Autoriciclaggio di beni provenienti da condotta di bancarotta fraudolenta fra concorso di reati e assorbimento

14 Ottobre 2019

Il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale consistente nell'illecito ed ingiustificato trasferimento di beni aziendali della società fallita a vantaggio di altre imprese gestite dal medesimo amministratore può concorrere con il delitto di autoriciclaggio purché nella vicenda sia rinvenibile un quid pluris di condotta riferibile in via esclusiva al reato di autoriciclaggio.
Massima

Il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale consistente nell'illecito ed ingiustificato trasferimento di beni aziendali della società fallita a vantaggio di altre imprese gestite dal medesimo amministratore può concorrere con il delitto di autoriciclaggio purché nella vicenda sia rinvenibile un quid pluris di condotta riferibile in via esclusiva al reato di autoriciclaggio (in particolare, tale profilo di reato è rinvenibile quando non vi sia mero trasferimento di beni da un'azienda all'altra, ma la nuova azienda sia operativa e gestendo il patrimonio ricevuto illecitamente lo immetta nel circuito economico).

Il caso

In sede di merito veniva disposto, ai sensi degli artt. 19 e 53 d.lgs. n. 231 del 2001, il sequestro preventivo, anche per equivalente, sui beni di una società in relazione al reato di autoriciclaggio di cui all'art. 648 ter.1 cod. pen., riciclaggio che interessava beni provento del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale. In particolare, nel mentre si procedeva a carico di più soggetti per la distrazione delittuosa di beni e denaro di pertinenza di una società fallita, ci si avvedeva che il reato di bancarotta ipotizzato era stato commesso distraendo le attività della società attraverso una serie di condotte sostanzialmente consistite nella stipula, dapprima, di un contratto di affitto di azienda e, poi, di un atto di trasferimento, entrambi fittizi ed in favore di una terza società, facente capo ai medesimi soggetti già responsabili della violazione degli artt. 216, comma 1 n. 1, 223, comma 1, R.D. n. 267 del 1942; in questo modo, dunque, gli stessi soggetti avrebbero realizzato dapprima il reato di bancarotta per distrazione e contestualmente il delitto di autoriciclaggio, commesso impiegando il complesso aziendale sottratto in modo da occultarne la provenienza delittuosa. Per tali fatti l'organo dell'accusa richiedeva l'applicazione della misura cautelare personale nei confronti degli indagati e, ritenuta la responsabilità amministrativa di cui al d.lgs. 231 del 2001, che venisse disposto il sequestro preventivo dell'azienda a vantaggio della quale era stato disposto il trasferimento dell'impresa fallita.

La società colpita dal provvedimento di sequestro ricorreva in Cassazione, lamentando la violazione dell'art. 648 ter.1 cod. pen. e, conseguentemente, in relazione all'art. 25 octies del D.Lgs. n. 231 del 2001. In particolare, la difesa lamentava l'erronea applicazione della legge penale con riferimento alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del reato di autoriciclaggio e ciò in quanto: a) l'attività posta in essere, cioè il trasferimento dell'azienda, condotta contestata come reimpiego del profitto del reato di bancarotta fraudolenta, coinciderebbe con la distrazione oggetto del reato fallimentare ed in tale situazione il responsabile legale della società colpita dal provvedimento di sequestro e presunto autore del reato presupposto non avrebbe potuto commettere il diverso reato di cui all'art. 648 ter.1 cod. pen., norma che sanziona condotte ulteriori e successive, distinte rispetto a quelle attraverso le quali è stato commesso il reato presupposto; b) la condotta posta in essere, la stipula del contratto di affitto di azienda e l'atto di trasferimento, effettuati con atti pubblici, non avrebbero alcuna idoneità ad ostacolare "concretamente", come richiesto dalla norma, l'identificazione della provenienza delittuosa

