No alla disdetta unilaterale del Ccnl da parte del datore di lavoro
13 Settembre 2019
Abstract
La lunga vicenda, partita nel lontano 2010, dell'uscita del gruppo Fiat dal sistema confindustriale e della conseguente approvazione di un contratto collettivo separato di primo livello efficace in tutti gli stabilimenti del gruppo è stata caratterizzata, oltre che da una forte tensione nel sistema di relazioni industriali nei vari siti produttivi, anche da una lunga coda di azioni giudiziarie promosse, nella gran parte dei casi, attraverso azioni per l'accertamento della antisindacalità della condotta datoriale dalle varie categorie interessate della Cgil.
Con la sentenza in commento la Cassazione si pronuncia su uno degli aspetti più rilevanti della vicenda: la legittimità della disdetta datoriale del Ccnl applicato in azienda prima dello spirare del termine di scadenza previsto nell'accordo collettivo. Un altro capitolo della lunga vertenza tra fiat e Cgil
La complessa vicenda contrattuale che ha visto protagonista la Fiat, a partire dai suoi due stabilimenti di Pomigliano d'Arco e di Mirafiori, è stata considerata da molti come un vero trauma sul sistema di relazioni sindacali italiano.
Gli accordi separati di primo livello, stipulati solo con alcune organizzazioni sindacali e con l'esclusione delle federazioni di categoria della Cgil, hanno, infatti, destato una serie di interrogativi a causa del loro contenuto sia in termini di rapporto tra contrattazione nazionale e contrattazione aziendale in deroga sia in termini di modalità di svolgimento della prestazione lavorativa (orari, permessi, ferie, lavoro straordinario, sciopero) sia, soprattutto, in relazione ai diritti sindacali e di rappresentanza dei lavoratori in azienda.
Non a caso c'è chi ha definito il caso Fiat un vero e proprio shock nel sistema di relazioni industriali italiano preconizzando, nel caso in cui il metodo Fiat fosse diventato oggetto di emulazione da parte di altri grandi gruppi industriali italiani, l'implosione del sistema confindustriale ed il funerale del sistema di relazioni industriali così come lo abbiamo conosciuto sino ad oggi con una definitiva uscita di scena dell'impianto regolativo del contratto nazionale e con l'affermazione della aziendalizzazione totale delle relazioni sindacali.
Il lungo braccio di ferro tra il gruppo torinese e la Cgil si è svolto in diverse sedi e, in particolare, sia nella fabbrica, con le consuete forme di esercizio della lotta sindacale nei luoghi di lavoro, sia nelle aule dei tribunali dove il sindacato ha chiesto ai Giudici del lavoro di sindacare l'eventuale natura antisindacale ex art. 18, St. lav., della condotta datoriale. Il mosaico delle decisioni giudiziali in materia non è ancora completo e, con la sentenza in commento, un altro tassello va ad inserirsi in questo complesso quadro. La sentenza della Cass., 20 agosto 2019, n.21537 deriva da un'azione di repressione della condotta antisindacale ex art. 28, Stat. lav., introdotta, presso il Tribunale di Torino, dalla Filctem-Cgil.
L'organizzazione sindacale ha chiesto al Giudice del lavoro subalpino di accertare, tra le altre cose, la antisindacalità della decisione della Plastics components and modules automotive S.p.a. (una delle società del gruppo Fiat) di disdettare, prima della scadenza contrattuale, il Ccnl Gomma-Plastica, applicato sino a quel momento nei propri stabilimenti produttivi, a causa della applicazione di un nuovo contratto collettivo di primo livello stipulato con alcune organizzazioni sindacali e non sottoscritto dalla Filctem-Cgil.
La Corte di Appello di Torino, con la decisione oggetto di gravame, aveva riconosciuto la legittimità della decisione datoriale valorizzando il fatto che la società era, prima della disdetta del Ccnl, uscita dal sistema confindustriale, unitamente all'intero gruppo Fiat e non era, dunque, più associata all'associazione datoriale firmataria del Ccnl Gomma-Plastica.
