Vincoli di scopo-contratti di prossimità: la finalità perseguita deve essere indicata espressamente dalle parti

Teresa Zappia
09 Settembre 2019

Il contratto di prossimità può essere ricondotto alla fattispecie negoziale di cui all'art. 8, d.l. n. 138 del 2011, solo nei limiti in cui la disciplina, derogante la legge e/o il CCNL, venga espressamente e specificamente correlata alle finalità indicate dalla medesima disposizione...
Massima

Il contratto di prossimità può essere ricondotto alla fattispecie negoziale di cui all'art. 8, d.l. n. 138 del 2011, solo nei limiti in cui la disciplina, derogante la legge e/o il CCNL, venga espressamente e specificamente correlata alle finalità indicate dalla medesima disposizione.

Data la natura eccezionale di tale previsione, è da prediligere una interpretazione restrittiva per cui, in assenza della suddetta correlazione deroga-scopo, l'accordo aziendale non potrà essere riconosciuto dotato di efficacia derogatoria.

Il caso

La lavoratrice conveniva in giudizio la ex datrice di lavoro sostenendo la illegittimità del contratto di prossimità ex art. 8, d.l. n. 138 del 2011, applicato.

Deduceva, inoltre, il proprio diritto alle retribuzioni maturate dal 1° al 15 dicembre 2016 (la stessa affermava che non le erano stati retribuiti i giorni di infortunio fino al 4 dicembre, che era stata collocata unilateralmente in ferie dal 5 all'11 dicembre, e che non le erano state corrisposte le retribuzioni dal 12 al 15 dicembre). Pertanto, la ricorrente chiedeva, previa declaratoria di invalidità del contratto di prossimità, il riconoscimento di un superiore livello di inquadramento, con decorrenza dall'assunzione fino alla cessazione del rapporto, con il conseguente riconoscimento delle differenze retributive, nonché alle retribuzioni relative al mese di dicembre 2016, come sopra precisato.

La questione

In che termini il contenuto del contratto di prossimità può incidere sulla validità dello stesso?

La soluzione

Il Tribunale ha proceduto esaminando singolarmente le censure sollevate dalla ricorrente in ordine all'asserita illegittimità del contratto di prossimità.

Non è stata condivisa la tesi secondo cui il sotto- inquadramento del lavoratore avrebbe configurato una violazione dei minimi retributivi ex art. 36, Cost. e, correlativamente, dell'art. 8, comma 2-bis, d.l. n. 138 del 2011 (in forza del quale il contratto di prossimità può derogare alla legge e al CCNL, “fermo restando il rispetto della Costituzione”). Il giudice fiorentino, infatti, ha rammentato che è il contratto collettivo a concretizzare il contenuto del parametro costituzionale fissando i minimi retributivi per ciascuna qualifica. Il comma secondo dell'art. 8, d.l. prefato, nel consentire al contratto di prossimità il potere di dettare la disciplina relativa alle mansioni, non escluderebbe la possibilità di intervenire sull'inquadramento del lavoratore, facendosi comunque rinvio alla contrattazione collettiva per il livello retributivo minimo costituzionalmente garantito.

Relativamente al difetto di rappresentatività dell'organizzazione sindacale stipulante (ossia la r.s.a. UIL che, affermava la ricorrente, all'epoca era costituita da una sola persona), il Tribunale ha richiamato la giurisprudenza di legittimità secondo la quale, alla luce dei generali principi di libertà di organizzazione sindacale (art. 28, Cost.) ed in presenza delle condizioni di cui all'art. 19, l. n. 300 del 1970, la rappresentanza sindacale aziendale può essere costituita anche da una sola persona, la quale diviene titolare dei relativi diritti riconosciuti dall'ordinamento.

Viene invece condiviso l'orientamento ermeneutico della Corte appello Firenze (20 novembre 2017) secondo cui, introducendo l'art. 8 prefato una disciplina eccezionale, esso non può trovare applicazione al di fuori delle ipotesi ivi previste, da interpretare restrittivamente.

