L'incapacità a testimoniare

03 Ottobre 2019

Il conducente (non proprietario) che è stato coinvolto in un sinistro stradale mentre era alla guida di un'autovettura che è stata tamponata può testimoniare in giudizio oppure è da considerarsi incapace ai sensi dell'art. 246 c.p.c.?

Il conducente (non proprietario) che è stato coinvolto in un sinistro stradale mentre era alla guida di un'autovettura che è stata tamponata può testimoniare in giudizio oppure è da considerarsi incapace ai sensi dell'art. 246 c.p.c.?

Ai sensi dell'art. 246 c.p.c., non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio.

Nel caso di specie il problema risiede, appunto, nell'interesse che il conducente, anche se non proprietario, potrebbe avere quale soggetto legittimato a richiedere il risarcimento del danno.

Su tale problematica si è espressa la Cassazione affermando che il giudizio sulla ammissibilità o meno va fatto anteriormente all'accertamento dei fatti di causa a nulla valendo, in ipotesi, una rinuncia del soggetto stesso a richiedere un risarcimento del danno: «La vittima di un sinistro stradale è incapace ex art. 246 c.p.c. a deporre nel giudizio avente ad oggetto la domanda di risarcimento del danno proposta da altra persona danneggiata in conseguenza del medesimo sinistro, a nulla rilevando né che il testimone abbia dichiarato di rinunciare al risarcimento, né che il relativo credito si sia prescritto» (Cass. civ., sez. III, 28 settembre 2012, n. 16541).

Infatti non è dato sapere se il conducente del veicolo tamponato abbia o meno subito un danno che, in ipotesi, potrebbe sussistere e, quindi, legittimare una richiesta risarcitoria.

Sulla base di tale ragionamento si potrebbe affermare che, in origine, sussista sempre una incompatibilità a testimoniare.

Tuttavia, giurisprudenza più datata, sia di merito che di legittimità, si è espressa in senso favorevole affermando che l'incapacità del conducente di un veicolo di altro proprietario che sia stato coinvolto in un incidente non è, a priori, incapace a testimoniare: «Il conducente non proprietario di un veicolo coinvolto in un incidente stradale, laddove non abbia riportato lesioni personali o danni ad oggetti di sua proprietà esclusiva e non, oppure non abbia comunque provveduto personalmente e direttamente a riparare i danni del veicolo da lui condotto, ben può essere ammesso quale teste nel relativo giudizio, configurandosi in tal caso un problema di attendibilità che spetta al giudicante vagliare diligentemente» (Giudice di Pace, Casamassima, 28 dicembre 1998). «Il conducente del veicolo danneggiato in seguito a sinistro stradale non ha un interesse personale, concreto e attuale a intervenire nel giudizio promosso dal proprietario del veicolo nei confronti del danneggiante se quest'ultimo non ha proposto domanda riconvenzionale, e non può, pertanto, essere considerato incapace a deporre come teste in tale giudizio ai sensi dell'art. 246 c.p.c.» (Giudice di Pace, Torino, sez. IV, 13 novembre 2006). «Il conducente del veicolo danneggiato in seguito ad un sinistro stradale non ha un interesse personale, concreto ed attuale ad intervenire nel giudizio promosso dal proprietario del veicolo nei confronti del danneggiante se quest'ultimo non ha proposto domanda riconvenzionale, e non può essere, conseguentemente, considerato incapace a deporre come teste in tale giudizio, ai sensi dell'art. 246 c.p.c.» (Cass. civ., sez. III, 25 maggio 1993, n. 5858).

E ciò è facilmente comprensibile: infatti, l'incapacità va valutata sempre nel caso concreto e cioè va valutato l'ipotetico interesse nella causa del soggetto chiamato a testimoniare.

Pertanto, proprio perché l'incapacità va valutata nel caso concreto, la chiamata del teste potrà essere opportunamente effettuata, tenendo anche presente che l'incapacità a testimoniare, in questi casi, va eccepita dalla parte, non potendo il giudicante conoscere la posizione soggettiva del chiamato a testimoniare: «La nullità della testimonianza resa da persona incapace, ai sensi dell'art. 246 c.p.c., essendo posta a tutela dell'interesse delle parti, è configurabile come nullità relativa e, in quanto tale, deve essere eccepita subito dopo l'assunzione della prova, rimanendo altrimenti sanata ai sensi dell'art. 157, comma 2, c.p.c.; qualora detta eccezione venga respinta, l'interessato ha l'onere di riproporla in sede di precisazione delle conclusioni e nei successivi atti di impugnazione, dovendosi altrimenti ritenere rinunciata, con conseguente sanatoria della nullità per acquiescenza, rilevabile d'ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo» (Cass. civ., Sez. Un., 23 settembre 2013, n. 21670).

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