La sospensione concordata della prestazione di lavoro non esonera dall'obbligo contributivo

Andrea Rossi
16 Settembre 2019

In conseguenza della tassatività delle ipotesi di esonero dall'obbligo contributivo, il calcolo del premio assicurativo dovuto all'INAIL rimane vincolato al rispetto del minimale contributivo, che opera anche con riferimento all'orario di lavoro, nei casi di assenza del lavoratore o di sospensione concordata della prestazione di lavoro che costituiscano il risultato di un accordo tra le parti derivante da una libera scelta del datore di lavoro.
Massima

In conseguenza della tassatività delle ipotesi di esonero dall'obbligo contributivo, il calcolo del premio assicurativo dovuto all'INAIL rimane vincolato al rispetto del minimale contributivo, che opera anche con riferimento all'orario di lavoro, nei casi di assenza del lavoratore o di sospensione concordata della prestazione di lavoro che costituiscano il risultato di un accordo tra le parti derivante da una libera scelta del datore di lavoro.

Il caso

Un datore di lavoro impugnava il verbale di accertamento con il quale l'INAIL aveva contestato un'omissione contributiva consistente nella parziale corresponsione del premio assicurativo che, invece, doveva essere calcolato sulla base delle retribuzioni contrattualmente dovute ai dipendenti, anche per i periodi di assenza dal lavoro scaturite da cause diverse da quelle previste dalla legge o da contratto collettivo.

Il Tribunale, in accoglimento dell'opposizione, escludeva che l'Istituto potesse legittimamente rideterminare in aumento l'imponibile contributivo sulla base di un obbligo, quello di calcolare i contributi previdenziali sulla retribuzione minima imponibile, valido solo nel settore edile (art. 29, d.l. n. 244 del 1995, convertito in l. n. . 341 del 1995).

L'INAIL impugnava la sentenza, sostenendo che l'ammontare dei premi dovesse essere agganciato sia alla retribuzione contributiva (cd. minimale), trattandosi di regola applicabile a tutti i settori merceologici, sia all'orario di lavoro normale stabilito dalla contrattazione collettiva o dal contratto individuale, se superiore.

La Corte di Appello accoglieva l'appello dell'Istituto, reputando che “le assenze dal lavoro non contrattualmente giustificate non esonerano il datore di lavoro dal pagamento del premio sulla retribuzione cosiddetta contributiva, che resta insensibile alla retribuzione di fatto erogata, fatta eccezione per l'ipotesi in cui quest'ultima sia superiore”.

Con ricorso per cassazione il datore di lavoro chiedeva l'annullamento della sentenza di secondo grado, con cui era stato imposto al datore di lavoro “l'onere di provare la riconducibilità delle assenze dei lavoratori ai casi di esclusione dell'onere contributivo previsto dalla legge, onere che sarebbe applicabile solo nel settore edile”.

La questione

Le questioni esaminate dalla Corte di cassazione sono le seguenti:

  1. Le giornate di assenza non retribuita, derivate sia da calo di lavoro sia per necessità personali dei lavoratori, sono esonerate dall'obbligazione contributiva oppure trova applicazione il minimale contributivo?
  2. Le ipotesi di esenzione dall'obbligo del minimale contributivo, elencate nel settore dell'edilizia, valgono anche negli altri settori produttivi?
La soluzione giuridica

La Suprema Corte respinge il ricorso per cassazione avvalendosi del consolidato principio di diritto, affermato a sezioni unite, che “l'importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore all'importo di quella che ai lavoratori di un determinato settore sarebbe dovuta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale (c.d. "minimale contributivo")” (Cass., S.U. 29 luglio 2002, n. 11199), applicato anche con riferimento all'orario di lavoro da prendere a parametro, che dev'essere l'orario di lavoro normale stabilito dalla contrattazione collettiva o dal contratto individuale, se superiore, “per consentire l'assolvimento degli oneri contributivi necessari per la realizzazione delle finalità assicurative e previdenziali, che verrebbero, invece, compromesse se si dovesse prendere in considerazione una retribuzione imponibile inferiore” (Corte cost. 20 luglio 1992, n. 342).

