Adozione di misure cautelari in ipotesi di coesistenza tra istruttoria prefallimentare e domanda di concordato

25 Settembre 2019

Sussiste, tra procedura prefallimentare e concordataria, un rapporto di continenza c.d. per specularità, per cui in ipotesi di coesistenza tra le due procedure concorsuali se ne impone la trattazione congiunta. L'impossibilità di dichiarare il fallimento in pendenza del ricorso per concordato preventivo, tanto più se “in bianco”, e in attesa del suo esito, rende ancor più evidente e necessaria la previsione di un eventuale intervento di natura cautelare, considerato che i creditori sono spogliati, con la presentazione della domanda e l'avvio della procedura, della possibilità di tutelarsi singulatim con azioni esecutive o conservative.
Massima

Sussiste, tra procedura prefallimentare e concordataria, un rapporto di continenza c.d. per specularità, per cui in ipotesi di coesistenza tra le due procedure concorsuali se ne impone la trattazione congiunta. L'impossibilità di dichiarare il fallimento in pendenza del ricorso per concordato preventivo, tanto più se “in bianco”, e in attesa del suo esito, rende ancor più evidente e necessaria la previsione di un eventuale intervento di natura cautelare, considerato che i creditori sono spogliati, con la presentazione della domanda e l'avvio della procedura, della possibilità di tutelarsi singulatim con azioni esecutive o conservative.

Deve ritenersi la piena compatibilità dell'intervento cautelare del Tribunale fallimentare con la circostanza della presentazione di un concordato preventivo, allorquando rilevino, in capo all'imprenditore, condotte dispositive volte alla diminuzione o volatilizzazione dell'attivo. Potranno, pertanto, trovare applicazione le norme che disciplinano la fase prefallimentare, tra cui l'art. 15, comma VIII l.fall., anche in ipotesi di avanzata proposta di concordato, siccome compatibili.

Il caso

Nei confronti di una nota Società per Azioni italiana, venivano sottoposti alla cognizione del Tribunale di Catania n. 9 ricorsi per la dichiarazione di fallimento.

In data 18.01.2019, nel corso dell'istruttoria prefallimentare, uno dei creditori presentava istanza ex art. 15, comma VIII l.fall. al fine di ottenere l'applicazione di misure cautelari e/o conservative a fronte di determinate condotte poste in essere dalla Società debitrice (in particolare, pagamenti preferenziali e atti di cessione di azienda, operati anche per il tramite di società controllate e collegate) tali da arrecare una lesione alla capacità produttiva e all'integrità aziendale, a discapito degli interessi dei creditori.

In data 08.02.2019, la Società debitrice formulava, tuttavia, una proposta di concordato preventivo con riserva, prospettando un piano volto all'integrale cessione dell'attività commerciale con gestione diretta dei punti vendita al dettaglio, pagamento integrale dei crediti prelazionari e pagamento parziale dei creditori chirografari.

Successivamente, in data 23.02.2019, la competente Procura della Repubblica depositava una nota con la quale evidenziava numerose carenze tanto sul piano informativo (in ordine ai numerosi atti di cessione avvenuti a ridosso del deposito alla proposta concordataria), quanto sul piano documentale (quali la mancanza del conto economico) tali da non consentire né la verifica della situazione patrimoniale, né l'andamento della Società, né le concrete ragioni della crisi.

La debitrice, a seguito di apposita nota della Procura, effettuava una parziale discovery, opponendosi all'adozione delle misure cautelari richieste poiché non operanti in ipotesi di concordato, ai sensi dell'art. 168 l.fall.

Il Tribunale di Catania, esaminati i fatti di causa e la documentazione prodotta, verificata l'applicabilità al caso di specie delle misure di cui all'art. 15, c. VIII l.fall., anche in ipotesi di procedura concordataria, attese le rilevanti dismissioni di asset aziendali nonché la mancanza di trasparenza, ordinava con Decreto il sequestro di tutti i beni mobili, immobili, conti correnti in titolarità alla Società debitrice, nominando contestualmente due custodi.

Questioni giuridiche

Il contesto normativo e giurisprudenziale di riferimento, in relazione alle fattispecie trattate nella pronuncia in esame

Con la pronuncia in commento, il Tribunale di Catania si è recentemente espresso in materia di applicabilità delle misure cautelari e conservative nel corso della fase prefallimentare a seguito dell'istanza ex art. 15, comma VIII l.fall., proposta prima del deposito della domanda di concordato preventivo in bianco, da parte della Società debitrice.

