Notifica in proprio a mezzo PEC (PCT)
19 Novembre 2020
Inquadramento
***DOCUMENTO IN FASE DI AGGIORNAMENTO AUTORALE DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE***
La facoltà di notificazione in proprio è attribuita agli avvocati dalla Legge 21 gennaio 1994 n. 53, ma solo dal 2012 (per effetto dell'art. 16-quater D.L. 179/2012), risulta estesa alla notifica telematica (tuttora non realizzabile dagli ufficiali giudiziari, per mancanza dei relativi strumenti). Vengono poi in rilievo, nell'ambito della notifica telematica, dati normativi ulteriori rispetto alla legge n. 53/1994 relativi all'oggetto e agli strumenti coinvolti in tale tipo di notifica (riguardanti i documenti informatici e la posta elettronica certificata), nonché disposizioni che attribuiscono determinati poteri all'avvocato notificante, o che individuano limiti oggettivi alla notifica e le ipotesi in cui ne è imposto l'utilizzo.
In sintesi, tali norme sono contenute nei seguenti atti normativi:
In estrema sintesi, può notificare a mezzo PEC un avvocato munito di:
È possibile notificare atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale.
La notifica a mezzo PEC consiste nella trasmissione al destinatario di un messaggio PEC con oggetto che deve contenere la dicitura “notificazione ai sensi della legge n. 53 del 1994”, e in allegato:
I principali vantaggi della notifica a mezzo PEC per l'avvocato sono: l'immediatezza di invio e di riscontro; l'esonero dall'autorizzazione dell'Ordine e dalla compilazione del c.d. registro cronologico, richiesto nel caso di notifica in proprio “tradizionale”; l'esenzione dal pagamento dei diritti di copia e di ulteriori tasse; l'abbattimento dei costi di notifica.
Per una più ampia trattazione del tema si veda il volume della collana “Officina del Diritto” su “Notificazioni e comunicazioni a mezzo PEC”. Ambito soggettivo: caratteristiche del notificante
La notifica a mezzo PEC può essere effettuata (art. 1 L. 53/94) dall' “avvocato […] munito di procura alle liti a norma dell'art. 83 del codice di procedura civile”. Nel caso di notifica di atto stragiudiziale o introduttivo di un giudizio civile, sembra prudente suggerire di includerla nel messaggio PEC di notifica, allo scopo di rendere da subito manifesti al destinatario i poteri di rappresentanza in capo all'avvocato notificante; si ritiene possibile non adottare tale accorgimento nel caso in cui la procura sia già presente in atti (ad es. nell'ipotesi in cui la notifica a mezzo PEC debba eseguirsi nell'ambito di un giudizio introdotto con ricorso).
Ove la procura sia stata rilasciata su supporto cartaceo (come capita attualmente nella quasi totalità dei casi), il notificante deve provvedere ai sensi dell'art. 83 c.p.c., comma 3, ultima parte, a mente del quale “se la procura alle liti è stata conferita su supporto cartaceo, il difensore che si costituisce attraverso strumenti telematici ne trasmette la copia informatica autenticata con firma digitale, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici e trasmessi in via telematica.”. La norma speciale in materia (art. 18 comma 5 D.M. 44/2011, rubricato “notificazioni per via telematica eseguite dagli avvocati”) chiarisce ulteriormente che “la procura alle liti si considera apposta in calce all'atto cui si riferisce quando è rilasciata su documento informatico separato allegato al messaggio di posta elettronica certificata mediante il quale l'atto è notificato. La disposizione di cui al periodo precedente si applica anche quando la procura alle liti è rilasciata su foglio separato del quale è estratta copia informatica, anche per immagine.” In altri termini, l'avvocato che vorrà allegare la procura alle liti al messaggio PEC di notifica, dovrà eseguirne una scansione, che sottoscriverà con la propria firma digitale. Si badi che la firma digitale, in questo contesto, non ha la funzione di autentica della procura, ma unicamente di dichiarazione la conformità della copia informatica all'originale cartaceo (a ben guardare, l'art. 83 c.p.c. non considera l'apposizione della firma digitale valida per l'autentica della procura originaria, ma unicamente della sua “copia informatica”): perciò si ritiene necessario che l'originale cartaceo della procura alle liti sia munito della sottoscrizione “fisica” del difensore. Sull'argomento si veda Cass., I, 14.05.2019 n. 12850, che ha dichiarato inammissibile il ricorso per difetto di valida procura in quanto essa era carente della sottoscrizione digitale quale “asseverazione di conformità all'originale mediante sottoscrizione del procuratore con firma digitale”.
Si ritiene che, ove la procura alle liti sia conferita su supporto informatico e con sottoscrizione digitale da parte dell'assistito, non sia necessario attestarne la conformità all'originale (è essa stessa, in questo caso, un documento informatico “nativo” o comunque un “duplicato informatico”). A norma dell'art. 3-bis, comma 1, ultimo periodo, L. 53/94, è necessario che l'indirizzo del notificante sia presente nei c.d. “Pubblici Elenchi” (v. infra).
È inoltre sufficiente – ma necessario – che il certificato di firma (utilizzato per la sottoscrizione degli allegati oggetto di notifica) sia valido all'epoca del perfezionamento della notifica, in quanto la PEC costituisce riferimento temporale opponibile ai terzi [in virtù del combinato disposto degli artt. 41, comma 4, lettera c), e 62, comma 1, del D.P.C.M. 22.2.2013 - regole tecniche in materia di generazione e verifica delle firme elettroniche; v. altresì l'art. 48, comma 3, del d. lgs. 82/2005 a proposito dell'opponibilità ai terzi della data/ora di trasmissione/ricezione di un documento informatico a mezzo PEC].
