Actio confessoria servitutis: la causa petendi si identifica con il diritto

Redazione scientifica
07 Ottobre 2019

Con l'azione confessoria si afferma proprietario della cosa di cui non ha il possesso, agendo contro chi la detiene per ottenerne, previo riconoscimento del suo diritto. Pertanto, in ambito processuale, la causa petendi delle relative azioni giudiziarie si identifica con i diritti stessi e non con il relativo titolo - contratto, successione ereditaria, usucapione, etc. - che ne costituisce la fonte, la cui eventuale deduzione non ha, per l'effetto, alcuna funzione di specificazione della domanda, essendo, viceversa, necessaria ai soli fini della prova.

Tizio, a causa di continue immissioni di fumi nocivi, chiedeva accertarsi e darsi atto dell'abusiva ed illegittima collocazione della canna fumaria di Caio; pertanto, chiedeva la condanna del convenuto alla sua rimozione ed al risarcimento dei danni. Inoltre, chiedeva di accertarsi che il cortile di sua proprietà giammai era stato utilizzato per l'accesso alla pubblica via e, di conseguenza, la condanna del convenuto ad astenersi da ogni forma di molestia. In primo grado, il Tribunale condannava il convenuto a rimuovere la canna fumaria e dava atto dell'esistenza di una servitù di passaggio a carico dell'area cortilizia ed in favore dell'immobile di proprietà del convenuto. In secondo grado, la Corte d'Appello accoglieva il gravame principale di Tizio e, per l'effetto, dichiarava l'inesistenza della servitù di passaggio a carico dell'area cortilizia. In particolare, secondo la Corte territoriale, l'actio confessoria servitutis esperita da Caio lo onerava dell'allegazione e della prova del titolo costitutivo del preteso diritto (servitù volontaria).

Nel giudizio di legittimità, la S.C. contesta il ragionamento espresso nel provvedimento impugnato. Difatti, la proprietà e gli altri diritti reali di godimento appartengono alla categoria dei cosiddetti diritti "autodeterminati", individuati, cioè, sulla base della sola indicazione del relativo contenuto sì come rappresentato dal bene che ne forma l'oggetto, con la conseguenza che la "causa petendi" delle relative azioni giudiziarie si identifica con i diritti stessi e non con il relativo titolo - contratto, successione ereditaria, usucapione, etc. - che ne costituisce la fonte, la cui eventuale deduzione non ha, per l'effetto, alcuna funzione di specificazione della domanda, essendo, viceversa, necessaria ai soli fini della prova. In questi termini, al cospetto dell'actio confessoria servitutis esperita in via riconvenzionale dall'originario convenuto, per nulla si giustificava l'affermazione della Corte d'appello della mancata specifica domanda di riconoscimento dell'acquisto per usucapione della servitù. Difatti, l'interpretazione della domanda deve essere diretta a coglierne, al di là delle espressioni letterali utilizzate, il contenuto sostanziale, quale desumibile dalla situazione dedotta in giudizio e dallo scopo pratico perseguito con il ricorso all'autorità giudiziaria. Per le suesposte ragioni, il ricorso di Caio è stato accolto; per l'effetto, la pronuncia è stata cassata con rinvio.

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