Il Decreto in esame presenta diverse peculiarità che attengono non solo al caso di specie per come concretamente svoltosi – invero, caratterizzato da un concatenato intreccio di fatti e da un articolato iter processuale – ma riguardano anche i passaggi argomentativi delineati dal Tribunale etneo a sostegno della decisone assunta.

Il percorso motivazionale adottato nel Decreto in commento si impernia, in sintesi, nei seguenti punti salienti:

i) applicabilità delle misure previste dal comma VIII dell'art. 15 l.fall. in caso di coesistenza tra procedura prefallimentare e concordataria;

ii) valutazione dei requisiti ex lege per procedere all'emissione della misura cautelare;

iii) tipologia e consistenza delle misure cautelari da adottare.

Le questioni tratteggiate dalla pronuncia in esame sono, da sempre, oggetto di dibattito giurisprudenziale e dottrinale.

Per quanto concerne l'analisi del primo aspetto, si rende preliminarmente opportuno tratteggiare il quadro normativo di riferimento.

Come noto, l'art. 15, comma VIII l.fall., rubricato al Capo I “Della dichiarazione di fallimento”, prevede espressamente la possibilità di applicare “misure cautelari e conservative” nel corso della fase prefallimentare: “(…) Il tribunale, su istanza di parte, può emettere i provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o dell'impresa oggetto del provvedimento, che hanno efficacia limitata alla durata del procedimento e vengono confermati o revocati dalla sentenza che dichiara il fallimento, ovvero revocati con decreto che rigetta l'istanza”.

A ciò si contrappone, nel caso di specie, l'art. 168, l. fall. il quale, in tema di effetti della presentazione della domanda di concordato preventivo, stabilisce il noto principio del c.d. automatic stay tale per cui, dalla data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato diventa definitivo, i creditori per titolo o causa anteriore, non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore.

Pertanto, nel caso in cui, nel corso dell'istruttoria prefallimentare, la Società debitrice depositi domanda di concordato preventivo, stante l'assenza di una espressa regolamentazione da parte del Legislatore in caso di coesistenza delle due procedure, sorge la necessità di valutare la compatibilità dell'intervento cautelare in ipotesi di co-pendenza con la procedura concorsuale minore, per sua stessa natura, protetta ex art. 168 l.fall. dall'adozione di misure ablative.

Secondo una prima corrente interpretativa, non risulta possibile estendere il perimetro applicativo dell'ottavo comma dell'art. 15 l.fall. onde consentire l'emissione di provvedimenti cautelari nella fase che precede l'apertura di una procedura concorsuale minore, quale il concordato preventivo (in tal senso, si è espresso, ex multis, il Tribunale di Biella, sent. 09.10.2009, che ha stabilito l'inapplicabilità in via analogica del disposto di cui all'art. 15,comma VIII l.fall. al procedimento per concordato preventivo; conforme: Tribunale di Monza, sent. 20 novembre 2009).

I propugnatori di tale tesi fondano le proprie argomentazioni sul tenore letterale della norma e l'assenza di principi guida espressamente individuati dal legislatore, ritenendo che quest'ultimo abbia volutamente limitato la strumentalità dei provvedimenti cautelari e conservativi alla sola procedura prefallimentare.

A ben vedere, il supporto motivazionale di siffatta impostazione si basa su una valutazione rigoristica e meramente testuale dell'istituto che non tiene debitamente conto dell'esigenza di contemperare diversi interessi.

All'orientamento sopra esposto si contrappone, invero, una diversa corrente giurisprudenziale secondo cui il Giudice non deve in alcun modo limitarsi al dato testuale dell'art. 15, c. VIII l.fall. che circoscrive la tutela cautelare nell'alveo della procedura prefallimentare, bensì è legittimato ad estendere il perimetro applicativo della disposizione onde consentire l'emissione di provvedimenti cautelari o conservativi anche in contestuale pendenza di procedure concorsuali minori, quali il concordato preventivo, a maggior ragione se “in bianco”: invero, in tale peculiare caso, la previsione di un eventuale intervento di natura cautelare potrebbe risultare ancor più necessaria considerato che i creditori sono spogliati della possibilità di tutelarsi singulatim con azione esecutive o conservative.

