Il punto sul rito sommario di cognizione
08 Ottobre 2019
Inquadramento
Il Capo III bis è stato inserito nel libro IV dei procedimenti speciali dall'art. 51, comma 1, della legge 18 giugno 2009, n. 69 e contiene gli artt. da 702-bis a 702-quater che disciplinano il procedimento sommario di cognizione, cosiddetto “a regime facoltativo”, che è stato poi oggetto delle novelle legislative introdotte dal decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, che ha previsto l'obbligatorietà del procedimento sommario di cognizione per specifiche ipotesi e dal decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, conv. con modif. dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, che ha espressamente previsto la conversione d'ufficio, da parte del giudice, dal rito ordinario a quello sommario, previa valutazione della complessità della lite e dell'istruzione probatoria. Il procedimento sommario di cognizione si caratterizza principalmente per la finalità acceleratoria e per l'ampliamento dei poteri del giudice di direzione del procedimento previsti dall'art. 175 c.p.c. Dopo alcuni dubbi iniziali sulla qualificazione giuridica del rito, oggi è unitaria la tesi secondo cui la sommarietà è da riferirsi non al profilo della cognizione, bensì a quello dell'istruzione, nel senso che il procedimento si caratterizza per una cognizione piena delle domande e delle eccezioni delle parti e postula unicamente la possibilità di uno svolgimento in forma semplificata dell'istruttoria, tale da garantire l'accelerazione dei tempi del giudizio. Il procedimento sommario di cognizione è, quindi, un processo di cognizione piena, che si aggiunge al rito ordinario di cognizione e costituisce un modello di trattazione della causa semplificato all'interno del processo ordinario. La scelta del rito è esercitata dall'attore e il convenuto può solo contestare che l'istruzione sia priva del carattere della sommarietà o che si tratti di una controversia di competenza collegiale.
Già si è detto che con il decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, avente l'obiettivo di semplificazione dei riti civili, è stata introdotta l'obbligatorietà del ricorso al procedimento sommario di cognizione per diverse materie. L'art. 3 del richiamato decreto individua le controversie che devono seguire il rito sommario di cognizione, prevedendo, inoltre, quelle cui non sono applicabili i commi 2 e 3 dell'art. 702-ter c.p.c., ovvero quelle in relazione alle quali non è possibile la conversione del rito sommario in rito ordinario (tra queste a titolo di esempio, le controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato; l'opposizione a decreto di pagamento di spese di giustizia; le controversie in materia di mancato riconoscimento del diritto di soggiorno sul territorio nazionale; le controversie in materia di allontanamento dei cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea o dei loro familiari; l'opposizione alla convalida del trattamento sanitario obbligatorio). Ancora, contrariamente a quanto stabilito dall'art. 702-quater c.p.c., l'ordinanza conclusiva del procedimento non è sempre appellabile, come ad esempio nelle controversie in materia di liquidazione degli onorari e diritti di avvocato. Natura del procedimento
Come già detto, l'elemento individualizzante del procedimento di cui agli artt. 702-bis e ss. c.p.c. è la sommarietà. Il procedimento è strutturato nel senso che le domande e le eccezioni delle parti siano cristallizzate negli atti iniziali e che gli elementi a supporto della decisione siano provati attraverso un'istruttoria particolarmente semplificata. In relazione alla cognizione piena, l'art. 702-bisc.p.c. prevede, infatti, che le parti abbiano l'onere di predisporre gli atti introduttivi in modo completo, così come accade nel processo civile ordinario, fatta salva la diversità dell'atto introduttivo del procedimento, che in questo caso è il ricorso. È stata concordemente esclusa la natura cautelare del procedimento sommario di cognizione, poiché è possibile fare ricorso a tale strumento prescindendo dal requisito del periculum in mora, con l'ulteriore precisazione che la parte può utilizzare detto procedimento al fine di ottenere una pronuncia di condanna, di mero accertamento e costitutiva. Inoltre, essendo un procedimento a contraddittorio anticipato; il giudice fissa l'udienza di comparizione delle parti e non può emettere provvedimenti inaudita altera parte. Ancora, il provvedimento che definisce il giudizio, che assume la forma dell'ordinanza, ha l'idoneità a passare in giudicato. Introduzione del giudizio e costituzione delle parti. La chiamata in causa dei terzi
