Concordato: pagamento ai creditori privilegiati degradati con le risorse derivanti dalla continuità

Federico Clemente
Dario Donadoni
17 Settembre 2019

Nell'ambito del concordato preventivo in continuità ci si è già interrogati in merito alla qualificazione da attribuirsi alle risorse derivanti dalla prosecuzione dell'attività, in relazione alla possibilità per la debitrice concordataria di avvalersi della facoltà prevista dall'articolo 160, secondo comma, l.f. di...
Premessa

Nell'ambito del concordato preventivo in continuità ci si è già interrogati in merito alla qualificazione da attribuirsi alle risorse derivanti dalla prosecuzione dell'attività, in relazione alla possibilità per la debitrice concordataria di avvalersi della facoltà prevista dall'articolo 160, secondo comma, l.f. di “prevedere che i creditori muniti di privilegio, pegno e ipoteca non vengano soddisfatti integralmente, purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti su cui sussiste la causa di prelazione".

Come è noto, tale valore deve essere indicato nella relazione giurata di un professionista che abbia le medesime qualifiche richieste per la attestazione di veridicità dei dati e di fattibilità del piano.

La possibilità di soddisfacimento parziale è estesa anche, ai sensi dell'articolo 182-ter, ai "tributi amministrati dalle agenzie fiscali" ed ai "contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatoria" ed ai relativi accessori; con le modifiche di cui alla legge 11 dicembre 2016, n. 232, non vi è più alcuna limitazione al riguardo rispetto alla originaria esclusione di IVA e ritenute dalla facoltà di stralcio.

Infine, in chiusura dell'articolo 160, secondo comma l.f.,si prescrive che "il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l'effetto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione" (queste le basi dalle quali ha preso le mosse il precedente intervento degli scriventi Concordato preventivo, pagamento parziale ai privilegiati e finanza esterna”, pubblicato in questo portale con focus del 4 ottobre 2017).

Facendo una cernita delle diverse pronunce che si sono susseguite e con uno sguardo alla riforma che entrerà in vigore fra circa un anno, si vuole provare a fornire una visione di insieme e un indirizzo da seguire nella strutturazione delle proposte di concordato.

La finanza esterna e il divieto di alterazione delle cause legittime di prelazione, richiami

Soffermandosi, senza pretese di esaustività, sulla nozione di finanza esterna, essa deve essere individuata in un apporto ulteriore; un quid pluris rispetto ai beni ceduti dal debitore in ipotesi liquidatoria (cfr. Vitiello, “Il concetto di finanza esterna nel concordato preventivo: fattispecie problematiche”, in IlFallimentarista”; “Alcune recenti pronunce legittimano la qualificazione di finanza esterna dell'individuato e quantificato quid pluris derivante da una liquidazione del patrimonio del debitore con le più agili e convenienti modalità (rispetto a quelle riconducibili ad una liquidazione in sede fallimentare) previste dal piano concordatario (Tribunale di Rovereto, 13 ottobre 2013; Tribunale di Treviso, 26 febbraio 2015; Tribunale di Roma, 24 marzo 2015).

Quanto al divieto di alterare l'ordine delle cause di prelazione, la norma va intesa nel senso che ad un creditore di grado poziore deve essere garantito un pagamento percentuale non inferiore a quello dei creditori privilegiati di grado inferiore.

Come già linearmente tracciato da parte della giurisprudenza (Tribunale di Udine, 15 giugno 2011) è possibile "una alterazione dell'ordine delle cause legittime di prelazione e... un pagamento dei chirografari nonostante il pagamento parziale dei privilegiati generali, qualora e nei limiti in cui vi sia c.d. finanza esterna, o meglio, vi siano risorse estranee al patrimonio assoggettato al concorso ed aggiuntive rispetto ad esso; a condizione cioè che in buona sostanza i creditori privilegiati non vengano trattati in modo deteriore rispetto all'ipotesi di apertura della procedura fallimentare".

Il concordato in continuità

Permangono alcuni aspetti che necessitano di un approfondimento per venire ad un quadro più organico.

