Mobbing e dimissioni per giusta causa: l'intento persecutorio deve essere provato

30 Settembre 2019

Al fine di ottenere l'indennità di mancato preavviso, successivamente alle proprie dimissioni, il lavoratore può fondare la pretesa sull'illegittimità (accertata giudizialmente) di taluni provvedimenti datoriali, sostenendone il carattere persecutorio?La giurisprudenza è granitica nel richiedere, al fine della configurabilità di una ipotesi di mobbing...

Al fine di ottenere l'indennità di mancato preavviso, successivamente alle proprie dimissioni, il lavoratore può fondare la pretesa sull'illegittimità (accertata giudizialmente) di taluni provvedimenti datoriali, sostenendone il carattere persecutorio?


La giurisprudenza è granitica nel richiedere, al fine della configurabilità di una ipotesi di mobbing, la sussistenza di un elemento oggetto, ossia la pluralità di comportamenti riconducili al datore, ed uno soggettivo, rectius l'intento persecutorio a fondamento dei primi.

L'onere della prova grava in capo al lavoratore. L'esistenza di provvedimenti datoriali (es. di trasferimento) dichiarati in sede giudiziale illegittimi a seguito dell'impugnazione da parte del lavoratore, non può essere ritenuta ex se sufficiente per dimostrare la condotta mobbizzante e, dunque, sostenere la giusta causa delle dimissioni ex art. 2119, c.c. (con il conseguente diritto all'indennità di mancato preavviso).

Non preteribile sarà l'esame delle circostanze nell'ambito delle quali i summenzionati provvedimenti sono stati adottati, sebbene non legittimamente, tenuto conto anche della platea dei destinatari degli stessi, ove ad esempio il trasferimento abbia interessato non solo il lavatore dimissionario, in occasione di una riorganizzazione aziendale.

Come sopra precisato, perché possa configurarsi una ipotesi di mobbing è necessario dimostrare il carattere persecutorio, offensivo o ingiurioso dei provvedimenti, il che non potrebbe essere affermato ove essi siano basati su fatti non pretestuosi.

Cfr.: Cass., sez. lav., 5 settembre 2019, n. 22288; Cass., sez. lav., 5 aprile 2019, n. 9664.

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