Tentativo di conciliazione in tema di telecomunicazioni e procedimento monitorio: obbligatorietà e conseguenze processuali

Lunella Caradonna
12 Settembre 2019

La Suprema Corte, nella pronuncia in commento, ha affrontato le seguenti problematiche: l'obbligatorietà o meno del tentativo di conciliazione nella materia delle telecomunicazioni avuto specifico riguardo al procedimento monitorio; le conseguenze in termini di improcedibilità o improponibilità, del mancato assolvimento del tentativo di conciliazione, ove ritenuto obbligatorio; nel caso in cui il tentativo di conciliazione non sia ritenuto obbligatorio, su quale parte grava l'onere di attivazione del tentativo in sede di opposizione a decreto ingiuntivo e quali siano le conseguenze in caso di mancato esperimento del tentativo di conciliazione sulla sorte del decreto ingiuntivo opposto.
Massima

La questione di massima di particolare importanza rimessa al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite è la seguente: l'individuazione di univoci criteri di riferimento che consentano agli operatori del diritto (ed ai consociati) di conoscere preventivamente se, in materia di telecomunicazione, sia o meno obbligatorio il tentativo di conciliazione nella fase monitoria; ed ancora, in caso affermativo, quali siano le conseguenze del suo mancato esperimento; in caso negativo, infine – sempre che si ritenga applicabile per estensione la normativa posta dal d.lgs. n. 28/2010, con disapplicazione della Delib. AGCOM 173/07/CONS, art. 2, comma 2 – quale sia la parte gravata dall'onere di attivazione del tentativo di conciliazione.

Il caso

La società Telecom Italia spa agisce in sede monitoria chiedendo l'emissione di un decreto ingiuntivo nei confronti della società Noatel (già Karupa) per il pagamento della fornitura di servizi di telecomunicazione mobile.

Nel giudizio di opposizione il Tribunale revoca il decreto ingiuntivo e dichiara improcedibile la domanda di pagamento perché non era stato espletato, prima del deposito del ricorso monitorio, il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dalla legge 31 luglio 1997, n. 249 e dalla Deliberazione n. 182/02/CONS del 19 giugno 2002 dell'Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni.

La Corte d'appello di Roma conferma la statuizione del giudice di primo grado con sentenza nei cui confronti la società Telecom Italia spa ha proposto ricorso alla Corte di cassazione, con un unico motivo di ricorso e formulando in via subordinata eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 11, della legge 31 luglio 1997, n. 249 in relazione ai parametri di cui agli articoli 3, 24, 102 e 76 Cost.

La questione

La questione sottoposta all'esame della Corte di cassazione implica la risoluzione di più problematiche: l'obbligatorietà o meno del tentativo di conciliazione nella materia delle telecomunicazioni avuto specifico riguardo al procedimento monitorio; le conseguenze in termini di improcedibilità o improponibilità, del mancato assolvimento del tentativo di conciliazione, ove ritenuto obbligatorio; nel caso in cui il tentativo di conciliazione non sia ritenuto obbligatorio, su quale parte grava l'onere di attivazione del tentativo in sede di opposizione a decreto ingiuntivo e quali siano le conseguenze in caso di mancato esperimento del tentativo di conciliazione sulla sorte del decreto ingiuntivo opposto.

Le soluzioni giuridiche

Va preliminarmente affermato che la Corte di cassazione ha ritenuto di trasmettere gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite delle questioni di massima di particolare importanza esposte nell'ordinanza in commento.

I Giudici di legittimità, dopo avere proceduto all'esame della “cornice normativa”, con l'espresso richiamo dell'art. 34 della Direttiva 2022/22/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio in data 07/03/2002, relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica, che è stata attuata in Italia con il decreto legislativo 1 agosto 2003, n. 259 (Codice delle Comunicazioni Elettroniche) e la Deliberazione n. 173/07/CONS con la quale è stato adottato il regolamento per la risoluzione extragiudiziale delle controversie (sostitutivo di quello previsto dalla Deliberazione AGCOM 182/02/CONS, sopra richiamato), ha richiamato la giurisprudenza sul punto della Corte costituzionale e della Corte di giustizia dell'Unione europea.

