Il distacco transnazionale: disciplina e requisiti

Pasquale Staropoli
03 Settembre 2019

Il distacco si realizza quando un datore di lavoro pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di un altro soggetto per l'esecuzione di una determinata attività lavorativa...
Introduzione

L'ipotesi di distacco si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di un altro soggetto per l'esecuzione di una determinata attività lavorativa (art. 30 D.Lgs. 81/2015).

Gli elementi qualificanti della fattispecie sono dati dunque:

  • dal mutamento di colui che riceve la prestazione lavorativa;
  • dalla temporaneità;
  • dalla necessità della sussistenza di un interesse del distaccante, che rimane responsabile del trattamento economico e normativo in favore del lavoratore.

Quando, per effetto del distacco, la modifica della sede di lavoro e del soggetto che riceve la prestazione lavorativa comporta che quest'ultima venga svolta in un Paese diverso da quello di origine, si è di fronte alla fattispecie del distacco transnazionale, disciplinato in ambito comunitario dalla Dir. 2014/67/UE del 15 maggio 2014 (direttiva che dà attuazione alla Dir. 96/71/UE, di recente modificata dalla Dir. 2018/957/UE, che dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 30 giugno 2020), recepita in Italia con il D.Lgs. 136/2016.

La norma, premessa la libera circolazione dei lavoratori, la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi quali principi fondamentali del mercato interno dell'UE (Considerando n. 1 della Dir. 2014/67/UE), tenuto conto che la libera prestazione di servizi include il diritto delle imprese di prestare servizi in un altro Stato membro (quindi di distaccare temporaneamente i propri dipendenti in tale Stato membro ai fini della prestazione dei servizi), rileva la necessità di distinguere tra l'affermazione di questi principi fondamentali e quello, di pari grado, della libera circolazione dei lavoratori, secondo cui ogni cittadino ha il diritto di trasferirsi liberamente in un altro Stato membro per lavorare e a questo scopo risiedervi, con la necessità per l'ordinamento di proteggerlo da ogni discriminazione per quanto riguarda l'impiego, la remunerazione e le altre condizioni di lavoro e di impiego rispetto ai cittadini di quello Stato membro (Considerando n. 2 della Dir. 2014/67/UE).

Questi principi sono stati recepiti nel nostro ordinamento con il D.Lgs. 136/2016.

Il distacco transnazionale

Nella disciplina del distacco, il requisito della temporaneità, della permanenza degli oneri giuridico-economici in capo al distaccante, la richiesta della sussistenza di uno specifico e determinato interesse in capo a quest'ultimo, sono tutti strumenti predisposti dal legislatore per impedire che il distacco possa dissimulare una intermediazione illecita di manodopera.

La circostanza che con il distacco cambi anche il Paese dove la prestazione viene resa, implica ulteriori ricadute, oltre quelle di natura strettamente giuridica, riguardo gli aspetti previdenziali, cui in ambito comunitario si è data risposta con la direttiva in discorso, recepita in Italia con il decreto legislativo già citato, che ne costituisce l'attuazione.

L'obiettivo del legislatore comunitario, e conseguentemente di quello nazionale, è quello di apprestare una disciplina utile a tutelare i lavoratori interessati, individuando la normativa da applicare ed impedendo da un lato discriminazioni e dall'altro speculazioni, attraverso le c.d. letterbox companies, società create appositamente negli Stati che presentano un costo del lavoro notevolmente inferiore, beneficiando dell'indebito profitto, a tutto svantaggio delle tutele dei lavoratori interessati.

La disciplina del distacco transnazionale si applica alle imprese stabilite in un altro Stato membro che, nell'ambito di una prestazione di servizi, distaccano in Italia uno o più lavoratori, in favore di un'altra impresa, anche appartenente allo stesso gruppo, o di un'altra unità produttiva o di un altro destinatario, a condizione che durante il periodo del distacco, continui a esistere un rapporto di lavoro con il lavoratore distaccato (art. 1 D.Lgs. 136/2016).

