L'home restaurant e la realtà condominiale

Maurizio Tarantino
08 Ottobre 2019

Il quadro normativo

Per home restaurant si intende la possibilità di trasformare la propria casa e la propria cucina in un ristorante occasionalmente aperto per amici, conoscenti e perfetti sconosciuti (viaggiatori) che avranno la possibilità di sperimentare la cucina originale dei luoghi frequentati abitualmente o in occasione di un viaggio. In argomento, giova ricordare la proposta di legge C. 3258 presentata con C. 3337, C. 3725, C. 3807, approvata dalla Camera il 17 gennaio 2017 in testo unificato recante “Disciplina dell'attività di home restaurant”. La proposta approvata e (ancora) in discussione al Senato (S. 2647), introduce nell'ordinamento giuridico italiano una disciplina specifica per l'attività di ristorazione in abitazione privata.

In particolare, l'attività di home restaurant - spiega il dossier della Camera - è definita nel provvedimento come “l'attività finalizzata alla condivisione di eventi enogastronomici esercitata da persone fisiche all'interno delle unità immobiliari ad uso abitativo di residenza o domicilio, proprie o di un soggetto terzo, per il tramite di piattaforme digitali che mettono in contatto gli utenti, anche a titolo gratuito e dove i pasti sono preparati all'interno delle strutture medesime”. La proposta, però, pone delle regole all'attività: un limite di 500 coperti all'anno e un tetto di 5 mila euro per il compenso per il cuoco.

Successivamente, il disegno di legge è stato bocciato dal Garante per la concorrenza in quanto sarebbero eccessivi i paletti imposti ai proprietari degli appartamenti-ristoranti, in contrasto con le regolamentazioni “leggere” europee.

Le prime indicazioni ministeriali

Prima del disegno di legge, la materia dell'home restaurant è stata oggetto di approfondimenti sulle caratteristiche e requisiti per poter avviare l'attività di “cuoco a domicilio”.

In merito alla richiesta di SCIA, il Ministero dello Sviluppo Economico con la risoluzione n. 50481 del 10 aprile 2015, in risposta alla richiesta di parere inviata dalle Camere di Commercio, ha precisato che l'attività di home restaurant “anche se esercitata solo in alcuni giorni dedicati e tenuto conto che i soggetti che usufruiscono delle prestazioni sono in numero limitato, non può che essere classificata come un'attività di somministrazione di alimenti e bevande, in quanto anche se i prodotti vengono preparati e serviti in locali privati coincidenti con il domicilio del cuoco, essi rappresentando comunque locali attrezzati aperti alla clientela”. Di conseguenza, si applicano le disposizioni di cui all'art. 64, comma 7, del d.lgs. n. 59/2010 e s.m.i. (previo possesso dei requisiti di onorabilità nonché professionali di cui al citato art. 7, i soggetti interessati sono tenuti a presentare la SCIA).

Quanto ai controlli, il Ministero dello Sviluppo economico con la risoluzione n. 332573 del 21 ottobre 2016, ha evidenziato che l'attività di home restaurant - in mancanza di una disciplina specifica - “è assoggettata, in linea di principio, ai controlli e agli eventuali poteri sanzionatori e interdittivi dell'Autorità di P.S. comuni a tutti gli esercizi pubblici”, ai sensi del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza. Discorso diverso invece, per la disciplina della sorvegliabilità di cui al d.m. n. 564/1992. Difatti, “l'attività di home restaurant atteggia in termini del tutto particolari le stesse esigenze di P.S. che possono ritenersi equivalenti a quelle presenti, invece, per i classici esercizi pubblici aperti sulla pubblica via, che affondano la loro rilevanza per l'ordine e la sicurezza pubblica nell'essere luoghi di ritrovo di un numero indeterminato e potenzialmente considerevole di persone, alle quali - tra l'altro - l'esercente non può vietare l'accesso senza un legittimo motivo, ex art. 187 Reg. T.U.L.P.S., di assai problematica applicazione nella fattispecie”. Pertanto, secondo il Ministero, l'attività di home restaurantnon espone a problematiche significativamente maggiori o diverse dalle comuni cene ad inviti presso abitazioni private, fermo restando il potere di accesso degli operato di P.S. cui si è fatto cenno”.

Il disegno di legge

Il disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati il 17 gennaio 2017, in un testo risultante dall'unificazione dei disegni di legge (in discussione al Senato n. S. 2647), prevede:

a) Definizione.