È importante precisare che il potere di notificare a mezzo PEC è riconosciuto solo agli avvocati, qualora muniti di procura alle liti. Per tale ragione, si ritiene preclusa la facoltà di notifica a mezzo PEC un avvocato che non ricopre il ruolo di difensore (ad es., nel ruolo di tutore, curatore, amministratore di sostegno, delegato alla vendita ecc.). Ambito soggettivo: caratteristiche del destinatario della notifica
Il soggetto destinatario della notifica deve essere titolare di indirizzo PEC risultante dai c.d. “Pubblici Elenchi” (art. 3-bis comma 1 L. 53/94). La individuazione dei pubblici elenchi ai fini della notifica telematica è contenuta nell'art. 16-ter D.L. n. 179/2012, che stabilisce come “a decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi” quelli di seguito previsti:
È da aggiungere che la riforma dell'ANPR è attualmente allo stadio embrionale, e pertanto i domicili digitali dei cittadini non sono operativi.
Quanto al c.d. “IndicePA” o “IPA” (http://indicepa.gov.it), a norma dell'art. 6-ter d.lgs. 82/2005 (CAD), si è da ultimo assistito ad una riconsiderazione del suo valore. Esso, introdotto dall'allora vigente art. 57-bis del d.lgs. 82/2005, era stato un Pubblico Elenco valido sino al 19 agosto 2014: infatti il D.L. 4 giugno 2014, n. 90 (convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 114), aveva disposto la modifica dell'art. 16-ter, comma 1, D.L. 179/2012, eliminando il riferimento al comma 8 dell'art. 16 DL 185/2008, che menzionava appunto il c.d. “IndicePA”. L'eliminazione di tale elenco ha reso molto difficoltose le notifiche a mezzo PEC alle Pubbliche Amministrazioni, giacché il Registro PP.AA. è risultato per lungo tempo scarsamente popolato e contava un numero limitato di indirizzi PEC (nonostante la testuale previsione di cui all'art. art. 16, co. 12, D.L. 179/2012, in base alla quale entro il 30/11/2014 le PP.AA. dovevano comunicare al Ministero della Giustizia il proprio indirizzo PEC). Forse per ovviare a questa inerzia delle amministrazioni nel far confluire i propri indirizzi PEC nel “Registro PPAA”, con il c.d. “Decreto Semplificazioni” (D.L. 16.7.2020 n. 76, convertito con L. n. 120 dell'11.9.2020) all'art. 16-ter D.L. 179/2012 è stato aggiunto il comma 1-ter, che di fatto reintroduce l'IPA nell'elenco dei registri utilizzabili per le notifiche telematiche.
La norma dispone: “Fermo restando quanto previsto dal regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, in materia di rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato, in caso di mancata indicazione nell'elenco di cui all'articolo 16, comma 12, la notificazione alle pubbliche amministrazioni degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale è validamente effettuata, a tutti gli effetti, al domicilio digitale indicato nell'elenco previsto dall'articolo 6-ter del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e, ove nel predetto elenco risultino indicati, per la stessa amministrazione pubblica, più domicili digitali, la notificazione è effettuata presso l'indirizzo di posta elettronica certificata primario indicato, secondo le previsioni delle Linee guida di AgID, nella sezione ente dell'amministrazione pubblica destinataria. Nel caso in cui sussista l'obbligo di notifica degli atti introduttivi di giudizio in relazione a specifiche materie presso organi o articolazioni, anche territoriali, delle pubbliche amministrazioni, la notificazione può essere eseguita all'indirizzo di posta elettronica certificata espressamente indicato nell'elenco di cui all'articolo 6-ter del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, per detti organi o articolazioni.”
Tutti gli elenchi sono validi anche per la giustizia amministrativa (art. 16-ter, comma 1-bis, D.L. 179/2012 e art. 14, co. 2 D.P.C.M. 40/2016, recante le regole tecniche del P.A.T.).
La materia è stata, negli anni, oggetto di esame da parte della giurisprudenza. Nel processo civile, salvo casi isolati, l'orientamento ante Decreto Semplificazioni del 2020 era chiaro nell'escludere la validità di una notificazione effettuata a un indirizzo non ricompreso in uno dei pubblici elenchi, con particolare riferimento a un indirizzo contenuto nell'IPA e non nel registro PP.AA. (Cass., II, 01.10.2018 n. 23738). Diversa la posizione della giurisprudenza amministrativa, la quale ha fatto registrare un'importante novità interpretativa: da segnalare, in particolare, Cons. Stato, V, 12.12.2018 n. 7026, che ha ritenuto valida la notificazione via PEC del ricorso a un indirizzo tratto da “Indice PA”. La sentenza ha trovato seguito anche nella giurisprudenza successiva (Cons. Stato, III, 27.02.2019 n. 1379; ma cfr. TAR Campania, Napoli, V, 04.02.2019 n. 562 che non prende posizione sul tema, applicando l'art. 156 c.p.c.). Si segnala inoltre TAR Sicilia, Catania, I, 11.06.2019 n. 1426 la quale ha accolto il ricorso di associazioni rappresentative e singoli avvocati per accertare l'inottemperanza della P.A. al proprio obbligo di inserire l'indirizzo PEC nel Registro PP.AA.