La normativa contempla 3 diverse ipotesi di distacco temporaneo di lavoratori (Circ. INL 9 gennaio 2017 n. 1):

  • da parte di un'azienda avente sede in un diverso Stato membro presso una propria filiale situata in Italia;
  • da parte di un'azienda avente sede in un diverso Stato membro presso una azienda italiana appartenente al medesimo gruppo di impresa (c.d. distacco infragruppo);
  • nell'ambito di un contratto di natura commerciale (appalto di opera o di servizi, trasporto ecc.), stipulato con un committente (impresa o altro destinatario) avente sede legale o operativa nel territorio italiano.

Condizione della sussistenza della fattispecie, è che durante il periodo del distacco continui ad esistere un rapporto di lavoro con il lavoratore distaccato da parte dell'azienda distaccante. Sebbene a differenza di quanto previsto per il distacco interno non sia espressamente previsto il requisito dell'interesse del distaccante, la necessità della sussistenza di un legame organico tra il lavoratore e l'impresa è la condizione che assegna, fra le altre, liceità alla fattispecie in discorso.

La stessa disciplina si applica inoltre alle agenzie di somministrazione di lavoro stabilite in un altro Stato membro che distaccano lavoratori presso un'impresa utilizzatrice avente la propria sede o un'unità produttiva in Italia.

La prestazione di servizi

L'attività di interesse che ricade nella disciplina del distacco transnazionale è definita in ambito comunitario, per il quale “sono considerate come servizi le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, in quanto non siano regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone” (art. 57 TFUE).

Si tratta di una locuzione che dà luogo ad una serie di fattispecie molto ampia, per cui, come ancora di recente è stato osservato dall'Ispettorato Nazionale del Lavoro, con le “Linee guida per l'attività ispettiva in materia di distacco transazionale” (Nota INL 1° agosto 2019 n. 622), posto che, per l'applicazione del D.lgs. 136/2016, la prestazione di servizi deve comportare l'espletamento di attività lavorative temporanee in favore di un destinatario situato su territorio italiano, che può individuarsi in:

  • una impresa distaccataria appartenente al medesimo gruppo;
  • un'unità produttiva, filiale, sede operativa della azienda straniera distaccante;
  • un diverso soggetto committente, tra le quali la filiera di appalti e subappalti di opera e di servizi e la somministrazione di lavoro, che ricomprende ulteriori attività di prestazioni servizi tra imprese stabilite in diversi Paesi (ad es. varie forme di joint venture, consorzi ed ATI che in sostanza si configurano quali fattispecie di subappalto, contratti di rete, accordi atipici).
Il lavoratore distaccato

La legge elenca le definizioni inerenti la fattispecie di distacco transnazionale, che consentono di riconoscerne l'autenticità (art. 2 D.Lgs. 136/2016).

Tra queste è prevista quella del “lavoratore distaccato”, inteso come il lavoratore abitualmente occupato in un altro Stato membro che, per un periodo limitato, predeterminato o predeterminabile con riferimento ad un evento futuro e certo, svolge il proprio lavoro in Italia (art. 2, lett. d), D.Lgs. 136/2016).

Elemento qualificante è la temporaneità del distacco. La norma, pur non prevedendo un limite fisso alla durata del distacco transazionale, ne impone comunque perlomeno la determinabilità ex ante, non essendo concepibile una disposizione di distacco a tempo indeterminato.

Ciò è coerente, oltre che con l'intero impianto normativo ed il sistema di tutele sotteso, con l'altro elemento qualificatorio fondamentale, dato dall'occupazione abituale in un altro Stato membro, che implica appunto l'impossibilità di un distacco sine die.

Il momento essenziale è rappresentato dalla “sussistenza di un legame organico tra lavoratore distaccato e l'impresa distaccante per tutto il periodo del distacco, inteso quale potere da parte di quest'ultima di determinare la natura del lavoro svolto; la prestazione lavorativa, necessariamente di durata limitata, deve essere pertanto espletata nell'interesse e per conto dell'impresa distaccante, sulla quale continuano a gravare i tipici obblighi del datore di lavoro, ossia la responsabilità in materia di assunzione, la gestione del rapporto, i connessi adempimenti retributivi e previdenziali, nonché il potere disciplinare e di licenziamento” (Circ. INL 1/2017, richiamata con le linee guida del 1° Agosto 2019).