Per home restaurant si intende l'attività finalizzata alla condivisione di eventi enogastronomici esercitata da persone fisiche all'interno delle unità immobiliari ad uso abitativo in cui abbiano la residenza o il domicilio, proprie o appartenenti a un soggetto terzo, per il tramite di piattaforme digitali che mettono in contatto gli utenti anche a titolo gratuito, e con preparazione dei pasti all'interno delle strutture medesime. La proposta di legge indentifica la figura del “gestore”, ossia “il soggetto che gestisce la piattaforma digitale finalizzata all'organizzazione di eventi enogastronomici”; dell'“utente operatore cuoco”, definito come “il soggetto che attraversi la piattaforma digitale svolge l'attività di home restaurant” e dell'“utente fruitore”, inteso come il soggetto che attraverso la piattaforma digitale utilizza il servizio di home restaurant condiviso dall'utente operatore cuoco.

b) Obblighi del gestore.

Il gestore verifica che gli utenti operatori cuochi siano in possesso dei requisiti di legge e coperti da polizze assicurative per la copertura dei rischi derivanti dall'attività di home restaurant; inoltre, il gestore verifica che l'unità immobiliare ad uso abitativo sia coperta da apposita polizza che assicuri per la responsabilità civile verso terzi. Il gestore deve garantire che le informazioni relative alle attività degli utenti, iscritti alle piattaforme digitali di home restaurant, siano tracciate e conservate, nel rispetto delle vigenti disposizioni in materia di trattamento dei dati personali.

Le attività in esame devono essere inserite nella piattaforma digitale almeno trenta minuti prima dell'inizio dell'evento enogastronomico e devono rimanervi memorizzate anche in caso di eventuale cancellazione o mancata realizzazione prima della sua fruizione. Le transazioni di denaro sono operate mediante le piattaforme digitali e avvengono esclusivamente attraverso sistemi di pagamento elettronico.

Il gestore, inoltre, deve comunicare ai comuni, per via digitale, le unità immobiliari registrate nella piattaforma presso le quali si svolgono le attività di home restaurant.

c) Ambito di applicazione, condizioni e svolgimento dell'attività di home restaurant.

Se l'utente operatore cuoco organizza un numero di eventi enogastronomici in un anno solare inferiore a cinque e a cinquanta pasti totali, e se l'unità abitativa in cui si svolge l'evento viene utilizzata nel corso di un anno solare per un numero di volte inferiore a cinque, l'attività viene definita di social eating e non sono richiesti i requisiti visti in precedenza.

Diversarmente, l'attività di home restaurant deve rispettare i seguenti limiti: 500 coperti all'anno e un tetto di 5 mila euro per il compenso del cuoco. Inoltre, l'esercizio dell'attività di home restaurant è subordinato al possesso da parte degli utenti operatori cuochi dei requisiti di onorabilità di cui all'art. 71, commi 1 e 2, d.lgs. n. 59/2010. Per lo svolgimento dell'attività di home restaurant, quindi, gli utenti operatori cuochi devono avvalersi esclusivamente della propria organizzazione familiare e devono utilizzare parte di una unità immobiliare ad uso abitativo con i seguenti requisiti:

- caratteristiche di abitabilità e di igiene ai sensi della normativa vigente per gli immobili aventi tale destinazione;

- l'utilizzo dell'immobile non deve comportare la modifica della destinazione d'uso dell'immobile medesimo;

- l'attività non deve essere esercitata nelle unità immobiliari ad uso abitativo in cui sono esercitate attività turistico-ricettive in forma non imprenditoriale o attività di locazione per periodi di durata inferiore a trenta giorni.

Le disposizioni della presente legge, inoltre, non si applicano alle attività non rivolte al pubblico o comunque svolte da persone unite da vincoli di parentela o di amicizia, che costituiscono attività libere e non soggette a procedura amministrativa.

d) Le sanzioni.

Infine, la mancanza dei requisiti previsti dalla presente legge per l'esercizio dell'attività di home restaurant comporta il divieto di prosecuzione dell'attività medesima e la sanzione amministrativa prevista dall'articolo10, comma 1, l. n. 287/1991.

Il parere dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato

Sul punto, l'AGCM con parere del 30 marzo 2017, ha evidenziato che il d.d.l. n. 2647 introduce limitazioni all'esercizio dell'attività di home restaurant che non appaiono giustificate. In particolare, configurando l'utilizzo delle piattaforme digitali come unica modalità per lo svolgimento dell'attività di home restaurant, il provvedimento in questione esclude ogni possibilità di rapporto diretto tra l'Utente cuoco e l'Utente fruitore al di fuori di tali piattaforme.

