La competenza medico legale nella valutazione “tecnica” della sofferenza soggettiva interiore

Enzo Ronchi
Umberto Genovese
26 Settembre 2019

Interveniamo sentendoci chiamati in causa dall'articolo del Giudice Damiano Spera su questa stessa rivista dal titolo “Il nuovo quesito medico legale all'esame dell'Osservatorio di Milano”, posto che fin dal 2009 è stata da noi sollevata la questione del contributo medico legale nella valutazione della sofferenza morale in una edizione Giuffrè, molto conosciuta in ambito medico legale e probabilmente assai meno nota fra gli esperti di diritto del risarcimento danni alla persona. Ed è appunto al riguardo che si vuole intervenire cercando di fornire un ulteriore contributo tecnico nell'elaborazione di un nuovo quesito per i CTU.
Premessa

Interveniamo in questo forum sentendoci chiamati in causa dall'articolo del Giudice Damiano Spera su questa stessa rivista (16.07.19) dal titolo “Il nuovo quesito medico legale all'esame dell'Osservatorio di Milano”, posto che fin dal 2009 è stata da noi sollevata la questione del contributo medico legale nella valutazione della sofferenza morale in una edizione Giuffrè (Ronchi E., Mastroroberto L., Genovese U., Guida alla valutazione medico-legale dell'invalidità permanente, in responsabilità civile e nell'assicurazione privata contro gli infortuni e le malattie, con contributo medico-legale per la quantificazione della sofferenza morale e del danno da perdita di chances), molto conosciuta in ambito medico legale e probabilmente assai meno nota fra gli esperti di diritto del risarcimento danni alla persona. Ed è appunto al riguardo che si vuole intervenire cercando di fornire un ulteriore contributo tecnico nell'elaborazione di un nuovo quesito per i CTU.

L'accertamento della sofferenza soggettiva interiore

Non spetta certamente alla Medicina Legale stabilire se questo nuovo conio sia il più appropriato e tuttavia non si vede difficoltà a recepirlo ed anzi si auspica essere il definitivo. Per indicare lo stesso pregiudizio, in giurisprudenza e letteratura si sono utilizzate le espressioni danno morale, sofferenza psicofisica, sofferenza interiore, danno sofferenziale; e lo stesso Legislatore, nella legge n. 124/2017 utilizza indifferentemente i termini danno morale e sofferenza psicofisica riformulando, rispettivamente, gli artt.138 e 139. Molto opportunamente, l'ordinanza “decalogo” n. 7513/2018 della S.C. dice, fra l'altro, che «… ogni discussione scientifica è impossibile in assenza di un lessico condiviso».

In ogni caso, più che sulla forma Medicina e Diritto dovrebbero intendersi sui contenuti, cioè sui componenti del pregiudizio in discorso, stabiliti i quali ci si potrà domandare se possa tornare di qualche utilità, nella valutazione di tale sofferenza, un “contributo tecnico medico legale” a beneficio del Giudice o anche delle parti stesse nella fase stragiudiziale.

Alla domanda abbiamo dato risposta affermativa fin dal 2009, nella Guida medico legale citata inpremessa(ed a seguire anche nella seconda edizione dell'opera 2013). E alla stessa risposta si è giunti successivamente, a conclusione dei lavori del Gruppo di Esperti SIMLA (Società Italiana di Medicina Legale e delle Assicurazioni) riunitisi in Padova il 6-7 aprile 2018, nel quale, comunque, erano presenti due dei sottoscritti. Risposta affermativa corredata dalla illustrazione della metodologia elaborata, riassunta nelle tabelle qui allegate: e il lettore “non medico legale” viene qui invitato a consultarle, avendo prima preso conoscenza di quanto segue.

Il documento di sintesi dei lavori di Padova definisce la “sofferenza” uno stato emotivo della persona temporaneo e/o permanente, produttivo di percezione di disagio/degrado/dolore, rispetto alla condizione anteriore. Con ciò riconoscendo, pertanto, nel disagio/degrado e nel dolore le componenti della sofferenza medesima. E certamente riconosce pure non essere necessaria la compresenza delle tre componenti, essendo noto che nella fase di vita contrassegnata da invalidità permanente (cioè a stabilizzazione avvenuta delle lesioni) può mancare la sollecitazione a carico dei recettori del dolore disseminati nei tessuti anatomici (più comune nei primi periodi di invalidità temporanea) ed essere invece presente una penosa percezione di disagio e/o di degrado nel danneggiato, come ad esempio nella paraplegia.