La genuinità del distacco

L'individuazione del campo di applicazione e la puntualità delle definizioni (artt. 1 e 2 D.Lgs. 136/2016) sono funzionali alla garanzia della genuinità del distacco, volta ad impedire i fenomeni di dumping, contrattuale e sociale, che altrimenti potrebbero ingenerarsi e che invece la direttiva comunitaria vuole evitare.

Come corollario delle premesse norme a carattere definitorio, per accertare l'autenticità del distacco, la legge richiede agli organi di vigilanza “una valutazione complessiva di tutti gli elementi della fattispecie” (art. 3 D.Lgs. 136/2016).

Nello specifico, al fine di accertare se l'impresa distaccante eserciti effettivamente attività diverse rispetto a quelle di mera gestione o amministrazione del personale dipendente, richiede la valutazione dei seguenti elementi (art. 3, c. 2, D.Lgs. 136/2016):

  • il luogo in cui l'impresa ha la propria sede legale e amministrativa, i propri uffici, reparti o unità produttive;
  • il luogo in cui l'impresa è registrata alla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura o, ove sia richiesto in ragione dell'attività svolta, ad un albo professionale;
  • il luogo in cui i lavoratori sono assunti e quello da cui sono distaccati;
  • la disciplina applicabile ai contratti conclusi dall'impresa distaccante con i suoi clienti e con i suoi lavoratori;
  • il luogo in cui l'impresa esercita la propria attività economica principale e in cui risulta occupato il suo personale amministrativo;
  • il numero dei contratti eseguiti o l'ammontare del fatturato realizzato dall'impresa nello Stato membro di stabilimento, tenendo conto della specificità delle piccole e medie imprese e di quelle di nuova costituzione.

La necessità della verifica dell'esercizio di una autentica attività imprenditoriale, diversa dalla mera intermediazione di forza lavoro, è fondamentale per la distinzione tra la fattispecie in discorso ed ogni altra che, ad eccezione della somministrazione, esercitata dalle agenzie dotate dei requisiti e dell'autorizzazione prevista per legge, è vietata dal nostro ordinamento.

La verifica dell'effettività della sussistenza di un'attività d'impresa in capo al soggetto distaccante, consente di espungere dal sistema le letterbox companies, entità fittizie, create ad arte, che nello Stato membro di (formale) stabilimento non svolgono alcuna attività imprenditoriale ma si limitano, nella migliore delle ipotesi, ad una organizzazione amministrativa di quanto concretamente svolto presso il distaccatario ed in quel diverso Paese.

Tale verifica impegna gli organi di vigilanza non soltanto con riferimento alle caratteristiche dell'impresa distaccante ma anche, necessariamente, con riguardo a quelle del lavoratore distaccato.

Devono essere infatti accertati, oltre ai premessi requisiti (art. 3, c. 3, D.Lgs. 136/2016):

  • il contenuto, la natura e le modalità di svolgimento dell'attività lavorativa e la retribuzione del lavoratore;
  • la circostanza che il lavoratore eserciti abitualmente (Reg. 593/2008), la propria attività nello Stato membro da cui è stato distaccato;
  • la temporaneità dell'attività lavorativa svolta in Italia;
  • la data di inizio del distacco;
  • la circostanza che il lavoratore sia tornato o si preveda che torni a prestare la sua attività nello Stato membro da cui è stato distaccato;
  • la circostanza che il datore di lavoro che distacca il lavoratore provveda alle spese di viaggio, vitto o alloggio e le modalità di pagamento o rimborso;
  • eventuali periodi precedenti in cui la medesima attività è stata svolta dallo stesso o da un altro lavoratore distaccato;
  • l'esistenza del certificato relativo alla legislazione di sicurezza sociale applicabile.

L'elencazione non è tassativa, ma foriera di elementi sia formali che sostanziali.

Quanto al primo aspetto, è da registrare l'esplicita formulazione del Considerando n. 5 Dir. 2014/67/UE, per il quale la garanzia della conformità con la Dir. 96/71/UE non deve gravare i prestatori di servizi di “inutili oneri amministrativi” per cui “è essenziale che gli elementi fattuali cui fanno riferimento le disposizioni concernenti l'identificazione di un autentico distacco, nonché la prevenzione degli abusi e l'elusione della presente direttiva siano considerati indicativi e non esaustivi”.