Dal lato della domanda, ciò riduce l'offerta dei servizi di ristorazione per i clienti meno avvezzi all'uso di sistemi digitali/elettronici di acquisto; dal punto di vista dell'offerta, crea una discriminazione con i ristoratori tradizionali, che, oltre a poter promuovere la propria attività e ricevere prenotazioni mediante siti internet, mantengono la possibilità di avere un contatto diretto con la clientela.

Analoghe considerazioni valgono rispetto all'obbligo di fatto imposto di pagare la prestazione prima di averne beneficiato. Tale previsione, inoltre, impedisce o rende più oneroso per il cliente di avvalersi, ad esempio, della possibilità di disdire sul posto un servizio rivelatosi inadeguato e all'operatore di farsi interamente carico del rischio del c.d. no show.

L'Autorità, poi, non riviene alcun legame tra le misure imposte e i caratteri di necessarietà e proporzionalità delle stesse nella qualificazione dell'attività in termini di sola occasionalità. In tal modo, l'operatore viene privato della libertà di definire autonomamente come e in che misura organizzare la propria attività economica, considerato, peraltro, che già per l'attività di social eating (per frequenza di eventi organizzati e numero massimo di coperti che sono astrattamente definiti dal legislatore) è previsto un regime di obblighi “attenuato”.

Inoltre, secondo l'AGCOM, del tutto ingiustificata è apparsa la conseguente quantificazione normativa del numero massimo di coperti che possono essere allestiti e del reddito annuo che l'attività in esame può generare. Tali previsioni si pongono piuttosto in palese contrasto, oltre che con i principi di liberalizzazione previsti dal d.lgs. n. 59/2010, che recepisce la Direttiva Servizi, e dai successivi decreti di liberalizzazione, anche con il dettato costituzionale di libera iniziativa economica e di tutela della concorrenza.

Infine, è apparsa priva di motivazioni e ingiustificatamente restrittiva l'esclusione delle attività di B&B e Case Vacanza in forma non imprenditoriale e della locazione dalla possibilità di ampliare l'offerta di servizi extralberghieri con quella del servizio di home restaurant.

In conclusione, secondo il parere dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, il provvedimento che disciplina l'attività di home restaurant è apparso nel suo complesso idoneo a limitare indebitamente una modalità emergente di offerta alternativa del servizio di ristorazione e, nella misura in cui prevede obblighi che normalmente non sono posti a carico degli operatori tradizionali, risulta discriminare gli operatori di home restaurant, a favore dei primi, senza rispettare il test di proporzionalità, necessarietà delle misure restrittive rispetto al perseguimento di specifici obiettivi imperativi di interesse generale, come invece richiesto a livello europeo.

La particolare vicenda amministrativa della Regione Campania

Il panorama giurisprudenziale non è considerevole di pronunce in materia di home restaurant; tuttavia, in argomento, appare significativa la pronuncia del Tribunale Amministrativo della regione Campania (T.A.R. Napoli, sez. III, 8 giugno 2018, n. 3883).

La vicenda. In tale questione, con ordinanza, il Comune aveva ingiunto a Tizio (in qualità di proprietario) e Caio (in qualità di utilizzatore dell'immobile) la demolizione di opere realizzate senza titolo nel medesimo Comune ed aveva contestualmente disposto la cessazione dell'attività di home restaurant ivi svolta.

In particolare, con l'impugnata ordinanza erano state evidenziate e sanzionate, in applicazione dell'art. 31 d.p.r. n. 380/2001 le seguenti difformità: cambio di destinazione da cantina a cucina-soggiorno e realizzazione di alcune strutture con le precisazioni dell'essere tali opere (abusive in quanto “in assenza del prescritto titolo abilitativo”) ultimate e adibite a civile abitazione e home restaurant.

Le argomentazioni dei ricorrenti. Sulla base di più motivi, i ricorrenti contestavano la legittimità dell'impugnata ordinanza, sia nella parte in cui era stata ingiunta la demolizione delle opere qualificate come abusive, sia nella parte in cui questa disponeva la cessazione dell'attività di home restaurant praticata nell'immobile interessato dalle citate opere.