La questione

Il reato di autoriciclaggio è stato introdotto con la legge n. 186 del 2014 ed i punti centrali dei tale delitto possono così riassumersi: a) il soggetto attivo è chi abbia commesso o concorso a commettere un delitto non colposo (c.d. reato-presupposto); b) la condotta vietata consiste nell'impiegare, sostituire, trasferire in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali speculative il denaro, i beni o le altre utilità provenienti da tale delitto (oggetto materiale del reato); c) la condotta deve essere strutturata in modo da ostacolare concretamente la identificazione (in dottrina, ex multis, e con riferimento agli studi di carattere generale destinati a tale fattispecie: MUCCIARELLI, Qualche nota sul delitto di autoriciclaggio, in penalecontemporaneo.it.; CARACCIOLI, L'incerta definizione del reato di autoriciclaggio, in Fisco, 2015, 4, 354; TROYER-CAVALLINI, Apocalittici o integrati? il nuovo reato di autoriciclaggio: ragionevoli sentieri ermeneutici all'ombra del “vicino ingombrante, in penalecontemporaneo.it.; BRICCHETTI, Così l'autoriciclaggio entra a far parte del codice penale, in Guida Diritto, 2014, 4, 16. SGUBBI, Il nuovo delitto di autoriciclaggio: una fonte inesauribile di effetti perversi dell'azione legislativa, in penalecontemporaneo.it; BRUNELLI, Autoriciclaggio e divieto di retroattività: brevi note a margine del dibattito sulla nuova incriminazione, in penalecontemporaneo.it).

Tale illecito tutela – prima ancora ed oltre gli interessi patrimoniali, la cui rilevanza nella fattispecie in esame è desumibile solo in ragione della collocazione sistematica della norma nel sistema codicistico – principalmente il bene giuridico rappresentato dal corretto funzionamento del mercato e dei traffici commerciali, insidiati significativamente dalla reimmissione di capitali sporchi nel circuito dell'economia legale.

Le condotte penalmente rilevanti, pur se sono utilizzati tre diversi verbi, consistono nella immissione nel circuito economico di disponibilità di provenienza delittuosa ed il reato in commento è un delitto a forma libera, la cui sussistenza dipende dal verificarsi di un evento, rappresentato dalla ripulitura del denaro di provenienza delittuosa o comunque dall'inquinamento del circuito economico legale mediante la reimmissione nello stesso di fonti di reddito “inconfessabili”.

Riprendendo le considerazioni della giurisprudenza con riferimento ai delitti di cui agli artt. 648-bise 648-ter c.p. che sanzionano le medesime condotte, si può affermare che rientra nell'ipotesi di sostituzione del provento illecito qualsiasi immutazione del bene o dell'utilità in altro bene o utilità dello stesso o di altro genere, rinvenendosi perciò la violazione della norma in caso di mero trasferimento di denaro di provenienza delittuosa da un conto corrente bancario ad un altro diversamente intestato e acceso presso un diverso istituto di credito (Cass., sez. VI, 3 ottobre 2013, Amato e altri, in Mass. Uff., n. 259487), mentre, con riferimento alle condotte di trasferimento, l'espressione indicherebbe qualsiasi spostamento di titolarità o disponibilità, come accade in caso di intestazione fittizia di beni o di versamento delle somme di denaro su un conto corrente intestato ad un terzo.

Le suddette condotte devono avere quale risultato l'inserimento dei proventi delittuosi in “attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative”, la cui relativa nozione è primariamente desumibile dagli artt. 2082, 2135, 2195 c.c., per cui rilevano non solo l'impiego in attività produttive in senso stretto (nel senso di essere dirette alla produzione di beni o servizi), ma anche in attività di scambio e distribuzione dei beni nel mercato del consumo, nonché ad ogni altra attività che possa rientrare in quelle indicate nel codice civile.

Il vero elemento di novità della fattispecie è rappresentato dalla indicata necessità che l'impiego, la sostituzione ecc. avvengano “in modo da ostacolare concretamente l'identificazione della loro [dei beni] provenienza delittuosa”. La determinazione delle condotte punibili viene così circoscritta a quei comportamenti che, seppur non necessariamente artificiosi in sé (integrativi, cioè, di estremi riportabili all'archetipo degli artifici e raggiri), esprimano un contenuto decettivo, capace cioè di rendere obiettivamente difficoltosa la identificazione della provenienza delittuosa del bene. L'impatto significativo della innovazione emerge se si considerano le conclusioni cui è giunta la giurisprudenza in materia di riciclaggio, dove la condotta di ostacolo è ormai assimilata a qualsiasi modalità capace di generare anche soltanto un ritardo nella identificazione della provenienza dei beni; è da ritenere che nessuno di tali esiti potrà d'ora in poi trovare ingresso nell'interpretazione della condotta di autoriciclaggio. Come è stato detto, “l'aggiunta dell'avverbio “concretamente” (non presente nella figura dell'art. 648-bis c.p.), oltre ad esigere l'accertamento in termini oggettivi e strettamente collegati al singolo caso della efficienza ostacolatrice, richiama l'interprete ad un'esegesi rigorosa, che impone di attribuire al termine “ostacolare” la pienezza del suo valore semantico, che – in sede di prima approssimazione – ben può essere colto nel frapporre un mezzo (di qualunque genere) allo svolgimento di una azione o alla esplicazione di una facoltà (nel caso: il tracciamento della provenienza, ovvero lo svolgimento dell'attività a ciò finalizzata), mezzo che tuttavia deve essere in concreto (id est: avuto riguardo al caso specifico) capace di ridurne significativamente l'effetto o la portata, oppure di ritardarne in modo altrettanto significativo il compimento” (MUCCIARELLI, Qualche nota, cit., punto 3.1). La valutazione dell'idoneità della condotta ad occultare la provenienza del bene ed il giudizio circa la concretezza dell'ostacolo va comunque effettuata ex ante e non è quindi necessario che l'ostacolo si sia tradotto in un impedimento, essendo sufficiente una maggiore difficoltà di identificazione – anche perché altrimenti opinando si arriverebbe alla paradossale conclusione di ritenere penalmente irrilevante qualsiasi forma di autoriciclaggio accertata giudizialmente, giacché proprio il fatto di essere stata individuata suonerebbe a sconfessione della idoneità ingannatoria della condotta posta in essere.