Va invece segnalata la breve oscillazione della Corte di Cassazione, la quale con due pronunce aveva inizialmente affermato la nullità della notifica a un indirizzo PEC risultante dal registro INI-PEC. La sentenza Cass. n. 3709/2019 aveva suscitato non poche critiche, essendo l'INI-PEC un registro espressamente contemplato dalla legge, ed è stata erroneamente seguita da qualche giudice di merito. La questione aveva addirittura reso necessario un comunicato del C.N.F. del 05.03.2019 il quale aveva auspicato l'intervento del Primo Presidente della Suprema Corte al fine di porre rimedio a quello che veniva definito un “errore materiale” potenzialmente fonte di ripercussioni negative in tema di notifica telematica. E così, dopo una successiva ordinanza in senso conforme (Cass. Sez. Lav., 9562/2019), la Suprema Corte ha finalmente ristabilito la corretta applicazione della normativa con due ordinanze del 9 aprile 2019 (nn. 9893 e 9897), riconoscendo la validità di una notificazione effettuata a indirizzo PEC tratto dal predetto registro. In merito alla casistica relativa al destinatario, si segnala che è stata ritenuta valida la notificazione all'indirizzo PEC del destinatario anche se relativa ad atto riferibile alla sua sfera privata o comunque non legata alla ragione per la quale era stata aperta la casella PEC (Corte App. Torino 27.01.2016; contra Trib. Roma, ord. 26.01.2019). Decisioni contrastanti, invece, sono emerse in caso di notifica a un indirizzo PEC condiviso tra più soggetti (favorevole Cass., I, 21.07.2016 n. 15035; contraria Cass., VI, 12.01.2018 n. 710). Ambito oggettivo: materie e tipi di documento notificabili
Lo stesso art. 1, L. n. 53/1994 stabilisce che è possibile la notifica in proprio di atti in materia “civile, amministrativa e stragiudiziale”. È dunque esclusa l'ammissibilità della notifica in proprio in materia penale. È altresì da escludersi la notificabilità in proprio (tanto a mezzo PEC quanto negli altri modi previsti dalla L. n. 53/1994) degli atti dell'Ufficiale Giudiziario (ad es. l'atto di pignoramento presso terzi o l'avviso ex art. 608 c.p.c.); è controversa in dottrina la possibilità di notificare l'atto di precetto fondato su cambiale o assegno. In merito alla notificazione dell'intimazione di sfratto, si segnala una sempre maggiore apertura della giurisprudenza.
Ciò detto in merito alle materie in cui è possibile (o non possibile) la notifica, si riassumono di seguito i documenti informatici notificabili:
In ordine alle scansioni e alle copie informatiche di documenti informatici (penultimo e ultimo caso di cui alla tabella sovrastante), la legge prevede che venga attestata la conformità all'originale del documento mediante dichiarazione contenuta nella relazione di notificazione: tanto si ricava dal combinato disposto dell'art. 3-bis, comma 2, L. 53/1994 e dell'art. 16-undecies D.L. 179/2012. Tale ultima norma indica le modalità dell'attestazione di conformità: per quanto qui interessa, l'attestazione di conformità va inserita nella relazione di notificazione, e dunque su documento informatico separato, da sottoscriversi digitalmente. Le specifiche tecniche richiamate dall'art. 16-undecies, comma 3, d.l. 179/2012, sono state emanate con Provvedimento DGSIA 28 dicembre 2015, e sono in vigore dal 7/1/2016: tale provvedimento ha aggiunto l'19-ter al Provv. DGSIA 16/4/2014 (le specifiche tecniche sul PCT): a norma del combinato disposto dei commi 1 e 3 di quest'ultima disposizione, “l'attestazione è inserita in un documento informatico in formato PDF e contiene una sintetica descrizione del documento di cui si sta attestando la conformità nonché il relativo nome del file. Il documento informatico contenente l'attestazione è sottoscritto dal soggetto che compie l'attestazione con firma digitale [...]”, e tale documento deve essere la relazione di notificazione. Risulta, per tale via, dettata una disciplina speciale rispetto al disposto d cui al al d.p.c.m. 13 novembre 2014 in materia di formazione dei documenti informatici, che richiede l'indicazione dell'impronta (c.d. hash) e del riferimento temporale ai fini della dichiarazione di conformità.
È opportuno rilevare che l'art. 18, comma 4,d.m. 44/2011 (tuttora vigente), nella parte in cui richiama “l'asseverazione prevista dall'articolo 22, comma 2, del codice dell'amministrazione digitale”, è da ritenersi implicitamente abrogato dall'art. 3-bis, comma 2, L. 53/1994 che, nel testo vigente a partire dal 21 agosto 2015 (risultante dalle modifiche di cui alla l. n. 132/2015, di conversione del d.l. n. 83/2015), richiama l''art. 16-undecies d.l. 179/2012 sopra citato. Come già osservato supra, ove la procura alle liti sia conferita su supporto informatico e con sottoscrizione digitale da parte dell'assistito, non è necessario attestarne la conformità all'originale. Il soggetto che compie l'attestazione è considerato pubblico ufficiale ad ogni effetto di legge (art. 6, comma 1, L. 53/1994 e art. 16-undecies, comma 3-bis, D.L. 179/2012). Per ulteriori approfondimenti consultare le Bussole “Attestazioni di conformità e richiesta copie” e “Documento analogico e digitale”.
