La falsificazione del libro soci integra il reato di bancarotta documentale fraudolenta?

01 Ottobre 2019

La legittimazione alla proposizione della querela per il reato di infedeltà patrimoniale dell'amministratore spetta non solo alla società nel suo complesso ma anche - e disgiuntamente – al singolo socio. La falsificazione dei "libri sociali" risulta esterna alla sfera punitiva della L. Fall. art. 216, comma 1, n. 2 (e L. fall. art. 217, comma 2), a condizione che l'alterazione del vero (o la sottrazione, distruzione) non incida direttamente ed immediatamente sulla rappresentazione contabile dei fatti di gestione.
Massima

La legittimazione alla proposizione della querela per il reato di infedeltà patrimoniale dell'amministratore spetta non solo alla società nel suo complesso ma anche - e disgiuntamente – al singolo socio. La falsificazione dei "libri sociali" risulta esterna alla sfera punitiva della L. Fall. art. 216, comma 1, n. 2 (e L. fall. art. 217, comma 2), a condizione che l'alterazione del vero (o la sottrazione, distruzione) non incida direttamente ed immediatamente sulla rappresentazione contabile dei fatti di gestione.

Il caso

In sede di merito, il liquidatore di una società veniva condannato, tra l'altro, per il reato di bancarotta fraudolenta documentale.

In sede di ricorso per cassazione avverso tale capo della decisione di appello, la difesa deduceva il vizio di violazione di legge in ordine agli elementi costitutivi del reato di bancarotta documentale, di cui – in tesi - difettava l'elemento oggettivo, posto che le falsificazioni contestate (inerenti la circostanza che il ricorrente si sarebbe sostituito ad un terzo al fine di acquistare a nome di questi le quote sociali della società fallita) ricadrebbero sulle annotazioni presso il registro delle imprese e sul libro soci, documenti che non rientrano tra i libri e le scritture contabili, come si ricava dagli artt. 2214 e 2421 cod. civ..

La questione

La questione della rilevanza della falsificazione e/o sottrazione del libro soci ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta documentale di cui all'art. 216, comma 1, n. 1, R.D. n. 267 del 1942 agita da tempo la giurisprudenza.

Per un primo periodo si è ritenuto che occorresse distinguere tra impresa individuale e impresa collettiva, giacché mentre nel caso di bancarotta documentale dell'imprenditore individuale vengono in considerazione i libri o le altre scritture contabili previste dall'art. 2214 cod. civ., per ciò che concerne le società commerciali - per effetto dell'implicito richiamo operato dall'art. 223 legge fallimentare, tramite la previsione di punibilità dei fatti di bancarotta fraudolenta commessi dagli amministratori, direttori generali e sindaci di società dichiarate fallite - vengono in rilievo tutti quei libri che la legge rende per esse obbligatori, per cui avrebbe assunto rilevanza penale la falsificazione (oltre che dei libri e delle scritture contabili previste dall'art. 2214 cod. civ., anche, grazie al richiamo dell'art. 2516 cod. civ.) dei libri sociali obbligatori previsti dall'art. 2421 cod. civ., fra i quali il libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione (Cass., sez. V, 20 ottobre 2013, n. 10810).

Successivamente, però, si è ritenuto di dover escludere tout court dall'oggetto materiale del delitto di bancarotta fraudolenta documentale societaria i libri sociali, specificamente disciplinati dall'art.2421 cod. civ., in quanto negli stessi verrebbero sempre rappresentati fatti relativi all'organizzazione interna dell'impresa e non il possibile tramite della ricostruzione del movimento degli affari, salvo che la loro falsificazione incida direttamente ed immediatamente sulla rappresentazione contabile dei fatti di gestione (Cass., sez. V, 23 novembre 2006, n. 182). Secondo questo orientamento, la bancarotta fraudolenta documentale mira alla tutela degli interessi creditori e della procedura, proscrivendo l'alterazione della rappresentazione contabile dei dati di gestione e perciò l'oggetto materiale del reato è rappresentato dal compendio contabile: “la norma, con il richiamo ai libri o le altre scritture contabili si collega direttamente alla disposizione dell'art. 2214 c.c. che impone all'imprenditore la tenuta del libro giornale e del libro degli inventari, nonché delle scritture contabili richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa; non vi è alcun dubbio, seguendo il tracciato letterale e l'oggetto della protezione assicurata dalla norma, che siffatto corredo si caratterizzi per la sua portata "contabile", con esclusione dei cd. "libri sociali" che rappresentano fatti di organizzazione interna all'impresa e non il possibile tramite della ricostruzione del movimento degli affari”. A tale argomentazione si affiancava la considerazione secondo cui diversa era la disciplina dettata per i libri sociali e per quelli contabili, sicché la falsificazione dei primi non poteva risultare esterna alla sfera punitiva della L. Fall. art. 216, comma 1, n. 2 e L. Fall. art. 217, comma 2 R.D. N. 267 del 1942.