Medicina e Diritto dovrebbero cominciare con il trovarsi concordi nel riconoscere le indicate componenti della sofferenza soggettiva interiore.

Ora accade che per SIMLA (e per gli scriventi fin dal 2009) la Medicina Legale possiede strumenti idonei per dare un contributo tecnico motivato nell'accertamento e valutazione della sofferenza morale correlata a menomazioni psico-fisiche, sia nel periodo di danno biologico temporaneo sia nella residua vita contrassegnata da invalidità permanente. Ma, al riguardo, pare siano intercorse puntuali incomprensioni fra Medicina e Diritto come emerge nelle conclusioni raggiunte da Damiano Spera nell'articolo esaminato: «In definitiva, appare possibile affermare che, in relazione al danno non patrimoniale da sofferenza soggettiva interiore (categoria che necessita comunque di ulteriori approfondimenti), nella competenza di accertamento da parte del medico legale rientra: la sofferenza fisica costituita dal dolore nocicettivo e la sofferenza menomazione-correlata, intesa quest'ultima come conseguenza immediata e diretta del danno biologico permanente e temporaneo. Gli altri pregiudizi ricompresi nella sofferenza interiore (come ad esempio: la tristezza, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sè, la paura, la disperazione) sono invece rimessi all'accertamento del Giudice con altre modalità e/o altri ausiliari».

L'incomprensione qui sembra evidente.
Al medico legale si attribuisce competenza nell'accertamento della sofferenza per percezione di dolore determinato dalla sollecitazione degli specifici recettori fisiologici (nocicettori) e nell'accertamento della “sofferenza menomazione-correlata”. Ma quest'ultima altro non è che la seconda/terza componente della sofferenza (diversa dal dolore), costituita dalla percezione di disagio/degrado nella persona. La quale si traduce poi in tristezza, dolore dell'animo, vergogna, disistima di sé, paura, disperazione, eccetera.

Né gli scriventi fin dal 2009 né gli esperti SIMLA successivamente, hanno mai sostenuto che il medico legale possa direttamente accertare il dolore dell'anima, la vergogna, la disistima, la paura, la disperazione, eccetera. Ognuno potrà constatare che la metodologia elaborata dai sottoscritti, come riepilogato nelle tabelle sulla sofferenza nelle fasi temporanea e permanente del danno biologico qui allegate, cerca di cogliere, nella storia del danneggiato, elementi indiretti ma oggettivi. Le domande dirette sono certamente da bandire in questa specifica materia. In ambito clinico, il rapporto medico-paziente è improntato, ovviamente, alla reciproca fiducia. Il rapporto medico-legale/periziando è contrassegnato da sfiducia più o meno evidente. Non possono aver peso risposte a fronte di domande dirette (come nelle scale di valutazione del dolore in uso in sede clinica); non esistono tristometri né diretti misuratori del dolore dell'animo, della vergogna, della disistima di sé, eccetera; e nessuno può dubitare che tutto debba essere rimesso all'accertamento del Giudice.

Ma (si veda la tabella medico-legale di valutazione della sofferenza nella inabilità temporanea), dalla durata dell'iter clinico, dalla terapia analgesica prescritta in sedi affidabili, dal prescritto uso di presidi vari, dagli interventi chirurgici subiti, è possibile evincere preziosi elementi in ordine alla sofferenza subita, appunto, nella fase di danno biologico temporaneo: ed a quel punto, anche risposte del danneggiato circa le rinunce nel quotidiano, potranno essere ponderate in termini di attendibilità e quindi in termini di valore del parametro stesso. Nella stessa misura vale lo studio delle variabili considerate in tabella per quantificare la sofferenza nella fase di danno biologico permanente.

