Definiti gli indici della crisi e il percorso di rilevazione dei suoi fondati indizi

Riccardo Ranalli
23 Settembre 2019

Il Gruppo di Lavoro del CNDCEC ha varato gli indici della crisi per consentire al Consiglio Nazionale l'esercizio della delega allo stesso conferita dal co. 2 dell'art. 13 del Codice della Crisi. Il relativo documento non si limita ad individuare gli indici, ma costituisce una vera e propria guida operativa per la rilevazione dei fondati indizi dai quali scaturisce l'obbligo segnaletico cui al successivo art. 14.
Premessa

Il Gruppo di Lavoro del CNDCEC ha varato gli indici della crisi per consentire al Consiglio Nazionale l'esercizio della delega allo stesso conferita dal co. 2 dell'art. 13 del Codice della Crisi. Il relativo documento non si limita ad individuare gli indici, ma costituisce una vera e propria guida operativa per la rilevazione dei fondati indizi dai quali scaturisce l'obbligo segnaletico cui al successivo art. 14.

Per affrontarne la disamina occorre preliminarmente collocare gli indici in questione nell'ambito delle misure di allerta e degli adeguati assetti previsti dal novellato art. 2086 c.c.

Oggetto dell'obbligo segnaletico interno (per intendersi quello dagli organi di controllo all'organo amministrativo, prima, e, solo in caso di inadeguata risposta, all'OCRI) sono solo i fondati indizi” di crisi. Poiché nell'art. 14 non è dato rinvenire alcun riferimento agli indici di cui al co. 2 dell'art. 13, occorre domandarsi quale sia il rapporto tra gli indicatori di cui al co. 1 dell'art. 13, gli indici di cui al co. 2 dell'art. 13 e i fondati indizi di cui all'art. 14.

Un corretto collocamento dell'ambito della delega presuppone infatti la comprensione di tale fondamentale rapporto. Di tutto ciò il CNDCEC ha dato atto nel proprio documento sottoposto alla successiva approvazione da parte del MISE; va sottolineato che, con le medesime finalità, è stato proposto al Ministero della Giustizia anche un rafforzamento in tal senso dell'art. 14.

Lo stato di crisi risiede, a mente dell'art. 2 lett. a), nella “inadeguatezza delle disponibilità liquide attuali e dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate” (per inciso, queste ultime sono da intendersi come le obbligazioni esistenti e quelle previste). Non tutti gli stati di crisi potenziale sono però oggetto di segnalazione ma unicamente quelli tali da rendere probabile l'insolvenza del debitore (art. 2, cit.) e, in particolare, lo sono solo quelli che abbiano i connotati di rilevanza individuati dal co. 1 dell'art. 13: la violazione della sostenibilità del debito nei successivi sei mesi e il pregiudizio della continuità aziendale nell'esercizio in corso, nonché la presenza di ritardi di pagamento reiterati e significativi avendo anche riguardo ai limiti posti ai fini delle misure premiali dall'art. 24 CCI.

L'esigenza che gli indizi siano “fondati” si accompagna alla previsione che la segnalazione da parte dell'organo di controllo a quello amministrativo debba essere “motivata”. La motivazione comporta, infatti, che l'organo di controllo, per individuare la crisi, non possa fare cieco affidamento sull'esito degli algoritmi degli indici senza svolgere un vaglio critico.

Non è, infatti, né sufficiente, né necessaria la violazione degli indici perché si concretizzi un fondato indizio dal quale scaturisca l'obbligo segnaletico e ciò in quanto gli indici potrebbero essere forieri sia di ‘falsi negativi' (incapacità di intercettare tutte le situazioni di crisi) che di ‘falsi positivi' (falsi segnali, in assenza di situazione di crisi); essi costituiscono pertanto meri indizi che necessitano di conferme probatorie attraverso la disamina della loro fondatezza.

Il co. 1 dell'art. 13 viene così ad assumere una triplice fondamentale finalità:

  • (i) definisce i riferimenti per intercettare la fondatezza degli indizi ai fini della loro segnalazione ai sensi dell'art. 14;
  • (ii) orienta il CNDCEC nella definizione degli indici;
  • (iii) costituisce il momento di discrimine tra situazioni di crisi anticipata che possono essere gestite ancora internamente all'impresa e situazioni di crisi avanzata che invece comportano l'obbligo di adozione degli strumenti di allerta e in primo luogo gli obblighi segnaletici.