La Cassazione, nell'accogliere il ricorso della federazione sindacale della Cgil, richiama il proprio consolidato orientamento, secondo il quale, nel contratto collettivo di lavoro la possibilità di disdetta spetta unicamente alle parti stipulanti, ossia alle associazioni sindacali e datoriali che di norma provvedono anche a disciplinare le conseguenze della disdetta; al singolo datore di lavoro, pertanto, non è consentito recedere unilateralmente dal contratto collettivo, neppure adducendo l'eccessiva onerosità dello stesso, ai sensi dell'art. 1467, c.c., conseguente ad una propria situazione di difficoltà economica, salva l'ipotesi di contratti aziendali stipulati dal singolo datore di lavoro con sindacati locali dei lavoratori" (cfr. Cass. 7 novembre 2013, n. 25062; Cass. 19 aprile 2011, n. 8994; Cass. 7 marzo 2002, n. 3296).
Alla luce di tale considerazione, la Cassazione afferma che deve è dunque illegittima la disdetta unilaterale da parte del datore di lavoro del contratto applicato seppure accompagnata da un congruo termine di preavviso. Solo al momento della scadenza contrattuale sarà possibile recedere dal contratto ed applicarne uno diverso a condizione che ne ricorrano i presupposti di cui all'art. 2069, c.c.
Residua tuttavia, ad avviso della Corte, una possibilità di disdetta del Ccnl anche da parte del singolo datore di lavoro. Occorre, infatti, considerare che il contratto collettivo non può vincolare per sempre tutte le parti contraenti, altrimenti verrebbe infatti vanificata la causa e la funzione sociale della contrattazione collettiva, la cui disciplina, da sempre modellata su termini temporali non eccessivamente dilatati, deve essere parametrata su una realtà socio-economica in continua evoluzione. Partendo da questa premessa, la Cassazione ammette la legittima possibilità del datore di lavoro di recedere da un contratto collettivo post-corporativo se l'accordo collettivo è stato stipulato a tempo indeterminato, senza predeterminazione del termine di scadenza. In tal caso, il recesso è legittimo a condizione che sia esercitato nel rispetto dei criteri di buona fede e correttezza nell'esecuzione del contratto e non siano lesi i diritti intangibili dei lavoratori, derivanti dalla pregressa disciplina più favorevole ed entrati in via definitiva nel loro patrimonio (cfr. Cass. 25 febbraio 1997, n. 1694; Cass. 18 ottobre 2002, n. 14827; Cass. 20 settembre 2005, n. 18508; Cass. 20 dicembre 2006, n. 27198; Cass. 20 agosto 2009, n. 18548; Cass. 28 ottobre 2013, n. 24268).
L'illegittimità della condotta della società del gruppo Fiat, dunque, non risiede nel fatto che ad una disciplina contrattuale collettiva ne è stata sostituita un'altra, ossia, un contratto collettivo di primo livello sottoscritto solo da alcuni sindacati: la Cassazione riconosce infatti che non costituisce condotta antisindacale il comportamento del datore di lavoro che abbia sottoscritto un nuovo contratto collettivo, sostituendo il trattamento in precedenza applicato, frutto di accordo con alcune organizzazioni sindacali, con il trattamento concordato con altri sindacati.
Ciò che, invece, costituisce una condotta illegittima è la pretesa datoriale di disdettare un Ccnl prima della sua scadenza, esercitando una facoltà che è, invece, prerogativa unicamente delle associazioni datoriali e sindacali firmatarie del Ccnl stesso.
Ne deriva l'inidoneità dell'uscita dall'associazione datoriale firmataria del Ccnl a legittimare la disdetta del Ccnl. Pare di tutta evidenza, infatti, che l'applicazione di un determinato Ccnl e l'adesione all'associazione datoriale firmataria del Ccnl stesso costituiscono elementi differenti, che attengono a piani diversi. L'adesione (o l'uscita) ad una determinata associazione datoriale non ha effetti immediati sull'efficacia soggettiva del Ccnl di diritto comune. In conclusione
La Cassazione conclude, dunque, affermando che nessun principio o norma dell'ordinamento induce a ritenere consentita l'applicazione di nuovo Ccnl prima della prevista scadenza di quello in corso di applicazione, che le parti si sono impegnate a rispettare.
Si tratta di una pronuncia importante, che contribuisce a fare chiarezza nel complesso mondo delle relazioni industriali e che deve essere tenuta in considerazione da tutte quelle aziende che considerano l'uscita da una determinata associazione datoriale come uno strumento per modificare automaticamente il trattamento economico e normativo applicato ai propri dipendenti. In dottrina, sul tema:
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