La domanda introduttiva si propone con ricorso al tribunale monocratico competente (art. 702-bis, comma 1, c.p.c.). La scelta se instaurare il procedimento ordinario o quello sommario spetta all'attore che deve depositare il ricorso presso il giudice competente (dal momento del deposito si verifica l'effetto della litispendenza, ex art. 39, comma 2, c.p.c.). Il ricorso è sottoscritto dal difensore e deve contenere le indicazioni di cui ai numeri 1), 2), 3), 4), 5) e 6) e l'avvertimento di cui al numero 7) del terzo comma dell'articolo 163, ovvero l'indicazione del tribunale davanti al quale la domanda è proposta; le generalità delle parti; la determinazione della cosa oggetto della domanda (petitum); l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda (causa petendi), con le relative conclusioni; l'indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l'attore intende valersi e in particolare dei documenti che offre in comunicazione; il nome e il cognome del procuratore e l'indicazione della procura, qualora questa sia stata già rilasciata; l'invito al convenuto a costituirsi nel termine che verrà stabilito dal giudice e comunque non inferiore a dieci giorni prima dell'udienza indicata e a comparire dinanzi al giudice designato con l'avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli articoli 167 e 38 c.p.c.
A seguito della presentazione del ricorso il cancelliere forma il fascicolo d'ufficio e lo presenta al presidente del tribunale, il quale designa il magistrato cui è affidata la trattazione del procedimento (art. 702-bis, comma 2, c.p.c.), che fissa con decreto l'udienza di comparizione delle parti assegnando il termine per la costituzione del convenuto che deve avvenire non oltre dieci giorni prima dell'udienza. Si tratta di un termine non libero, con la conseguenza che va computato il giorno del deposito dell'atto e non va considerato il giorno dell'udienza. Il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell'udienza, deve essere notificato al convenuto almeno trenta giorni prima della data fissata per la sua costituzione (e non dell'udienza). È un termine assoluto ed inderogabile, con la conseguenza che, qualora il ricorrente nonprovvede alla notifica o effettui una notifica giuridicamente inesistente, il giudice non potrà concedere un nuovo termine e la domanda dovrà essere dichiarata improponibile (Cass. civ., Sez. Un., 30 luglio 2008, n. 20604). Se il convenuto non si costituisce e il giudice istruttore rileva un vizio che importi nullità nella notificazione della citazione, fissa all'attore un termine perentorio per rinnovarla e la rinnovazione impedisce ogni decadenza (art. 291 c.p.c.). Anche con riguardo al ricorso trovano applicazione i principi dettati dal legislatore in tema di vizi della vocatio in ius e della edictio actionis (art. 164 c.p.c.). Il convenuto si costituisce in cancelleria nel termine fissato dal giudice ai sensi dell'art. 702-bis, comma 4, c.p.c. e comunque non oltre dieci giorni prima dell'udienza di comparizione delle parti, depositando comparsa di risposta che deve contenere: le difese in relazione ai fatti costitutivi dedotti dal ricorrente; i mezzi di prova di cui intende avvalersi e i documenti che offre in comunicazione; le conclusioni; le eventuali domande riconvenzionali a pena di decadenze, le eccezioni processuali e di merito che non sono rilevabili d'ufficio; la chiamare un terzo in garanzia, con la richiesta di spostamento dell'udienza.