Come anticipato, nel framework così disegnato il CNDCEC ha ritenuto, nell'individuare un gruppo di indici, di integrarlo con un percorso per la loro applicazione che ne renda possibile una valutazione unitaria e di arricchirlo ulteriormente con un supporto metodologico che ne permetta il vaglio critico sulla base dell'andamento aziendale (in un'ottica di forward looking). L'esigenza di valutazione unitaria degli indici, da una parte, e quella della razionalità e controllabilità del percorso di valutazione, dall'altra, hanno infatti indotto il CNDCEC ad adottare una strutturazione degli indici che fosse, nel contempo, ‘ad albero' e combinata.

Appare, pertanto, riduttivo e fuorviante circoscrivere la portata del documento a sette indici, come invece recentemente diffuso da un quotidiano economico.

Il CNDCEC ha, infatti, inteso definire un percorso integrato di autodiagnosi dello stato di salute dell'impresa e non singoli algoritmi, ancorché da valutarsi congiuntamente.

Gli indici e il percorso di rilevazione

Tale percorso riconosce un primo ruolo prevalente a:

a) la presenza di un patrimonio netto positivo e almeno pari al minimo di legge quale assenza dell'evidenza di un pregiudizio attuale alla continuità aziendale;

b) l'assenza di reiterati e significativi ritardi di pagamento.

In particolare, con riferimento a quest'ultimo elemento, il documento ne individua la rilevanza quando:

(i) essi comportino non episodiche azioni esecutive da parte dei creditori;

(ii) l'interruzione delle forniture o la loro subordinazione a pagamenti a vista, con pregiudizio per il normale afflusso degli approvvigionamenti;

(iii) quando i ritardi superiori a 30 giorni nel pagamento dei tributi, dei contributi e delle retribuzioni si verifichino in via ricorrente;

(iv) quando i ritardi nei pagamenti dei debiti bancari per una durata superiore a 90 giorni siano accompagnati dalla revoca degli affidamenti ovvero dalla dichiarazione di avvenuta decadenza dal beneficio del termine.

Si innesta a questo punto un secondo, decisivo primato: in presenza di un patrimonio netto positivo e in assenza di ritardi reiterati e significativi, occorre comunque verificare se sussista la sostenibilità del debito per almeno i sei mesi successivi misurata attraverso un indicatore specifico costituito dal DSCR (debt service coverage ratio) a 6 mesi almeno pari a 1. Si tratta di un indice costituito dal rapporto tra i flussi al servizio del debito ed il debito che deve essere servito. A tal riguardo, il documento individua due diversi approcci metodologici di determinazione del DSCR, rimettendone la scelta agli operatori e premurandosi solo di precisare che, in ogni caso, numeratore e denominatore devono essere tra di loro confrontabili.

L'utilizzo del DSCR come indice non è però sempre ammesso. Occorre che siano disponibili i dati prognostici (a partire dal budget di tesoreria da impiegarsi per la determinazione dei flussi di cassa rilevanti) e che gli organi di controllo non li ritengano inaffidabili, secondo il proprio giudizio professionale.

Solo qualora il DSCR non sia disponibile o i dati prognostici occorrenti per la loro determinazione siano ritenuti inaffidabili, si ricorre, sempreché la situazione di crisi non sia già stata intercettata dal patrimonio netto negativo o dalla presenza di reiterati e significativi ritardi, ad una costruzione combinata di una serie di 5 indici, con finalità di con soglie diverse a seconda del settore, che devono essere violati tutti congiuntamente.

Si tratta dell'ultimo nodo dell'albero di rilevazione ed è costituito dai seguenti indici:

a) indice di sostenibilità degli oneri finanziari in termini di rapporto tra gli oneri finanziari ed il fatturato;

b) indice di leverage o di adeguatezza patrimoniale in termini di rapporto tra patrimonio netto e debiti totali;

c) indice di ritorno liquido dell'attivo in termini di rapporto tra cash flow e attivo;

d) indice di liquidità in termini di rapporto tra attività a breve termine e passivo a breve termine;

e) di indebitamento previdenziale e tributario in termini di rapporto tra esso e l'attivo.