La notifica a mezzo PEC “si esegue mediante allegazione dell'atto da notificarsi al messaggio di posta elettronica certificata” (art. 3-bis, comma 1, L. 53/1994). Essa consiste, in sostanza, nella trasmissione al destinatario di un messaggio PEC con oggetto che deve contenere (a norma dell'art. 3-bis, comma 4, L. 53/1994) la dicitura “notificazione ai sensi della legge n. 53 del 1994”, e in allegato:
Va notato che è pienamente ammissibile inserire nell'oggetto del messaggio PEC, oltre alla dicitura “notificazione ai sensi della legge n. 53 del 1994”, ulteriori informazioni (es. il nome delle parti o i riferimenti del procedimento nell'ambito del quale si esegue la notifica). I commi 5 e 6 dell'art.art. 3-bis, L. n. 53/1994 disciplinano caratteristiche e contenuto della relazione di notificazione: essa deve essere redatta su documento informatico separato, sottoscritto con firma digitale ed allegato al messaggio di PEC della notificazione, e deve contenere: 1) il nome, cognome ed il codice fiscale dell'avvocato notificante; 2) il nome e cognome o la denominazione e ragione sociale ed il codice fiscale della parte che ha conferito la procura alle liti; 3) il nome e cognome o la denominazione e ragione sociale del destinatario; 4) l'indirizzo di PEC a cui l'atto viene notificato; 5) l'indicazione dell'elenco da cui è stato estratto l'indirizzo PEC del destinatario; 6) l'attestazione di conformità delle eventuali copie informatiche oggetto di notifica.
Per le notificazioni effettuate in corso di procedimento deve, inoltre, essere indicato l'ufficio giudiziario, la sezione, il numero e l'anno di ruolo. È doveroso richiamare inoltre gli art. 18 d.m. 44/2011 (comma 1) e 19-bis Provv. DGSIA 16 aprile 2014 (commi da 1 a 4): tali disposizioni dettano le caratteristiche dei documenti informatici oggetto di notifica. A tale proposito è importante precisare che è sempre prudente utilizzare per la notifica file in formato "pdf"; inoltre non sembra possa prestare il fianco a fondate eccezioni la prassi di unire, per comporre l'atto processuale, parti di un documento scansionato ad un PDF “nativo” (es. nel caso di notifica al terzo dell'atto di chiamata in causa a cui si è soliti unire l'atto di citazione attoreo, che potrebbe essere in possesso del convenuto chiamante unicamente in formato cartaceo): tale prassi è formalmente in contrasto con l'19-bis comma 1 del Provv. DGSIA appena richiamato, ma (come si vedrà, v. paragrafo “Invalidità della notificazione”) la violazione delle disposizioni tecniche non può dar luogo a vizi della notifica processualmente rilevanti. La norma dell'art. 16-sexies D.L. 179/2012 sancisce l'unico caso ad oggi esistente di notifica via PEC “obbligatoria” ed in ogni caso per la codificazione di un vero e proprio “domicilio digitale” in luogo di quello fisico. Viene stabilito che, nei casi in cui per legge (ad es. art. 82 R.D. n. 37/1934) il domicilio ai fini delle “notificazioni degli atti in materia civile al difensore” si intenderebbe eletto presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario, si possa procedere alla notifica “fisica” in cancelleria solo a seguito di tentata (e non perfezionata per cause imputabili al destinatario) notifica a mezzo PEC all'indirizzo risultante dall'INI-PEC o dal RegIndE (v. sopra, sub “Pubblici Elenchi”). Viene esplicitamente escluso il caso del ricorrente per cassazione che ometta di indicare nel ricorso il proprio il proprio indirizzo PEC o che non abbia eletto domicilio in Roma: in questa ipotesi la notifica può essergli direttamente fatta presso la cancelleria (a norma dell'art. 366, comma 2, c.p.c.). A titolo di esempio, si pensi al caso di cui all'art. 480, c. 3, c.p.c., a mente del quale “il precetto deve inoltre contenere la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio della parte istante nel comune in cui ha sede il giudice competente per la esecuzione. In mancanza le opposizioni al precetto si propongono davanti al giudice del luogo in cui è stato notificato, e le notificazioni alla parte istante si fanno presso la cancelleria del giudice stesso.”: ebbene, in questa ipotesi l'opponente deve tentare la preventiva notifica telematica e solo se quest'ultima non andasse a buon fine potrebbe notificare l'opposizione presso la cancelleria (dovendo ovviamente fornire evidenza documentale di ciò).
