L'avvocato deve informare il cliente sui rischi della causa
10 Settembre 2019
La condanna ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c. è volta a salvaguardare finalità pubblicistiche, correlate all'esigenza di una sollecita ed efficace definizione dei giudizi, e a sanzionare la violazione dei doveri di lealtà e probità sanciti dall'art. 88 codice di rito c.p.c. realizzata attraverso un abuso della potestas agendi.
Il caso. Nel caso in esame un avvocato aveva convenuto in giudizio i propri assistiti per ottenere il riconoscimento dei propri onorari per l'attività professionale prestata consistente nella proposizione di una domanda giudiziale testa ad ottenere il risarcimento del danno dallo Stato italiano ai sensi della Direttiva 2004/80/CE sulle vittime di reato che è stata rigettata stante l'inapplicabilità della citata disposizione. Il Giudice di prime cure aveva rigettato la domanda per violazione del dovere di informazione ai propri clienti dell'esito quasi sicuramente negativo della domanda giudiziale proposta con condanna ai sensi dell'art. 96, comma 3, codice di rito per non essersi neppure presentato a rendere l'interpello. Decisione che, poi, è stata integralmente confermata dalla Corte d'appello.
La posizione della Corte. Il Supremo Collegio ha confermato la decisione di merito asserendo che il legale non aveva dimostrato di aver esaustivamente informato il proprio assistito in merito all'esito sicuramente negativo del giudizio di risarcimento proposto nei confronti dello Stato italiano. Di certo l'onere probatorio non può essere ritenuto soddisfatto, come asserito dal ricorrente, stante l'inserimento nella notula pro forma della voce “consultazioni con il cliente” essendo necessario dimostrare specificamente la corretta informativa.
La condanna per la lite temeraria. Il Giudice di legittimità ha inoltre ribadito che la condanna ai sensi dell'art. 96, comma 3, codice di rito ha due finalità: una volta a tutelare l'interesse pubblicistico correlato a una pronta e sollecita definizione dei giudizi e l'altra tesa a sanzionare la violazione dei doveri di lealtà e probità sanciti, di cui all'art. 88 codice di rito, realizzati attraverso un vero e proprio abuso della potestas agendi con una utilizzazione del potere di promuovere la lite con conseguente produzione di effetti pregiudizievoli per la controparte. All'uopo non è necessario fornire la prova del danno ma è sufficiente dimostrare la consapevolezza dell'infondatezza della domanda o la colpa grave intesa come carenza dell'ordinaria diligenza volta all'acquisizione di detta consapevolezza.
*Fonte: www.dirittoegiustizia.it
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