I rapporti tra l'opposizione di terzo all'esecuzione e gli altri rimedi concessi al terzo nell'ambito dell'esecuzione in forma specifica

10 Settembre 2019

Finalità del presente lavoro è quella di stabilire la diversa “area” che l'istituto dell'opposizione di terzo all'esecuzione è capace di coprire rispetto agli altri rimedi dell'opposizione all'esecuzione e dell'opposizione di terzo ordinaria di cui al primo comma dell'art. 404 c.p.c. nell'ambito dell'esecuzione in forma specifica.
Inquadramento

Al pari di quanto accade per l'espropriazione forzata, non può ritenersi legittimato alla proposizione dell'opposizione di terzo all'esecuzione in forma specifica chiunque sia rimasto estraneo al processo esecutivo, dovendo questo dato negativo sommarsi con quello positivo rappresentato dal tipo di pregiudizio che il terzo deduce di aver subito dall'esecuzione.

In altre parole, anche nell'esecuzione forzata in forma specifica (oltre che nell'espropriazione), per individuare i soggetti legittimati all'esperimento dell'opposizione di cui all'art. 619 non è sufficiente fare riferimento, seppure a contrario, alla nozione di parte, dovendosi guardare anche al tipo di pregiudizio che il soggetto estraneo al processo esecutivo lamenta di aver subito in conseguenza dell'instaurazione del procedimento di esecuzione.

Superato ormai il dubbio sulla possibilità di riconoscere la legittimazione ad opporsi ex art. 619 c.p.c. anche avverso le esecuzioni specifiche (Punzi, La tutela del terzo nel processo esecutivo, Milano, 1971, 25), l'esigenza di individuare il tipo di pregiudizio che il terzo afferma aver subito nell'ambito di questi processi si avverte ben più che nell'espropriazione, giacché nelle esecuzioni dirette il rimedio dell'opposizione di terzo all'esecuzione concorre non solo con l'opposizione all'esecuzione, ma anche con il mezzo di impugnazione straordinario di cui al 1° comma dell'art. 404 c.p.c.

Finalità del presente lavoro è allora quella di stabilire la diversa “area” che l'istituto dell'opposizione di terzo all'esecuzione è capace di coprire rispetto agli altri differenti rimedi appena menzionati; a tale scopo, potrà essere utile chiarire in via preliminare le diverse funzioni soggettive, in termini di rimedio al pregiudizio del terzo, che questi strumenti realizzano.

Per individuare il ruolo e la funzione dell'opposizione di terzo all'esecuzione in forma specifica, allora, diviene opportuno, se non addirittura necessario, esaminare i caratteri e la funzione assolta dalle altre due opposizioni nell'esecuzione in forma specifica, limitando tuttavia l'esame di siffatti istituti al profilo concernente il tipo di pregiudizio che esse tendono rispettivamente ad evitare o riparare.

I terzi rispetto all'esecuzione in forma specifica

Prima ancora di procedere a siffatta analisi, pare utile a chi scrive individuare in via preliminare i soggetti che a ragione possono dirsi terzi rispetto al processo esecutivo instaurato nelle forme degli artt. 605 ss.

A tale scopo occorre chiedersi se la nozione di parte passiva enucleata nell'ambito dell'espropriazione (sul punto, v. Metafora, I rapporti tra l'opposizione di terzo all'esecuzione e l'opposizione ex art. 615 nell'ambito dell'espropriazione forzata) possa essere utilizzata anche nell'ambito delle esecuzioni dirette.

Tale tipo di esecuzione, infatti, presenta una struttura completamente diversa da quella dell'espropriazione forzata, a causa della differente funzione che essa persegue. Sorge allora legittimo il dubbio se la struttura del procedimento di esecuzione in forma specifica sia tale da imporre l'elaborazione di una diversa nozione di parte passiva del processo di esecuzione diretta (e a contrario di terzo estraneo ad essa) o se, invece, sia consentito rinviare ai concetti già individuati per il processo di espropriazione forzata.

Giacché funzione dell'esecuzione per consegna o rilascio (e dell'esecuzione degli obblighi di fare e disfare) è quella di mettere a disposizione dell'avente diritto lo strumento processuale per ottenere l'adeguamento della situazione di fatto alla situazione di diritto rispetto al possesso o alla detenzione di una cosa, unico effetto di tale forma di esecuzione è la perdita della detenzione corpore del bene da parte dell'esecutato e l'acquisto della stessa situazione da parte del procedente.