La giurisprudenza, peraltro, parrebbe ritenere non necessaria una vera e propria elezione di domicilio digitale presso l'indirizzo PEC del difensore, nonché la stessa indicazione della PEC. Ciò in quanto la norma di riferimento prescinde dalla stessa indicazione della predetta PEC negli atti introduttivi, traendo fondamento direttamente dalla previsione normativa dei pubblici elenchi dai quali è possibile attingere il predetto indirizzo (Cass., I, 08.01.2019 n. 1411; Cass., VI, 23.05.2019 n. 14140; Cass., 14.12.2017 n. 30139; Cass., 11.07.2017 n. 17048; Cass., Sez. Un., 28.09.2018 n. 23620; Cass., III, 31.05.2018 n. 13775). Tuttavia, nel passato non sono mancate decisioni in senso opposto, quali Cass., VI-2, ord., 14.09.2017 n. 21335, la quale ritiene necessaria, al fine di far scattare il domicilio digitale, l'indicazione della PEC negli atti introduttivi, negando che vi sia l'onere della controparte di ricercare il predetto indirizzo. È lecito ritenere che la notifica telematica effettuata ai sensi dell'art. 16-sexies DL 179/2012 sia nulla se fatta al mero domiciliatario, dal momento che la legge si riferisce alle “notificazioni degli atti in materia civile al difensore”. La tesi è condivisa da una decisione della Suprema Corte, la quale afferma che si deve distinguere tra elezione di domicilio fisico e domicilio digitale, con la conseguenza che “il procuratore che sia domiciliatario in senso fisico, in mancanza di elezione del proprio indirizzo PEC quale domicilio digitale della parte, non è abilitato alla ricezione della notifica telematica di un provvedimento impugnabile, risultando una simile notifica inesistente” (Cass., Sez. I, 22.08.2018 n. 20946). Quindi, la notificazione dovrà avvenire presso la PEC del difensore. Si veda, tuttavia, in senso contrario Cass., VI-2, 11.05.2017 n. 11759 la quale ritiene ammissibile la notifica al domiciliatario anche se il relativo indirizzo PEC non sia stato indicato nell'atto introduttivo. È in ogni caso da ricordare che l'art. 125 c.p.c., ormai da qualche anno, non contiene più l'obbligo di indicazione nell'atto dell'indirizzo PEC (L. 114/2014, di conversione del D.L. 90/2014, che all'art. 45-bis stabiliva che il secondo periodo dell'art. 125 c.p.c. fosse sostituito dal seguente: “Il difensore deve altresì indicare il proprio numero di fax"). Momento perfezionativo della notificazione
La normativa generale sulla posta elettronica certificata (d.lgs. n. 82/2005) contiene alcune importanti prescrizioni ai fini della notifica telematica. In particolare l'art. 48 d.lgs. 82/2005 che dispone come la trasmissione a mezzo PEC: equivale, “salvo che la legge disponga diversamente, alla notificazione per mezzo della posta”; e che “la data e l'ora di trasmissione e di ricezione di un documento informatico trasmesso [...] sono opponibili ai terzi” se conformi alle disposizioni delle norme regolamentari sul tema, in precedenza richiamate. Inoltre l'art. 45 del medesimo d. lgs. 82/2005, stabilisce che “il documento informatico trasmesso per via telematica si intende spedito dal mittente se inviato al proprio gestore, e si intende consegnato al destinatario se reso disponibile all'indirizzo elettronico da questi dichiarato, nella casella di posta elettronica del destinatario messa a disposizione dal gestore.”. Tali norme sono richiamate dall'art. 3-bis, c. 3, L. 53/94 che prescrive testualmente che “la notifica si perfeziona, per il soggetto notificante, nel momento in cui viene generata la ricevuta di accettazione prevista dall'articolo 6, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68 (e 6 D.M. Innovazione 2/11/2005, n.d.r.), e, per il destinatario, nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna prevista dall' articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68; v. inoltre art. 18, comma 6, D.M. 44/2011, che ribadisce che la ricevuta di avvenuta consegna (“RdAC”) prevista è quella completa (di cui all'art. 6 comma 4 dell'appena richiamato d.P.R. 68/2005).
La RdAC è definita come “la ricevuta, sottoscritta con la firma del gestore di posta elettronica certificata del destinatario, emessa dal punto di consegna al mittente nel momento in cui il messaggio é inserito nella casella di posta elettronica certificata del destinatario” (art. 1, comma 1, lett. h, D.M. Innovazione 2/11/2005). In luogo della RdAC, i sistemi di PEC potrebbero generare un avviso di “mancata consegna”, definito come “l'avviso, emesso dal sistema, per indicare l'anomalia al mittente del messaggio originale nel caso in cui il gestore di posta elettronica certificata sia impossibilitato a consegnare il messaggio nella casella di posta elettronica certificata del destinatario” (art. 1, comma 1, lett. n, D.M. Innovazione 2/11/2005). Le ipotesi più frequenti di generazione di un avviso di mancata consegna sono quelle di casella del destinatario inesistente (perché mai creata, o mai comunicata ai pubblici elenchi o ivi inserita in modo errato o per errore di digitazione dell'indirizzo da parte del mittente) oppure satura (per raggiungimento della capienza massima), e quindi non in grado di ricevere ulteriori messaggi. È da ritenere che in presenza di un avviso di mancata consegna la notifica non possa considerarsi perfezionata: non è infatti dato rinvenire, nell'attuale disciplina della notifica via PEC, una norma che preveda un istituto simile a quello della “compiuta giacenza” di cui all'art. 140 c.p.c., né appare sostenibile un'interpretazione estensiva delle norme dettate in tema di comunicazioni telematiche di cancelleria che prevedono la ficta notificatio della comunicazione mediante deposito della stessa in cancelleria in caso di indirizzo PEC del destinatario non comunicato ai pubblici elenchi o irraggiungibile per causa a lui imputabile (art. 16 comma 6 D.L. 179/2012). Va, invece, ribadito che qualunque caso di generazione di ricevuta di avvenuta consegna comporta il perfezionamento della notifica, in quanto ogni situazione che in tale ipotesi impedisca al destinatario di venire a conoscenza della notifica appartiene alla sfera di controllo di quest'ultimo, come tale ininfluente (Cass., IV, 07.07.2016 n. 13917). Va, infine, richiamato l'orientamento consolidato della Suprema Corte in tema di valore probatorio della RdAC, la quale fa piena prova della ricezione del messaggio PEC. Peraltro, ove la si voglia contestare, non vi è onere di proporre querela di falso (Cass., I, 21.07.2016 n. 15035; Cass., I, 01.03.2018 n. 4789). Tempo della notificazione
