Postergazione dei finanziamenti soci e surroga legale

07 Ottobre 2019

Il pagamento, da parte di un socio, di un debito della società poi fallita rientra tra i finanziamenti in qualsiasi forma effettuati in una situazione finanziaria nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento e, come tale, è assoggettato al regime della postergazione a norma dell'art. 2467, comma 2, c.c., con la conseguenza che solo dopo che siano stati integralmente soddisfatti tutti gli altri creditori al socio potrà essere rimborsato il finanziamento, non potendosi invocare la surroga legale di cui all'art. 1203, n. 1), c.c.
Massima

Il pagamento, da parte di un socio, di un debito della società poi fallita rientra tra i finanziamenti in qualsiasi forma effettuati in una situazione finanziaria nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento e, come tale, è assoggettato al regime della postergazione a norma dell'art. 2467, comma 2, c.c., con la conseguenza che solo dopo che siano stati integralmente soddisfatti tutti gli altri creditori al socio potrà essere rimborsato il finanziamento, non potendosi invocare la surroga legale di cui all'art. 1203, n. 1), c.c.

Il caso

La socia di una società successivamente dichiarata fallita aveva provveduto, su richiesta di quest'ultima, al pagamento di crediti vantati da professionisti nei suoi confronti e proposto domanda di ammissione al passivo per essersi perfezionata la fattispecie della surroga legale ex art. 1203, n. 1), c.c.

Avverso il provvedimento di accoglimento della domanda di insinuazione (emesso all'esito del giudizio di opposizione ex art. 98 l.fall. promosso dalla socia), la curatela interponeva ricorso per cassazione, contestando, da un lato, che potessero ravvisarsi i presupposti della surroga legale e, dall'altro lato, che la socia potesse essere considerata creditore chirografario ai sensi dell'art. 1203, n. 1), c.c., dovendosi qualificare il pagamento come conferimento di capitale o finanziamento postergato, soggetto al vincolo di cui all'art. 2467 c.c., in quanto eseguito quando la società si trovava in una difficile situazione finanziaria e da equiparare, pertanto, a un versamento in conto capitale (conseguentemente irripetibile fino a quando non siano stati completamente soddisfatti gli altri creditori).

Le questioni giuridiche e la soluzione

La Corte di cassazione ha accolto la censura mossa dalla curatela, facendo rientrare il pagamento, da parte della socia, di un debito della società che versava in difficoltà economica (tant'è che successivamente ne era stato dichiarato il fallimento) tra i finanziamenti in qualsiasi forma effettuati dal socio in una situazione finanziaria nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento e, come tali, assoggettati al regime della postergazione di cui all'art. 2467, comma 2, c.c.

Nel caso di specie, i giudici di legittimità hanno ravvisato nella convenzione tra la società e la socia volta a fare rientrare il pagamento da parte della seconda di un debito della prima nella fattispecie della surroga legale di cui all'art. 1203, n. 1), c.c., un'elusione del regime della postergazione.

La natura postergata del pagamento riqualificato in finanziamento comporta anche, secondo la sentenza annotata, l'impossibilità di attribuire alla socia la qualifica di creditore chirografario, dal momento che il suo diritto non concorre con quello degli altri creditori chirografari in proporzione all'ammontare dei crediti, essendone la soddisfazione sempre posposta ovvero subordinata a quella integrale degli altri creditori chirografari.

Osservazioni

La vicenda esaminata dalla Corte di Cassazione ha per oggetto la problematica della qualificazione degli apporti (diversi dai conferimenti) dei soci ai fini del loro assoggettamento o meno alla regola della postergazione dei finanziamenti dettata dall'art. 2467 c.c. (recentemente modificato dal d.lgs. 14/2019, ma limitatamente all'eliminazione dell'inciso – contenuto nel primo comma – che prevedeva l'obbligo di restituzione del rimborso avvenuto nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento della società; peraltro, la modifica entrerà in vigore solo a partire dal 15 agosto 2020).

Sulla questione si registrano numerosi pronunciamenti e contributi dottrinali, a testimonianza della delicatezza dell'istituto disciplinato dall'art. 2467 c.c. e delle problematiche sottese alla sua interpretazione e applicazione.