Rispetto a tale ultima impostazione, alcune decisioni operavano solo una parziale precisazione, sostenendo che in alcuni casi il giudice poteva comunque ritenere integrata la fattispecie di bancarotta documentale, fraudolenta o semplice, in caso di alterazione dei libri sociali, sempre che tale alterazione del vero (ovvero la sottrazione o distruzione di tali libri) avesse una incidenza diretta ed immediata, per qualsivoglia ragione, sulla rappresentazione contabile dei fatti di gestione. Per tale ragione, una recente pronuncia ha riconosciuto la sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta documentale in ipotesi di occultamento del libro delle adunanze e delle deliberazioni del collegio sindacale previsto dall'art. 2421, primo comma n. 5 cod. civ. (Cass., sez. V, 22 settembre 2016 n. 4134).

La decisione della Cassazione

La decisione in commento si rifà alla giurisprudenza più recente, ribadendo che non è tanto la natura del libro e della documentazione oggetto di falsificazione (o di distruzione o sottrazione) a rilevare per la sussistenza del reato di bancarotta documentale quanto la rilevanza che tali condotte possono avere sulla possibilità di ricostruire il patrimonio ed il movimento degli affari della società fallita.

Tale conclusione è confortata, secondo la pronuncia in commento, dalla circostanza che l'art. 223, comma 1, legge fall. dispone un rinvio formale e complessivo "ad alcuno dei fatti preveduti" dall'art. 216, senza una distinzione correlata all'oggetto materiale delle fattispecie e quindi da questa prospettiva può rilevarsi che la lettera della norma (ovvero l'art. 216, comma 1, n. 2 della legge fallimentare) precisa attentamente che i libri e le altre scritture dedotte dal precetto debbono assumere una effettiva funzione "contabile", nel momento in cui il divieto è rivolto verso l'ostacolo alla ricostruzione del movimento degli affari ed alla ricostituzione del patrimonio caduto nella procedura concorsuale. Ciò significa che il profilo dirimente in ordine alla questione che si sta esaminando è rappresentato non dalla natura individuale o collettiva dell'impresa, ma dalla incidenza in concreto della condotta sulla ricostruzione del patrimonio e degli affari.

Non osta all'adozione di tale conclusione la circostanza che – a seguito della riforma dell'art. 2478 cod. civ., introdotta dall'art. 16 d.l. n. 185 del 2008, le società a responsabilità limitata non siano più obbligate a tenere il libro dei soci (il nuovo regime di pubblicità della composizione della compagine sociale infatti è garantito mediante l'annotazione nel registro delle imprese delle iscrizioni che in precedenza dovevano essere effettuate nel menzionato libro soci), posto che la obbligatorietà o meno di un libro o scrittura contabile non rileva ai fini del reato di cui all'art. 216, comma primo, n. 2) legge fall., poiché il reato in questione può essere realizzato su qualsiasi documento relativo alla vita dell'impresa e ciò in sintonia con la ratio dell'incriminazione, incentrata sull'effettiva e non solo formale possibilità di conoscere i tratti della gestione d'impresa, tenendo conto di qualsiasi strumento che avrebbe potuto consentire, qualora fosse stato regolarmente tenuto o conservato, l'esame della gestione, diversamente da quanto previsto per l'ipotesi di bancarotta semplice documentale, in relazione alla quale l'oggetto del reato è individuato nelle sole scritture obbligatorie (Cass., sez. V, 23 settembre 2015, n. 44886).

