Abbandonato dalla madre, trascorse 32 anni in ospedale psichiatrico senza ragione: risarcito per la privazione del diritto ad una famiglia

09 Settembre 2019

Dichiarato responsabile l'Ente che non aveva segnalato alle autorità competenti lo stato di abbandono morale e materiale in cui versava il minore, privandolo così del diritto ad una famiglia e, comunque, a vivere in un ambiente sano ed equilibrato.

Il caso. Essere ricoverati a partire dai nove anni di età presso un ospedale psichiatrico per 32 anni, allorquando si viene dimessi data la "capacità di autogoverno", senza aver mai avuto bisogno di psicofarmaci né aver avuto diagnosi di alcuna malattia mentale.
È quello che è capitato all'uomo che ha convenuto in giudizio l'ente chiedendo il risarcimento dei danni non patrimoniali subiti relativi alla privazione dei diritti fondamentali della persona, quali la libertà personale, la dignità e il decoro.
L'ente, da parte sua si era difeso affermando che la permanenza presso la struttura era avvenuta sino al compimento della maggiore età per ragioni esclusivamente umanitarie, in quanto è minore era stato abbandonato dalla madre e, successivamente, l'attore era poi rimasto volontariamente ospite del nosocomio, anche a seguito della trasformazione dello stesso in casa-famiglia avvenuta nel 1978.
Il Tribunale di Catanzaro, ritenuta la responsabilità della struttura per non aver segnalato alle autorità competenti lo stato di abbandono morale e materiale in cui versava il minore, conseguentemente privandolo del diritto ad una famiglia e a vivere in un ambiente sano ed equilibrato (anziché a contatto con pazienti cerebropatici), al pagamento della somma complessiva di euro 50.000 a titolo di danno non patrimoniale, per la perdita di chances di essere inserito in un nucleo familiare, mentre aveva escluso la liquidazione del danno biologico, in quanto non provato.
Il successivo giudizio di appello si era concluso con la sentenza di conferma di quanto statuito in primo grado.
Il danneggiato ha quindi proposto ricorso in Cassazione.

La disciplina penale per l'ingiusta detenzione non è applicabile in via analogica. La Suprema Corte ha affermato la correttezza delle due sentenze di merito.
Gran parte dei motivi di ricorso erano relativi da un lato alla liquidazione del danno, ritenuta inadeguata, dall'altro alla mancata liquidazione del danno biologico.
Relativamente al primo aspetto il ricorrente ha lamentato la mancata applicazione, in via analogica, del criterio previsto dall'articolo 314 c.p.p. per la riparazione per ingiusta detenzione.
In realtà, ha chiarito la Terza Sezione, ribadendo quanto già affermato dalla giurisprudenza di legittimità penale (si veda Cass. pen, sez. IV, sent. n. 17718 del 5 maggio 2008), "nonostante sia indubitabile che un TSO illegittimo colpisca la persona in modo simile all'ingiusta detenzione perché determina la restrizione della sua libertà personale ed effetti negativi sull'immagine, le relazioni ed il campo lavorativo, non è applicabile in via analogica in simile ipotesi la speciale disciplina dettata dagli artt. 314 e 315 c.p.p. per le fattispecie di detenzione cautelare ingiusta disposta ed eseguita in ambito penale".
Relativamente al secondo aspetto, è stato invece ricordato come il risarcimento del danno biologico, inteso quale lesione temporanea o permanente all'integrità psicofisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica una incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, sia subordinato all'esistenza di una lesione all'integrità psicofisica medicalmente accertabile, e e tale lesione sia stata esclusa dai giudici di merito con valutazione non censurabile in sede di legittimità.
Inoltre, il Tribunale aveva già tenuto conto, nel quantificare la somma dovuta a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, sia della compromissione delle relazioni con il mondo esterno che il danneggiato aveva subito a causa del prolungato ricovero presso l'Istituto, che del fatto che tale ricovero avesse indotto la persona a scelte di vita diverse da quelle che avrebbe potuto fare in assenza della condotta illecita tenuta dai sanitari dell'ente.

(FONTE: dirittoegiustizia.it)

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