Dall’eccezione di prescrizione dell’azione di ripetizione del correntista alla struttura del rapporto di conto corrente

10 Settembre 2019

L'onere di allegazione gravante sull'istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l'eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l'azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da un'apertura di credito, è soddisfatto con l'affermazione dell'inerzia del titolare del diritto e la dichiarazione di volerne profittare, senza che sia anche necessaria l'indicazione di specifiche rimesse solutorie.
Massima

L'onere di allegazione gravante sull'istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l'eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l'azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da un'apertura di credito, è soddisfatto con l'affermazione dell'inerzia del titolare del diritto e la dichiarazione di volerne profittare, senza che sia anche necessaria l'indicazione di specifiche rimesse solutorie.

Il caso

Ribaltando la sentenza di primo grado, la Corte di Appello di Lecce condannava l'istituto di credito citato in giudizio dal correntista per la restituzione di somme indebitamente versate in due conti correnti di corrispondenza, al pagamento dei soli importi relativi ai versamenti dei quali era stata accertata la natura ripristinatoria. Con riferimento alle somme riconducibili a versamenti di carattere solutorio, infatti, la Corte di Appello accoglieva l'eccezione di prescrizione sollevata dalla banca.

Proposto ricorso per cassazione da parte del correntista, la causa veniva assegnata alle Sezioni Unite per la risoluzione del contrasto interpretativo in ordine alla questione relativa alle modalità con le quali deve essere formulata, per essere reputata ammissibile, l'eccezione di prescrizione dell'azione di ripetizione.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Sulla questione sottoposta al suo scrutinio, la Corte di cassazione afferma il principio per cui l'eccezione di prescrizione dell'azione di ripetizione proposta dal correntista è validamente proposta anche in assenza dell'esatta e specifica individuazione dei singoli pagamenti con riguardo ai quali si reputa maturata la prescrizione e delle date nelle quali sono stati effettuati; basta, infatti, che l'istituto di credito affermi l'inerzia del correntista e dichiari di volersene avvalere.

La motivazione posta a fondamento del principio di diritto affermato dal giudice della nomofilachia prende le mosse dalla condivisione dell'orientamento (riconducibile all'arresto di Cass. civ., Sez. un., 2 dicembre 2010, n. 24418) che distingue tra rimesse di carattere solutorio e rimesse di carattere ripristinatorio.

Precisato che l'allegazione processuale si identifica con l'affermazione di fatti processualmente rilevanti posti a base dell'azione o dell'eccezione, senza comprendere la loro qualificazione giuridica (che compete al giudice), i giudici di legittimità pongono in evidenza la distinzione tra onere di allegazione (che attiene alla delimitazione del thema decidendum) e onere della prova (che ha per oggetto i fatti e le circostanza ritualmente allegati); poiché l'onere di allegazione riguarda i fatti principali e dal momento che il fatto principale e l'elemento qualificante dell'eccezione di prescrizione è rappresentato dall'inerzia del titolare del diritto (non rilevando, in questo senso, da quando si è protratta, dal momento che non esistono tanti tipi di prescrizione in relazione al tempo del suo maturarsi), sarebbe ultroneo pretendere che il convenuto debba specificare il termine inziale dell'inerzia dell'attore (così come, a parti invertite, non sarà necessario che quest'ultimo, per proporre validamente l'azione di ripetizione, specifichi e individui le singole rimesse tradottesi in pagamenti reputati indebiti).

Il problema della specifica individuazione della natura solutoria ovvero ripristinatoria delle rimesse non attiene all'onere di allegazione, ma al profilo probatorio, sicché non influisce sulle modalità di formulazione dell'eccezione di prescrizione, che – come detto – è da considerarsi ritualmente introdotta laddove la banca convenuta si sia limitata ad affermare l'inerzia del correntista, dichiarando di volersi avvalere di tale inerzia.

Osservazioni

Sebbene la sentenza che si annota sia intervenuta su un tema di carattere squisitamente processuale, le implicazioni sottese al principio di diritto affermato ovvero i presupposti che hanno condotto alla sua individuazione offrono spunti interessanti per un discorso più ampio, che riguarda la natura e le modalità di funzionamento del rapporto di conto corrente.