Sulla scorta di tali considerazioni, posto che nel caso di specie veniva in rilievo una condotta di falsificazione del libro soci, con la quale si è fatto figurare l'imputato come socio unico della impresa fallita attraverso la simulazione di una cessione a suo favore delle quote sociali, la Cassazione ha ritenuto che la falsificazione del libro soci — che non era obbligatorio tenere, ma che è stato tenuto— non ha avuto una valenza circoscritta all'organizzazione interna dell'impresa ma si è riverberata, in maniera diretta ed immediata, sulla ricostruzione di tratti afferenti alla gestione d'impresa. In particolare, secondo i giudici di legittimità, nelle società a responsabilità limitata, soprattutto se di piccole dimensioni, il libro soci fornisce una rappresentazione dell'identità della società, indicandone la proprietà e per i creditori non è irrilevante la identificazione dei soggetti proprietari, anche sotto il profilo della loro personale affidabilità patrimoniale. La decisione evidenzia, a titolo esemplificativo, quanto può verificarsi in caso di società di capitali a socio unico, considerato che, a norma dell'art. 2462, comma secondo, cod. civ., in caso di insolvenza, per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui l'intera partecipazione è appartenuta ad una sola persona questa risponde illimitatamente quando i conferimenti non siano stati effettuati secondo quanto previsto dall'art. 2464 cod. civ. o fin quando non sia stata attuata la pubblicità prescritta dall'articolo 2470 cod. civ.: tali previsioni dimostrano come la identificabilità del socio unico e la sua rispondenza patrimoniale siano rilevanti sotto il profilo della responsabilità.

Considerazioni conclusive

La sentenza della Cassazione può essere condivisa.

A ben vedere la stessa dottrina che con più convinzione ha affermato che il libro soci non entri nel fuoco di tutela del delitto di bancarotta fraudolenta documentale (BRICCHETTI – TARGETTI, Bancarotta e reati societari, Milano 2003, 97) argomentano tale conclusione sostenendo che essa deriva dalla considerazione che l'oggetto della protezione della fattispecie di cui all'art. 216, comma 1 n. 2, è la portata "contabile" della documentazione ovvero la sua rilevanza per il ruolo che andrà a svolgere la curatela fallimentare nel cercare di soddisfare per quanto possibile gli interessi patrimoniali dei creditori dell'impresa fallita; orbene, quando si dimostri – pur con le dovute cautele, come diremo fra un momento – che dal libro soci potevano emergere profili di interesse per i creditori, “cui l'ostensibilità del patrimonio del debitore, e quindi la sua ricostruibilità, è strumentale” (Cass., sez. V, 4 maggio 2015, n. 26458, in motivazione) – allora nulla impedisce che si possa parlare di bancarotta fraudolenta documentale in relazione alla distruzione, sottrazione o falsificazione di tale documento.

Come accennato, tale conclusione va però assunta con la dovuta cautela. In particolare, risulta necessario che, per ciascuna vicenda portata al suo esame, il giudice sappia individuare le effettive ricadute “contabili” che derivano dalla scomparsa o mendacità del libro soci, ricadute che non potranno mai essere presupposte de jure e che andranno invece volta a volta ricostruite in sede di motivazione della decisione. La doverosa attenzione che andrà riservata a tale profilo determinerà, a nostro parere, la possibilità di rinvenire il reato di bancarotta fraudolenta documentale in relazione alla distruzione, sottrazione o falsificazione del libro soci in due sole circostanze: la prima viene evidenziata nella decisione in commento - ovvero l'ipotesi di società a socio unico in relazione alla possibilità che questi sia chiamato a rispondere con il proprio patrimonio delle obbligazioni sociali, il che rende di assoluto interesse per i creditori della società conoscere chi sia il titolare della stessa -, la seconda quando il patrimonio sociale non sia stato ancora interamente conferito, posto che, gravando l'obbligo di conferire il quantum ancora non versato sui singoli soci, la sostenibilità della relativa obbligazione dipende dalla consistenza patrimoniale degli stessi e ciò rende importante per i creditori, attuali o potenziali, della società conoscerne l'identità.

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