Al pari di quanto accade per le esecuzioni in forma generica, soggetto passivo di questa esecuzione è chi sia in concreto destinatario della pretesa esecutiva, a prescindere dalla circostanza che una tale qualifica risulti dal titolo esecutivo o dal precetto. Nonostante tale estraneità formale, questi deve considerarsi l'effettivo soggetto passivo dell'esecuzione, giacché solo lui, trovandosi nel possesso o nella detenzione del bene, è in grado di restituire il bene ricevuto e soddisfare la pretesa esecutiva dell'avente diritto.

La legittimazione del terzo ad agire con l'opposizione all'esecuzione

Se quanto appena affermato è corretto, allora se ne può ricavare la seguente affermazione: qualora il creditore agisca nei confronti di un soggetto senza che quest'ultimo sia stato indicato nel titolo esecutivo quale parte passiva, quest'ultimo potrà tutelarsi proponendo l'opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c., quale rimedio che il legislatore attribuisce a chi subisce l'esecuzione (poco importa stabilire se si tratti del debitore o di un terzo illegittimamente assoggettato all'esecuzione) e contesti il diritto dell'istante di procedere ad esecuzione forzata nei suoi confronti.

Più precisamente, in tanto il terzo possessore o detentore del bene oggetto dell'esecuzione è legittimato all'esperimento di siffatta opposizione, in quanto deduca la titolarità di un diritto autonomo e prevalente rispetto a quello accertato nel titolo esecutivo, come quando il creditore procedente risulti dal titolo esecutivo titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale sulla res oggetto dell'esecuzione e il terzo nel possesso del bene si opponga al processo esecutivo da questi instaurato nei suoi confronti al fine di ottenere la materiale disponibilità della cosa, sostenendo di avere su di essa un diritto prevalente di locazione.

Queste argomentazioni sono da tempo recepite anche dalla giurisprudenza, la quale, a partire dal 1985, afferma che il terzo detentore o possessore del bene, qualora venga materialmente assoggettato all'esecuzione per consegna o rilascio, è legittimato a proporre opposizione all'esecuzione, quale azione diretta a porre in discussione il diritto del creditore di esperire l'azione esecutiva ai suoi danni (ex multis v. più di recente Cass. civ., 13 febbraio 2015, n. 2855).

Sennonché, di recente, la Corte di cassazione, a Sezioni Unite, è tornata pronunciarsi sul tema dei rapporti tra opposizione di terzo all'esecuzione, opposizione ex art. 615 ed opposizione di terzo ordinaria ex art. 404 c.p.c., affermando che il terzo legittimato all'opposizione ordinaria ai sensi dell'art. 404, comma 1, c.p.c. non può, ancorché litisconsorte necessario pretermesso, proporre opposizione all'esecuzione promossa sulla base di un titolo giudiziale formatosi inter alios, salvo che sostenga che quanto stabilito dal predetto titolo sia stato soddisfatto oppure sia stato modificato da vicende successive, sicché non vi è più nulla da eseguire, nel qual caso deve ritenersi legittimato ai sensi dell'art. 615 c.p.c. Ove, inoltre, l'esecuzione del titolo formatosi inter alios si estenda al di fuori dell'oggetto previsto nella statuizione giudiziale, sicché l'esecuzione non è sorretta dal titolo, il terzo può opporsi, nelle forme dell'art. 619 c.p.c., quale soggetto la cui posizione è effettivamente incisa dalla esecuzione, ancorché formalmente terzo rispetto ad essa (Cass. civ.,Sez. Un., 23 gennaio 2015, n. 1238).

Invero, non pare che la decisione abbia comportato un reale revirement, continuandosi a registrare nelle decisioni più recenti della Corte di cassazione la conferma dell'orientamento tradizionale appena riportato.

Va allora confermato che il terzo rispetto sia al titolo esecutivo che al precetto, ma destinatario dell'attività esecutiva può avvalersi del rimedio di cui all'art. 615 c.p.c.; d'altronde, nel caso in cui l'esecuzione per consegna o rilascio venga portata contro il terzo possessore o detentore non indicato nel titolo, questi non si limita a sottrarre un proprio bene, ma contesta lo stesso «diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata» contro di lui: di qui l'assimilabilità della sua opposizione con l'opposizione ex art. 615 c.p.c.

L'opposizione di terzo all'esecuzione non può avere ad oggetto l'accertamento contenuto nel titolo esecutivo

Un ulteriore dato che può ritenersi senz'altro incontroverso è il seguente: l'opposizione di terzo all'esecuzione non può essere utilizzata dal terzo in tutti i casi in cui costui, con siffatto rimedio, intenda mettere in discussione il diritto accertato dal titolo esecutivo. È infatti principio pacifico che l'opposizione di terzo all'esecuzione può essere utilizzata dal terzo solo nei casi in cui, con tale mezzo di difesa, non intenda sottoporre a discussione il diritto accertato dal titolo esecutivo, ma semplicemente contestare l'efficacia di quest'ultimo nei suoi confronti.