Come detto, i giudici di legittimità dichiarano di condividere, reputandola meritevole di conferma, la distinzione tra atti ripristinatori della provvista e atti di pagamento elaborata dalle medesime Sezioni Unite con la sentenza n. 24418 del 2010 in materia di prescrizione dell'azione di ripetizione dell'indebito del correntista. Tale distinzione, che riprende e fa propria l'elaborazione giurisprudenziale sul tema della revocabilità delle rimesse affluite sul conto corrente dell'imprenditore poi fallito, si fonda sui seguenti argomenti:

- il pagamento consiste nell'esecuzione di una prestazione comportante uno spostamento patrimoniale da un soggetto a un altro;

- l'apertura di credito, a termini degli artt. 1842 e 1843 c.c., si attua mediante la messa a disposizione, da parte della banca, di una somma di denaro che il cliente può utilizzare in più riprese e della quale, per l'intera durata del rapporto, può ripristinare in tutto o in parte la disponibilità, eseguendo versamenti che gli consentiranno eventuali ulteriori prelevamenti entro il limite accordatogli;

- pertanto, potranno essere considerati pagamenti i versamenti eseguiti su un conto corrente con saldo passivo (o scoperto) cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista o che siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell'accreditamento (in caso di conto corrente affidato);

- al contrario, non potranno essere considerati tali i versamenti che, per essere intervenuti quando il passivo non ha superato il limite dell'affidamento concesso dalla banca con l'apertura di credito, fungono unicamente da atti ripristinatori della provvista, dal momento che un versamento eseguito dal correntista su un conto il cui passivo non abbia superato detto limite non ha né lo scopo né l'effetto di soddisfare la pretesa dell'istituto di credito di vedersi restituire le somme concesse (che, in quel momento, non sarebbero esigibili), bensì quello di riespandere la misura dell'affidamento utilizzabile nuovamente in futuro dal correntista, ampliandone ovvero ripristinandone la facoltà di indebitamento.

Nell'indirizzo inaugurato dalla pronuncia del 2010 viene riscontrato un particolare rigore logico nell'individuazione dell'atto giuridico qualificabile come pagamento nell'ambito dello specifico rapporto di conto corrente bancario, in cui il saldo passivo non è immediatamente esigibile dalla banca (fintantoché il rapporto non viene interrotto o non si estingue).

Il pur autorevole arresto delle Sezioni Unite, costantemente applicato dalla giurisprudenza successiva, è stato, tuttavia, sottoposto a meditata critica da parte di alcuni tribunali (si veda, in particolare, Trib. Verona, 27 ottobre 2015, in ilcaso.it), essendosene messo in discussione il punto di partenza:

- sia per quanto concerne la ricostruzione del rapporto bancario (in termini di rapporto giuridico unitario articolantesi in una pluralità di atti esecutivi, consistenti in versamenti e prelevamenti ovvero accrediti e addebiti, comportanti mere variazioni quantitative, giuridicamente irrilevanti, del rapporto medesimo, con riguardo al quale i crediti e i debiti delle parti possono essere individuati solo a seguito della chiusura del conto);

- sia per quanto riguarda l'estensibilità della distinzione tra rimesse solutorie e ripristinatorie elaborata in ambito fallimentare ai fini dell'esperimento dell'azione revocatoria.

Il discrimine tra le due correnti di pensiero si appunta sull'evento che rende ripetibile la somma indebitamente appostata sul conto corrente, individuato nella chiusura di quest'ultimo dall'orientamento della giurisprudenza di legittimità (salvo che si tratti di rimessa avente carattere solutorio, nei termini dianzi riferiti, non potendo la banca chiedere l'estinzione del saldo passivo prima della chiusura del conto), piuttosto che nell'annotazione in conto, secondo la succitata pronuncia di merito (in precedenza, si erano espressi nello stesso senso Trib. Teramo, 18 gennaio 2010; App. Brescia, 16 gennaio 2008, in ilcaso.it, Trib. Novara, 2 maggio 2006).