Costituisce dato pacifico quello per cui la finalità perseguita dal legislatore con la previsione della postergazione del rimborso dei finanziamenti effettuati dai soci è quella di ovviare al fenomeno della sottocapitalizzazione nominale della società, che si verifica quando il suo fabbisogno finanziario, necessario per il conseguimento dell'oggetto sociale, è soddisfatto prevalentemente – anziché mediante conferimenti (ossia capitale di rischio) – tramite finanziamenti, diretti o indiretti, provenienti dai soci, i quali vengono così ad assumere contemporaneamente la posizione di titolari di partecipazioni sociali e di creditori della medesima compagine. Il fondamento della regola della postergazione è da rinvenirsi nella circostanza per cui, pur essendo assolutamente legittimo il finanziamento dei soci di una società a responsabilità limitata, questi ultimi, considerati gli ampi e penetranti poteri individuali di informazione e controllo dei quali dispongono, si trovano indubbiamente in una posizione di vantaggio rispetto ai terzi creditori della società e, di conseguenza, presumibilmente in grado di diagnosticare la crisi della stessa con maggiore tempestività rispetto ai creditori esterni; con il finanziamento, infatti, il socio, anziché capitalizzare la società, aumentando il rischio assunto, lo ammortizza e lo trasla sui creditori terzi, giacché, in caso di fallimento, partecipa al concorso in qualità di creditore (in relazione a quanto versato a titolo di finanziamento), a tutto discapito degli altri creditori sociali.

Si spiega, in questo modo, perché l'istituto della postergazione è previsto nell'ambito della disciplina dedicata alle società a responsabilità limitata: visto che la loro natura comporta una compagine tendenzialmente ristretta, è proprio in presenza di un tale assetto che il socio, grazie ai poteri dei quali dispone, può beneficiare di quella posizione privilegiata rispetto ai soggetti esterni nella percezione della situazione finanziaria che giustifica un trattamento deteriore del rimborso dei finanziamenti concessi, laddove sarebbe stato più appropriato operare un conferimento. Sempre per questo motivo, peraltro, secondo un orientamento che può definirsi consolidato, la disciplina in esame – in quanto espressione di un principio generale di corretto finanziamento dell'impresa, correlato al paradigma di adeguatezza finanziaria espresso dall'art. 2381, commi 3 e 5, c.c., teso a fare sì che uno squilibrio finanziario o un indebitamento eccessivo rispetto al patrimonio netto vengano fronteggiati mediante l'incremento dei mezzi propri – è applicabile anche alle società per azioni cosiddette chiuse, le quali, vuoi per l'organizzazione societaria, vuoi per le modeste dimensioni, vuoi per l'assetto dei rapporti sociali, operano sostanzialmente con le stesse modalità delle società a responsabilità limitata, per effetto della ristretta base azionaria, sicché il socio finanziatore è in grado di ottenere informazioni paragonabili a quelle che il socio di una società a responsabilità limitata può acquisire in ordine alla sussistenza di un eccessivo squilibrio finanziario.

La disciplina della postergazione, invece, non è estensibile alle società cooperative (pure soggette alle norme relative alle società per azioni), visto che l'art. 1, comma 239, l. 205/2015 stabilisce espressamente che l'art. 2467 c.c. non si applica alle somme versate dai soci alle cooperative a titolo di prestito sociale.

D'altra parte, non va dimenticato che l'art. 2497-quinquies c.c. estende la norma sulla postergazione ai finanziamenti erogati a società del gruppo da parte degli enti che esercitano attività di direzione e coordinamento o da altri soggetti a essa sottoposti (non specificando, peraltro, quale deve essere la forma societaria che deve possedere tanto l'entità erogatrice del finanziamento che detiene il potere di direzione e coordinamento, quanto quella assoggettata a quest'ultimo).

Venendo all'oggetto della postergazione, rappresentato dal rimborso del finanziamento in qualsiasi forma effettuato, la sentenza annotata non ha avuto particolari problemi nel qualificare come tale il pagamento, da parte della socia e su richiesta della società, di un debito contratto da quest'ultima.

La formula impiegata dall'art. 2467 c.c., infatti, si riferisce a qualsiasi negozio giuridico che abbia come conseguenza o effetto il trasferimento o la messa a disposizione, in favore della società, di una somma di denaro con obbligo di rimborso, sicché assumono rilievo tutte le ipotesi di sostegno finanziario che implicano un diritto del socio al rimborso (per una panoramica delle operazioni riqualificabili in termini di finanziamento postergabile, si vedano Marchisio, I “finanziamenti anomali” tra postergazione e prededuzione, in Riv. notariato, 2012, fasc. 6, 1295 e Pedersoli, Sulla nozione di “finanziamento” ai fini dell'applicazione della regola di postergazione, in Giur. comm., 2013, fasc. 6, 1202): in quest'ottica, sono postergabili non solo i contratti di credito tradizionalmente intesi (mutuo, apertura di credito, anticipazioni), ma pure quelli aventi prevalente finalità creditizia (leasing finanziario, sale and lease back, vendita con patto di retrocessione, riporto), nonché ogni negozio cui sia sottesa una vicenda assimilabile alla concessione di un finanziamento o comportante la successione del socio in una posizione creditoria nei confronti della società, avuto riguardo alla volontà delle parti e al di là della terminologia o delle definizioni utilizzate (acquisto da parte del socio di crediti di terzi verso la società, assunzione di debiti di quest'ultima, concessione di dilazioni di pagamento, prestazioni di garanzie in favore di terzi finanziatori per debiti della società, pagamento in favore di terzi con rinuncia al diritto di regresso).