La chiamata in causa di terzi e la domanda riconvenzionale
L'art. 702-bis, comma 4, c.p.c., come già evidenziato, dispone che il convenuto che intende chiamare in causa il terzo deve chiederne l'autorizzazione a pena di decadenza nella comparsa di costituzione e risposta e chiedere il differimento dell'udienza per permettere la citazione del terzo. Il giudice, con decreto comunicato dal cancelliere alle parti costituite, provvede a fissare la data della nuova udienza assegnando un termine perentorio per la citazione del terzo e il terzo si costituisce secondo le modalità di costituzione del convenuto. È orientamento univoco che se viene disposta la conversione del rito e fissata l'udienza ex art. 183 c.p.c., le parti potranno compiere tutte le attività ivi previste e tra queste anche l'autorizzazione a chiamare in causa il terzo. A seconda del tipo di intervento operano specifiche preclusioni. Il terzo interveniente principale e adesivo (sia autonomo, che dipendente) può intervenire sino a quando la causa non va in decisione, mentre il terzo chiamato per ordine del giudice non subisce preclusioni. Nell'ipotesi in cui sia formulata una domanda che richieda un'attività istruttoria non sommaria il giudice può disporre la separazione e se la domanda proposta è di competenza collegiale, questa sarà inammissibile (art. 702-ter, comma 2, c.p.c.). Con riguardo alla domanda riconvenzionale che necessita di una istruzione non sommaria, il giudice, in applicazione dell'art. 702-ter, comma 4, c.p.c., può disporre la separazione dalla domanda principale. Tuttavia, in caso di connessione forte fra la domanda principale e la domanda riconvenzionale, è stato sostenuto che sia opportuno disporre il mutamento di rito in relazione all'intera controversia e non soltanto alla domanda riconvenzionale. Se la domanda riconvenzionale è di competenza collegiale il giudice dovrà dichiararla inammissibile (art. 702-ter, comma 2, c.p.c.). La trasformazione del rito
L'art. 702-ter, comma 3, c.p.c., dispone che il giudice, se ritiene che le difese svolte dalle parti richiedano un'istruzione non sommaria, fissa l'udienza di cui all'art. 183 c.p.c. Il passaggio dal procedimento sommario al rito ordinario può essere disposto alla prima udienza. Il giudice, dopo avere accertato la propria competenza e la competenza del tribunale monocratico in relazione alla domanda del ricorrente e alla domanda riconvenzionale, valuterà se la causa necessiti o meno di una istruzione non sommaria (art. 702-ter, comma 3, c.p.c.) e, nel caso di verifica positiva, fisserà l'udienza di cui all'art. 183 c.p.c. L'art. 14 deldecreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, conv. con modif. dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, ha inserito l'art. 183-bis c.p.c., rubricato “Passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione”, che attribuisce al giudice del tribunale in composizione monocratica, la facoltà di conversione del rito ex art. 702-ter c.p.c., previa valutazione della complessità della lite e dell'istruzione probatoria. Il giudice decide, all'udienza di trattazione, con ordinanza non impugnabile previo contraddittorio, sia orale che scritto. L'art. 702-terc.p.c., prevede che il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non necessaria al contraddittorio, procede nel senso che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all'oggetto del provvedimento richiesto e provvede con ordinanza all'accoglimento o al rigetto delle domande. In particolare, il giudice, ascoltate le difese delle parti e le domande, eccezioni e richieste istruttorie formulate, deve decidere se mantenere il rito sommario oppure se disporre la conversione in rito ordinario. È evidente che, in presenza di una controversia che non presenti una pluralità di questioni e che non richieda accertamenti complessi, il giudice manterrà il rito sommario. La norma richiamata consente che il giudice possa procedere con gli atti di istruzione anche alla prima udienza. Di contro, le parti possono anche articolare ulteriori mezzi di prova alla stessa udienza (o chiedere un termine), qualora l'indicazione di ulteriori mezzi di prova sia necessitata dall'attività di precisazione e modificazione delle domande ed eccezioni della controparte. Stante la ratio del rito, ammessi gli atti