Difatti, poiché la funzione tipica dell'opposizione di terzo all'esecuzione è quella di provocare una dichiarazione giudiziale di illegittimità dell'aggressione esecutiva sul bene di cui il terzo vanta la titolarità di un diritto reale o prevalente, l'accoglimento della relativa azione non comporterà mai la rimozione del titolo esecutivo, potendo questo essere utilizzato dal soggetto procedente per l'aggressione di altri beni di titolarità del debitore (nell'espropriazione forzata) o per l'aggressione di quelli individuati quali oggetto dell'esecuzione dal titolo esecutivo (nell'esecuzione forzata in forma specifica).

Con il rimedio di cui all'art. 619 c.p.c., insomma, il terzo non può mai mettere in discussione il diritto riconosciuto dal titolo esecutivo al soggetto procedente, ma unicamente ottenere che i beni di cui egli vanta la titolarità vengano sottratti al vincolo esecutivo apposto dal creditore sulla sua base, essendo le ragioni del pregiudizio da lui dedotto con l'opposizione da ravvisare non nell'esistenza del titolo, ma dallo svolgimento inter alios di un processo esecutivo coinvolgente beni di sua spettanza.

L'aver riconosciuto che la natura dell'opposizione di terzo all'esecuzione è tale da non consentire ai terzi di utilizzare questo strumento come mezzo di impugnazione del titolo esecutivo pone il problema dell'eventuale lesione del diritto di difesa dei terzi che affermino di ricevere un concreto pregiudizio non dall'instaurazione dell'azione esecutiva, ma dalla semplice esistenza del titolo esecutivo.

Sennonché, un problema siffatto non ha da porsi nei casi in cui il titolo esecutivo sia rappresentato da una sentenza, poiché l'ordinamento ha previsto l'opposizione di terzo di cui al 1° e 2° comma dell'art. 404 c.p.c., quale mezzo con cui il terzo può egualmente chiedere e ottenere l'eliminazione (o quantomeno la dichiarazione di inopponibilità) della decisione giurisdizionale che di fatto lo pregiudica. Ciò posto, il problema non può essere risolto solo in forza di queste scarne osservazioni, poiché occorre chiedersi quale sia il pregiudizio che legittima il terzo a proporre l'impugnazione di cui all'art. 404 c.p.c.

Brevi considerazioni sul ruolo e sulla funzione rivestiti dall'opposizione di terzo ex art. 404, comma 1 c.p.c.

Per risolvere la questione finium regundorum tra l'opposizione di terzo all'esecuzione e l'opposizione di terzo ordinaria ex art. 404 c.p.c. occorre considerare che prima della emanazione di una sentenza che regoli i rapporti tra le parti del processo, la situazione di incompatibilità tra il diritto dedotto in giudizio e quello del terzo è risolta in via generale ed astratta dall'ordinamento, che a tale scopo detta delle regole (di natura sostanziale) destinate a stabilire la prevalenza di una situazione giuridica rispetto all'altra.

La pronuncia della sentenza, determinando la sostituzione della regula juris generale ed astratta con quella contenuta nel dictum giudiziale, comporta il venir meno (rectius: l'irrilevanza) delle prime. Il terzo, perciò, sebbene sul piano sostanziale sia titolare di una situazione giuridica prevalente rispetto a quella accertata dalla sentenza tra le parti originarie, vede sacrificato il suo diritto, laddove la parte soccombente ottemperi il dictum contenuto nella sentenza.

Da ciò il sorgere di un pregiudizio per il terzo, dovendo l'obbligato prestare ossequio alla pronuncia del giudice, adempiendo nei confronti della parte vittoriosa con sacrificio della posizione del terzo, pur sostanzialmente prevalente. Pertanto, perché si produca il pregiudizio per il terzo non basta la semplice pronuncia della sentenza, occorrendo che questa sia passata in giudicato o sia quantomeno esecutiva, giacché è tale potenziale esecuzione a colpire la sfera giuridica del terzo. Sono solo le modificazioni materiali o giuridiche, indotte dalla condotta ottemperante nel dictum inter alios a pregiudicare il terzo.