In ordine al secondo aspetto, la conferma della sostanziale adesione del legislatore nazionale a tale impostazione è data dall'art 3, c. 3, lett. g) e h) D.Lgs. 136/2016: in entrambi i casi, con una sorta di affermazione di principio generale, l'invito rivolto agli organi di vigilanza è di verificare “ogni altro elemento utile alla valutazione complessiva”, con ciò confermando che, al di là dei formalismi e della pedissequa verifica di ognuna delle voci previste, ciò che rileva ai fini del controllo dell'autenticità del distacco e della garanzia delle tutele ad essa sottesa, è la genuinità del rapporto, attraverso la già premessa valutazione sostanziale e complessiva della fattispecie concreta.

Le conseguenze del distacco transnazionale autentico

La genuinità del distacco implica quale conseguenza delle finalità di garanzia cui è ispirata la normativa comunitaria e nazionale, che ai lavoratori distaccati sia assicurata una parità di trattamento, con l'applicazione delle “medesime condizioni di lavoro e di occupazione previste per i lavoratori che effettuano prestazioni lavorative subordinate analoghe nel luogo in cui si svolge il distacco” (art. 4, c. 1, D.Lgs. 136/2016).

Le “condizioni di lavoro e di occupazione” (art. 2, lett. e) D.Lgs. 136/2016) sono quelle “disciplinate da disposizioni normative e dai contratti collettivi relative alle seguenti materie:

  • periodi massimi di lavoro e periodi minimi di riposo;
  • durata minima delle ferie annuali retribuite;
  • trattamenti retributivi minimi, compresi quelli maggiorati per lavoro straordinario;
  • condizione di cessione temporanea dei lavoratori;
  • salute e sicurezza nei luoghi di lavoro;
  • provvedimenti di tutela riguardo alle condizioni di lavoro e di occupazione di gestanti o puerpere, bambini e giovani;
  • parità di trattamento fra uomo e donna nonché altre disposizioni in materia di non discriminazione” (art. 51 D.Lgs. 81/2015).

Per i primi 3 punti le condizioni da garantire riguardano soltanto il contenuto minimo, mentre per le materie indicate dai numeri da 4) a 7) la parità di trattamento deve intendersi riferita al contenuto della normativa complessivamente considerato.

La formulazione adottata dal legislatore crea, se non una criticità, un'oggettiva differenza di trattamento tra il lavoratore distaccato in Italia e quello che invece opta spontaneamente per la mobilità intracomunitaria. Quest'ultimo infatti ha diritto alla parità di trattamento senza limitazioni (art. 45 TFUE).

Nell'ambito della verifica delle condizioni di lavoro, la materia della retribuzione costituisce uno dei profili più delicati, tant'è che pure l'INL si preoccupa di precisare che “la finalità perseguita dall'art. 4, c. 1, D.Lgs. 136/2016 è quella di garantire una sostanziale equiparazione delle somme erogate a titolo di retribuzione ai lavoratori distaccati rispetto a quelle corrisposte ai lavoratori abitualmente impiegati in Italia, sulla base di quanto stabilito dalla contrattazione collettiva applicabile ai sensi del citato art. 2 D.Lgs. 136/2016 che, a sua volta, richiama l'art. 51 del D.Lgs. n. 81/2015.” (Nota INL 1° agosto 2019 n. 622). Con ciò ritenendo che a prescindere da una perfetta corrispondenza delle varie voci retributive, “la sostanziale equiparazione di trattamento salariale può essere realizzata considerando anche gli importi corrisposti a titolo di indennità (quali ad es. l'indennità di distacco) che, unitamente alle voci retributive, assicurano il rispetto dei principi costituzionali di sufficienza e proporzionalità della retribuzione. Non rileva, a tal fine, la circostanza che dette voci siano o meno assoggettate a contribuzione, in base alla legislazione del Paese di provenienza.”

Secondo la Corte di giustizia, l'applicazione di condizioni di lavoro non contemplate dal predetto elenco costituisce una violazione della Dir. 96/71/UE, rappresentando una violazione del principio della libertà della prestazione di servizi, ribadito dal Considerando n. 2 Dir. 2014/67/UE e perciò contraria al diritto comunitario (Corte Giust. UE 18 dicembre 2007, C-341/05).