Un primo tema riguarda il rapporto tra il secondo comma dell'articolo 160 l.f. e il concordato preventivo in continuità, laddove la liquidità prodotta dalla prosecuzione dell'attività di impresa sia destinata al pagamento percentuale dei creditori privilegiati (altrimenti incapienti in sede liquidatoria) e di quelli chirografari.

Ci si pone il tema se tale liquidità possa essere qualificata come finanza esterna, o comunque ad essa assimilata, ovvero se, in quanto prodotta dalla stessa impresa debitrice, vada a costituire un attivo aziendale e, come tale, vada destinata in primis ai creditori di grado poziore, fino al loro integrale soddisfacimento.

Si osserva che il concordato preventivo in continuità, per sua stessa costruzione, sottrae ai creditori concorsuali tutti gli incrementi di attivo successivi alla domanda di concordato preventivo, eccedenti quanto proposto. Infatti, in tale forma concordataria la percentuale offerta ai creditori è ritenuta fissa, e non varia al variare delle risorse aziendali (a confortare la circostanza per cui si può ritenere derogata dalla legge fallimentare la prescrizione di cui all'art. 2740 c.c. quanto ai “beni futuri”, tenendo altresì conto della prevalenza della legge speciale (R.D. 267/1942) sulla legge generale (codice civile)). Pertanto, per altra via, si arriva al risultato di ritenere possibile il pagamento percentuale dei prelatizi degradati, nonostante il fatto che, proprio con la prosecuzione dell'attività, alcuni di essi potrebbero essere saldati integralmente.

In questi termini si è posto il Tribunale di Milano che, con decreto del 5 novembre 2016, ha affermato che "la regola generale del 160 comma due del rispetto dell'ordine delle prelazioni... debba essere intesa nel concordato in continuità come operativamente limitata, nel tempo, alla data della presentazione della domanda di concordato e nella dimensione applicativa al patrimonio della concordataria esistente a quella data... il parametro che costituisce il limite di riferibilità per appurare se vi sia violazione o meno dell'ordine della prelazione o se la stessa sia degradata e, quindi venuta meno e incorporata nel chirografo, è il momento della presentazione della domanda perché ciò che è valutabile ai fini della capienza in sede di redazione del piano è solo il patrimonio attuale della società e solo esso sarebbe passibile di azioni esecutive o di collocazione sul mercato...".

Rafforza tale conclusione il riferimento agli artt. 45 e 55 l.f., richiamati dall'art. 169 l.f., che cristallizzano il patrimonio della debitrice alla data di presentazione della domanda.

In sintonia: Tribunale di Massa, decreto del 29 settembre 2016; Tribunale di Monza, decreto del 22 dicembre 2011; Tribunale di Rovereto, decreto del 13 ottobre 2014; Tribunale di Prato, decreto del 7 ottobre 2015.

La giurisprudenza contraria fonda le proprie argomentazioni sul disposto di cui all'art. 2740 c.c., affermando che la prosecuzione dell'attività di impresa in sede concordataria non può comportare il venir meno della garanzia patrimoniale del debitore, che risponde dei suoi debiti con tutti i beni, presenti e futuri.

Tale orientamento parrebbe peraltro non tenere conto del disposto letterale di cui all'art. 160 comma 2 l.f. che àncora la misura dello stralcio e il divieto di alterazione dell'ordine delle prelazioni, alla sola ipotesi della liquidazione (al ricavato ricavabile dalla liquidazione), e non anche a tutte le alternative concretamente praticabili (tra le quali la prosecuzione dell'attività), come invece previsto, ad esempio, dall'art. 180 comma 4 a proposito del cram down.

La pronuncia del Tribunale di Milano

Il Tribunale di Milano (decreto del 28 dicembre 2017, estensore Rolfi, Presidente Paluchowski), chiamato a pronunciarsi in una fattispecie di concordato con continuità (indiretta), con previsione di pagamento del ceto chirografario, ab origine e declassato per incapienza del patrimonio sociale, unicamente con i flussi derivanti dalla prosecuzione dell'attività, ha statuito, con richiamo alla pronuncia del novembre 2016 (sopra riportata), che “la distribuzione concerne flussi che giungeranno dalla prosecuzione della continuità e non da risorse proprie attuali dell'impresaalla luce di tali considerazioni non si ravvisa un'alterazione della cause legittime di prelazione”.