di istruzione, non possono trovare ingresso nel processo nuove domande o eccezioni o modificazione di domande o eccezioni già proposte che trovino fondamento in fatti nuovi. Il legislatore usando le parole «omessa ogni formalità non necessaria al contraddittorio , procede nel senso che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti» ha richiamato il disposto normativo di cui all'art. 669-sexies c.p.c. che, per l'appunto, recita che «Il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto, e provvede con ordinanza all'accoglimento o al rigetto della domanda». Con la differenza che mentre nel processo cautelare uniforme il potere del giudice di procedere nel modo che ritiene più opportuno è giustificato dall'urgenza di provvedere, nel procedimento sommario di cognizione prevale la finalità di attuazione di un rito semplificato definito con un'ordinanza idonea a passare in giudicato. Molto si è discusso su cosa si intenda per attività istruttoria deformalizzata. La tesi prevalente è nel senso che sia sufficiente per la decisione della controversia una attività istruttoria semplificata e rapida e non ordinaria. In ogni caso l'istruttoria deve essere completa proprio allo specifico fine di decidere la controversia. In ragione del principio dispositivo del processo, le prove ammesse devono essere richieste dalle parti, salvo le eccezioni previste dalla legge. In concreto, il giudice può disporrel'interrogatorio libero delle parti, la consulenza tecnica d'ufficio e l'ispezione di persone e cose; può richiedere informazioni alla p.a; può ammettere ai sensi dell'art. 281-ter c.p.c. la prova testimoniale e deferire il giuramento suppletorio. La parte può chiedere l'ammissione di documenti, il deferimento dell'interrogatorio formale, l'ordine di esibizione, il giuramento decisorio, la prova testimoniale ed anche la consulenza tecnica d'ufficio (in relazione alla quale non sussiste alcuna incompatibilità rispetto a una definizione rapida del procedimento, avuto riguardo soprattutto ai casi in cui si discute soltanto del quantum).
Con specifico riferimento alla fase decisoria, l'art. 702-ter c.p.c. stabilisce che il provvedimento conclusivo è un'ordinanza, che è provvisoriamente esecutiva, costituisce titolo per l'iscrizione di ipoteca volontaria e per la trascrizione, contiene la pronuncia sulle spese ed è idonea a passare in giudicato. Non è necessaria la fissazione di una specifica udienza per la precisazione delle conclusioni (il giudice può invitare le parti a precisare le conclusioni dopo l'ammissione dei mezzi di prova) e non è previsto lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. Il giudizio di appello
L'appello è disciplinato dall'art. 702-quater c.p.c. che dispone che l'ordinanza conclusiva del procedimento produce gli effetti di cui all'articolo 2909 c.c. se non è appellata entro trenta giorni dalla sua comunicazione o notificazione. Il giudizio di secondo grado, in mancanza di specifiche previsioni normative, è all'ordinaria disciplina prevista dal codice di rito e va, quindi, introdotto con atto di citazione. L'introduzione del gravame tramite il deposito del ricorso, tuttavia, non determina l'inammissibilità dell'impugnazione, purché il ricorso sia depositato nel termine perentorio concesso per la proposizione dell'appello nonché notificato alla controparte entro il medesimo giorno. È stato affermato che la sommarietà del rito, riguarda esclusivamente la natura semplificata e destrutturata della fase istruttoria, limitata alla fase del primo grado, con la conseguenza che l'appello, nel quale si potrà lamentare, tra le altre cose, l'erroneità della decisione del primo giudice di ritenere la controversia suscettibile di essere decisa con una istruttoria sommaria e, dunque, non procedere alla conversione del rito, comporti, la necessità di espletare, in secondo grado, quella istruttoria che non si era ritenuto di dover svolgere nel giudizio di primo grado. Anche i giudici di legittimità hanno affermato che l'art. 704-quater c.p.c disciplina, un mezzo di impugnazione che ha natura di appello (e non di reclamo cautelare), la cui mancata proposizione comporta il passaggio in giudicato dell'ordinanza emessa ex art. 702-bis c.p.c., prefigurando un procedimento con pienezza sia di cognizione (come in primo grado) che