Il corretto utilizzo medico legale delle nostre tabelle porta, in ultima analisi, a quantificazioni della sofferenza con scala da 0 a 100, sia per il danno biologico temporaneo, sia per il danno biologico permanente, adottando, per ciascuna di queste due componenti del pregiudizio risarcibile, cinque diversi parametri che, ripetiamo, afferiscono a quel pregiudizio che non deriva dalla “incapacità a fare” che caratterizza il danno biologico, ma dai patimenti interiori generati dalle lesioni, dai trattamenti che esse hanno reso necessario, dalle ripercussioni sul vivere quotidiano, fino a giungere a quelle condizioni che determinano un vero e proprio degrado intimo. Ove si volesse preferire al sistema dello score quello delle aggettivazioni, facilmente il valore fino a 5 potrebbe indicare sofferenza lievissima, il valore fino a 15 lieve, il valore fino a 50 media, il valore fino 75 elevata ed il valore oltre il 75 e fino 100 elevatissima/massimale.

Ma analizziamo quanto scrive Damiano Spera nel contributo sopra citato:

«Nel quesito, si chiederà al medico-legale, tenuto conto dell'età e dello stato della salute preesistente, di ben descrivere, nella relazione, con riferimento al danno biologico temporaneo e permanente:

- quali attività della vita quotidiana siano state precluse o limitate;

- la capacità o meno del soggetto di percepire gli effetti della malattia e della menomazione permanente sul fare quotidiano;

- quale barème di valutazione medico-legale aveva adottato; in proposito si registra un forte consenso ad imporre con il quesito medico-legale, in tutte le ipotesi di micropermanenti, la tabella delle menomazioni dell'integrità psico-fisica compresa tra 1 e 9 punti di invalidità, normativamente cogente solo per i fatti illeciti disciplinati dall'art. 139 cod. ass.;

- quale sia il grado di sofferenza fisica, costituita dal dolore nocicettivo, specificando la eventuale terapia antidolorifica;

- quale sia stato il trattamento terapeutico, specificando il tipo e l'entità delle medicazioni e degli interventi chirurgici necessari e le relative modalità (ad es.: se in anestesia generale o locale);

- quali siano stati gli eventuali trattamenti riabilitativi;

- quale sia stata la durata dei ricoveri ospedalieri;

- la necessità di terapie continuative o di presidi protesici e/o dell'utilizzo di terzi;

- ulteriori elementi necessari o utili, in relazione alle peculiarità della fattispecie concreta.

In sostanza, nel dare risposta al quesito, il CTU dovrà offrire al giudice tutti gli elementi utili per accertare il grado di sofferenza menomazione-correlata».

Non vi è chi non veda, a questo punto, che nel quesito stesso tutti i parametri utili alla valutazione della sofferenza soggettiva interiore sono ripresi dalle nostre tabelle medico-legali. E tutti (ed anche di più) dovevano essere ponderati dal CTU già nel quesito per come formulato nell'aprile 2013 dall'Osservatorio della Giustizia Civile di Milano in cui gli si chiedeva di «indicare il consequenziale grado di sofferenza psico-fisica in una scala da 1 a 5»: posto che comunemente il CTU si riportava a quel metodo (che ricorre ad una tabella per conversione in quinti dei valori espressi in centesimi).
Ne deriva che si possa ritenere superfluo sottoporre un quesito tanto ampio; e tuttavia si riconoscono tutte le ragioni in Damiano Spera laddove afferma: «Dovrebbe essere assolutamente evitata l'ipotesi (allo stato purtroppo frequente) che il CTU apoditticamente indichi, accanto al dato numerico dell'invalidità permanente accertata e ai giorni di invalidità temporanea, il grado di sofferenza soggettiva senza alcuna motivazione !». In altre parole, sono da ritenere assolutamente riprovevoli le CTU che in punto sofferenza soggettiva interiore, liquidino sbrigativamente il problema del quesito stesso indicando il mero valore numerico non preceduto da alcuna motivazione, cioè alcun esame di quei parametri/variabili che portano alla quantificazione medesima.

Anche il medico legale deve saper fare la sua parte!

Osserviamo, poi, che la già citata sentenza c.d. “decalogo”, secondo taluno si cura anche del ruolo della Medicina Legale nella valutazione della sofferenza interiore. Così scrive, ad esempio, Damiano Spera (Time Out: Il decalogo della Cassazione sul danno non patrimoniale e i recenti arresti della Medicina legale minano le sentenze di San Martino, in RIDARE; settembre 2018): «Ritengo, invece, che la sofferenza soggettiva interiore, non avendo base organica non può essere oggetto di accertamento da parte del medico legale, come peraltro esposto anche nel citato punto 8) del decalogo».

