Procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo: statuto sanzionatorio identico a quello della PMA omologa
07 Ottobre 2019
Massima
L'art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004, all'esito della pronuncia della Cortecostituzionale n. 162 del 2014, punisce chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza l'acquisizione di gameti in violazione dei principi di volontarietà e gratuità della donazione. Il caso
Il provvedimento in commento ha annullato la sentenza del GUP presso il Tribunale di Milano del 20 luglio 2018 che, nonostante l'istanza di applicazione della pena avanzata dagli imputati per il reato di cui all'art. 416 c.p. e per i reati fine di cui agli artt. 646 c.p. e 12, comma 6, l. 40/2004, aveva pronunciato un non luogo a procedere ex art. 129 c.p.p. perché il fatto non sussiste. La decisione si inserisce nell'iter procedimentale relativo alle condotte del dr. Antinori Severino, medico noto per l'effettuazione di tecniche di PMA (procreazione medicalmente assistita) di tipo eterologo e dei suoi collaboratori. Alle due imputate, che avevano scelto di definire la loro posizione accedendo ad un rito alternativo, era stata contestata l'attività di commercio di gameti, reato fine dell'associazione per delinquere. Il Giudice (il cui ragionamento si ricava, non sempre in modo lineare, dai passaggi della motivazione richiamati dalla Corte di Cassazione) avrebbe escluso l'astratta configurabilità del reato nella ipotesi di fecondazione eterologa, perché, senza "commercio" degli ovociti, questa non sarebbe praticabile. Ha prosciolto sul rilievo che non vi è commercio «allorché il trasferimento della cellula riproduttiva umana avviene all'interno di un trattamento di fecondazione c.d. eterologa», proprio perché tale pratica richiede necessariamente il ricorso al gamete estraneo alla coppia. E, da tale evidenza, il Giudice ha tratto la conclusione che l'applicazione della norma incriminatrice, laddove punisce la commercializzazione di gameti, doveva essere esclusa nei casi in cui essa era diretta ad una pratica di fecondazione medicalmente assistita di tipo eterologo. In altre parole, non vi sarebbe fecondazione eterologa in mancanza della commercializzazione di gameti. I ricorsi, proposti dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano e dalla Procura Generale, sono stati accolti. E non poteva essere diversamente. La questione
Il tema in discussione attiene l'applicabilità dello statuto sanzionatorio, in primis di quello penale, previsto dall'art. 12 l. 40/2004, anche ai casi di PMA di tipo eterologo. La risposta, negativa, fornita dal GUP di Milano parrebbe fondata sulla valutazione delle conseguenze pratiche che deriverebbero da una risposta affermativa a tale questione, in quanto senza commercio degli ovociti il ricorso a tale tecnica procreativa sarebbe, in concreto, impedito o estremamente ridotto. Ciò per la difficoltà di individuare donatori a titolo gratuito. La regolamentazione della procreazione medicalmente assistita (PMA) è piuttosto recente. In origine tale attività era disciplinata per lo più da circolari ed ordinanze ministeriali ed è solo con la legge 40 del 2004 che è stata introdotta una normazione di fonte legislativa. L'art. 4, comma 3, vietava esplicitamente il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo (pur preoccupandosi di prevedere le conseguenze connesse alla sua violazione). Solo dieci anni più tardi, la Corte Costituzionale (sent. Corte Costituzionale, 9 aprile - 10 giugno 2014, n. 162) ha dichiarato l'illegittimità di tale norma nella parte in cui stabilisce per la coppia di cui all'art. 5, comma 1, della medesima legge, il divieto del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo qualora sia stata diagnosticata una patologia che sia causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili. Ha esteso tale censura anche ad altri articoli (art. 9, commi 1 e 3, nonché art. 12, comma 1), ma non al divieto di commercializzazione dei gameti. Al contrario la Corte delle leggi ha precisato che la tecnica in esame “va rigorosamente circoscritta alla donazione di gameti e tenuta distinta da ulteriori e diverse metodiche, quali la cosiddetta «surrogazione di maternità», espressamente vietata dall'art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004, con prescrizione non censurata e che in nessun modo ed in nessun punto è incisa dalla presente pronuncia, conservando quindi perdurante validità ed efficacia” Ma ancora più chiari i passaggi della sentenza relativi all'applicabilità della disciplina sanzionatoria, originariamente introdotta solo per la PMA omologa, anche a quella eterologa; conclusione non scontata in quanto la penalizzazione della commercializzazione dei gameti, coerente con l'illiceità della fecondazione eterologa, poteva apparire (ed è apparsa tale al GUP di Milano) incompatibile con una tecnica che richiede la cessione della cellula umana da soggetto estraneo alla coppia. Partendo dalla consapevolezza che la fecondazione eterologa “costituisce una particolare metodica di PMA” di cui è una species, ha concluso: «Siffatta considerazione permette, poi, di ritenere che le norme di divieto e sanzione non censurate (le quali conservano validità ed efficacia), preordinate a garantire l'osservanza delle disposizioni in materia di requisiti soggettivi, modalità di espressione del consenso e documentazione medica necessaria ai fini della diagnosi della patologia e della praticabilità della tecnica, nonché a garantire il rispetto delle prescrizioni concernenti le modalità di svolgimento della PMA e a vietare la commercializzazione di gameti ed embrioni e la surrogazione di maternità (art. 12, commi da 2 a 10, della legge n. 40 del 2004) sono applicabili direttamente (e non in via d'interpretazione estensiva) a quella di tipo eterologo, così come lo sono le