A giudizio del tribunale scaligero, infatti, il carattere unitario del contratto di conto corrente (che dà luogo a un unico rapporto giuridico anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi) non costituisce elemento decisivo al fine di individuare nella chiusura del conto il termine iniziale di decorrenza della prescrizione. Né viene reputata utilmente esportabile in settori diversi da quello fallimentare la distinzione tra rimesse solutorie e ripristinatorie, attese le sensibili differenze che caratterizzano la posizione del semplice correntista (in bonis) e dell'imprenditore fallito (cui si affiancano esigenze di tutela del concorso dei creditori e di par condicio che esulano da fattispecie nelle quali non si abbia a che fare con situazioni di dissesto).

Al contrario, l'attenzione deve concentrarsi sulla funzione e sugli effetti giuridici dell'annotazione a debito in conto corrente bancario (che, secondo la Corte di cassazione, non si risolve in un pagamento), tenuto conto di quanto stabilito dall'art. 1832 c.c. (richiamato, quanto alle operazioni regolate in conto corrente, dall'art. 1857 c.c.), il quale, nel fare riferimento alla liquidazione periodica del conto per disciplinare il meccanismo di impugnazione di errori di scritturazione o di calcolo, delinea “un rapporto astrattamente suscettibile di essere suddiviso in plurimi segmenti distinti, ognuno dei quali corrispondente al periodo intercorrente tra l'una e l'altra liquidazione periodica” (così la pronuncia del Tribunale di Verona). Di qui, l'affermazione per cui lo spostamento patrimoniale dal correntista alla banca (avente per oggetto rimborso di spese sostenute, restituzione di somme anticipate e interessi maturati) si verifica, per iniziativa della banca medesima, in corrispondenza di ogni chiusura periodica del conto e non già di quella definitiva.

Avendo, quindi, a riferimento la disciplina del rapporto di conto corrente bancario, il Tribunale di Verona pone l'accento sull'art. 1852 c.c., che stabilisce la regola secondo cui il correntista può disporre in ogni momento delle somme risultanti a suo credito: da tale premessa, deriva che “la funzione centrale del negozio si individua “…nella conversione della moneta legale in moneta bancaria, scritturale, con pieno valore solutorio nei rapporti tra banca e cliente”, cioè nella regolazione dei reciproci rapporti di dare e avere tra le parti tramite annotazione e conseguente immediata variazione del saldo disponibile (non essendo un caso – come sottolinea la dottrina richiamata – che il codice parli, avuto riguardo al correntista, non già del diritto di esigere crediti via via annotati bensì del diritto di disporre delle somme risultanti a suo credito, cioè del saldo, e di disporne “in qualsiasi momento”, dove l'immediata disponibilità del saldo del conto corrisponde per la moneta bancaria alla fisica e immediata disponibilità della moneta legale, essenziale a quest'ultima per il concreto esercizio del potere di acquisto)”.

In quest'ottica, l'annotazione – ovvero la sequenza di annotazioni – incide sul saldo disponibile, che, per effetto di essa, si modifica continuamente: in tale modo, a ogni annotazione corrisponde un vero e proprio spostamento patrimoniale immediato e anticipato rispetto all'evidenza contabile che di esso offre l'estratto conto periodico che l'ha recepita.

In altre parole, se è vero che il correntista può pretendere in ogni momento il pagamento di somme risultanti a suo credito e visto che l'annotazione a debito erode la provvista disponibile (sicché non potrà mai ricevere un importo diverso da quello risultante a seguito dell'annotazione medesima), dall'art. 1852 c.c. si evince che in corrispondenza di ogni annotazione va ravvisato un “pagamento” da cui decorre il termine di prescrizione del diritto alla ripetizione del corrispondente importo.

