Nullità (e inesistenza) della notificazione degli atti processuali
03 Settembre 2019
Il quadro normativo
Al centro del dibattito dottrinale e giurisprudenziale vi è, da sempre, stato il tema della notifica di un atto processuale in luogo diverso da quello eletto come domicilio. Si è cercato, per lungo tempo, di sciogliere i dubbi sorti in merito alle due alternative prospettate: da un lato, si è ivi rinvenuta una causa di inesistenza della notificazione; dall'altro, una causa di nullità. A seconda della soluzione accolta, discendono infatti diverse conseguenze in termini, rispettivamente, di inammissibilità dell'atto di impugnazione non correttamente notificato, in quanto la notificazione risulterebbe nel primo caso inidonea a produrre qualsivoglia effetto, o di sua possibile sanatoria ex tunc, nel secondo caso, in vista della precaria efficacia della notificazione fin tanto che non intervenga la pronuncia del giudice a rilevare il motivo di invalidità. La dicotomia tra la categoria della nullità e quella dell'inesistenza degli atti processuali è stata elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza alla luce dell'unica fattispecie normativa facente parte del secondo blocco sancita dall'art. 161, comma 2, c.p.c. con riguardo al solo atto conclusivo del giudizio, la sentenza (v. C. Mandrioli-A. Carratta, Diritto processuale civile, I, Nozioni introduttive e disposizioni generali, Torino, 2016, 575). Da tale norma si è desunto in via interpretativa il principio generale secondo cui, ove l'atto processuale sia del tutto incomparabile con il modello sancito dalla legge, deve dirsi affetto dal più grave vizio di inesistenza piuttosto che da quello più lieve di nullità (Cass. civ., sez. V, sent., 18 dicembre 2015, n. 28285). Le conseguenze appaiono infatti più gravose se si considera che nel primo caso si rinviene l'irretroattività della sanatoria a fronte della retroattività che caratterizza la seconda fattispecie. A proposito della inapplicabilità della sanatoria retroattiva per raggiungimento dello scopo all'atto affetto da inesistenza, infatti, la Suprema Corte aveva già rilevato come neppure la costituzione spontanea della parte convenuta potrebbe essere idonea a sanare l'invalidità dell'instaurazione del contraddittorio tra le parti (Cass. civ., sez. II, sent., 13 settembre 2013, n. 21001). L'unica ipotesi di inesistenza di atti diversi dalla sentenza che la prassi ha manifestato è stata proprio quella della notificazione, caso in cui non risulta correttamente integrato il contraddittorio tra le parti e pertanto appare concretata una violazione del principio del giusto processo. Per lungo tempo la giurisprudenza (confermata dalla Cass. civ., Sez. Un., ord., 29 ottobre 2007, n. 22642) ha rinvenuto la sussistenza di tale vizio esclusivamente ove presenti due estreme condizioni, talvolta richieste in via alternativa talaltre contestualmente, ovverosia che la notificazione sia avvenuta in luogo e/o a persona che non abbiano nulla a che vedere con il destinatario (da ultimo v. Cass. civ., sez. I, sent., 15 maggio 2015, n. 10021). La pronuncia delle Sezioni Unite n. 14916/2016
Sulla materia in commento erano già intervenute le Sezioni Unite della Suprema Corte con la sentenza n. 14916/2016, affermando la posizione ad oggi ribadita con la sentenza n. 32041/2018. La pronuncia sanciva infatti che l'inesistenza della notificazione è configurabile in soli casi estremi e residuali alla luce del fondamentale principio di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo. Il più grave dei vizi menzionati si può dire integrato, pertanto, ove risulti una totale mancanza materiale dell'atto o laddove l'attività compiuta nel caso concreto sia priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere l'atto riconoscibile come notificazione, in particolare qualora il vizio ricada sull'attività di trasmissione o nella fase di consegna. Quest'ultima, nondimeno, risulta perfettamente valida ove vengano rispettati i requisiti richiesti dal legislatore affinché la notificazione possa dirsi eseguita. Ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale deve al contrario ricadere nella categoria della nullità. La sentenza n. 32041/2018