Su tale ultimo aspetto, secondo i ricorrenti, l'ordinanza doveva considerarsi illegittima nella parte in cui il Comune aveva inibito l'esercizio dell'attività di home restaurant praticata nell'immobile in titolarità del ricorrente, in quanto i presunti locali abusivi contestati (due dei quali adibiti a deposito e completamente estranei all'esercizio dell'attività ristorativa) riguarderebbero soltanto una piccola parte dell'immobile legittimamente assentito, con la conseguenza che l'atto gravato sarebbe certamente affetto da eccesso di potere perché l'Amministrazione, a tutto concedere, avrebbe dovuto limitare la sanzione di cessazione dell'attività alla sola parte del locale non autorizzata sotto il profilo edilizio. Inoltre, nel disporre la chiusura dell'attività di home restaurant in titolarità dei ricorrenti, il Comune avrebbe arbitrariamente applicato la disciplina prevista per le normali attività di somministrazione di alimenti e bevande, ciò in quanto l'attività di home restaurant, attualmente sprovvista di una specifica normativa, è stata definita dal d.d.l. n. 2647 (già approvato dalla Camera dei Deputati ed in corso di esame al Senato) come “l'attività occasionale finalizzata alla condivisione di eventi enogastronomici esercitata da persone fisiche all'interno delle unità immobiliari ad uso abitativo”: perciò, nell'attuale vuoto legislativo, l'esercizio di tale tipologia di ristorazione sarebbe sostanzialmente “libera” e non assoggettabile ad alcuna previsione normativa.

Del resto, secondo la tesi dei ricorrenti, tale carenza non potrebbe essere colmata con le indicazioni - sostanzialmente di carattere fiscale - fornite dal Ministero dello Sviluppo Economico con Risoluzione n. 50481 del 10 aprile 2015, laddove è stato chiarito che “l'attività in discorso non può che essere classificata come un'attività di somministrazione di alimenti e bevande, in quanto anche se i prodotti vengono preparati e serviti in locali privati coincidenti con il domicilio del cuoco, essi rappresentano comunque locali attrezzati aperti alla clientela”; quindi, non essendo la riferita risoluzione ministeriale un atto normativo, sarebbe evidente che, in assenza di una specifica disciplina atta regolamentare l'intero settore (il relativo disegno di legge, come detto, è in corso di approvazione al Senato), non sarebbe possibile equiparare l'home restaurant ad un esercizio di somministrazione di alimenti e bevande.

Per tali motivi, alle attività del tipo di quella in discussione, non sarebbe applicabile il regime sanzionatorio previsto per le normali attività di ristorazione, anche in considerazione del fatto che l'home restaurant non viene esercitato in pubblici locali, ma nell'abitazione privata dell'esercente.

Il ragionamento del T.A.R. In relazione agli aspetti dell'attività di home restaurant, parte ricorrente sosteneva di essere in possesso di autorizzazione all'esercizio dell'attività a seguito della presentazione di un'apposita SCIA, e del suo consolidamento per essere poi decorsi 60 giorni senza adozione di alcun provvedimento inibitorio: di qui, appunto, il non poter il Comune ordinare direttamente la cessazione dell'attività prima di aver rimosso tale titolo abilitativo. In proposito, invece, il giudici hanno rilevato come il comma 4 dell'art. 19 della l. n. 241/1990, in tema di SCIA, stabilisce che “Decorso il termine per l'adozione dei provvedimenti di cui al comma 3, primo periodo, ovvero di cui al comma 6-bis, l'Amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni previste dall'articolo 21-nonies”: perciò, nella specie non occorreva alcun previo provvedimento di ritiro (non essendovi alcun espresso provvedimento autorizzatorio), ben potendo comunque l'Amministrazione vietare la prosecuzione dell'attività una volta accertata la carenza dei relativi necessari requisiti e presupposti.

Neppure risultava fondato il motivo di ricorso, con il quale la P.A. avrebbe, nel frangente, “arbitrariamente applicato la disciplina prevista per le normali attività di somministrazione di alimenti e bevande”, poiché parte ricorrente prospettava che l'attività di home restaurant, ancorché sprovvista al momento di specifica disciplina, sarebbe in realtà del tutto peculiare, come dimostrato dall'essere in corso l'iter legislativo per l'approvazione di una disciplina ad hoc. In contrario, sul punto, il T.A.R. ha osservato che, non essendo in vigore alcuna speciale disciplina derogatoria, all'attività in commento, avente essenzialmente ad oggetto la somministrazione di alimenti, per di più non occasionale, ma anche ad “eventuali clienti occasionali”, non può che applicarsi l'ordinaria normativa regolante appunto tali somministrazioni, e quindi anche l'art. 3, comma 7,della l. n. 287/1991 indipendentemente dalla circostanza che ciò avvenga nel domicilio dell'esercente (a tacere del rilievo che, venendo meno la mera occasionalità della prestazione, anche tale ambito privato diverrebbe in realtà aperto al pubblico).