Nel completare questa breve disamina occorre anche osservare che il co. 1 dell'art. 13 individua due ‘indici significativi': la sostenibilità degli oneri dell'indebitamento con i flussi di cassa che l'impresa è in grado di generare e l'adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi. Essi sono stati entrambi recepiti nel gruppo dei 5 indici a valutazione unitaria: quello del rapporto tra mezzi di propri e mezzi di terzi, in via diretta, mediante l'indice di leverage o di adeguatezza patrimoniale, quello del rapporto tra gli oneri finanziari e i flussi di cassa, in via mediata, attraverso la lettura congiunta dell'indice di sostenibilità degli oneri finanziari e dell'indice di ritorno liquido dell'attivo, con l'avvertenza che la scelta di assumere il secondo in via mediata e non diretta è stata suffragata da indagini qualitative di significatività, sorrette da argomentazioni aziendalistiche.

Gli indici specifici

Il Codice richiede (co. 2 dell'art. 13), inoltre, l'individuazione di indici specifici per le start up innovative, per le imprese in liquidazione e per quelle neocostituite.

In ottemperanza a tale richiesta, il CNDCEC ha previsto specifiche strutture ad hoc.

1) Le Start-up e le PMI innovative. Per le start-up e le PMI innovative non possono trovare applicazione gli indici previsti per le altre imprese. Il che è giustificato, in particolare per le prime, in considerazione dell'elevato tasso di insuccesso dipendente dal profilo di rischio che caratterizza queste imprese. Si tratta di un rischio ineludibile la cui mitigazione pregiudicherebbe gravemente la capacità di intrapresa e la spinta innovativa che invece è fondamentale per lo sviluppo del sistema delle imprese e del Paese. È normale che i progetti più innovativi scontino un'elevata probabilità di insuccesso e che le prime fasi della ricerca e dello sviluppo siano caratterizzate dall'assenza di ricavi, da costi significativi e da perdite di esercizio.

Bene ha fatto pertanto il Legislatore, come peraltro auspicato in epoca non sospetta da chi scrive, a differenziare le start-up innovative rispetto alle altre imprese.

Per esse, più che la sostenibilità del debito e la presenza di flussi liberi al servizio dello stesso, rileva la capacità di ottenere risorse finanziarie da soci, obbligazionisti, banche, intermediari finanziari che, unitamente alle sovvenzioni ed ai contributi pubblici, consentono di proseguire nello studio e nello sviluppo dell'iniziativa. Tant'è che gli indici proposti dal CNDCEC non sono quelli sopra individuati ma, in presenza di debito attuale o derivante dagli impegni assunti, la capacità di ottenere le risorse finanziarie e la prosecuzione dell'attività di studio e di sviluppo, laddove un momento di criticità è costituito dalla sua sospensione per almeno 12 mesi. L'assenza di ricavi ed i risultati economici negativi, di converso, non devono avere alcuna rilevanza al fine di individuare lo stato di crisi.

In ogni caso, non vi sarebbe allerta in assenza di indebitamento, fenomeno questo frequente negli spin-off universitari.

Le stesse regole sono state adottate per le PMI innovative.

Non si può peraltro non osservare che la natura innovativa dell'impresa dipende da un momento meramente dichiarativo della parte; il che potrebbe impropriamente accomunare alla categoria soggetti che non vi dovrebbero partecipare. Il che dovrebbe imporre all'organo di controllo la preliminare verifica della sussistenza dei requisiti.

2) Le Imprese in liquidazione. - Quanto invece alle imprese in liquidazione, rilevando qui soltanto quelle che abbiano cessato l'attività, l'indice della crisi è rappresentato dal rapporto tra il valore di realizzo dell'attivo liquidabile e il debito complessivo della società. Per esse rilevano comunque i reiterati e significativi ritardi nei pagamenti e il DSCR inferiore ad 1. Non rileva invece la presenza di un patrimonio netto negativo che potrebbe derivare da un valore di libro degli assets minore rispetto a quanto realizzabile dalla loro liquidazione. Non rilevano invece i restanti indici.