Tale interpretazione proposta dallo stesso Autore, ad avviso degli scriventi non è condivisibile per le seguenti ragioni.

Nella parte che qui interessa, con l'ordinanza n. 7513/2018, la Corte così riassume i princìpi stabiliti:

6) In presenza di un danno permanente alla salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e l'attribuzione di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi delle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale: ovvero il danno dinamico-relazionale).

7) In presenza di un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentato solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale e affatto peculiari. Le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l'id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.

8) In presenza di un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e di un ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranee alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione) .

9) Ove sia correttamente dedotta ed adeguatamente provata la esistenza di uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione (…) .

Sembra evidente, pertanto, agli scriventi, che la Corte voglia sottolineare che non debba essere risarcito a parte (costituirebbe duplicazione) il pregiudizio dinamico-relazionale (comune a tutti) «di cui è già espressione grado percentuale di invalidità permanente». Principio ribadito nel punto 8) ove si afferma che i pregiudizi che già non rientrano nella «determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente», come la sofferenza interiore, debbano pure essere presi in considerazione nella liquidazione non costituendo duplicazione risarcitoria: posto che i pregiudizi aventi base organica, che hanno fondamento medico-legale, sono appunto quelli già ricompresi nella stima tecnica dell'invalidità permanente. Ma la Corte non dice e non esclude che possa essere di qualche utilità un contributo medico-legale per la valutazione della sofferenza morale e qui si è propensi a ritenere che il giudice di merito (e chiunque sia preposto alla liquidazione), esaminata la metodologia medico-legale in discorso, ne trarrebbe giovamento. E ciò a maggior ragione ove si consideri quanto disposto dall'art. 138 del Codice delle Assicurazioni (per come novellato dalla legge n. 124/2017) secondo il quale l'incremento del valore economico di danno biologico previsto a titolo di danno morale, è stabilito “per ciascun punto” («al fine di considerare la componente del danno morale da lesione all'integrità fisica, la quota corrispondente al danno biologico … è incrementata in via percentuale e progressiva per punto»).

Nel merito, piace ricordare il punto di vista di P. Ziviz (Alla ricerca di uno statuto definitivo per il danno non patrimoniale, in RIDARE ottobre 2018): «Un rilievo finale va riservato all'eventuale ruolo che può ricoprire il medico legale con riguardo all'accertamento del turbamento emotivo provocato dallo stato di invalidità (permanente o temporanea) della vittima. Va osservato che, in quanto soggetto deputato ad accertare sul piano scientifico la lesione dell'integrità psico-fisica come concretamente sofferta dalla vittima, il medico legale è in grado di fornire compiuti riscontri di carattere qualitativo utili per poter determinare l'ordine di grandezza dell'impatto emotivo che quel certo tipo di invalidità ha prodotto in capo a quella specifica persona. Si tratta, pertanto, di indicazioni delle quali il giudice dovrà tener conto all'atto della valutazione del danno non patrimoniale complessivamente inteso: per determinare, in particolare, se le compromissioni sofferenziali subite dalla vittima si spingano o meno oltre il limite della quota standard compresa nel calcolo tabellare».

Insomma, il contributo tecnico dovrebbe essere visto come strumento nella mani del Giudice per abbandonare, nella fase di liquidazione del danno da sofferenza, quegli automatismi che male si conciliano con l'obbligo di motivazione e che non consentono di modulare in senso diminutivo o maggiorativo il valore economico del pregiudizio stesso, in funzione della “reale sofferenza” che troppo spesso, all'atto pratico, si rivela svincolata di fatto dal valore percentuale di danno biologico permanente stabilito in sede medico legale.

Sia consentito, infine, richiamare l'attenzione del lettore sulla correlata problematica del danno biologico temporaneo o, per usare un termine più comune, ma tecnicamente non corretto, della inabilità temporanea: e per ragioni di immediata chiarezza qui si ricorre ad una esemplificazione.