L'INL, attraverso le linee guida, indica i documenti necessari alla verifica della genuinità del distacco, disponendo che se non esibiti dal soggetto referente possono essere richiesti all'Autorità straniera, così individuandoli:

  • certificato della camera di commercio del Paese di provenienza;
  • documentazione relativa alle sedi di lavoro e all'attività svolta nel Paese di provenienza;
  • dichiarazioni fiscali e fatturato complessivo realizzato nel Paese di provenienza;
  • forza lavoro impiegata nel Paese di provenienza;
  • documentazione relativa al luogo in cui i lavoratori sono assunti e a quello da cui sono distaccati;
  • modello A1.
Le conseguenze del distacco transnazionale non autentico

Nelle ipotesi in cui il distacco risulti non autentico, si prevede un doppio sistema sanzionatorio (art. 3 D.Lgs. 136/2016). Da un lato, il lavoratore è considerato a tutti gli effetti alle dipendenze del soggetto che ne ha utilizzato la prestazione (art. 3, c. 4, D.Lgs. 136/2016). Dall'altro, distaccante e distaccatario sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria di 50 € per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione. In ogni caso l'ammontare della sanzione non può essere inferiore a 5.000 € né superiore a 50.000 €.

Nei casi in cui il distacco non autentico riguardi i minori, il distaccante e il soggetto che ha utilizzato la prestazione dei lavoratori distaccati, sono puniti con la pena dell'arresto fino a diciotto mesi e con l'ammenda di 50 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione aumentata fino al sestuplo (art. 3, c. 5, D.Lgs. 136/2016).

Obblighi e sanzioni

È stata introdotta la comunicazione obbligatoria che l'impresa distaccante deve inviare al Ministero del Lavoro entro le ore 24 del giorno antecedente l'inizio del distacco (art. 10 D.Lgs. 136/2016). Ogni eventuale variazione in corso di contratto deve essere comunicata entro cinque giorni dall'evento.

Si tratta di un onere amministrativo, destinato alla procedimentalizzazione, anche ai fini del monitoraggio, del distacco transnazionale, senza che però ne possano ricadere momenti di limitazione, che altrimenti porrebbero la normativa interna in contrasto con i princìpi del diritto comunitario, più volte affermati anche dalla Dir. 2014/67/UE.

Le modalità di comunicazione sono disciplinate con il DM 10 agosto 2016, che ha introdotto il modello “UNI Distacco-UE”, nonché dai provvedimenti di prassi amministrativa (Circ. INL 3/2016 e Circ. INL 1/2017).

La comunicazione preventiva di distacco deve contenere le seguenti informazioni (art. 10, c. 1, D.Lgs. 136/2016):

  • i dati identificativi dell'impresa distaccante;
  • il numero e generalità dei lavoratori distaccati;
  • la data di inizio, di fine e durata del distacco;
  • il luogo di svolgimento della prestazione di servizi;
  • i dati identificativi del soggetto distaccatario;
  • la tipologia dei servizi;
  • le generalità e il domicilio eletto del referente di cui all'art. comma 3, lettera b);
  • le generalità del referente di cui al comma 4;
  • il numero del provvedimento di autorizzazione all'esercizio dell'attività di somministrazione, in caso di somministrazione transnazionale ove l'autorizzazione sia richiesta dalla normativa dello Stato di stabilimento.

Durante il periodo del distacco e fino a 2 anni dalla sua cessazione, l'impresa distaccante ha l'obbligo di:

  • conservare, predisponendone copia in lingua italiana, il contratto di lavoro o altro documento contenente le informazioni ex artt. 1 e 2 D.Lgs. 152/97, i prospetti paga, i prospetti che indicano l'inizio, la fine e la durata dell'orario di lavoro giornaliero, la documentazione comprovante il pagamento delle retribuzioni o i documenti equivalenti, la comunicazione pubblica di instaurazione del rapporto di lavoro o documentazione equivalente e il certificato relativo alla legislazione di sicurezza sociale applicabile;
  • designare un referente elettivamente domiciliato in Italia incaricato di inviare e ricevere atti e documenti. In difetto, la sede dell'impresa distaccante si considera il luogo dove ha sede legale o risiede il destinatario della prestazione di servizi.