La pronuncia ha il pregio di “spostare” il tema dalla controversa individuazione della c.d. finanza esterna al principio della c.d. “cristallizzazione” del patrimonio sociale alla data di presentazione della domanda (o pre-domanda) di concordato preventivo, giungendo ad affermare che l'imputazione in favore dei creditori chirografari dei flussi derivanti dalla prosecuzione dell'attività - non essendo parte del patrimonio all'atto della presentazione della domanda e quindi quando il patrimonio è già stato attestato come incapiente per taluni creditori originariamente privilegiati – non è idonea ad alterare le cause legittime di prelazione.

Le pronunce del Tribunale di Bergamo

Il Tribunale di Bergamo, con il decreto del 14 agosto 2018, ha ammesso una proposta di concordato preventivo con prosecuzione dell'attività aziendale e previsione di pagamento dei creditori chirografari, inclusi i creditori privilegiati degradati al rango chirografario per incapienza, con le risorse derivanti dalla prosecuzione dell'attività.

In tale decreto il Tribunale si è soffermato sulla attestazione di incapienza resa dal professionista attestatore e, una volta accertatosi che ai creditori era stata attribuita una soddisfazione non inferiore a quella ricavabile dalla vendita dei beni, ha ritenuto rispettato l'ordine delle cause legittime di prelazione.

Con diversa pronuncia del 15 marzo 2019 il medesimo Tribunale, in una fattispecie del tutto analoga, ha dichiarato inammissibile la proposta concordataria, dichiarando in seguito fallimento della società, in quanto quest'ultima ha nominato “finanza esterna le utilità rinvenienti dalla prosecuzione dell'attività d'impresa e prevede l'utilizzo di detta finanza per alterare l'ordine delle cause di prelazione, per degradare al chirografo i crediti privilegiati generali e per soddisfare in una certa misura anche i creditori chirografari, altrimenti del tutto incapienti… valutato viceversa che possa qualificarsi finanza esterna solo quella che deriva da risorse del tutto estranee dal patrimonio del debitore, non potendo escludersi che in sede fallimentare sia proseguito l'esercizio dell'attività d'impresa con la realizzazione flussi finanziari del tutto analoghi a quelli prospettati in sede concordataria da porre al servizio del pagamento dei creditori concorsuali;...ritenuto quindi che solo le risorse che non siano qualificabili come mezzi propri del debitore, possano essere impiegate al di fuori delle regole del concorso, mentre quanto rientra nel patrimonio della proponente – anche se rinveniente dalla prosecuzione dell'attività di impresa – debba essere destinato ai creditori seconda la regola dell'art. 2741 c.c., come, peraltro, richiesto anche dall'ultima parte dell'art. 160 II comma L.F.”.

In tale fattispecie il Tribunale ha affermato che, in ipotesi di fallimento con prosecuzione dell'attività, i flussi finanziari sarebbero da attribuire ai creditori privilegiati e non ai chirografari (degradati ed ab origine), evidenziando una possibile disparità di trattamento rispetto all'ipotesi concordataria con privilegiati (dettata dal disposto dell'art. 160 comma 2).

Inoltre, è stato sostenuto che i flussi non sono qualificabili come finanza esterna.

Peraltro, il tema relativo alla possibile qualificazione o meno dei flussi come finanza esterna può essere superato dalla circostanza che, dopo l'attestazione di incapienza ai sensi dell'art. 160 comma 2 l.f., tutti i creditori originariamente privilegiati divengono irreversibilmente chirografari. Per tale ragione, con i flussi vengono pagati solamente creditori ormai a tutti gli effetti chirografari.

Diversamente argomentando, si dovrebbe affermare che un concordato in continuità dovrebbe sempre prevedere l'integrale soddisfazione dei creditori (originariamente) privilegiati, nonostante l'attestazione di incapienza.

La natura del credito prelatizio degradato, anche alla luce di quanto previsto dalla riforma

L'aspetto determinante e sul quale si vuole focalizzare l'attenzione concerne la qualifica della quota di credito prelatizio non coperto dal valore dei beni su cui grava la prelazione, ossia se tale quota mantenga la caratteristica di credito privilegiato o divenga chirografaria a tutti gli effetti.