La regola del minimale contributivo, ricorda la Corte, deriva dal principio di autonomia del rapporto contributivo rispetto alle vicende dell'obbligazione retributiva, ben potendo l'obbligo contributivo essere parametrato a importo superiore a quanto effettivamente corrisposto dal datore di lavoro.

La Suprema Corte, poi, estende a tutti i settori merceologici, le ipotesi di esenzione dall'obbligo del minimale contributivo, quali malattia, maternità, infortunio, aspettativa, permessi, cassa integrazione, tipizzate nel settore dell'edilizia (art. 29, d.l. n. 244 del 1995, conv. in l. n. 341 del 1995) “proprio perché ivi la possibilità di rendere la prestazione lavorativa è normalmente condizionata da eventi esterni che sfuggono al controllo delle parti”, escludendo che negli altri settori produttivi sussista una generale libertà delle parti di modulare l'orario di lavoro così rimodulando anche l'obbligazione contributiva che, invece, essendo connotata dai caratteri di predeterminabilità, oggettività e possibilità di controllo, deve rimanere svincolata dalla retribuzione effettivamente corrisposta.

Pertanto, conclude la Corte, anche nei settori diversi da quello edile, la contribuzione è dovuta nei casi di assenza del lavoratore o di sospensione concordata della prestazione stessa che costituiscano il risultato di un accordo tra le parti derivante da una libera scelta del datore di lavoro, che rimane obbligato a calcolare il premio assicurativo sulla base del minimale mensile di riferimento.

Osservazioni

Si tratta di sentenza condivisibile, che trae fondamento giuridico dalla norma in base alla quale “la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non può essere inferiore all'importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo” (art. 1, d.l. 9 ottobre 1989, n. 338, conv. in l. 7 dicembre 1989, n. 389), applicabile anche con riferimento all'orario di lavoro da prendere come parametro, altrimenti, osserva la Corte nella sentenza in commento, “se ai lavoratori vengono retribuite meno ore di quelle previste dal normale orario di lavoro e su tale retribuzione viene calcolata la contribuzione, non vi può essere il rispetto del minimo contributivo”.

E' vero che questa regola comporta la divaricazione a vantaggio del rapporto previdenziale tra retribuzione rilevante nel concreto rapporto di lavoro e retribuzione virtuale, assunta come parametro ai fini contributivi, ma essa “consente il tendenziale conseguimento di una migliore tutela assicurativa dei lavoratori, di un equilibrio finanziario della gestione previdenziale e della parità delle condizioni tra le imprese, a prescindere dalla loro adesione alle organizzazioni sindacali più rappresentative” (Cass., S.U. 29 luglio 2002, n. 11199).

L'obbligo di rispetto del minimale contributivo può venir meno solo nei casi tassativamente determinati dalla legge o dalla contrattazione collettiva, caratterizzati dalla sospensione totale dell'attività aziendale oppure di singole lavorazioni oppure di sospensione del rapporto di lavoro senza obbligo retributivo (scioperi o permessi individuali non retribuiti).

In particolare, nel settore edile l'art. 29, d.l. 3 giugno 1995, n. 244, convertito in l. 8 agosto 1995, n. 341, oltre ad imporre ai datori di lavoro di commisurare la contribuzione ad un numero di ore settimanali non inferiore all'orario di lavoro normale stabilito dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale e dai relativi contratti integrativi territoriali di attuazione, elenca una serie di ipotesi di esclusione dall'obbligo contributivo, derivate da assenza per malattia, infortuni, scioperi, sospensione od interruzione dell'attività lavorativa con intervento della CIG, di altri eventi indennizzati e degli eventi per i quali il trattamento economico è assolto mediante accantonamento presso le Casse edili, alle quali sono stati aggiunti i permessi individuali non retribuiti nel limite massimo delle 40 ore; eventuali anticipazioni effettuate dal datore di lavoro di somme corrispondenti agli importi della CIG; periodi di assenza dal lavoro per ferie collettive; periodi di assenza per la frequenza di corsi di formazione professionale (d.m. 16 dicembre 1996).