Quanto al tempo delle notificazioni, si applica l'art. 147 c.p.c. a norma dell'art. 16-septies D.L. 179/2012: se la RAC, costituente il momento perfezionativo della notifica per il soggetto notificante, è generata dopo le 21, la notifica si considera perfezionata alle 7 del giorno successivo. L'introduzione della norma (ad opera della L. 114/2014, di conversione del D.L. 90/2014, entrata in vigore il 19/8/2014) ha colmato il preesistente vuoto sul punto. La giurisprudenza si è posta la questione se possa trovare applicazione nella fattispecie il noto principio della scissione degli effetti della notifica con riferimento alla notificazione via PEC posta in essere dal notificante entro la mezzanotte del giorno di scadenza. L'orientamento della Suprema Corte è, tuttavia, negativo, in quanto (cfr. Cass., Sez. Lav. 04.05.2016 n. 8886; Cass., Sez. VI, ord. 29.12.2017 n. 31207; Cass, Sez. VI, 21.03.2018 n. 7079). In particolare, Cass., Sez. III, 21.09.2017 n. 21915 ha precisato che il predetto principio non può trovare applicazione nell'ipotesi in cui il legislatore espressamente disciplina il tempo per la corretta esplicazione di una determinata attività: nel caso della notificazione via PEC posta in essere dopo le 21 il notificante compie la predetta attività quando il margine di tempo a sua disposizione si è già consumato. Tuttavia, la giurisprudenza di merito, pur divisa, non ha mancato di evidenziare pronunce di segno opposto. Tra esse si segnala l'ordinanza della Corte d'Appello di Milano 16.10.2017 la quale ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 16-septies D.L. n. 179/2012. La questione è stata decisa dalla Corte Costituzionale, la quale, con la sentenza 09.04.2019 n. 75, ha dichiarato l'incostituzionalità della norma citata proprio nella parte in cui non consente l'applicazione del principio di scissione degli effetti della notifica, consentendo che essa si perfezioni per il notificante sino alle 23.59, mentre per il destinatario si perfezioni il giorno successivo. Prova della notificazione
La prova della notificazione a mezzo PEC si fornisce mediante deposito telematico dell'atto notificato all'interno della busta telematica e, come allegati, la ricevuta di accettazione e la ricevuta di avvenuta consegna relativa ad ogni destinatario della notificazione. Sono ammissibili unicamente i file in formato .eml o .msg (art. 19-bis, comma 5, Provv. DGSIA 16 aprile 2014), mentre non hanno alcun valore le scansioni delle stampe cartacee delle ricevute. E ciò – si badi bene- anche nel caso in cui è il destinatario a dover fornire la prova di una notificazione telematica ricevuta. L'art. 9, comma 1-bis, l. 53/1994 tratta i casi diversi, ossia quelli in cui non si possa procedere con il deposito telematico (ipotesi del tutto residuale, relativa ad uffici privi di fascicolo telematico, come il Giudice di Pace o, al momento la Corte Suprema di Cassazione, o riferita a ipotesi di sospensione dei servizi telematici cfr. sul punto Corte d'Appello di Torino, 28.10.2016 n. 603): se il deposito, dunque, deve essere eseguito con modalità tradizionale, “l'avvocato estrae copia su supporto analogico del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e ne attesta la conformità ai documenti informatici da cui sono tratte ai sensi dell'articolo 23, comma 1, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82”, a norma del quale “le copie su supporto analogico di documento informatico, anche sottoscritto con firma [...] digitale, hanno la stessa efficacia probatoria dell'originale da cui sono tratte se la loro conformità all'originale in tutte le sue componenti è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato” (e tale è l'avvocato in questo caso).
La norma citata consente il deposito cartaceo nei soli casi in cui non sia tecnicamente possibile effettuare tale incombente in via telematica, ovvero qualora gli Uffici non consentano tale deposito. Va, tuttavia, segnalata una sentenza della Corte d'Appello di Torino la quale ritiene ammissibile il deposito in modalità tradizione dell'atto di appello e delle ricevute della notifica effettuata via PEC: ciò in applicazione del principio sancito dalle Sezioni Unite n. 22438, ritenuto di portata generale, anche al di fuori del giudizio di legittimità “ove non si applica la disciplina del processo telematico” (Corte d'Appello di Torino, III, 19 febbraio 2019, n. 321). In merito alle conseguenze del mancato deposito in giudizio delle ricevute della PEC come prove dell'avvenuta notifica, la Suprema Corte ritiene che tale omissione integri un'ipotesi di inesistenza della notifica, non essendovi diversamente alcuna possibilità di accertare l'effettiva esecuzione della notifica (Cass., Sez. Lav., 7 ottobre 2015, n. 20072), il che preclude la possibilità di disporre il rinnovo della notificazione ex art. 291 c.p.c.. La giurisprudenza prevalente, peraltro, considera il vizio sanato dalla costituzione del convenuto (Cass., VI, 20.10.2015 n. 21288).
Una trattazione a parte meritano le questioni della prova della notifica del ricorso per Cassazione e della prova della ricezione della notifica della sentenza ai fini della tempestività del ricorso per Cassazione entro il termine breve ex art. 325 c.p.c.. In merito al primo tema, l'orientamento originario della Suprema Corte affermava che il mancato deposito di copia analogica del ricorso notificato telematicamente privo di attestazione di conformità determinasse l'improcedibilità d'ufficio, anche in assenza di contestazione della controparte. Il predetto arret è stato rimeditato da una recente sentenza delle Sezioni Unite (Cass., Sez. Un. 24 settembre 2018, n. 22438) la quale ha ritenuto che tale omissione non comporta improcedibilità nel caso in cui il controricorrente (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica del ricorso autenticata dal proprio difensore o non disconosca la conformità della copia depositata all'originale notificatogli dal ricorrente. Ove tale conformità all'originale sia disconosciuta, il ricorrente, per evitare l'improcedibilità, avrà l'onere di depositare l'attestazione di conformità entro l'udienza di discussione o la camera di consiglio.