È per queste ragioni che il legislatore del 1940 ha attribuito al terzo l'opposizione di cui all'art. 404, comma 1, c.p.c., quale rimedio di “chiusura”, con cui gli è data la possibilità di eliminare, o quanto meno di rendere a sé inopponibile, la sentenza resa inter alios, che, sebbene inidonea a produrre effetti nei suoi confronti, è in grado di pregiudicarlo.

Queste considerazioni, unite a quelle svolte nelle precedenti pagine, permettono allora di delineare i confini tra l'opposizione di terzo ordinaria ex art. 404 c.p.c. e l'opposizione all'esecuzione.

Soggetto passivo dell'esecuzione (in forma specifica) è il concreto destinatario della pretesa esecutiva, a prescindere dalla circostanza che tale qualifica risulti dal titolo esecutivo o dal precetto. L'ufficiale giudiziario, pertanto, potrà procedere contro chiunque si trovi nel possesso del bene da consegnare o rilasciare, senza dover effettuare una previa verifica dell'idoneità soggettiva del titolo a fondare quell'esecuzione coattiva.

Sennonché, non è dubbio che qualora egli agisca nei confronti di un soggetto senza che quest'ultimo sia stato indicato quale parte passiva nel titolo (o sia sottoposto alla sua efficacia esecutiva), l'esecuzione dovrà considerarsi illegittima. Il terzo possessore, divenuto parte passiva del processo esecutivo, avrà allora la possibilità di reagire all'esecuzione illegittimamente avviata nei suoi confronti tramite l'opposizione all'esecuzione, essendo questo il rimedio che il legislatore attribuisce a chi subisce l'esecuzione (poco importa stabilire se si tratti del debitore o di un terzo illegittimamente assoggettato all'esecuzione) e contesti il diritto dell'istante di procedere ad esecuzione forzata nei suoi confronti.

Mediante l'opposizione all'esecuzione, insomma, si ottiene il risultato di assicurare la corrispondenza tra l'azione esecutiva e il diritto di procedervi, in quanto con essa si ottiene l'accertamento dell'esistenza (o meno) del diritto del creditore alla tutela esecutiva; se così è, tra i motivi che possono essere posti a base dell'opposizione vi è anche la contestazione della propria legittimazione passiva: l'opponente può cioè negare il diritto del creditore a procedere in executivis nei suoi confronti, per non essere egli parte passiva del titolo esecutivo o per non essere comunque soggetto alla sua efficacia.

Nelle esecuzioni in forma specifica, quindi, il soggetto (terzo rispetto sia al titolo esecutivo che al precetto, ma) destinatario dell'attività esecutiva si trova in una posizione analoga a quella del debitore e del terzo assoggettato all'esecuzione ex art. 615; dunque, egli non può avvalersi del rimedio di cui all'art. 619; d'altronde, per l'inapplicabilità di siffatta opposizione al caso in esame milita la considerazione – decisiva – che, nel caso in cui l'esecuzione per consegna o rilascio venga portata contro il terzo possessore o detentore non indicato nel titolo, questi non si limita a sottrarre un proprio bene, ma contesta lo stesso «diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata» contro di lui: di qui l'assimilabilità della sua azione con l'opposizione ex art. 615 c.p.c.

Individuata la funzione dell'opposizione all'esecuzione nella contestazione del diritto di procedere ad esecuzione forzata, diviene allora semplice differenziare tale strumento di tutela dal mezzo di impugnazione straordinario di cui all'art. 404 c.p.c.: scopo di quest'ultimo, infatti, non è quello di respingere l'aggressione esecutiva illegittimamente perpretata ai danni del terzo possessore o detentore del bene oggetto dell'azione esecutiva, ma ottenere la distruzione del titolo stesso. La differente struttura e funzione dei due rimedi non ne esclude però la concorrenza.

In particolare, il terzo potrà contestare il titolo esecutivo sotto due distinti profili: o perché si è formato in un procedimento al quale egli è rimasto estraneo, conclusosi con un provvedimento pregiudizievole per il suo diritto, ovvero perché il titolo, legittimamente formato inter partes, pregiudica la sua relazione materiale con il bene.

Nel primo caso, siccome mira a distruggere il titolo, facendo riconoscere l'incompatibilità tra esso e il suo diritto, il terzo deve ritenersi legittimato alla proposizione dell'opposizione di terzo ordinaria di cui all'art. 404 c.p.c., al fine di impedire che il regolamento degli interessi ottenuto con la sentenza resa inter alios possa essere posto in esecuzione volontaria o coatta, così ledendo la sua posizione giuridica; nel secondo caso, invece, poiché mira solo a negare che il titolo sia efficace nei propri confronti, e quindi a incidere sulla sua situazione di possessore o detentore, si limiterà a contestare la propria legittimazione passiva all'esecuzione mediante lo strumento dell'opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c.