Quanto all'oggetto materiale delle condotte vietate, lo stesso, stando al dettato normativo, va rinvenuto ne “il denaro, i beni o le altre utilità”. L'elencazione rimanda a qualsiasi cespite (mobile o immobile) che abbia una consistenza economico-patrimoniale, dotato quindi di un valore di scambio apprezzabile. Maggiori dubbi invece investono il profilo della provenienza del bene oggetto di “ripulitura”: in proposito la disposizione afferma che lo stesso deve provenire “dalla commissione di un delitto non colposo”, ma tale formula è solo apparentemente chiara, giacché non precisa se la provenienza possa essere anche intesa come indiretta ovvero se il delitto in parola sussista anche laddove le disponibilità siano il provento di una precedente attività di riciclaggio se non di una condotta di autoriciclaggio non punibile perché commessa prima dell'entrata in vigore dell'art. 648-ter.1. c.p.. Sul punto si tornerà più avanti.

L'elemento soggettivo necessario per la sussistenza del reato è il dolo. È sufficiente il dolo generico, non essendo richiesto alcun fine di profitto, anche se l'elemento volitivo deve investire pure l'idoneità della condotta vietata ad impedire l'accertamento circa la provenienza delittuosa dei beni, il che esclude la rilevanza del dolo eventuale, che invece è ritenuto compatibile dalla giurisprudenza con il delitto di ricettazione.

In base al comma quarto dell'art. 648-ter.1. c.p., “fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale”.

Si discute se la previsione in parola sia: a) una causa oggettiva di esclusione del tipo, nel senso che saremmo in presenza di una clausola con funzione delimitativa dell'ambito di applicabilità della fattispecie, che segna un limite negativo del tipo di reato descrivendo una modalità della condotta espressamente esclusa dalla rilevanza penale; b) una esimente, posto che la clausola «fuori dei casi di cui ai commi precedenti» impedirebbe di considerare l'utilizzo o godimento personale come elemento negativo del tipo, proprio perché esso opera nei casi in cui ricorre l'autoriciclaggio, nel senso che intanto va richiamata tale circostanza del comportamento del singolo in quanto lo stesso, per la parte rimanente della sua condotta, dovrebbe rispondere del delitto di cui all'art. 648-ter.1 c.p.; c) una causa di non punibilità, per le medesime ragioni di cui al punto b. Adottare l'una o l'altra soluzione determina conseguenze assai rilevanti, specie in caso di concorso eventuale di persone nel reato, quando i proventi del reato vadano ad avvantaggiare uno solo dei concorrenti nell'illecito base: in tale ipotesi, infatti, solo qualificando l'utilizzazione personale quale causa di esclusione del tipo si escluderebbe la punibilità di soggetti che – senza beneficiare in via diretta dei proventi del reato – comunque consentano che degli stessi tragga godimento uno dei concorrenti nel delitto presupposto (in proposito, Cass., sez. II, 7 marzo 2019, n. 13795; Cass., sez. II, 5 luglio 2018, n. 30399. In dottrina, APOLLONIO, La tipicità del delitto di autoriciclaggio: alcuni chiarimenti della Cassazione tesi alla piena effettività della norma, in Cass. Pen., 2019, 2928).