Secondo i sostenitori di tale tesi la diversità di disciplina tra le due procedure concorsuali contemporaneamente pendenti, non determina un vuoto di tutela per i creditori, tenuto conto che (i) entrambe sono tese alla gestione della stessa situazione di crisi imprenditoriale nell'ottica di una migliore realizzazione dell'attivo in favore del ceto creditorio e tenuto, altresì, conto che (ii) in pendenza della domanda di concordato, il verificarsi di condotte distrattive destinate alla diminuzione fraudolenta dell'attivo, potrebbe comunque legittimare i creditori e il Pubblico Ministero a presentare un ricorso per la dichiarazione di fallimento e, dunque, a chiedere l'adozione di quei provvedimenti cautelari a tutela del patrimonio e dell'impresa consentiti proprio dall'art. 15, c. VIII l.fall.

Il solco di tale orientamento è stato tracciato in modo significativo dalla Corte di Cassazione con la Sentenza a Sezioni Unite n. 9935 del 23 gennaio 2015, chiarificatrice nell'affrontare e risolvere la questione di diritto sul rapporto tra procedimento prefallimentare e procedimento di concordato preventivo.

I giudici di legittimità, nel riesaminare criticamente i principi affermati già nel 2013 da altro precedente della Suprema Corte (cfr. Cass. Civ., 23 gennaio 2013, n. 1521), riaffermano in primis la vigenza del principio di prevenzione del concordato preventivo sul fallimento, per poi circoscrivere, in secundis, alcuni corollari di detto principio, tra cui - il più dirimente nel caso che ci occupa - il rapporto di continenza e trattazione congiunta tra le due procedure.

Ne consegue che in caso di co-pendenza tra un'istanza per la dichiarazione di fallimento e una domanda di concordato innanzi allo stesso Giudice, si deve provvedere dapprima alla riunione dei procedimenti al fine di garantire non solo la fruibilità in ciascuna procedura del materiale probatorio raccolto nell'altra, ma anche l'esame, nel contraddittorio tra le Parti, dei presupposti soggettivi e oggettivi di entrambe le procedure concorsuali.

Il concetto di “continenza” avvallato dalla corrente in esame appare piuttosto ampio laddove si statuisce che quest'ultima ricorre non solo quando due cause siano caratterizzate da identità di soggetti e di causa petendi e da una differenza soltanto quantitativa dell'oggetto (c.d. continenza in senso stretto), ma anche allorquando fra le cause sussista una coincidenza parziale di causa petendi, ovvero qualora le questioni dedotte in causa costituiscano il presupposto logico-giuridico necessario per la definizione della causa, o siano comuni alla decisione di entrambe, avendo le rispettive domande origine dal medesimo rapporto, cosicché la soluzione dell'una interferisce sull'altra (c.d. continenza per specularità): tale è l'ipotesi di coesistenza tra procedimento prefallimentare e procedura di concordato preventivo in ragione del fatto che i due istituti non operano in concorrenza tra di loro, ma sono volti a garantire il medesimo scopo, ossiala soluzione della crisi imprenditoriale.

Tale obiettivo - prefigurato da entrambi gli istituti - trova la propria ratio nell'esigenza di neutralizzare gli effetti depauperatori degli atti dispositivi di spoglio del patrimonio della debitrice, per assicurare il rispetto del principio della par condicio creditorum, immanente nel nostro ordinamento.

L'esigenza è ancor più reale atteso che, a norma dell'art. 167 l.fall., il debitore ammesso al concordato è lasciato nel possesso e nell'amministrazione dei propri beni, esponendo - di fatto - la massa di creditori ad un potenziale rischio di “dispersione e mala gestio” dei beni aziendali.

Per quanto concerne la seconda questione sottoposta al vaglio dei Giudici etnei – valutazione dei requisiti per procedere all'emissione delle misure cautelari ex art. 15 l.fall. – risultano applicabili le norme del procedimento cautelare uniforme previste dal Codice di Procedura Civile, per quanto compatibili con la normativa di carattere speciale (Legge Fallimentare) in forza del richiamo contenuto nell'art. 669quaterdecies c.p.c. (cfr. Sent. Tribunale Modena, 14 aprile 2015).