In particolare, precisano i Giudici di legittimità, la Corte costituzionale ha chiarito che:

  • l'interesse che il legislatore vuole soddisfare con la previsione delle procedure obbligatorie di conciliazione è quello della parte che ottiene il soddisfacimento al quale aspira con il ricorso alla tutela giurisdizionale e non è, piuttosto, quello degli uffici giudiziari di evitare la «necessità di procedere alla trattazione e alla decisione delle controversie»;
  • la procedura conciliativa ha la finalità di assicurare un elevato livello di protezione dei consumatori e di promuovere la fiducia dei consumatori;
  • l'elemento di incompatibilità strutturale tra il procedimento di conciliazione (che tale contraddittorio presuppone) ed il provvedimento monitorio (che non prevede contraddittorio nella fase sommaria) è la mancanza di contraddittorio, in ragione del collegamento strutturale del tentativo di conciliazione ad un futuro processo fondato sul contraddittorio;
  • non sussiste la necessità del previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, nella fase sommaria monitoria, con riferimento alle controversie relative ai contratti di subfornitura della legge 18 giugno 1998, n. 192 cui alla presente legge”, non in forza del generale principio dell'assenza di contraddittorio, ma perché il legislatore, consentendo al subfornitore di procedere per ingiunzione, ha apprestato per lo stesso una tutela particolarmente intensa ed ha così risolto (non irragionevolmente) il problema del bilanciamento con l'esigenza di favorire uno strumento transattivo obbligatorio preprocessuale.

La Corte di cassazione richiama anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea che ha sostenuto che l'art. 34 della direttiva 2002/22/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa di uno Stato membro in forza della quale le controversie in materia di servizi di comunicazioni elettroniche tra utenti finali e fornitori di tali servizi, che riguardano diritti conferiti da tale direttiva, devono formare oggetto di un tentativo obbligatorio di conciliazione extragiudiziale come condizione per la ricevibilità dei ricorsi giurisdizionali e che nemmeno i principi di equivalenza e di effettività, nonché il principio della tutela giurisdizionale effettiva, ostano ad una normativa nazionale che impone per siffatte controversie il previo esperimento di una procedura di conciliazione extragiudiziale, a condizione che:

  • tale procedura non conduca ad una decisione vincolante per le parti;
  • non comporti un ritardo sostanziale per la proposizione di un ricorso giurisdizionale;
  • sospenda la prescrizione dei diritti in questione;
  • non generi costi, ovvero generi costi non ingenti, per le parti;
  • la via elettronica non costituisca l'unica modalità di accesso a detta procedura di conciliazione;
  • sia possibile disporre provvedimenti provvisori nei casi eccezionali in cui l'urgenza della situazione lo impone.

Infine, in ordine alla decisione di trasmettere gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la Corte di cassazione richiama l'unico precedente contrario di legittimità e esprime le proprie motivazioni di segno contrario, non senza rilevare che anche con riferimento alla qualificazione del tentativo obbligatorio di conciliazione in termini di condizione di procedibilità ovvero di proponibilità della domanda sussistono decisioni contrapposte della Corte di cassazione.

In particolare, alcune sentenze dei Giudici di legittimità hanno ritenuto che il tentativo obbligatorio di conciliazione non si estende anche alla fase sommaria della procedura monitoria, affermando che:

  • l'obbligatorietà del tentativo di risoluzione extragiudiziaria della controversia, comportando un inevitabile effetto dilatorio della tutela giurisdizionale, cede di fronte ad immediate esigenze di tutela anticipata cui provvedono le misure cautelari, in quanto strumentali ad evitare un attuale pregiudizio grave ed irreparabile al diritto;
  • in relazione ai procedimenti sommari, diretti a fornire spedita tutela del diritto allo scopo di evitare lo svolgimento del giudizio di merito, l'obiettivo cui è preordinato il tentativo obbligatorio di conciliazione è già assicurato dalle modalità di svolgimento di tali procedimenti giurisdizionali;
  • secondo la Consulta il contraddittorio delle parti è l'elemento di incompatibilità strutturale tra il procedimento di conciliazione ed il procedimento monitorio;
  • nel procedimento per decreto ingiuntivo non avrebbe senso imporre nella fase relativa al tentativo di conciliazione, un contatto fra le parti che invece non è richiesto nella fase giurisdizionale ai fini della pronuncia del provvedimento monitorio;
  • anche l'obbligatorietà della mediazione è esclusa per i procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione, posticipando il tentativo obbligatorio all'esito della fase iniziale del giudizio di merito introdotto con la notifica dell'atto introduttivo dell'opposizione (Cass. civ., sent., 14 ottobre 2016, n. 25611).

Inoltre, i Giudici di legittimità hanno pure affermato che, in caso di opposizione a decreto ingiuntivo, l'onere di avviare la procedura di mediazione delegata ai sensi dell'art. 5, comma 4, d.lgs.4 marzo 2010, n. 28, grava sulla parte opponente, per cui la mancata attivazione della mediazione comporta la declaratoria di improcedibilità della opposizione e la definitività del decreto ingiuntivo opposto, che acquista l'incontrovertibilità tipica del giudicato e ciò sia per il rispetto della funzione deflattiva che il legislatore ha attribuito all'istituto della mediazione, sia perché è l'opponente ad avere interesse affinché proceda al giudizio di opposizione diretto alla rimozione di un atto giurisdizionale (il decreto ingiuntivo) suscettibile, altrimenti, di divenire definitivamente esecutivo dell'ingiunto (Cass. civ., sent., 3 dicembre 2015, n. 24629).