D'altro canto, la ricostruzione del meccanismo sotteso al conto corrente bancario con apertura di credito proposta dalla dottrina occupatasi del tema dell'addebito degli interessi e della loro natura anatocistica (si vedano i richiami a Ferro Luzzi, a Brescia Morra e a Marra, nonché a Barba, da parte di Salnitro, L'inizio della decorrenza della prescrizione dell'azione di ripetizione degli interessi anatocistici nel conto corrente bancario: orientamenti giurisprudenziali e soluzioni legislative, in Banca borsa tit. cred. 2011, fasc. 3, 400) conforta un'impostazione nei termini prospettati dal Tribunale di Verona: in particolare, è stato affermato che il diritto della banca di riscuotere gli interessi di volta in volta maturati e annotati in conto (ma non vi è chi non veda come il ragionamento possa essere esteso a qualunque tipologia di annotazione a debito) sarebbe automaticamente estinto, al momento dell'annotazione, ricorrendo alle somme disponibili o perché precedentemente versate dal correntista, o perché messe a disposizione dalla stessa banca attraverso l'apertura di credito (entro i limiti del fido e anche oltre). L'estinzione del credito della banca con somme derivanti dalla stessa apertura di credito determina, in quest'ottica, uno spostamento patrimoniale in suo favore e, nel contempo, la nascita di un nuovo e diverso credito (avente per oggetto la restituzione della somma resa disponibile con l'apertura di credito e utilizzata per estinguere l'addebito di cui all'annotazione), di modo che la distinzione tra rimesse solutorie e ripristinatorie viene a sfumare sino a divenire sostanzialmente irrilevante.

Conclusioni

Obiettivamente la giurisprudenza di legittimità assolutamente prevalente, nell'impostare la questione di carattere processuale su cui le Sezioni Unite sono state chiamate a pronunciarsi, ha assunto come presupposto e base di partenza la distinzione tra i due tipi di rimesse fatta propria e valorizzata dalla pronuncia n. 24418 del 2010, rilevando, altresì, che i versamenti eseguiti in conto corrente hanno normalmente funzione ripristinatoria e che, dunque, tale natura è da ritenersi presunta.

In realtà, poiché l'elaborazione di tale distinzione è avvenuta – come detto – nell'ambito e in funzione della revocatoria fallimentare di rimesse bancarie, il modo in cui il legislatore è intervenuto sulla disciplina dell'azione, modificandone la struttura, è stato letto come un segnale di crisi dell'impianto ricostruttivo che la sentenza annotata ha dichiarato di condividere e di reputare meritevole di conferma.

In effetti, con l'art. 2, comma 1, lett. a), d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito in l. 14 maggio 2005, n. 80, il legislatore, innovando l'art. 67 l.fall., ha ancorato la revocabilità delle rimesse a un'indagine incentrata esclusivamente sulla loro consistenza e durevolezza. Atteso che lo scopo della modifica è stato ravvisato nella volontà di offrire un criterio più agile e sicuro a fronte delle problematiche insite nell'individuazione della natura solutoria o ripristinatoria delle rimesse, in quanto meno dipendente da verifiche dagli esiti incerti e collegato a un dato oggettivo e non strumentalizzabile (a differenza del recesso della banca dall'affidamento concesso), vale la pena ricordare, come anche di recente evidenziato da Vigna Taglianti, Il presupposto oggettivo della revocatoria fallimentare di rimesse in conto corrente: passato, presente e futuro, in Riv. Dott. Comm., 2019, fasc. 1, 82, che:

- quanto all'indice della consistenza delle rimesse, l'importo degli accrediti a valere sul conto corrente va comparato all'entità massima raggiunta dall'esposizione debitoria nel periodo sospetto, ovvero nel momento in cui le rimesse sono state effettuate, all'entità media dei versamenti e dei prelevamenti, all'entità del massimo importo revocabile ex art. 70, comma 3, l.fall.;

- quanto all'indice della durevolezza, l'effetto durevole e consistente della rimessa va considerato alla luce dell'andamento del rapporto e delle movimentazioni del conto, individuando l'apprezzabile stabilità nel tempo dell'effetto solutorio, sicché soltanto al versamento con effetto riduttivo consistente che non venga compensato da successivi prelevamenti (non inferiore ma non tale da ridurre il ripianamento al di sotto della soglia di consistenza) può associarsi l'effetto della durevole riduzione dell'esposizione debitoria.

In questo modo, si può apprezzare come anche in ambito fallimentare sia stata superata la tradizionale distinzione tra rimesse solutorie e ripristinatorie.

Peraltro, attesa la persistente diversità di opinioni riscontrabile sulla problematica (di carattere squisitamente sostanziale) inerente all'atteggiarsi del rapporto di conto corrente bancario, ovvero alla sua conformazione e alle modalità di svolgimento, non è affatto peregrino auspicare che, indipendentemente dall'esistenza di un vero e proprio contrasto all'interno della giurisprudenza di legittimità, intervenga un pronunciamento nomofilattico sulla questione.

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