di istruttoria (a differenza del primo grado, ove è semplificata), analogo a quello disciplinato dall'art. 345, comma 2, c.p.c., con la conseguenza che l'impugnazione va proposta alla corte d'appello e non al tribunale in sede collegiale e che la verifica della tempestività dell'impugnazione va effettuata calcolandone il termine di trenta giorni dalla data di notifica dell'atto introduttivo alla parte appellata (Cass. civ., 15 dicembre 2014, n. 26326; Cass. civ., 14 maggio 2013, n. 11465). Nella fase di appello, secondo il tenore della norma, nuovi mezzi di prova e nuovi documenti saranno ammessi quando il collegio li ritenga rilevanti ai fini della decisione o quando la parte dimostri di non aver potuto proporli nel corso del procedimento sommario per causa ad essa non imputabile. L'appello anche nel procedimento sommario di cognizione è un mezzo di impugnazione ordinario che apre una fase dello stesso processo impedendo che la sentenza impugnata passi in giudicato e provoca un nuovo esame della controversia, nei limiti dei motivi dedotti dalla parte appellante, sicché la nuova sentenza sostituisce la sentenza impugnata (anche se conferma integralmente la sentenza di primo grado) e ha natura devolutiva perché devolve al nuovo giudice la cognizione dello stesso rapporto sostanziale oggetto del primo grado di giudizio. Come già detto, nel procedimento sommario di cognizione i nuovi mezzi di prova sono ammessi in appello, a condizione che siano indispensabili ai fini della decisione. Il decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ha sostituito la parola “rilevanti” con la parola “indispensabili”, con il chiaro intento di limitare il ricorso a nuove istanze istruttorie che allungano i tempi di definizione del processo. È stato affermato che è indispensabile il mezzo istruttorio che consente di giungere ad una ricostruzione dei fatti principali della causa differente da quella accolta nella sentenza. Ancora è stato sostenuto che è indispensabile il mezzo di prova diretto a superare l'incertezza, altrimenti invincibile, su di un fatto decisivo della causa ed inoltre che il giudizio sull'indispensabilità va tenuto distinto da quello sulla rilevanza, giacché l'indispensabilità ricorre in caso di insufficienza del materiale istruttorio già acquisito al processo in primo grado. La Corte di cassazione ha affermato che è prova nuova indispensabile quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta alla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quello che era rimasto non dimostrato o non sufficientemente dimostrato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado con sentenza (Cass. civ., Sez. Un., 4 maggio 2017, n. 10790). Il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione supera, quindi, l'orientamento secondo cui il potere istruttorio attribuito al giudice di appello dalla norma in parola, benché abbia carattere ampiamente discrezionale, non può essere esercitato per sanare preclusioni e decadenze già verificatesi nel giudizio di primo grado, atteso che la prova richiesta, in tal caso, non può neppure considerarsi «prova nuova», per essere invece prova dalla quale la parte è decaduta (Cass. civ., 24 marzo 2016, n. 5921). Il giudizio di secondo grado si conclude con sentenza, avverso la quale sarà esperibile il ricorso in Cassazione. Prospettive di riforma
È in discussione un disegno di legge recante deleghe al governo per l'efficienza del processo civile, con il quale il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti il riassetto formale e sostanziale del codice di procedura civile, in funzione di obiettivi di semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo civile, sempre nel rispetto della garanzia del contraddittorio e dei principi e criteri direttivi previsti dalla legge delega. Nello specifico, per quel che rileva in questa sede, si prevede che il procedimento sommario di cognizione, ridenominato “rito semplificato davanti al tribunale in composizione monocratica”, sia inserito nell'ambito del libro secondo del codice di procedura civile, stabilendone l'esclusività e l'obbligatorietà per le cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica, con esclusione dei procedimenti assoggettati al rito del lavoro.
Riferimenti
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