Afferma il giudice fiorentino che nell'accordo di prossimità le parti devono indicare in modo specifico le ragioni di fatto che consentono di correlare la disciplina negoziale derogatoria ivi prevista con le singole finalità indicate dal legislatore. A fronte della contestazione della ricorrente, è stato ritenuto onere della parte datrice-convenuta, la quale ha applicato il livello di ingresso previsto dal contratto di prossimità, quello di provarne la rispondenza al tipo delineato dalla norma di riferimento.

Tanto premesso, il contratto in esame non è stato ritenuto valido e, conseguente, non dotato di efficacia derogatoria della contrattazione collettiva nazionale. La disciplina ivi contenuta, infatti, è risultava priva della correlazione causale con una delle finalità previste dall'art. 8, d.l. n. 138 del 2011, sicché l'accordo aziendale non sarebbe riconducibile alla fattispecie contrattuale introdotta dalla disposizione prefata, dettando piuttosto una disciplina del livello di ingresso, con sotto-inquadramento iniziale del lavoratore, solo genericamente giustificata dallo scopo di conseguire una maggiore occupazione e sostenibilità dell'avviamento e della situazione aziendale. Il Tribunale ha dichiarato pertanto l'illegittimità dell'inferiore livello di ingrasso attribuito al momento dell'assunzione, riconoscendo il diritto della ricorrente al superiore inquadramento con le conseguenti differenze retributive. Il ricorso veniva rigettato nel resto.

Osservazioni

La dottrina ha assunto posizioni alquanto polemiche in merito al dettato normativo dell'art. 8. Taluni vi hanno individuato una riduzione della tutela del lavoratore mediante una destrutturazione della legislazione lavoristica, ponendo in discussione le fonti del diritto del lavoro e la loro gerarchia. Si potrebbero individuare tanti “diritti del lavoro” (con dubbi di costituzionalità in riferimento all'art. 3, Cost., potendosi generare differenziazioni di trattamento dei lavoratori) quante sono le realtà aziendali italiane nelle quali sono presenti, e operano sul piano negoziale, rappresentanze sindacali che l'art. 8 abilita alla contrattazione collettiva di prossimità. Non è mancato chi ha ravvisato nel fenomeno un potenziamento del contratto aziendale in deroga, svincolato da un controllo a monte da parte del contratto nazionale, rischiando di incrinare la logica solidaristica connotante quest'ultimo a vantaggio di una parcellizzazione della disciplina in sede aziendale, ove il sindacato può subire un maggiore condizionamento dalla controparte datoriale.

Tuttavia, secondo alcuni l'art.8 ha consentito una “svolta” in favore della estensione ultra partes dei contratti collettivi di secondo livello, ergo una deviazione dalla dogmatica dell'art. 1372, c.c. La nuova disciplina si presenterebbe, pertanto, come una risposta all'istanza di esigibilità dei contratti collettivi, intervenendo in un contesto nel quale difetta una legge la quale disponga l'efficacia erga omnes della contrattazione collettiva, incentivando le parti all'individuazione di soluzioni condivise.

In ogni caso è bene evidenziare come la capacità derogatorie di tali contratti venga connotata e condizionata da limiti interni ed esterni.

Il primo comma dell'art. 8 puntualizza che tali accordi debbono obbligatoriamente essere rispettosi dei vincoli finalistici (c.d. vincoli di scopo) quali, ad esempio, maggiore occupazione, qualità dei contratti di lavoro, emersione de lavoro irregolare, etc. Le parti dovranno pertanto individuare il contenuto finalistico del contratto che intendono sottoscrivere.

Sul punto, in dottrina, vi sono principalmente due orientamenti: secondo il primo l'indicazione dei c.d. limiti di scopo è irrilevante sul piano pratico, essendo essi ampi e generali, con incidenza negativa sulla possibilità di un efficace controllo giudiziale e, conseguentemente, sulla sanzionabilità di un accordo “afinalistico”; per l'altro esso garantirebbe la possibilità di controlli, anche penetranti, del giudice.