La posizione assunta dalle Sezioni Unite viene confermata dalla recente pronuncia n. 32041/2018 della sezione III della stessa Corte. Rispetto al giudizio di comparazione adottato dall'orientamento tradizionale della giurisprudenza sopra richiamato, che vedeva protagonisti il luogo di destinazione della notificazione ed il luogo del destinatario, ed utilizzato al fine di rinvenire un'ipotesi di inesistenza solo laddove il primo non avesse alcun collegamento con il secondo tanto da potersi dire ad esso assolutamente estraneo, la Suprema Corte mostra oggi di percorrere una via ancor più radicale, in linea con l'arresto del 2016. Il luogo in cui viene eseguita la notificazione, infatti, non viene incluso tra gli elementi costitutivi essenziali di quest'ultima. Pertanto, anche laddove esso risulti privo di qualsiasi collegamento con il destinatario, il vizio di cui sarebbe affetta la notificazione dovrebbe essere quello più lieve della nullità. Ad ogni modo, la notificazione presso il domicilio del difensore non potrebbe dirsi avvenuta in luogo del tutto estraneo alla parte; pertanto, anche se si dovesse insistere sull'orientamento superato che include il luogo di esecuzione della notificazione tra le possibili cause della sua inesistenza non risulterebbe integrata la più rigida condizione della sua assoluta estraneità rispetto alla parte. Da quanto esposto discende, in primis, che si è tenuti a parlare di nullità della notificazione ogni volta in cui il vizio ricade sul luogo della sua esecuzione. Inoltre, è d'uopo ritenere in tal caso possibile la sua sanatoria, dotata nel particolare di efficacia retroattiva: la costituzione in giudizio della parte produce l'effetto di sanare il vizio di nullità secondo il disposto dell'art. 156, comma 3, c.p.c., dal momento che essa dimostra l'avvenuto raggiungimento dello scopo sotteso alla notificazione di un atto, quello di portare quest'ultimo a conoscenza della controparte onde consentirle il pieno esercizio delle prerogative difensive (sulla conoscenza come discrimen ai fini della verifica del rispetto del contraddittorio, v. C. Punzi, Il processo civile. Sistema e problematiche, La fase di cognizione nella tutela dei diritti, Torino, 2010, 42). Considerazioni conclusive
Dalla richiamata giurisprudenza emergono profili che godono di un largo consenso nella communis opinio. Si è, infatti, da sempre, cercato di dare piena attuazione al principio di economia processuale e a quello di libertà delle forme di cui all'art. 121 c.p.c., volti ad evitare inutili aggravi del processo. Quest'ultimo viene in realtà tramutato dallo stesso codice di rito nel principio di strumentalità, in quanto, laddove la legge non imponga una forma determinata per gli atti, le parti risultano parimenti obbligate ad adottare quella più idonea al raggiungimento dello scopo. A tal proposito, è consentito parlare di libertà delle forme proprio grazie alla flessibilità fatta propria dal legislatore. La residualità della categoria dell'inesistenza deve necessariamente desumersi dalla minima attenzione che ad essa riserva il codice di rito (v., in senso critico rispetto al concetto di inesistenza, nell'ampia prospettiva della teoria generale del diritto civile, A. Gentili, Le invalidità, in Trattato dei contratti, diretto da P. Rescigno e E. Gabrielli, 1, I contratti in generale, II, a cura di E. Gabrielli, Torino, 2006, 1454), che manifesta al contrario un favor per la categoria della nullità ed il possibile superamento del vizio mediante sanatoria. Infatti, la difformità tra il modello normativo e la fattispecie del caso concreto non è tale da rendere l'atto di per sé inefficace, nonostante la sua invalidità, ma a tal fine risulta indispensabile un'apposita pronuncia del giudice. Il modello di riferimento è quello della categoria dell'annullabilità nel sistema del diritto privato e dell'annullabilità ex art. 21-octies, l. n. 241/1990, del provvedimento amministrativo (v. F. P. Luiso, Diritto processuale civile, I, Principi generali, Milano, 2015, 419). Quando, al contrario, l'atto risulta del tutto estraneo rispetto al prototipo disegnato dal legislatore, vi è chi ha