Trattandosi di ipotesi tassative di legittima esclusione dell'obbligazione contributiva, la Suprema Corte ha limitato l'esonero nei casi in cui è la legge ad imporre al datore di lavoro di sospendere il rapporto, considerato che il legislatore ammette l'estensione ad altri casi solo tramite decreto interministeriale (Cass. 26 gennaio 2015, n. 1360; Cass. 6 febbraio 2014, n. 2766), nonché nelle ipotesi di sospensione significativamente ed oggettivamente rilevabili del rapporto di lavoro, come quelle che non prevedono l'intervento della CIG e che siano preventivamente comunicate agli enti previdenziali, in modo da consentirne gli opportuni controlli (Cass. 23 gennaio 2013, n. 1577; Cass. 19 maggio 2008, n. 12624), onde evitare che le imprese edili di piccole dimensioni, non autorizzate a ricorrere alla cassa integrazione guadagni, siano discriminate rispetto a quelle di grandi dimensioni, ammesse a tale beneficio e non tenute, per il periodo corrispondente, alla contribuzione cd. virtuale (Cass. 7 marzo 2007, n. 5233).

Quando, invece, la sospensione del rapporto derivi da una libera scelta del datore di lavoro e costituisca il risultato di un accordo tra le parti, la giurisprudenza di legittimità, smentendo la tesi che la sospensione consensuale del rapporto di lavoro, durante la quale non sorge né l'obbligazione di prestare il lavoro, né l'obbligazione di corrispondere la retribuzione, fa venir meno l'obbligazione contributiva (

Cass. 3 ottobre 2018, n. 24109

;

Cass. 24 gennaio 2006, n. 1301

), ha affermato ripetutamente che l'obbligo contributivo continua a permanere intatto, dovendosi escludere, attesa l'assenza di una identità di "ratio" tra le situazioni considerate, la possibilità di una interpretazione estensiva o, comunque, analogica dell'

art. 29, d.l. n. 244 del 1995

, che ha natura eccezionale e regola espressamente la possibilità e le modalità di un ampliamento dei casi d'esonero da contribuzione (

Cass. 18 febbraio 2019, n. 4690

;

Cass.

26 aprile 2018,

n. 10134

;

Cass.

7 agosto 2017,

n. 19662

;

Cass. 27 maggio 2016,

n.11020

;

Cass. 23

luglio 2

014

,

n. 16790

;

Cass. 6

febbraio

2014

,

n. 2766

;

Cass. 4 ottobre 2013, n. 22724

;

Cass.

11 febbraio 2013,

n.

3148

;

Cass. 4 ottobre 2012,

n.

16913

;

Cass. 4 maggio 2011,

n. 9805

;

Cass. 1 aprile 2011, n.

7590

;

Cass. 18 febbraio 2011,

n. 3969

; Cass. 13 ottobre 2009, n. 21700).

Pertanto, il datore di lavoro non può reclamare l'esonero dal minimale contributivo “nei casi di sospensione consensuale del rapporto di lavoro determinata dal carattere discontinuo dell'attività di impresa e per effetto della quale, nei periodi e nelle giornate indicate dall'azienda, non sia dovuta alcuna prestazione lavorativa, né, conseguentemente, alcuna retribuzione – corrispettivo” (Cass. 24 maggio 2013, n. 13047; Cass. 2 marzo 2011, n. 5088; Cass. 4 aprile 2011, n. 7648; Cass. 1° aprile 2011, n. 7583 e 7584; Cass. 14 marzo 2011, n. 5965; Cass. 4 marzo 2011, n. 5231; Cass. 13 ottobre 2009, n. 21700).

La rigidità delle ipotesi di esonero impone al datore di lavoro, che pretenda un esonero dal minimale contributivo nel periodo di sospensione del rapporto di lavoro, l'allegazione e prova della sussistenza dei casi previsti dalla legge e/o dal contratto collettivo (Cass. 10 maggio 2018, n. 11337; Cass. 3 ottobre 2018, n. 24109; Cass. 3 novembre 2016, n. 22314).