Pertanto, devono imprescindibilmente sussistere:

a) il fumus boni iuris, da intendersi come la probabile sussistenza dei presupposti soggettivi (qualifica di imprenditore commerciale non piccolo) ed oggettivi (insolvenza) necessari per la dichiarazione di fallimento ex artt. 1 e 15 l.fall.;

b) il periculum in mora, intesto come il rischio che, nelle more del procedimento prefallimentare, possa essere lesa la capacità produttiva (a tutela dell'impresa) oppure l'integrità, il valore dell'azienda (a tutela del patrimonio) a mezzo di atti di distrazione dell'attivo ovvero di assunzione di nuovi debiti che rendano più difficile, incerta o lunga la liquidazione concorsuale e, quindi, l'an e/o il quantum di soddisfazione delle ragioni creditorie insinuate al passivo.

In concreto, il periculum in mora, finisce per coincidere con la funzione che la misura conservativa è chiamata ad assolvere e che varia, di volta in volta, in base al contenuto del provvedimento richiesto.

L'emissione dei provvedimenti è valutata in prima battuta alla stregua di una sommaria cognitio ed è, in ogni caso, subordinata all'iniziativa di parte (creditore, Procura della Repubblica o lo stesso debitore, non potendo le misure de quibus essere disposte d'ufficio) ed ha carattere provvisorio, potendo essere confermata o revocata nella successiva fase di merito con la sentenza che dichiara il fallimento o con il decreto che rigetta l'istanza.

In merito alla terza questione oggetto dell'inquadramento in esame – tipologia e consistenza dei provvedimenti di cui all'art. 15, c.VIII l.fall. – si rende opportuno precisare che il dettato dalla norma distingue, mediante la particella “o” i provvedimenti cautelari da quelli conservativi.

La giurisprudenza e la dottrina maggioritarie hanno fornito un'interpretazione estensiva - a discapito del dato testuale per il quale il tribunale può adottare “provvedimenti cautelari o conservativi” - chiarendo che i provvedimenti conservativi costituiscono una species della più ampia tutela cautelare. Sembra, quindi, che alla congiunzione “o” non possa attribuirsi valore disgiuntivo, in quanto utilizzata dal legislatore in maniera esplicativa: in altri termini, secondo tale lettura, la parte istante ha facoltà di ottenere provvedimenti cautelari “ovvero” - più precisamente - misure finalizzate anche alla “conservazione” del patrimonio dell'imprenditore o dell'impresa in senso lato.

È rimessa al giudice l'individuazione in concreto della tipologia provvedimentale più idonea a perseguire l'obiettivo di tutela del patrimonio o dell'impresa, al di là del dato classificatorio che distingue tra provvedimenti anticipatori/cautelari e conservativi (sul punto, vedasi Trib. Monza, 11 febbraio 2009, conforme a Tribunale di Latina, 28.09.2012 n. 294, secondo cui “non rileva la distinzione tra misure cautelari conservative e anticipatorie, trattandosi di provvedimenti che assicurano l'integrità del patrimonio aziendale e che hanno effetti diversi da quelli prodotti dalla dichiarazione di fallimento”).

Dunque, è consentita tanto l'adozione di misure cautelari più tipicamente conservativefunzionali a cristallizzare anticipatamente la situazione di fatto e di diritto – quanto l'emissione di provvedimenti cautelari “atipici”.

Tra le misure tipicamente conservative si enucleano il sequestro conservativo di liquidità e di beni mobili o immobili, il sequestro giudiziario dei singoli asset o, anche, dell'azienda o di singoli suoi rami.

Tra i provvedimenti “atipici” si rinvengono misure aventi pluralità di contenuti e funzioni in aderenza alle esigenze cautelari, di volta in volta, prospettate. In particolare, si possono distinguere provvedimenti dal contenuto:

  • anticipatorio, in quanto diretti a sospendere le procedure esecutive e cautelari in corso, con effetti anticipatori rispetto all'art. 51 l.fall.;
  • inibitorio, siccome volti ad impedire ad un soggetto terzo o al debitore di dare esecuzione ad un obbligo, ad esempio, di pagamento (in questo senso, Trib. Monza, 20 novembre 2009) o di determinati atti della gestione o dell'assetto dell'impresa (in tal senso, Trib. Terni, 3 marzo 2011);
  • innovativo”, poiché idonei ad incidere sulla struttura organizzativa, sulla gestione e sul funzionamento dell'impresa. Si pensi alla nomina di un custode o di un curatore speciale per il compimento di atti urgenti o alle misure che obbligano l'imprenditore a premunirsi dell'autorizzazione del tribunale per compiere determinate attività, oppure all'ordine di eseguire un contratto essenziale per la prosecuzione dell'attività di impresa, oppure ancora alla revoca degli amministratori della società debitrice sostituiti da un amministratore giudiziale con poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione (cfr. Trib. Napoli, 23 giugno 2009; Trib. Udine, 11 luglio 2008; Trib. Verona, 28 maggio 2008).
Osservazioni