3) Le Imprese costituite da meno di due anni. Per le imprese costituite da meno di due anni, a condizione che esse non siano succedute ad altre nell'esercizio dell'impresa o nella gestione dell'azienda, gli indici sono limitati al solo patrimonio netto negativo. Si applicano viceversa le regole generali e gli indici di settore nel caso in cui l'impresa o la società neo costituita sia succeduta ad altra o sia subentrata ad altra nella conduzione o nella titolarità dell'azienda. Si tratta dei seguenti casi:

  • società beneficiarie di un complesso o di un ramo aziendale per effetto di un'operazione di scissione;
  • società incorporanti in un'operazione di fusione o risultanti dalla fusione;
  • società conferitarie di un complesso o di un ramo aziendale;
  • imprese acquirenti un complesso od un ramo aziendale già esistente;
  • imprese che conducono in affitto un complesso o un ramo aziendale già esistente.
La periodicità di rilevazione

Il documento affronta anche il delicato tema della periodicità nella rilevazione degli indici e ravvisa l'esigenza di una periodicità almeno trimestrale. Il che è coerente con l'obbligo, emergente dall'art. 14 in capo all'organo amministrativo, di valutare costantemente l'equilibrio finanziario, nonché con il presupposto per il riconoscimento delle misure premiali di cui all'art. 25 della presentazione agli OCRI dell'istanza di composizione assistita entro tre mesi dal superamento degli indici.

Tale valutazione, in assenza di un bilancio approvato, dovrà essere condotta sulla base di una situazione infrannuale, avente natura volontaria, redatta dall'impresa per la valutazione dell'andamento economico e finanziario. Questa, nel rispetto del principio di proporzionalità, potrà essere costituita anche solo dallo stato patrimoniale e dal conto economico, redatti secondo quanto previsto dall'OIC 30.

Conclusioni

È doveroso osservare che l'individuazione dei 5 indici costituenti l'ultimo nodo dell'albero è stata condotta ad esito di un lavoro ciclopico che ha interessato decine di migliaia di modelli alternativi recanti, ciascuno di essi, una combinazione fino a 5 indici di bilancio, con un'analisi di significatività svolta sull'universo dei bilanci ordinari depositati ed avendo quale riferimento un evento di default nei successivi 3 esercizi inteso come accordo di ristrutturazione, concordato preventivo, fallimento, liquidazione coatta o amministrazione straordinaria.

La logica seguita nella selezione delle combinazioni di indici era finalizzata a massimizzare l'eterogeneità dei segnali e la copertura delle aree di analisi. Il che ha permesso di fare evolvere i modelli benchmark verso un nucleo solido di indici reputati efficaci, testati nella loro efficacia nei singoli diversi macrosettori di attività.

In ogni caso, l'individuazione delle soglie di rilevanza dei 5 indici che, come già detto, hanno un ruolo assolutamente subordinato e di supplenza nella segnalazione della crisi, dovendo essere comunque corroborati da ulteriori conferme, è stata effettuata nell'ottica di minimizzare i falsi positivi. È ben vero che la correlazione tra falsi positivi e falsi negativi è inversa e che al diminuire dei primi crescono i secondi, ma è altrettanto vero che i falsi negativi verrebbero comunque intercettati dalle prime 3 stazioni del percorso diagnostico (patrimonio netto, reiterati e significativi ritardi, DSCR). Per contro, il contenimento del rischio di falsi positivi era necessario per evitare indesiderate conseguenze sistemiche derivanti da un'adozione acritica degli indici, il cui pericolo è stato più volte rappresentato da chi scrive.

È questo un obiettivo che può ritenersi pienamente raggiunto, posto che dall'indagine, che, si ripete, ha interessato tutti i bilanci in forma ordinaria depositati, è emerso che solo in poco meno di un caso su due (il 49%), le imprese positive agli indici non presentano storicamente un evento di default nei 3 anni successivi. Occorre, peraltro, dire che poco meno della metà (il 44%) delle imprese che denotano un segnale falso positivo non risulta comunque più attiva a tre anni data per effetto di una cessazione in bonis (presumibilmente mediante intervento dei soci). Ne consegue che i falsi positivi si riducono, nella sostanza, a meno di 1 caso su 4.

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