La seconda questione concerne la possibilità per il difensore di fornire la prova di una notificazione telematica ricevuta e non effettuata, il che aveva originato dubbi circa la titolarità anche in questo caso del potere di attestazione in capo all'Avvocato. La Suprema Corte ha affermato ripetutamente che qualora la notificazione della sentenza sia avvenuta a mezzo PEC, il difensore deve depositare nella cancelleria della Cassazione copia analogica, con attestazione di conformità sia del messaggio di posta elettronica ricevuto sia della relata, sia del provvedimento impugnato. La Corte ha affermato che il predetto obbligo di deposito di copia cartacea autenticata non è ostacolato dal fatto che si tratta di una PEC ricevuta, in quanto l'art. 9 della L. 53/1994 non pone limiti ai poteri dell'avvocato, il quale anche in questo caso riveste la qualità di pubblico ufficiale munito del potere di attestazione. Anche in tale caso, la giurisprudenza era ferma nel ritenere tale omissione non sanabile, in quanto onere sottratto alla disponibilità delle parti (Cass., VI, ord. 22.12.2017 n. 30765), ma tale orientamento è stato rivisto alla luce delle novità interpretative introdotte con la citata sentenza Cass., Sez. Un. 24 settembre 2018, n. 22438 in tema di deposito del ricorso. In conformità a tali principi, le SSUU, con la sentenza 25 marzo 2019 n. 8312, hanno ritenuto che anche in materia di deposito da parte del ricorrente della sentenza impugnata a questi notificata via PEC, possano trovare applicazione le stesse regole stabilite dalla sent. Sez. Un. n. 22438 e sopra illustrate.
Ai sensi dell'art. 11, L. 53/1994, “Le notificazioni di cui alla presente legge sono nulle e la nullità è rilevabile d'ufficio, se mancano i requisiti soggettivi ed oggettivi ivi previsti, se non sono osservate le disposizioni di cui agli articoli precedenti e, comunque, se vi è incertezza sulla persona cui è stata consegnata la copia dell'atto o sulla data della notifica”. Tale norma è in rapporto di specialità rispetto all'art. 160 c.p.c., e la sua applicazione ha destato notevoli interrogativi in quanto, apparentemente, ogni e qualunque difformità dalle prescrizioni di legge dovrebbe condurre ad una pronuncia di nullità (che peraltro, indubbiamente, sarebbe sottoposta al regime di sanatoria per raggiungimento dello scopo a norma dell'art. 156, comma 3, c.p.c.).
La giurisprudenza si è principalmente posta la necessità di distinguere le ipotesi di nullità da quelle che danno luogo alla più grave fattispecie dell'inesistenza della notifica. Le Sezioni Unite, con sentenza 20 luglio 2016 n. 14916 hanno precisato che in tale ultima ipotesi ricadono i casi di a) totale mancanza dell'atto; b) attività di trasmissione svolta da soggetto non qualificato; c) manchi la fase di consegna, intesa in senso lato come uno qualsiasi degli esiti positivi previsti dall'ordinamento in presenza dei quali la notificazione debba considerarsi eseguita. Nell'ambito di tale inquadramento, si evidenzia Cass, VI, 11 maggio 2017, n. 11593 la quale ha ritenuto inidonea a far decorrere il termine breve per l'impugnazione una notifica priva della relazione di notificazione, del c.f. dell'avvocato notificante, del nome, cognome, ragione sociale o c.f. della parte che ha conferito il mandato, affermando che “la relazione di notificazione deve ritenersi elemento imprescindibile affinché sia percepibile dal destinatario la funzione cui l'invio dell'atto assolve, contenendo i dati che consentono di individuarne la collocazione processuale e la conformità all'originale, nonché la legittimazione del mittente”. Cass., Sez. Lav., 7 ottobre 2015, n. 20072 ha ritenuto inesistente la notifica nel caso in cui la parte non produca in giudizio la ricevuta di avvenuta consegna. Ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale va ricondotta alla categoria della nullità, sanabile o per raggiungimento dello scopo o tramite rinnovazione della notifica. Sulla scorta di tale principio, la giurisprudenza ha, ad esempio, ritenuto nulla la notifica a un vecchio indirizzo PEC del destinatario (C. App. Bologna, 20.10.2014 n. 2158), la notificazione all'indirizzo di un difensore diverso dal destinatario, ma appartenente allo stesso Studio Cass., 25 gennaio 2011, n. 1750), la notifica tramite allegazione di mere scansioni di copie analogiche in luogo delle copie o duplicati informatici di atti scaricabili dal fascicolo informatico (Trib. Oristano, Sez. Lav., 6 giugno 2016), la notifica presso la Cancelleria del Giudice in luogo dell'indirizzo PEC del difensore (Cass., VI, 15 giugno 2017, n. 14958).