pensato all'inesistenza in termini di “inqualificazione” dell'atto (v. F. Auletta, Nullità e inesistenza degli atti processuali civili, Padova, 1999, 28 ss. e 48 ss.). Le parti del giudizio sono certamente gravate dall'onere di rispettare i requisiti formali degli atti; tuttavia, il sistema processuale delle notificazioni è teso a garantire, ad ambo i contendenti, una tutela effettiva e, in particolare, a rendere possibile l'esercizio del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost. Per tale ragione, la Consulta (sent. 13 giugno 2000, n. 189 e sent. 6 dicembre 2002, n. 520) e, quindi, la stessa Corte di Strasburgo (sent. 21 giugno 2011, Dobrić v. Serbia) hanno indotto il legislatore ad ovviare alla comminatoria di irragionevoli sanzioni di inammissibilità, tali da ridondare a danno dello stesso soggetto che – nelle intenzioni – dovrebbe essere tutelato. Del resto, il soggetto passivo della notificazione ben potrebbe vantare un proprio interesse ad una sanatoria della nullità, laddove ad esempio scelga di costituirsi volontariamente in giudizio (onde conseguire una pronuncia nel merito della regiudicanda, in luogo di una mera chiusura in rito, non coperta dal giudicato sostanziale ex art. 2909 c.c.). Pertanto, per garantire la parità delle armi, il contraddittorio deve ritenersi integrato ove l'atto risulti legalmente conoscibile da parte dei destinatari (richiedere la conoscenza effettiva rischierebbe, infatti, di rendere troppo difficile l'esercizio dei diritti sanciti dall'art. 24 Cost. – Cass. civ., Sez. Un., ord., 13 gennaio 2005, n. 458). Solamente in mancanza di siffatto dato, l'atto processuale potrebbe essere fulminato da una radicale inesistenza, siccome assolutamente irrecuperabile (v. V. Donato, Appunti sulla natura della conversione dei contratti nulli, in Id., Contributi di diritto civile, Torino, 2004, 123 ss.) Ne discende che la notificazione avvenuta presso il domicilio del difensore, sebbene non coincidente con quello eletto dalla parte, non comporta l'extrema ratio dell'inesistenza. L'atto appare evidentemente idoneo a far conoscere al litigante il contenuto dell'atto notificato (v., sullo scopo dell'atto, la, sempre attuale, pagina di E. Redenti, Diritto processuale civile, Milano, 1952, I, 232), tanto da non giustificare quell'inutile aggravio conseguente all'imposizione, in capo alla parte, di adempimenti non essenziali. Alla logica di armoniosa semplificazione dell'iter risponde, d'altronde, lo stesso art. 170 c.p.c., laddove dispone che «dopo la costituzione in giudizio, tutte le notificazioni e comunicazioni si fanno al procuratore costituito salvo che la legge disponga altrimenti». Il difensore potrebbe dunque – come è avvenuto nel caso contemplato dalla sentenza n. 32041/2018, che si è richiamata supra – unicamente dimostrare le cause di nullità imposte dalla legge a pena di nullità o comunque indispensabili al raggiungimento dello scopo, secondo le opzioni ammesse dall'art. 156 c.p.c. E la controparte, eccependo la sanatoria della nullità per raggiungimento dello scopo, costringerebbe il primo a provare la sussistenza di un elemento ostativo alla realizzazione di esso scopo. Starebbe, come sta, all'ufficio valutare la sussistenza dei presupposti legittimanti il ‘recupero' degli atti nulli. Qualora, tuttavia, l'invalidità non sia stata sollevata dalle parti in via di eccezione, la residualità del potere officioso di rilevazione delle nullità formali condurrebbe al medesimo risultato pratico tipico della sanatoria. Ad ogni modo, una volta esclusa l'estrema ipotesi dell'inesistenza, il giudice è tenuto a dichiarare la nullità soltanto in assenza dei presupposti di una sanatoria per cd. raggiungimento dello scopo o di una rinnovazione. Infatti, ove sia possibile la sanatoria del vizio, l'ufficio non può mai procedere alla chiusura in rito del processo, dovendo concedere un termine per rimediare al vizio. Attività giudiziale siffatta è, dunque, mezzo al fine della salvaguardia di quell'anima antiformalista che permea l'intero processo civile. E che la recente giurisprudenza di legittimità sembra accuratamente presidiare.
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