D'altra parte, continuano i giudici, argomentando in senso contrario, si introdurrebbe una sorta di improcedibilità postuma della domanda monitoria e si finirebbe col porre in capo al creditore ingiungente l'onere di coltivare il giudizio di opposizione per garantirsi la salvaguardia del decreto opposto, con ciò sconfessando la natura stessa del giudizio di opposizione quale giudizio eventuale, rimesso alla libera scelta dell'ingiunto (Cass. civ., sent., 3 dicembre 2015, n. 24629).

Sulle motivazioni di segno contrario, i Giudici di legittimità osservano:

  • i termini “controversie”, “ricorso in sede giurisdizionale” e “agire in giudizio”, di cui alla complessiva normativa esistente in materia, sembrano potersi riferirsi non soltanto all'azione giurisdizionale ordinaria, ma anche al procedimento senza contraddittorio introdotto con le forme speciali di cui all'art. 633 c.p.c.;
  • consentire l'introduzione del decreto monitorio in assenza di un preventivo tentativo di conciliazione contrasta con la ratio della legge31 luglio 1997, n. 249, che è quella di deflazionare il contenzioso ordinario pendente dinanzi ai tribunali;
  • non è infrequente nella prassi che le parti, all'esito del tentativo di conciliazione, raggiungano un accordo che evita il giudizio, mentre un decreto, contenente l'ingiunzione di pagamento di una modesta somma di denaro, potrebbe indurre l'utente a non proporre opposizione, in considerazione anche dei costi del processo;
  • l'estensione alle controversie in materia di telecomunicazione dell'esclusione dell'obbligatorietà del tentativo sembra non tener conto del carattere speciale della normativa che disciplina la suddetta materia;
  • la non incidenza del dato statistico sulla pur riconosciuta asimmetria difensiva non pare in linea con la generale esigenza di tutela del contraente debole (che, nella specie, è da ravvisarsi nel singolo utente e non nella compagnia di telefonia);
  • la sentenza della Corte di giustizia del 18/3/2010, citata, sembra doversi interpretare, e trovare attuazione, nel senso che detto tentativo sia da considerarsi obbligatorio anche in presenza di un giudizio monitorio nelle controversie in materia di telecomunicazione, restando conseguentemente circoscritta la possibilità di non esperirlo alle sole ipotesi in cui sia necessario disporre provvedimenti provvisori nei casi eccezionali in cui l'urgenza della situazione lo impone;
  • la Deliberazione AGCOM 173/07/CONS, art. 2, comma 2, prevede l'obbligatorietà del tentativo di conciliazione prima del deposito del ricorso per decreto ingiuntivo per tutte le controversie in materia di telecomunicazione (con esclusione di quelle nelle quali “l'inadempimento non sia dipeso da contestazioni relative alle prestazioni effettuate”), mentre la esclude nella fase di opposizione;
  • la facoltà del giudice ordinario di disapplicare detta disposizione appare dubbia, non emergendo alcun contrasto tra la stessa e la legge delega;
  • l'art. 84 del codice telecomunicazioni contiene la delega all'AGCOM della disciplina degli strumenti di definizione del contenzioso alternativi agli strumenti giurisdizionali.

Per tutti questi motivi, i giudici di legittimità pervengono alla affermazione dell'obbligatorietà del tentativo di conciliazione anche con riferimento al procedimento monitorio.

Sulla conseguenza processuale del mancato esperimento del tentativo di conciliazione, la Corte di cassazione sembra accogliere la tesi della improponibilità, richiamando l'art. 1, comma 11, della legge 31 luglio 2007, n. 249; l'art. 46 della legge 3 maggio 1982, n. 203, sui contratti agrari e la sentenza della Corte di giustizia del 18/3/2010, che parla di irricevibilità e precisando che la sanzione processuale della improcedibilità vanificherebbe la funzione deflattiva della conciliazione, in quanto imporrebbe al giudice di fissare un termine per l'esperimento del tentativo.

Infine, sul quesito relativo all'individuazione della parte gravata dell'onere di introdurre il tentativo di conciliazione nelle controversie in materia di telecomunicazione nella fase successiva all'opposizione, i giudici evidenziano che in relazione ad esso, è già stata disposta la rimessione degli atti di altro procedimento al primo presidente da un diverso Collegio di questa stessa Sezione.