Quanto al concreto significato da riconoscere alle espressioni “utilizzazione e godimento personale”, sicuramente tali espressioni alludono all'autoconsumo di un bene, sia quando questo viene distrutto con l'uso, sia quando resta a disposizione per il futuro, ma sempre ed esclusivamente nella sfera dell'autore del reato presupposto. La duplice formulazione linguistica può presumibilmente spiegarsi riferendo il concetto di “utilizzo” alla fruizione di beni mobili (ed specie al denaro), per cui la previsione in discorso opererà quando i proventi del delitto vengano destinati all'acquisto di beni di consumo; la nozione di godimento invece andrebbe riferita ai beni immobili, per cui, ad esempio, si avrà godimento personale quando l'autore di una circonvenzione di incapace ottenga grazie al suo comportamento criminale la proprietà di un immobile e ne faccia la sua residenza abitativa, anche se non a titolo principale.

La decisione della Cassazione

La Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso.

Di particolare interesse è la motivazione con cui la Cassazione rigetta la tesi della difesa – dagli stessi giudici di legittimità definita come “a prima lettura corretta” - secondo cui il reato di autoriciclaggio non sarebbe configurabile in quanto la condotta da questo sanzionata coinciderebbe, nel caso di specie, con quella oggetto del reato presupposto di bancarotta per distrazione, posto che entrambe le contestazioni formulate dall'accusa si riferirebbero alla medesima attività, cioè la distrazione, avvenuta attraverso i contratti di affitto, prima, e di cessione poi, dell'intera azienda facente capo alla società fallita.

Per dimostrare l'infondatezza di tale asserzione, la Cassazione distingue due possibili modalità con cui porre in essere il reato di autoriciclaggio, modalità che si distinguono in relazione alla diversa tipologia di beni – che la Cassazione, con lessico originale, qualifica come “statici e dinamici” - su cui si esercita la condotta di laudering money.

Qualora il reato originario riguardi il trasferimento di beni "statici", come il denaro, la condotta attraverso la quale la somma è stata conseguita non è evidentemente idonea a configurare anche il reato di autoriciclaggio. In proposito, la sentenza in commento richiama diversi precedenti secondo cui se da un lato, ad esempio, esclude possa integrare il delitto di autoriciclaggio il versamento del profitto di furto su conto corrente o su carta di credito prepagata, intestati allo stesso autore del reato presupposto (Cass., sez. V, 1 febbraio 2019, n. 8851; Cass., sez. II, 14 luglio 2016, n. 33074), dall'altro riconoscono la sussistenza dell'illecito in ogni ulteriore e successivo trasferimento, impiego e reimmissione nel circuito economico, non finalizzato ad un godimento esclusivamente personale (Cass., sez. V, 11 dicembre 2018, n. 5719; Cass., sez. II, 4 maggio 2018, n. 25979), con la ulteriore precisazione che, in tali casi, la consumazione del delitto di riciclaggio, che è un reato a forma libera attuabile anche con modalità frammentarie e progressive, può coincidere con il momento in cui i beni acquistati con capitali di provenienza illecita sono rivenduti dal reo poiché in questo caso l'acquisizione del denaro "ripulito" così ottenuto non può qualificarsi come un mero post-factum non punibile (Cass., sez. III, 29 ottobre 2014, n. 3414).

Questa conclusione, a dire dei giudici di legittimità, non è valida qualora il bene conseguito con il reato presupposto sia per sua natura, in virtù delle sue intrinseche caratteristiche che la Cassazione qualifica come "dinamiche", idoneo a determinare l'impiego dell'utilità illecita conseguita in attività economiche o finanziarie: in tali ipotesi, infatti, per individuare l'eventuale quid pluris che distingue la condotta costitutiva del reato presupposto da quella successiva, ulteriore e distinta, sanzionata ai sensi dell'art. 648 ter.1 cod. pen., è necessaria una analisi delle condotte di volta in volta poste in essere dall'autore del reato, che prenda in considerazione le caratteristiche e le modalità concrete dell'operazione realizzata.