L'impresa che distacca lavoratori ha l'obbligo di designare, per tutto il periodo del distacco, un referente con poteri di rappresentanza per tenere i rapporti con le parti sociali interessate a promuovere la negoziazione collettiva di secondo livello con obbligo di rendersi disponibile in caso di richiesta motivata delle parti sociali.

È stato introdotto un apparato sanzionatorio in caso di violazione degli obblighi di comunicazione, che nella formulazione in vigore dal 1° gennaio 2019 comporta in caso di violazione degli obblighi di comunicazione (art. 10, c. 1, D.Lgs. 136/2016) la sanzione amministrativa pecuniaria da 180 a 600 €, per ogni lavoratore interessato (art. 12 D.Lgs. 136/2016).

Chiunque circola senza la documentazione, o con documentazione non conforme, è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria da 1.200 a 12.000 €.

La violazione degli obblighi di conservazione (art. 10, c. 3, lett. a), D.Lgs. 136/2016) è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 600 a 3.600 € per ogni lavoratore interessato.

La violazione degli obblighi di nomina di un referente (art. 10, c. 3, lett. b), e 4, D.Lgs. 136/2016) è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 2.400 a 7.200 €.

In ogni caso, le sanzioni predette non possono essere superiori a 150.000 € (art. 12 D.Lgs. 136/2016).

Il distacco in uscita

Si può parlare di distacco “in uscita” quando il distacco avviene dall'Italia verso un altro Paese.

Per il distacco in ambito comunitario la normativa di riferimento è ovviamente quella contenuta dalle direttive citate, tenuto conto della disciplina di recepimento del singolo Paese, comunque informata ai princìpi fissati dal legislatore europeo, nel rispetto della libera circolazione dei lavoratori e divieto di discriminazione.

Quando il distacco riguarda un Paese extra-comunitario, la gestione del rapporto di lavoro è disciplinata con apposite convenzioni bilaterali. In assenza di queste ultime, i lavoratori italiani operanti in ambito extra-UE, godono delle tutele previste dal DL 317/87 conv. in L. 398/87, che in ogni caso riconosce loro la tutela assicurativa sociale ed il diritto a condizioni di lavoro, giuridiche ed economiche, complessivamente non inferiori a quanto previsto dai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative.

Aspetti previdenziali

In materia previdenziale il principio generale è quello della territorialità, c.d. lex loci laboris, per il quale si applica la disciplina del luogo ove la prestazione di lavoro viene svolta.

Viene tuttavia previsto che la posizione previdenziale del lavoratore distaccato “rimane soggetta alla legislazione del primo Stato membro (dunque del distaccante) a condizione che la durata prevedibile di tale lavoro non superi i 24 mesi e che esso non sia inviato in sostituzione di un'altra persona” (art. 12 Reg. 883/2004).

L'attestazione del regime previdenziale (ed assicurativo) e la regolarità dello stesso, è rilasciata dagli istituti previdenziali con il c.d. “Certificato di distacco”, che per l'INPS è rappresentato dal “modello A1”, da richiedere e rilasciato con modalità telematiche, e per l'INAIL dal “modello DA1”.

Il rilascio di tale certificazione “vincola non soltanto le istituzioni dello Stato membro in cui l'attività è svolta, ma anche i giudici di tale Stato membro, fintantoché tale certificato non sia stato ritirato o dichiarato non valido dallo Stato membro in cui esso è stato rilasciato, quand'anche le autorità competenti di quest'ultimo Stato membro e dello Stato membro in cui l'attività è svolta abbiano deferito la questione alla commissione amministrativa per il coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale e questa abbia concluso che detto certificato era stato rilasciato erroneamente e avrebbe dovuto essere ritirato. E ciò vale quand'anche tale certificato sia stato rilasciato solo dopo che detto Stato membro aveva accertato l'assoggettamento del lavoratore interessato all'assicurazione obbligatoria ai sensi della propria legislazione” (Corte UE 6 settembre 2018 n. C-527/16).

La Corte di Giustizia ribadisce così la vincolatività diffusa, per ogni autorità dello Stato membro ospitante, del certificato del regime previdenziale applicabile al distaccato, salve, evidentemente, le ipotesi fraudolente.

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