Per le suesposte ragioni, il ricorso è stato rigettato; per l'effetto, è stato confermato il provvedimento amministrativo.

La realtà condominiale

In merito al rapporto tra attività di home restaurant e condominio ci si può rifare a quello che vale per i bed & breakfast: solo un divieto dichiarato espressamente nel regolamento condominiale può impedire lo svolgimento di un'attività commerciale in un'abitazione privata. Invero, il regolamento condominiale di origine contrattuale può imporre divieti e limiti di destinazione alle facoltà di godimento dei condomini sulle unità immobiliari in esclusiva proprietà sia mediante elencazione di attività vietate, sia con riferimento ai pregiudizi che si intende evitare; in quest'ultimo caso, per evitare ogni equivoco in una materia atta a incidere sulle proprietà dei singoli condomini, i divieti e i limiti debbono risultare da espressioni chiare, avuto riguardo, più che alla clausola in sé, alle attività e ai correlati pregiudizi che la previsione regolamentare intende impedire, così consentendo di apprezzare se la compromissione delle facoltà inerenti allo statuto proprietario corrisponda a un interesse meritevole di tutela (Cass. civ., sez. II, 20 ottobre 2016, n. 21307).

Ovviamente, il “ristorante fai da te” è, per dimensioni e caratteristiche, diverso rispetto ad una locanda o pensione o ad un'attività di ristorazione o di somministrazione di bevande o alimenti “ordinaria.

Inoltre, nonostante la diversità con le altre attività, l'avvio di un home restaurant all'interno di appartamenti in condominio può comportare tutta una serie di limitazioni simili a quelle dei B&B e delle altre diverse forme di attività ricettiva. Di conseguenza, a prescindere dalla presenza di un regolamento, i proprietari che intendano avviare tale attività devono sempre garantire che non ci siano pregiudizi per gli altri abitanti del condominio: per quanto attiene all'utilizzo delle parti comuni (come scale, cortile, ingresso o ascensori, utilizzati dai “clienti” estranei al condominio) o, ancora, con riferimento alla quiete e tranquillità condominiale.

In conclusione

La c.d. sharing economy - che consiste nel mettere in rete risorse e professionalità ottenendo un ritorno in termini di denaro o servizi - si realizza in condominio sotto forma di servizi condivisi, che hanno la doppia funzione di far risparmiare e aumentare la socialità.

Anche in Italia, le attività come i bed & breakfast, i nuovi condhotel, gli affitti sociali o gli asili nido condominiali si stanno diffondendo a macchia d'olio. Un processo così rapido che la stessa giurisprudenza fatica a inquadrare. Il risultato è un panorama piuttosto fluido, con alcuni punti fermi ma molti aspetti soggetti a continue variazioni e assestamenti, con un occhio alle direttive comunitarie e a ciò che accade in altri Paesi europei.

Premesso ciò, diremo che l'attività di home restaurant resta un'attività atipica e non proprio equiparabile all'attività di ristorazione. Questa attività, infatti, in quanto svolta in casa e quindi caratterizzata dalla saltuarietà dell'attività non vale a modificare la destinazione abitativa dell'immobile che lo ospita.

Però, l'attività potrebbe essere ostacolata e di fatto impedita da una espressa norma del regolamento condominiale, che vieta l'esercizio al suo interno di ogni attività economica e ogni utilizzo degli immobili privati che non sia esclusivamente o strettamente abitativo.

In conclusione, anche alla luce delle osservazioni formulate dall'Antitrust, ad oggi, l'approvazione definitiva del disegno di legge spetta al Senato. In attesa di ciò, la proposta resta interessante anche alla luce dell'evoluzione delle attività turistiche-ricettive all'interno di un condominio; in tal caso, però, l'obiettivo di tale settore non deve essere quello di eludere lo Stato, ma quello di ottenere un riconoscimento attraverso una regolamentazione normativa della fattispecie, al fine di poter ottenere una tutela e una posizione giuridica riconosciuta.

Guida all'approfondimento

Klun - Spagnesi, La ristorazione in abitazione privata: Profili normativi, Milano, 2018, 11

Marino - Lanzi, La nuova ospitalità turistica. Dalle strutture ricettive tradizionali alle recenti formule, Milano, 2019, 192

Nuzzo, Bed & breakfast e attività ricettive in condominio tra limiti e divieti, Monopoli, 2019, 65

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