La correttezza di una tale impostazione emerge in particolare quando si sia in presenza della distrazione di una azienda, costituita da un complesso di beni aziendali finalizzati ad una attività imprenditoriale, circostanza in relazione alla quale, per verificare se ricorrano o meno gli estremi del reato di autoriciclaggio, occorre procedere ad una verifica circa le modalità con cui l'azienda distratta è stata poi gestita dai nuovi titolari. Infatti, mentre la mera distrazione dell'azienda, non seguita da alcuna ulteriore e diversa attività, configura il reato presupposto e dà luogo al solo delitto di cui agli artt. 216, comma 1 n. 1, 223, comma 1, R.D. n. 267 del 1942, senza che possa rinvenirsi un quid pluris da riferire all'autoriciclaggio; la successiva gestione della stessa e l'esercizio di una attività imprenditoriale attraverso l'azienda oggetto della distrazione configura il reato di autoriciclaggio sub specie di impiego in attività economiche ovvero finanziarie dell'utilità di provenienza illecita, venendosi in tal modo a cristallizzarsi il collegamento tra la condotta riciclatrice ed una gestione di utilità economiche già acquisite con una condotta a sua volta punibile. Tale attività, ulteriore, successiva e distinta da quella di mera distrazione, infatti, realizza compiutamente il quid pluris sanzionato dalla norma e la punibilità dell'autoriciclaggio dipende proprio dall'avere questo oggettivamente attentato all'ordine economico mediante l'attività di laundering anche se non può sostenersi che sin da principio il precedente delitto di bancarotta fosse diretto allo scopo di realizzare il reimpiego dei beni distratti. quale che fosse ab origine l'intenzione dell'imprenditore della società fallita, infatti, in ogni caso egli ha potuto realizzare il “passaggio dall'ottenimento per vie illegali di un'utilità economicamente rilevante ad un reinvestimento della medesima in ambiti, a loro volta, fruttuosi sotto il profilo economico e dannosi".

Tanto asserito con riferimento ai rapporti fra una condotta di trasferimento di beni aziendali che integra il solo delitto di bancarotta fraudolenta ed il medesimo comportamento che, oltre al reato di cui agli artt. 216, comma 1 n. 1, 223, comma 1, R.D. n. 267 del 1942, realizza anche il reato di autoriciclaggio, la Cassazione può facilmente replicare alla censura difensiva secondo cui la stipula del contratto di affitto di azienda e l'atto di trasferimento, entrambi effettuati con atti pubblici, non avrebbero avuto alcuna idoneità ad ostacolare "concretamente", come richiesto dalla norma, l'identificazione della provenienza delittuosa. Proprio la cd. natura “dinamica” del compendio aziendale, composto di mobili ed arredi non univocamente identificabili, già di per sé impone di ritenere che la cessione sia in concreto idonea ad ostacolare la provenienza illecita degli stessi, anche considerando come i contratti, proprio perché davano una parvenza di legittimità alla successiva attività di gestione, alla luce della quale devono essere considerati, avevano una concreta idoneità a dissimulare la provenienza delittuosa degli utili conseguiti dall'esercizio dell'attività imprenditoriale.

Considerazioni conclusive

La sentenza della Cassazione conferma quanto già asserito in una precedente occasione, ribadendo da un lato la possibilità che il reato di autoriciclaggio possa essere commesso anche in relazione ad un precedente delitto di bancarotta patrimoniale, sempre che il comportamento contestato non si risolva in un mero trasferimento di somme oggetto di distrazione fallimentare a favore di imprese operative, occorrendo un quid pluris (Cass., sez. V, 1 febbraio 2019, n. 8851. In dottrina, SANTORIELLO, I rapporti fra bancarotta fraudolenta patrimoniale ed autoriciclaggio in una decisione della Cassazione, in Soc., 2019, 485). Tuttavia, rispetto al precedente arresto, la decisione in commento ci pare maggiormente condivisibile, giacché non sostiene – come invece poteva riscontrarsi nella precedente pronuncia – che il reato di autoriciclaggio può senz'altro concorrere con quello di bancarotta fraudolenta patrimoniale purché il trasferimento dei beni dalla società fallita ad altre imprese gestite dal medesimo soggetto avvenga secondo modalità complesse ed articolate idonee a mascherare concretamente la provenienza delittuosa del patrimonio riutilizzato in altre realtà imprenditoriali, ma richiede che tale riutilizzo sia effettivo, nel senso che il patrimonio provento del reato di bancarotta venga effettivamente reimmesso, a mezzo dell'esercizio di una nuova attività imprenditoriale, nel circolo economico, e richiede che sia rinvenibile una distinzione netta fra i due illeciti, che ricorra cioè nella vicenda un frammento di condotta riferibile all'autoriciclaggio ed estraneo invece alla fattispecie di bancarotta.