Pertanto, anche in considerazione del fatto che “le particolari modalità con cui l'operazione di pagamento era stata perfezionata – richiesta di pagamento della società ai soci ed accettazione con atto avente data certa anteriore alla procedura – lasciassero presagire una consapevolezza di precostituzione di titolo in vista del futuro fallimento”, i giudici di legittimità hanno reputato evidente che la socia “nel predisporre la convenzione con la società con modalità tali da farla rientrare nella fattispecie di surroga legale di cui all'art. 1203 n. 1 cod. civ., abbia inteso eludere il regime di postergazione di cui all'art. 2467 cod. civ., ottenendo l'ammissione in privilegio di un credito che, in quanto rientrante nella fattispecie della norma sopra citata, avrebbe dovuto essere appunto postergato”. Del resto, attesa la natura imperativa della disciplina dettata dall'art. 2467 c.c., qualsiasi pattuizione tra società e socio finalizzata a garantire a quest'ultimo il rimborso di un finanziamento effettuato in presenza delle situazioni previste dalla norma prima dell'integrale soddisfazione degli altri creditori sociali è da considerarsi superata dalla regola della postergazione.

Perché il credito restitutorio del socio sia postergato, occorre anche che il finanziamento sia avvenuto, secondo quanto prescritto dall'art. 2467 c.c., in un momento di tensione finanziaria che avrebbe reso ragionevole l'esecuzione di un conferimento.

Se, nel caso di specie, l'intervenuta dichiarazione di fallimento è stata, con ogni probabilità, assunta a elemento deponente in modo inequivocabile per la ricorrenza di tale presupposto, va precisato, da un lato, che il finanziamento del socio va postergato quando, secondo un giudizio di prognosi postuma, allorché venne concesso era altamente probabile che la società, rimborsandolo, non sarebbe stata in grado di soddisfare regolarmente gli altri creditori, ovvero che un terzo finanziatore non avrebbe ragionevolmente accordato il finanziamento; dall'altro lato, occorre che la situazione di pericolo di insolvenza sussista non solo quando il finanziamento è stato concesso alla società, ma anche nel momento del rimborso (non potendo operare la postergazione laddove, nel frattempo, la situazione di difficoltà sia stata superata).

Va, tuttavia, precisato che tanto lo squilibrio tra patrimonio netto e indebitamento (la cui eccessività va apprezzata, tenuto conto dell'attività esercitata, prendendo in considerazione sia la struttura del debito, sia i criteri elaborati dalle scienze aziendalistiche, sia gli indici di bilancio, quali strumenti di valutazione della situazione patrimoniale e finanziaria della società, che va considerata a valori correnti, sicché potranno assumere rilievo, in positivo o in negativo, anche attività e passività non iscritte a bilancio, nonché attività immateriali derivanti dalla capitalizzazione di costi o da avviamento), quanto la situazione finanziaria in presenza della quale sarebbe stato ragionevole un conferimento non debbono necessariamente coincidere con il dissesto che conduce alla dichiarazione di insolvenza.

Non è nemmeno indispensabile, d'altra parte, che il finanziatore possegga lo status di socio, oltre che al momento dell'erogazione del finanziamento, anche quando è avvenuto il rimborso. Nella giurisprudenza di merito, peraltro, si rinviene l'affermazione per cui, in simili casi, occorre verificare se, all'uscita del socio finanziatore dalla compagine sociale, sussistevano e persistevano i presupposti oggettivi della postergazione o se il ripristino dell'equilibrio patrimoniale (tale per cui anche un terzo estraneo, ricorrendo la situazione riscontrabile in quel momento, avrebbe ragionevolmente concesso il finanziamento) ne abbia comportato il venire meno, rendendo legittimi eventuali accordi disciplinanti i termini del rimborso (così, per esempio, Trib. Milano, 23 ottobre 2017, n. 10638).

Nella sentenza viene richiamato anche il principio secondo il quale i creditori postergati non possono essere qualificati come comuni creditori chirografari e, come tali, essere inseriti in un piano concordatario alla stessa stregua di questi ultimi. Tale argomentazione, che è stata utilizzata per censurare la statuizione con cui la socia era stata considerata dal Tribunale di Pavia quale creditore chirografario legittimato a surrogarsi a norma dell'art. 1203, n. 1), c.c., poggia sull'orientamento giurisprudenziale che reputa necessaria, ai fini dell'ammissibilità di una domanda di ammissione al concordato preventivo che contempli anche creditori postergati, la creazione di un'apposita classe destinata a ospitarli (cui può pure essere attribuito il diritto di voto) e la previsione della loro partecipazione al riparto subordinatamente e condizionatamente alla preventiva integrale soddisfazione dei creditori chirografari, onde non violare la regola dettata dall'art. 2467 c.c. (oltre alla citata Cass. civ., sez. I, 4 febbraio 2009, n. 2706, si veda Cass. civ., sez. I, 21 giugno 2018, n. 16348).