ulteriori norme, nelle parti non incise da pronunce di questa Corte». Con tale ragionamento la Corte ha indirettamente affrontato anche il tema del divieto d'interpretazione analogica delle norme penali, astrattamente ipotizzabile nel momento in cui ha ritenuto applicabile alla PMA eterologa la disciplina introdotta per la PMA, inizialmente declinata solo come omologa. Affermando che si tratta di un'applicazione diretta, ne discende che ciò vale anche per la norma che ha introdotto i reati di parte speciale, così escludendosi sia un'interpretazione estensiva, seppur teoricamente legittima, che un'applicazione analogica, espressamente vietata dall'art. 14 delle preleggi. Non solo, perché la sentenza 162 nell'individuare le fonti della regolamentazione della PMA di tipo eterologo ha richiamato anche «la disciplina concernente, in linea generale, la donazione di tessuti e cellule umani, in quanto espressiva di principi generali pur nelle diversità delle fattispecie» tra i quali «la gratuità e volontarietà della donazione». Richiamo più che corretto se solo si considera che gameti ed embrioni sono sicuramente cellule umane. Le soluzioni giuridiche
Alla luce di tale interpretazione costituzionalmente orientata dello statuto normativo della fecondazione eterologa, da un lato sorprende la sentenza del GUP di Milano, dall'altro pare quasi scontato il suo annullamento da parte della Cassazione. Quest'ultima, dopo aver richiamato l'ampia e puntuale motivazione della sentenza 162/2014 del Giudice delle Leggi, ha approfondito il richiamo alla disciplina della donazione dei tessuti e cellule umane. Si legge, in particolare: «Per l'individuazione del perimetro entro il quale ricondurre la condotta penalmente illecita, ritiene, il Collegio, di poter richiamare i principi della direttiva2004/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, sulla definizione di norme di qualità e di sicurezza per la donazione, l'approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani, che all'art. 12 prevede la "gratuità" e "volontarietà" della donazione dei tessuti e cellule umane, e precisa, al comma 2, che i donatori possono solo ricevere "una indennità strettamente limitata a far fronte alle spese e inconvenienti risultanti dalla donazione”. In tal caso gli Stati membri stabiliscono le condizioni alle quali viene concessa l'indennità». La direttiva è stata attuata con il decreto legislativo n. 191 del 6 novembre 2007, Attuazione della direttiva 2004/23/CE sulla definizione di norme di qualità e di sicurezza per la donazione, l'approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani, che però non ha apportato modificazioni, nella parte di interesse, alla legge del 2004 (all'art. 2, comma 3, si legge: "Alle cellule riproduttive, ai tessuti e alle cellule fetali e alle cellule staminali embrionali, si applicano le disposizioni vigenti in materia”). Traendo ulteriore conferma della gratuità e volontarietà di gameti ed embrioni dall'art. 12 della direttiva, la Cassazione ha quindi concluso che nel caso di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, che necessita di donazione e trasferimento di gameti: «l'area della rilevanza penale deve essere individuata in quelle condotte, realizzate in qualunque forma, dirette ad immettere nel mercato (commercializzare) i gameti in violazione dei principi di volontarietà e gratuità della donazione. In tale ambito rientrano nella condotta di commercializzazione anche quelle condotte di reclutamento di donatori/donatrici dietro la prospettazione/corresponsione di una remunerazione, chiaramente dirette alla immissione nel mercato dei gameti, in vista della procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo». Osservazioni
La decisione della Suprema Corte e, ancor prima, quella della Corte Costituzionale, non risolvono, né affrontano, se non indirettamente le conseguenze derivanti dal divieto di commercializzazione dei gameti e degli embrioni, posto dal GUP e riproposto nella memoria di parte degli imputati, in cui si legge: «giacché la procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo presuppone il trasferimento dei gameti, che hanno costi consistenti e difficilmente definibili in assenza di disposizione sul punto, e considerato che i centri italiani di PMA possono importare gameti ed embrioni, purché non avvenga dietro corrispettivo e potendo riconoscere un'indennità a copertura delle spese di trasferimento. La difficoltà di distinguere il corrispettivo dall'indennizzo ha indotto il Giudice milanese ad escludere la fattispecie di reato.” Un divieto, quindi, che limiterebbe il numero di donatori. Ora la direttiva2004/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, sulla definizione di norme di qualità e di sicurezza per la donazione, l'approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani, che all'art. 12 prevede la "gratuità" e "volontarietà" della donazione dei tessuti e cellule umane, precisa, al comma 2, che i donatori possono solo ricevere "una indennità strettamente limitata a far fronte alle spese e inconvenienti risultanti dalla donazione. In tal caso gli Stati membri stabiliscono le condizioni alle quali viene concessa l'indennità». Ma il decreto legislativo n. 191 del 6 novembre 2007, che vi ha dato attuazione, non ha apportato modificazioni, nella parte di interesse, alla legge del 2004 e non ha stabilito alcuna indennità per i donatori. Si ritiene che l'introduzione di una normativa ad hoc che preveda e disciplini tale possibilità, già introdotta con la legge n. 62 del 2011 con riguardo al trapianto di midollo osseo, potrebbe ampliare la potenziale platea di donatori. Residuerebbe la difficoltà, evidenziata nella memoria di parte, di distinguere tra indennizzo e corrispettivo e il rischio di condotte fraudolente dirette a nascondere, dietro la veste dell'indennizzo, la vendita dei gameti. |