi sanitari locali la presenza di amianto (art. 12 l. cit.), consentendo di conservare le strutture preesistenti nelle quali si trovi detto materiale a condizione che esse si trovino in buono stato di manutenzione (Cass. civ., sez. II, 23 maggio 2012, n. 8156). Accertata la sussistenza di tali elementi di fatto il preliminare di compravendita, è stato ritenuto valido, mentre la domanda che avrebbe potuto essere accolta, ove fosse stata proposta, sarebbe stata quella concernente una modesta riduzione del prezzo. La decisione della Corte, anche se intervenuta tra due privati ed avendo come causa sottostante alla richiesta di risoluzione di un contratto di compravendita l'irregolarità di un bene comune (il tetto dell'edificio), è interessante proprio per chiarire che tutte le problematiche che possono presentarsi al condominio qualora si accerti che parti comuni siano affette da amianto necessitano di un'indagine conoscitiva dalle quali risulti il grado di compromissione del bene per la salute. Solo un alto grado di pericolosità, infatti, determina interventi invasivi e drastici (come ad esempio lo smantellamento del tetto, totale o parziale). Per quanto concerne, poi, le canne fumarie va rilevato che il fatto di essere costituite in passato in passato in cemento amianto, oppure di essere esterne od interne, non ne diminuiva certamente la pericolosità tanto in termini di rischi ambientali, quanto in relazione alle operazioni di pulizia e di manutenzione che dovevano essere periodicamente effettuate. Una questione di rilevante interesse è quella di come deve essere inquadrato l'intervento di sostituzione di una canna fumaria in amianto con una di nuova generazione. Va detto che, in via generale, gli interventi concernenti lo smaltimento dell'amianto in condominio rientrano nell'ambito delle attività di manutenzione straordinaria sia per la loro complessità logistica, sia per i costi che, spesso molto elevati, caratterizzano le opere di cui all'art. 1136, co.4, c.c. che devono essere approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio. E', altresì, escluso che l'intervento possa essere considerato opera innovativa ai sensi dell'art. 1120 c.c. mancandone i caratteri fondamentali. In conclusione
Questo comporta che l'amministratore non potrà mai, in piena autonomia, decidere di intraprendere l'iter classico per arrivare alla decisione finale di quale tipo di intervento effettuare su parti condominiali affette da amianto essendo, invece, a suo carico l'onere di intervenire immediatamente allorché emerga anche un minimo sospetto di pericolosità del sito. E questo potrebbe emergere anche a seguito di una perizia fatta effettuare da un singolo condomino. I condomini, da parte loro, devono offrire sempre tutta la loro collaborazione per consentire che gli accertamenti seguano il loro corso. Pertanto il condomino, o comunque il soggetto che occupa l'immobile, non si può opporre a consentire l'accesso al proprio immobile se non vi sia altra possibilità per raggiungere i beni comuni da sottoporre a verifiche. Qualora, infine, non si raggiungano le maggioranze prescritte per legge, a parte il profilarsi di una situazione di urgenza, l'amministratore che si voglia liberare da qualsivoglia responsabilità dovrà fare presente ai condomini le conseguenze che la legge prevede nel caso di mancata bonifica a smaltimento dell'amianto. In ogni caso ciascun condomino potrà valutare se convenire in giudizio il condominio ai sensi dell'art. 1105, c. 4, c.c. chiedendo, se del caso, l'emissione, anche in via d'urgenza, dei provvedimenti del caso. Angiolini, Ordinanza illegittima in materia di amianto, in Arch. loc. e cond., 2015 Pesce, Canne fumarie in cemento amianto: come effettuare gli interventi di manutenzione e di bonifica?, 2013 Rezzonico, Condominio e responsabilità, Milano, 2018 Sforza Fogliani, Argomenti condominiali, crollo dimore storiche, problemi vari: amianto quando va rimosso, in Arch. loc. e cond., 2015 |