È stata ritenuta valida la notifica con relata priva di sottoscrizione (Cass., III, 20 maggio 2015 n. 10272; Cass., VI, 14 marzo 2017 n. 6518). In merito alla portata della comminatoria di nullità e della possibilità di sanatoria si registra un atteggiamento sempre più “salvifico” della giurisprudenza. In primo luogo si è affermato che non ogni minima violazione delle disposizioni in materia di notifica debba essere assoggettata a comminatoria di nullità, specie se la difformità rilevata non ha comportato lesione del diritto di difesa (Cass., VI, 4 ottobre 2016, n. 19814). Inoltre la Cassazione ha più volte ritenuto che, anche in tale ipotesi di nullità, trova applicazione il principio generale di cui all'art. 156 c.p.c., come affermato dalle Sezioni Unite sentenza 18 aprile 2016 n. 7665. Tale decisione, seguita dalla giurisprudenza successiva, ha ribadito che è inammissibile un'eccezione procedimentale senza prospettare anche le ragioni per cui la difformità dal paradigma legale abbia comportato una lesione al diritto di difesa o possa comportare pregiudizio per la decisione finale del Giudice (Cass., III, 31 gennaio 2018, n. 2331)
È stata ritenuta sanabile la notifica caratterizzata da mancata sottoscrizione del ricorso notificato, omessa indicazione della firma digitale in calce alla relata, nonché della firma per autentica della procura speciale rilasciata su foglio separato (Cass., III, 8 marzo 2017, n. 5779), la mancata indicazione che la PEC del destinatario risulta da pubblici elenchi (Cass., VI, 9 marzo 2017, n. 6079), la mancata indicazione del pubblico elenco da cui è tratta la PEC (Cass., II, 29 novembre 2018 n. 30927). Da ultimo, merita un breve cenno a una recente questione affrontata dalla Suprema Corte, relativa all'ammissibilità della notificazione di un atto sottoscritto in formato PAdES, invece che in formato CAdES. La questione di massima era stata sottoposta all'esame delle Sezioni Unite con ord. Cass., VI, 31 agosto 2017, n. 20672 e riscontrata con decisione che ha ritenuto la firma in formato PAdES assolutamente equivalente a quella in formato CAdES risultando valida la notifica di atti sottoscritti con ciascuno dei due formati (Cass., Sez. Un., 27 aprile 2018, n. 10266).
La conservazione dei messaggi
Si ritiene opportuno un breve cenno al problema legato alla conservazione dei messaggi PEC relativi alle notificazioni telematiche. Si affacciano in questo contesto due interrogativi:
Con riferimento al primo interrogativo, a prima vista parrebbe potersi fornire risposta negativa: le Regole Tecniche sul Processo Telematico prescrivono che i soggetti abilitati esterni privati (tra i quali i difensori delle parti private e gli avvocati iscritti negli elenchi speciali) sono tenuti a “conservare, con ogni mezzo idoneo, le ricevute di avvenuta consegna dei messaggi trasmessi al dominio giustizia” (v. art. 20 comma 3 D.M. 44/2011). Tale previsione, peraltro, si riferisce esclusivamente ai messaggi trasmessi al Dominio Giustizia (ossia quelli relativi ai depositi telematici), con la conseguenza che, a prima vista, nessuna norma impone all'avvocato notificante di conservare i messaggi PEC relativi alle notificazioni. Sul punto, è doveroso osservare che se, in qualche modo, riguardo ai messaggi PEC relativi ai depositi telematici incombe un dovere di conservazione in capo al soggetto ricevente (il Ministero della Giustizia), nessun altro a parte l'avvocato notificante possiede il messaggio notificato a mezzo PEC (finché non “versato” in altro sistema), così come le ricevute di accettazione e avvenuta consegna ad esso relative. Il gestore di PEC, va ricordato, è tenuto per legge alla conservazione del solo “log dei messaggi”, ossia del “registro informatico delle operazioni relative alle trasmissioni effettuate mediante posta elettronica certificata” (per trenta mesi, ai sensi dell'art. 11 comma 2 del Regolamento sulla Posta Elettronica Certificata, d.P.R. n. 68/2005). Tale registro è utile ai fini della ricostruzione delle ricevute, ma è privo di ogni informazione relativa al contenuto del messaggio. È dunque indubbiamente imprudente, per via di quanto sopra, cancellare definitivamente dai propri sistemi informatici i messaggi PEC delle notificazioni e le correlative ricevute.
A proposito di come conservare correttamente i messaggi PEC relativi alle notificazioni telematiche, va precisato subito che non è possibile la conservazione in cartaceo. La norma di riferimento è l'art. 3, par. 1, n. 35 del Reg. eIDAS (Reg. UE 23 luglio 2014 n. 910) il quale definisce “documento elettronico” qualsiasi contenuto conservato in forma elettronica. I messaggi PEC sono documenti elettronici, conseguendone che mantengono inalterata tale caratteristica solo se conservati in forma elettronica. È quindi irrilevante e inidonea a tale fine la mera stampa e conservazione cartacea.
Le ricevute delle PEC sono corredate da una firma digitale, apposta dai gestori di PEC di invio e destinazione, la quale, più che un segno grafico, è la risultante di un complesso procedimento informatico volto ad imprimere una sorta di sigillo al documento informatico il quale conserva la sua validità fintanto che il certificato di firma non scade, non viene sospeso o non viene revocato. Tale firma digitale garantisce l'integrità del messaggio, e perciò rileva la scadenza del certificato di firma.
Un messaggio PEC la cui firma apposta dal gestore si basi su un certificato nelle more scaduto potrebbe esporsi a contestazioni sul piano della sua integrità e attendibilità. Per evitare tali problematiche è opportuno trasferire ad un sistema di conservazione quantomeno le ricevute di consegna dei messaggi in epoca anteriore alla scadenza del certificato di firma apposto dal gestore. Ai sensi dell'art. 41, co. 4, lett. b) d.p.c.m. 22 febbraio 2013 è stabilito che costituisce validazione temporale “il riferimento temporale ottenuto attraverso la procedura di conservazione dei documenti in conformità alle norme vigenti ad opera di un pubblico ufficiale o di una pubblica amministrazione”. Orientamenti a confronto
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