Il caso concreto e la soluzione offerta dalla pronuncia in commento

All'interno del contesto sopra delineato, si inserisce la pronuncia del Tribunale di Catania, la quale ha inteso tutelare il ceto creditorio reputando compatibile l'intervento cautelare in parola con una procedura concordataria avviata dalla debitrice in pendenza dell'istruttoria prefallimentare.

Nel ricostruire il quadro concettuale della propria decisione, il Tribunale etneo si conforma all'orientamento giurisprudenziale che propende per l'applicabilità delle misure di cui all'art. 15, c. VIII l.fall. anche in caso di coesistenza tra istruttoria prefallimentare e domanda di concordato preventivo, aderendo - con argomentazioni solide e ben motivate sul piano logico giuridico - alla tesi che ravvisa la necessità di trattazione congiunta delle due procedure poste tra loro in rapporto di continenza per specularità, di talché “possono trovare applicazione le norme che disciplinano la fase prefallimentare, tra cui l'art. 15 comma VIII l.fall, anche in ipotesi di avanzata proposta di concordato, in quanto compatibili”.

La trattazione congiunta, difatti, comporta “quale unico effetto, l'impossibilità che venga dichiarato il fallimento una volta avviata la procedura concorsuale minore”, indipendentemente dall'esito che avrà la proposta di concordato (se, dunque, seguirà o meno l'omologazione).

Il fallimento potrà essere dichiarato, eventualmente, solo dopo l'esaurimento con esito negativo della procedura di concordato, ma sino a quel momento le procedure saranno trattate unitariamente.

In particolare, il sequestro di tutti i beni mobili, immobili, conti correnti in titolarità alla Società con la contestuale nomina di due custodi, è stato disposto in esito di approfondita analisi:

  • del dato fattuale, a mente del quale la debitrice, prima di presentare ricorso per concordato preventivo, aveva stipulato contratti di cessione e di affitto di ramo di azienda, così riducendo drasticamente il proprio attivo patrimoniale.

Il Collegio è lapidario nel puntualizzare come i requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora siano evincibili proprio alla luce degli eventi per come concretamente svoltisi: “le cessioni di asset aziendali, la mancanza di trasparenza in ordine ai relativi flussi di denaro, i comprovati pagamenti preferenziali, inducono a ritenere verosimile il compimento di una complessiva operazione di volatilizzazione del patrimonio che, unitamente ad un carente flusso informativo (che non consente al tribunale di verificare e tracciare i dati acquisiti anche e soprattutto in ordine alla gestione del cash flow), induce a ritenere verosimile la sussistenza del periculum in mora in relazione alla integrità aziendale a discapito della garanzia patrimoniale dei creditori”. Invero, nel caso di specie, le cessioni hanno riguardato “l'intero asset patrimoniale” delle debitrice, incidendo “anche sull'attività ordinaria della stessa c.d. core, attraverso la cessione di numerosi punti vendita, eseguiti dunque ante proposta di concordato”;

  • del principio di diritto,nomofilatticamente espresso dalla Suprema Corte, della trattazione congiunta tra procedura concordataria e prefallimentare poste in rapporto di continenza, ritenendo che “il favore per la soluzione concordataria risulta pienamente compatibile con la previsione di una tutela atipica ex art 15 l.f. nell'ottica complessiva della migliore realizzazione degli interessi della massa”.

D'altronde, il Tribunale - come lo stesso osserva - ha reputato necessario percorrere la via dell'intervento cautelare in quanto “il comprovato pagamento di debiti in via preferenziale”, come documentato nel corso dell'istruttoria prefallimentare, e le carenze sia documentali sia informative, non portano a ritenere sufficiente il potere di vigilanza e controllo attribuito al Commissario nominato all'apertura del procedimento concordatario, non avendo questi avuto accesso diretto alle attività dispositive poste in essere dall'azienda (invero, emerse solamente a seguito del deposito della nota della Procura della Repubblica).