Tizio e Caio subiscono la stessa grave frattura scomposta-esposta, pluriframmentaria di gamba, con complicanza infettiva ossea (osteomielite) che costringe entrambi ad una inabilità temporanea di venti mesi prima di arrivare alla stabilizzazione in postumi permanenti. Ma Tizio, alla fine guarisce con un danno permanente biologico dell'8% mentre Caio si ferma al 12%. Nei venti mesi hanno vissuto lo stesso Calvario. Ciononostante, il danno biologico temporaneo di Tizio sarà liquidato sulla base di € 48,00 per il periodo a totale (oltretutto valore non incrementabile) mentre per quella di Caio la base sarà di € 98,00/die incrementabile fino a € 147,00. E qui si rilevano le conseguenze del distorto uso, per un'altra volta, del significato di lesione e postumo permanente. Per Tizio è “lesione” di lieve entità perché alla fine ricade nell'art. 139 per “postumo” inferiore al 10% ma non si considera che prima di stabilizzarsi all'8% la persona ha vissuto una lunga malattia con danno biologico temporaneo al 100/75/50/25% esattamente sovrapponibile a quella di Caio che viene però liquidato con valori raddoppiati! E se chiediamo al CTU di dare un contributo di quantificazione tecnica della sofferenza, applicando il metodo Ronchi/Mastroberto/Genovese, concluderà con il valore massimo (5/5) per entrambi. Le ricadute esistenziali durante la fase di danno biologico temporaneo (dinamico relazionale personale, non-comune a tutti), poi, potrebbero esserci o non esserci. Ma se anche Tizio ne provasse l'esistenza, verrebbe sempre risarcito con riferimento al valore fisso di € 48,00/die, mentre Caio potrebbe beneficiare di incremento fino a € 147,00/die!

Conclusioni

In tema risarcimento del danno alla persona di tipo non patrimoniale, lo stato dell'arte vede oggi in primo piano, nel rispetto della tutela dei diritti di chi subisce danni per responsabilità di terzi, l'autonomia della sofferenza intima (ed useremo questo termine nella maniera più estensiva, a ricomprendere tutte le altre definizioni che sono di frequente utilizzate) quando questa, in caso di pregiudizio alla salute, non è ricompresa nella stima del danno biologico, sia temporaneo sia permanente.

Nelle pagine precedenti abbiamo evidenziato come già dieci anni orsono, subito dopo le sentenze di S. Martino, avevamo ben colto questa distinzione ed avevamo proposto una metodologia di indagine medico-legale volta proprio a fornire, a chi poi si sarebbe occupato della monetizzazione complessiva del risarcimento, criteri oggettivi, fondati su dati clinico-documentali attraverso i quali valutare la plausibilità o meno di quanto emerge dalla sola anamnesi.

È nostra opinione, condivisa dal Gruppo di Esperti della SIMLA, che il metodo di indagine proposto possa rappresentare un utile supporto (in fase sia giudiziale sia extragiudiziale) per la quantificazione del risarcimento del danno alla persona. E lo affermiamo nella convinzione che (se davvero ci si vuole avvicinare alla comprensione di cosa possa aver patito intimamente un soggetto vittima di un pregiudizio alla sua salute) l'analisi delle lesioni, dei trattamenti resisi necessari, delle privazioni che tutto ciò ha comportato sia nella fase di evoluzione delle patologie, sia dopo la loro stabilizzazione in danno permanente, possano dare un utile contributo, certamente migliore e più oggettivo di quanto (fuori da ogni nota polemica) potrebbe scaturire unicamente dagli atti di causa o, in fase stragiudiziale, da ciò che il patrocinatore del leso potrebbe documentare nella sua richiesta.

Tornando quindi alla discussione proposta dal recente articolo del Presidente Damiano Spera, in punto sofferenza soggettiva interiore, si è dell'opinione che, allo stato delle conoscenze medico legali, sia preferibile il quesito al CTU per come formulato dall'Osservatorio della Giustizia Civile di Milano nel 2013, il quale offre al Giudice (ed alle parti in fase stragiudiziale) l'opportunità di avvalersi anche di un contributo tecnico più completo.

A nostro avviso, meritano particolare attenzione, infine, le criticità evidenziate a proposito di liquidazione del danno biologico temporaneo.

Allegati: tabelle riassuntive del metodo medico legale per valutazione “tecnica” della sofferenza soggettiva interiore.

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