I rapporti tra l'opposizione ordinaria ex art. 404 e l'opposizione di terzo all'esecuzione

Individuata la funzione dell'opposizione all'esecuzione ed il suo ambito di applicazione con riguardo all'opposizione del terzo alla sentenza, non resta altro che verificare quale sia lo spazio che l'opposizione di terzo ex art. 619c.p.c. ricopre nelle esecuzioni dirette.

Come è noto, l'opposizione di terzo in sede esecutiva serve a costui per difendersi da errori che siano nati nel processo esecutivo e che non derivino dal titolo.

Si pensi al caso in cui, nel corso di un'esecuzione di beni immobili, pur risultando dal titolo esecutivo che la condanna al rilascio investe solo una porzione di un determinato immobile, per errore dell'ufficiale giudiziario, l'istante ottenga il rilascio di un'altra porzione di immobile appartenente ad un terzo; ancora al caso in cui, nel corso di una esecuzione per consegna di beni mobili, l'ufficiale giudiziario apprenda beni diversi da quelli descritti nel titolo; casi analoghi possono verificarsi anche in materia di esecuzione forzata per obblighi di fare e di non fare, potendo accadere che, durante lo svolgimento delle opere materiali per la distruzione di un muro, si proceda al di là dei limiti fissati dal titolo e si tenti di demolire non solo la parte di immobile di proprietà dell'obbligato, ma anche quella del vicino.

Se tale opposizione serve a contestare gli errori compiuti dall'ufficiale giudiziario durante lo svolgimento del processo esecutivo, allora, nell'ambito dell'esecuzione per consegna o rilascio, è concessa solo al possessore o detentore del bene che si assume essere stato per errore sottoposto ad esecuzione. Per tale motivo, l'opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. non può essere utilizzata per acquisire un possesso che non si ha: essa, in sostanza, serve a difendere lo ius possessionis, non lo ius possidendi.

In altre parole, l'opposizione di terzo all'esecuzione è rimedio utilizzabile dal debitore solo laddove vi sia una divergenza tra il bene indicato dal titolo esecutivo e quello materialmente appreso ai fini della consegna o del rilascio.

Detta opposizione, pertanto, non può dirigersi contro il titolo esecutivo, né può essere utilizzata dal terzo in tutti i casi in cui questi intenda con tale strumento mettere in discussione il diritto accertato dal titolo esecutivo.

Da tali osservazioni discende quale conseguenza naturale che il terzo titolare di un diritto autonomo ed incompatibile che non ha il godimento del bene non può ritenersi legittimato ad esperire l'azione in opposizione di cui all'art. 619 c.p.c.: costui, qualora intenda mettere in discussione il titolo esecutivo azionato nei suoi confronti, potrà esperire lo strumento del- l'opposizione di terzo ordinaria ex art. 404 c.p.c.

Questa conclusione trova la sua ratio nel cd. principio dell'onere del gravame: le opposizioni all'esecuzione non possono essere utilizzate per contestare il titolo esecutivo giudiziale, poiché, altrimenti rischiano di divenire un doppione dei mezzi di impugnazione.

È, perciò, chiara la ragione per cui l'opposizione ex art. 619 c.p.c. può essere utilizzata solo per gli errori da esecuzione e non per quelli da titolo. Come con l'opposizione all'esecuzione non è possibile rimettere in discussione il contenuto del titolo giudiziale, essendo a tal fine idonei solo i mezzi di impugnazione esperibili contro di esso, così con l'opposizione ex art. 619 c.p.c. è consentito al terzo di opporsi all'esecuzione solo quando la lamentata lesione del suo diritto alla difesa nasca non già dal contenuto del titolo, ma dal modo (assunto) illegittimo della sua esecuzione.

Guida all'approfondimento
  • Balestra, Le opposizioni di terzi all'esecuzione, Milano, 2019;
  • Cirulli, Le opposizioni nel processo esecutivo, Milano, 2018;
  • Cecchella, L'opposizione del terzo alla sentenza, Torino, 1995;
  • Fabbrini, L'opposizione ordinaria del terzo nel sistema dei mezzi di impugnazione, Mi-lano, 1968;
  • Metafora, L'opposizione di terzo all'esecuzione, Napoli, 2012;
  • Oriani, Opposizione all'esecuzione, in Digesto civ., XIII, Torino, 1995, 608;
  • Vaccarella, Opposizioni all'esecuzione, in EG, XXI, Roma, 1990, 4 ss.

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