Infine, in ordine alla concreta misura cautelare da adottare, il Tribunale si rifà alla prassi giurisprudenziale che individua una pluralità di contenuti da assegnare a diversi tipi di provvedimenti, in considerazione della funzione che sono chiamati a svolgere, al fine di assicurare alle ragioni dei creditori la tutela più efficace.

Dopo una rassegna delle misure a contenuto anticipatorio, inibitorio e innovativo, calandosi ancora nel caso di specie, i Giudici etnei hanno ritenuto sussistenti “esigenze cautelari composite che comportino l'adozione di provvedimenti che vadano ad incidere sul rapporto tra imprenditore ed impresa” e hanno, pertanto, adottato la misura conservativa del sequestro dell'azienda nel suo complesso.

Attesa la pendenza del concordato preventivo, il Tribunale non ha ritenuto opportuno incidere sul profilo organizzativo lasciando inalterata la struttura gestoria, reputando che il sequestro “consenta di mantenere intatte le prerogative della governance quanto alle scelte strategiche da assumere, permanendo in capo all'amministrazione della società anche ogni potere in ordine alla determinazione del contenuti e tempi della proposta concordataria”.

Anche in questo passaggio - di significativo impatto - si denota il quid innovativo della pronuncia in commento.

Conclusioni

L'analisi condotta dal Tribunale di Catania appare razionale e condivisibile nelle sue conclusioni, dimostrando come il Collegio abbia osservato - a tutto tondo - le potenzialità applicative dell'art. 15 l.fall. che prevede diverse declinazioni e modalità di attuazione delle misure cautelari conservative, da calibrare in base alle caratteristiche del caso di specie.

È in un'ottica di realizzazione della funzione neutralizzatrice di atti dissipativi del patrimonio, che devono ritenersi ammissibili le misure di indole conservativa (sequestro d'azienda) adottate dal Tribunale catanese, stante la loro corrispondenza all'interesse della massa dei creditori nel non vedere compromessa, nelle more dell'istruttoria prefallimentare, la legittima aspettativa al mantenimento dell‘integrità del patrimonio.

Nel caso di specie, il Tribunale è chiaro nel sottolineare che con la misura adottata non si intende intervenire sulla struttura gestoria dell'impresa che è rimasta apparentemente intatta nelle sue prerogative di governance, permanendo in capo agli organi amministrativi ogni potere circa la determinazione dei contenuti e tempi della proposta concordataria.

Tale aspetto è di non poco conto se si considera che l'adozione di misure cautelari può condurre ad un nefasto ed irrecuperabile blocco dell'attività imprenditoriale anche a seguito della sostituzione degli organi amministratovi e a prescindere dalla fondatezza o meno della richiesta di fallimento.

La soluzione prescelta dal Tribunale è certamente apprezzabile poiché accuratamente calmierata e attinente alle esigenze del caso di specie; tuttavia, non ci si può esimere dal rilevare che un eccesso di discrezionalità in capo al Giudice nella scelta della misura cautelare “atipica” potrebbe portare ad un uso distorto dell'istituto con il rischio di irrogare provvedimenti nefasti, limitanti e vessatori dell'attività d'impresa, sino al punto di provocare una paralisi ed un danno patrimoniale definitivo.

Allo scopo di evitare che l'interpretazione estensiva dell'art. 15, c. VIII l.fall. (correttamente) avallata dal Tribunale etneo si traduca - in concreto - in una riduzione della tutela del debitore e si presti ad iniziative improprie, è sempre opportuno che il giudice prefallimentare bilanci l'approccio sommario che caratterizza la fase cautelare con l'apprezzamento del “peso” che la misura propalata andrà ad avere, operando - anche in chiave prognostica e probabilistica - una valutazione con profondità decisamente superiore, utilizzando (qualora necessario) tutti gli strumenti cognitivi di cui ritenga opportuno avvalersi (ivi incluse le perizie tecniche). Ciò, a maggior ragione, laddove il debitore abbia depositato una domanda di concordato preventivo “in bianco” che potrebbe tendere – in ipotesi – anche alla continuità aziendale, proprio quella continuità che mal si concilia con l'assunzione di misure cautelari e conservative.

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