Vittima lucida anche solo per due ore: il danno catastrofale deve essere riconosciuto

Redazione Scientifica
20 Settembre 2019

Trattandosi di danno-conseguenza, l'accertamento dell'an presuppone «la prova della cosciente e lucida percezione dell'ineluttabilità della fine». Ai fini del riconoscimento del danno catastrofale, due ore e mezza costituiscono quell'apprezzabile lasso di tempo previsto dalla Sezioni Unite nella sentenza n. 15350/2015. In tale lasso di tempo la vittima è infatti riconosciuta come soggetto “capace” di essere titolare di diritti.

IL CASO Un uomo decede a causa delle lesioni subite a seguito dello schiacciamento provocato da un veicolo motopala. I suoi congiunti convengono in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Fermo, il conducente del mezzo e la compagnia assicuratrice per sentirli condannare al risarcimento del danno in solido tra loro. Il giudice di prime cure accoglie la domanda e la Corte d'appello, successivamente adita, conferma quanto statuito dal Giudice di prime cure. I congiunti ricorrono in cassazione denunciando violazione degli artt. 2056 e 2059 c.c. per aver escluso il diritto degli eredi del defunto al risarcimento iure hereditatis del danno morale catastrofale subito dal defunto a causa della morte avvenuta dopo accertate due ore dal sinistro a causa di emorragia La corte aveva escluso la risarcibilità di tale danno alla vittima e la conseguente trasmissione agli eredi.

TROPPO BREVE? L'esclusione di tale diritto viene motivata con l'assenza di un lasso di tempo adeguato: i giudici avevano considerato troppo breve il lasso di tempo tra l'evento lesivo e la morte. I ricorrenti affermano invece che centrale avrebbe dovuto essere l'accertamento della lucidità della vittima, che era rimasta cosciente per due ore, conscia della drammaticità della situazione che stava vivendo, e che pertanto fosse configurabile un danno morale o da lucida agonia. La sentenza d'appello, nel rigettare la richiesta, aveva infatti richiamato la sentenza delle Sezioni Unite n. 15350/2015, affermando che nel caso concreto mancasse il lasso di tempo apprezzabile ivi menzionato, senza però fare alcun riferimento alla lucidità o meno della vittima.

L'ELELMENTO CENTRALE È LA LUCIDITÀ. La Suprema Corte accoglie il ricorso e ricorda come già Cass. civ. n. 15350/2015 avesse stabilito che alla vittima può essere risarcita la perdita di un bene avente natura non patrimoniale nella misura in cui ella sia ancora in vita e che «nella vicenda acquisitiva del diritto alla reintegrazione della perdita subita, la capacità giuridica è riconoscibile soltanto in favore di un soggetto esistente»; conseguentemente, afferma la Corte, i danni non patrimoniali risarcibili alla vittima, trasmissibili jure hereditatis, sono i seguenti.

  • danno biologico (c.d. danno terminale, dunque la lesione del bene della salute) - consistente nei postumi invalidanti che caratterizzano il periodo intercorrente tra l'evento lesivo e il decesso - per la configurabilità del quale è necessario il protrarsi di un apprezzabile lasso di tempo, da accertarsi nel caso concreto, trattandosi di danno conseguenza (ex multis, Cass. civ. n. 1877/2006; Cass. civ. n. 15491/2014).
  • danno morale c.d. soggettivo (c.d. catastrofale o da lucida agonia), consistente nella sofferenza sopportata dalla vittima nel comprendere l'inevitabilità della fine imminente. Trattandosi di danno-conseguenza, l'accertamento dell'an presuppone «la prova della cosciente e lucida percezione dell'ineluttabilità della fine» (i precedenti citati sono numerosi: Cass. civ., n. 6754/2011, Cass. civ., n. 7126/2013, Cass. civ., n. 13537/2014).

Dunque, se da orientamento costante è prevista, ai fini del riconoscimento del danno jure hereditatis, la necessità che il decesso non si sia verificato immediatamente o dopo brevissimo tempo, in quanto viene meno il soggetto cui sia riferibile il danno e al cui patrimonio sia acquisibile il credito risarcitorio, nella fattispecie concreta esiste un certo lasso di tempo tra l'evento e il decesso «la persona è inserita nel sistema giuridico come soggetto “capace” di essere titolare di diritti (mantenendo la capacità giuridica, ex art. 2) con la sussistenza di un danno rapportato alla durata del tempo che separa la lesione – inferita a soggetto titolare di capacità giuridica - dalla morte, evento che, giuridicamente, sopprime la capacità giuridica».

Nell'intervallo di tempo tra la lesione ed il decesso sussiste sempre un danno biologico strictu sensu inteso, al quale può aggiungersi un danno morale dato dalla consapevolezza dell'imminente decesso. Si utilizza il verbo ausiliare “potere” perché tale ultimo danno esiste in caso di coscienza della vittima.

La Corte afferma di volere dare continuità all'orientamento giurisprudenziale espresso di recente dalla sentenza n. 26727/2018, e cioè di voler dare rilievo all'elemento della lucidità e dunque alla risarcibilità di entrambi gli aspetti del danno, quello biologico e quello psicologico-morale e sottolinea, infine, come nel caso di specie due ore e mezza non integrano l'assenza di tempo indicato dalla citata sentenza delle Sezioni Unite del 2015. Accoglie dunque il ricorso con rinvio al giudice del merito che dovrà verificare se la vittima era lucida al punto da temere l'imminenza della morte e l'abbandono dei congiunti.

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