Seguendo tale ultima posizione, un deficit del contenuto finalistico potrebbe incidere sulla validità ed efficacia del contratto (nullità per contrasto con norma imperativa ovvero contrarietà ai canoni di razionalità/ragionevolezza), ove si consideri conditio sine qua non della deroga che l'accordo rispetti i criteri teleologici della disposizione normativa, con obbligo delle parti di accordarsi sui concreti obbiettivi che, mediante il contratto, esse intendono perseguire.

Ne discendono due conseguenze: sul piano formale il giudice potrebbe rilevare la nullità per il solo fatto dell'assenza testuale delle predette finalità (ma la sufficienza di una mera indicazione potrebbe condurre a risultati analoghi a quelli riscontrabili in ambito di riduzione del personale, laddove si assiste ad una “deresponsabilizzazione” del giudice circa le dichiarazioni con le quali si afferma l'assenza di alternative al licenziamento); l'indicazione delle finalità perseguite non potrebbe essere generica, dovendo invece indicarsi uno scopo specifico, così consentendo un controllo adeguato sulla adeguatezza/congruenza tra gli strumenti utilizzati e gli obbiettivi da raggiungere.

Evidentemente l'uso di quelle che potrebbero definirsi “formule di stile”, ossia il mero rinvio formale alle finalità indicate all'art.8, lascerebbe una discrezionalità praticamente senza limiti (entro il confine delle materie derogabili) alle parti contrattuali (considerato anche l'orientamento giurisprudenziale, formatosi in materia di trasferimento del lavoratore, secondo il quale il giudice è tenuto ad accertare la effettiva sussistenza dei presupposti di fatto, non potendosi spingere al merito della scelta che non dovrà essere inevitabile, risultando sufficiente che essa si concretizzi come una delle possibili soluzioni, tutte ragionevoli).

Non è mancato chi ha individuato come soluzione alternativa la possibilità che il giudice, optando per la conservazione del contratto, ponga a carico del datore l'onere di provare di aver considerato le finalità sottese alla regolamentazione predisposta, quindi in una prospettiva di valutazione del criterio finalistico ex ante, al momento dell'intesa, e non ex post, quando le disposizioni vengono concretamente applicate (Russo. A., Contrattazione in deroga, in Contrattazione in deroga. Accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e art. 8 del D.L. 138/2011, a cura di F. Carinci, Milano, 2012, p. 468).

In ogni caso, laddove la mera dichiarazione del perseguimento di una finalità contemplata dall'art. 8 si ritenga ex se non esaustiva e, pertanto, non legittimante la deroga, graverà sulle parti l'onere di indicare in modo dettagliato e preciso gli obbiettivi da raggiungere mediante le disposizioni derogatorie, analogamente a quanto è richiesto in ogni fattispecie legale in cui la norma vincola l'autonomia privata al rispetto di determinati vincoli causali o di scopo.

Si tiene a precisare che, sebbene il controllo giudiziale non possa essere limitato ad un giudizio di mera compatibilità tra mezzi e fini, dovendo essere considerata anche l'adeguatezza degli strumenti individuati, si dovrebbe escludere che esso possa in concreto tradursi in una valutazione di rigorosa/stretta necessità del mezzo utilizzato (sindacando in tale modo la scelta collettiva anche ove sia ipotizzabile il raggiungimento del medesimo obbiettivo senza procedere a deroghe e, dunque, riduzioni di tutela). Diversamente, l'applicazione del criterio di ragionevolezza potrebbe condurre ad invalidare le disposizioni negoziali qualora l'obbiettivo individuato si presenti insoddisfacente e/o sproporzionato rispetto al sacrificio imposto al lavoratore.

Per approfondire
  • Galli G., Lepore A., Gli accordi collettivi di prossimità tra contrarietà ai princìpi costituzionali e incertezze di sistema, in RGL, 2015, III, pp. 641 ss.;
  • Maresca A., La contrattazione collettiva aziendale dopo l'articolo 8 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, in Diritto delle relazioni industriali, 2012, I, pp. 16;
  • Perulli A., La contrattazione collettiva «di prossimità»: teoria, comparazione e prassi, in RIDL, 2013, 4, pp. 919 ss.;
  • Romei R., Qualche spunto di riflessione sull'art. 8 della manovra di agosto, in NelMerito.com, 2011.

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