È pacifico che, in sede esecutiva, il creditore insoddisfatto dal realizzo dei beni su cui insiste la prelazione partecipi ad altre distribuzioni insieme a tutti gli altri creditori chirografari, per la quota di credito (intera o parziale) insoddisfatta.

Lo stesso articolo 182-ter, quanto ai crediti tributari contributivi e privilegiati, parla espressamente di "quota degradata al chirografo" in caso di pagamento parziale.

Ed ancora, l'articolo 177, terzo comma l.f. chiarisce che "i creditori muniti di diritto di prelazione in cui la proposta di concordato prevede, ai sensi dell'articolo 160, la soddisfazione non integrale, sono equiparati ai chirografari per la parte residua del credito".

In Dottrina, Lamanna, “Definitività della degradazione al chirografo dei crediti privilegiati incapienti”, in questo portale, “una volta acquisita, quale allegato alla domanda di concordato che preveda la degradazione totale o parziale al chirografo di un credito munito di prelazione, la relazione dell'esperto prevista dall'art. 160, comma 2, credo che sia inevitabile considerare definitiva la degradazione al chirografo”.

La stessa giurisprudenza sopra richiamata non pare avere dubbi al riguardo.

Anche la riforma che entrerà in vigore l'agosto prossimo, ha inteso chiarire che “I creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, possono essere soddisfatti anche non integralmente, purché in misura non inferiore a quella realizzabile sul ricavato, in caso di liquidazione, dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, avuto riguardo al loro valore di mercato, al netto del presumibile ammontare delle spese di procedura inerenti al bene o diritto e della quota parte delle spese generali, attestato da professionista indipendente. La quota residua del credito è trattata come credito chirografario”.

Si può dunque affermare che, nel momento in cui viene attestata l'inidoneità del patrimonio a soddisfare alcuni creditori prelatizi, questi divengano chirografari a tutti gli effetti.

Gli stessi quindi:

- possono essere pagati percentualmente;

- possono essere pagati con i chirografari ab origine. In particolare, nel concordato in continuità, per la quota percentuale non devono essere pagati entro un anno dall'omologa, come previsto invece dall'articolo 182-sexies con riguardo ai creditori privilegiati;

- in caso di creditori prelatizi pagati in parte in base al valore dei beni mobili, si ritiene che la quota chirografaria dovrà partecipare ai riparti insieme ai chirografari, secondo le regole indicate.

Infine, in caso d'insufficienza dell'attivo, quanto disponibile andrà ripartito proporzionalmente tra i creditori prelatizi degradati e i chirografari originari, e non ai primi a preferenza dei secondi.

Conclusione

L'excursus qui sviluppato, dunque, porta a consentire ad avviso di chi scrive (si rammenta, nella consapevolezza che trattasi di un indirizzo interpretativo) la costruzione di proposte concordatarie in cui la quota di credito non coperto dal valore dei beni gravati è irreversibilmente chirografaria ad ogni effetto.

Pertanto, qualora il principio della irreversibile degradazione venisse condiviso, non sarebbe necessario qualificare le risorse derivanti dalla continuità quale finanza esterna, scontrandosi con tutte le difficoltà viste, in quanto una volta resa la relazione ex art. 160 c 2 l.f., con i flussi derivanti dalla prosecuzione dell'attività verrebbero pagati creditori ormai a tutti gli effetti chirografari.

Tale interpretazione è in linea anche con quanto previsto dalla nuova riforma, non essendo sostenibile che in un concordato con continuità, senza previsione dell'apporto di risorse esterne, si debba prospettare il pagamento integrale dei creditori privilegiati, nonostante l'incapienza del patrimonio.

Infatti, la riforma prevede per il solo concordato liquidatorio l'obbligo di prevedere l'apporto di finanza esterna. Tale previsione, pur in presenza del richiamo all'art. 160 comma 2 L.F., non è stata estesa ai concordati con continuità aziendale, neppure in caso di attestata incapienza per i privilegiati.

Conclusivamente, essendo tutti creditori chirografari (ab origine o per incapienza) non può ritenersi sussistente alcuna alterazione dell'ordine delle cause di prelazione.

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