Secondo quanto è dato comprendere, i giudici di legittimità hanno escluso che il socio finanziatore – che aveva pagato per conto della società i compensi di professionisti muniti di privilegio ai sensi dell'art. 2751-bis, n. 2), c.c. – potesse avvalersi del meccanismo di cui all'art. 1203 c.c., in quanto, essendo il suo credito postergato, non poteva essere qualificato come creditore chirografario, esulandosi dunque dall'ambito di previsione della norma.

In realtà, i due piani non sembrano perfettamente sovrapponibili, sicché questo passaggio della sentenza (che non si rivela comunque influente sull'economia complessiva della decisione) presta il fianco a qualche perplessità.

Nel caso di specie, la socia aveva azionato, con la domanda di ammissione al passivo, due crediti: uno – privilegiato ai sensi dell'art. 2751-bis, n. 1), c.c. – maturato a titolo di retribuzioni per prestazioni di lavoro di natura subordinata; uno avente titolo nel pagamento effettuato al fine di soddisfare il credito – da considerarsi anch'esso privilegiato ai sensi dell'art. 2751-bis, n. 2), c.c. – vantato da alcuni professionisti nei confronti della società.

Si può discutere se tale pagamento sia avvenuto quando la socia, che era pure dipendente della società, era già sua creditrice in questa veste (nella sentenza non si accenna a tale aspetto e non si rinvengono elementi utili per determinarlo), visto che, ove così non fosse stato, l'inapplicabilità dell'art. 1203, n. 1), c.c. sarebbe potuta discendere dal fatto che non si trattava di pagamento effettuato da un creditore della società in favore di altro creditore (laddove, per l'appunto, la socia avesse maturato i crediti retributivi in un momento successivo al pagamento dei compensi dovuti dalla società ai professionisti).

Anche volendo prescindere da tale aspetto, la socia non poteva in ogni caso essere considerata creditore chirografario, perché sia il credito avente per oggetto le retribuzioni, sia quello riveniente dal pagamento dei compensi dei professionisti avevano natura privilegiata.

L'art. 1203, n. 1), c.c. (cui il provvedimento impugnato aveva fatto richiamo e che è stato dichiarato inapplicabile dalla sentenza annotata) stabilisce che la surrogazione legale si verifica allorché il creditore paga un altro creditore che ha diritto di essergli preferito in ragione dei suoi privilegi, del suo pegno o delle sue ipoteche, succedendogli nel titolo di preferenza: affinché si verifichi la surrogazione nei termini stabiliti dalla norma, quindi, è necessario che il creditore che viene soddisfatto abbia un privilegio di grado anteriore rispetto a quello del solvens (ovvero, laddove questi sia creditore chirografario, un qualunque privilegio), altrimenti verrebbe meno la ragione della preferenza (Prosperetti, Il pagamento con surrogazione, in Tratt. Rescigno, Torino, 1984).

L'inoperatività della surrogazione legale, dunque, poteva farsi discendere dal fatto che, a termini dell'art. 2777, comma 2, c.c., il privilegio previsto dal n. 1 dell'art. 2751-bis c.c. prevale su quello stabilito dal n. 2, sicché non ricorreva il presupposto dettato dall'art. 1203, n. 1), c.c., che fa riferimento alla soddisfazione di un creditore di grado poziore.

Sempre in quest'ottica, la distinzione tra creditore chirografario e creditore postergato elaborata con riguardo alle problematiche inerenti alla domanda di ammissione al concordato preventivo non pare calzante se riferita all'interpretazione dell'art. 1203 c.c.: giusta quanto poc'anzi osservato, quando la norma ammette la surrogazione anche nel caso in cui il solvens sia creditore chirografario, intende dire che il suo credito non deve godere di una causa legittima di prelazione che possa privare di significato la soddisfazione del creditore che ha diritto di essere pagato con precedenza. Il fatto, dunque, che il credito postergato del socio non possa essere considerato chirografario nell'ambito di un piano concordatario perché, potendo essere soddisfatto solo dopo l'integrale pagamento di quelli vantati dai creditori chirografari, non ha natura omogenea rispetto a questi ultimi, non significa che, in quanto sfornito di privilegi, esso non lo sia, invece, nel senso fatto proprio dall'art. 1203 c.c.

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