Va in proposito considerato come nell'ipotesi in cui il reato presupposto dell'attività di laundering è una bancarotta fraudolenta patrimoniale mediante destinazione delle somme distratte a vantaggio di altre società, il frammento della vicenda delittuosa consistente nel trasferimento del denaro presso altre aziende operative non è un modo per occultare la provenienza delittuosa del bene, ma rappresenta la condotta stessa di distrazione, rappresenta cioè le modalità con cui, in quella particolare ipotesi, l'amministratore infedele ha scelto di depauperare la propria impresa a vantaggio di altre persone giuridiche sempre a lui riferibili. Detto altrimenti, nel caso considerato, senza il pervenimento dei beni distratti illecitamente ad altre società non vi sarebbe alcuna distrazione e quindi non sarebbe contestabile il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, dal che consegue che sono irrilevanti le modalità – complesse, palesi, decettive, ecc. – con cui il trasferimento del denaro è operato, posto che in assenza di tale circostanza (se cioè non viene a realizzarsi lo spossessamento del denaro e la consegna dello stesso ad altre società, quali che siano le caratteristiche con cui tale risultato è ottenuto) non sussisterebbe la violazione del disposto di cui all'art. 216, comma 1 n. 1, lg. Fall..

Di contro, il reato di autoriciclaggio deve ritenersi sussistente e non assorbito nella fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale quando vi sia un significativo distacco temporale fra la sottrazione delle somme alla impresa in crisi e la loro immissione in altro circuito imprenditoriale, sì da potersi ritenere che il passaggio del denaro dalla prima alla seconda società rappresenti – anche in ragione della loro sostanziale contestualità temporale – non un fatto ulteriore rispetto alla distrazione che ha dato luogo al reato di bancarotta fraudolenta, ma sia la modalità con cui questo delitto è stato posto in essere. Detto altrimenti, se le somme, una volta prelevate illegittimamente dalle casse della società in crisi, sono immediatamente “consegnate” a chi amministra l'altra impresa che si intende avvantaggiare a mezzo della distrazione fallimentare, allora vi sarà spazio per contestare il solo reato di cui all'art. 261, comma 1 n. 1, R.D. n. 267 del 1942, mentre, quando, ad esempio, i beni provento del reato fallimentare sono prima sottratti dall'amministratore della società fallita, il quale li deposita in un conto estero occulto ed “irreperibile” per gli organi della procedura, per poi scegliere come reimmetterli nei circuito economico versandoli nelle casse di altre società, allora quest'ultima porzione della vicenda andrà qualificata – a seconda del soggetto che ne è il protagonista – quale riciclaggio o autoriciclaggio (qualora, nelle circostanze indicate nel testo, la condotta di laudering money sia tenuta tanto dall'autore del fatto di bancarotta che da un terzo che gestisce la società cui pervengono le somme di denaro distratte, secondo una giurisprudenza ormai consolidata va contestato al primo il reato di autoriciclaggio ed al secondo il delitto di cui all'art. 648-bis c.p.: Cass., sez. II, 17 gennaio 2018, n. 17235. In dottrina, GULLO, Realizzazione plurisoggettiva dell'autoriciclaggio: la Cassazione opta per la differenziazione dei titoli di reato, in Dir. Pen. Cont., 2018, 11 giugno 2018; MERENDA, Autoriciclaggio e concorso di persone: per la Cassazione la strada è obbligata, ma in conti non tornano, in Dir. Pen. Proc., 2018, 1307; CAVALLINI, La "quadratura" impossibile: l'opzione minimal della Cassazione sul concorso di persone nel(l'auto-)riciclaggio, in Giur. It., 2018, 2475; GIORDANO, Sul concorso di persone nell'autoriciclaggio. Osservazioni a Cass. Pen. 17235/2018, in Giurisprudenza Penale Web, 2018, 12).

Questa affermazione, d'altronde, è stata già formulata dalla stessa Cassazione in altre e recenti decisioni. In particolare, in una sentenza (Cass., sez. II, 7 giugno 2018, n. 30401) è stato esaminato il problema delle differenze tra profitto del reato presupposto e profitto dell'autoriciclaggio ai fini della confisca e si è affermato – in consonanza con quanto da noi sopra sostenuto - che la condotta ex art. 648-ter.1 cod. pen. deve essere fondata su un segmento ulteriore rispetto alla condotta del reato presupposto, posto che il prodotto, il profitto o il prezzo dell'autoriciclaggio non coincide con il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dal delitto antecedente, consistendo invece nei proventi conseguiti dall'impiego di questi ultimi in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative.

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