Il giudicato penale non è vincolante per il giudice civile chiamato a valutare lo stesso fatto (responsabilità sanitaria) in sede penale
15 Ottobre 2019
In un caso di responsabilità sanitaria, l'accertamento dei fatti e della condotta del medico in sede di procedimento penale non può vincolare l'omologo giudice del processo civile chiamato alla diversa valutazione dei possibili danni arrecati al paziente dalla condotta del medico. È quanto afferma la Corte di Cassazione in una importante decisione (n. 22520, sez. III, del 10 settembre 2019, Pres. Travaglino, Rel. Gorgoni) in un caso legato ad una denunciata omessa diagnosi da parte del sanitario verso un paziente che, recatosi al pronto soccorso per problemi respiratori, veniva dimesso con una diagnosi errata e senza svolgere ulteriori accertamenti di natura cardiologica. Il paziente, rientrato a casa, decedeva per insufficienza cardio-respiratoria nonostante un nuovo accesso al pronto soccorso, in ragione di una cardiopatia non diagnosticata tempestivamente. Il Tribunale penale, nel 2012, condannava in primo grado l'operatore sanitario alla pena di sei mesi di reclusione ed al risarcimento del danno a favore della parte civile costituita, perché ritenuto colpevole del reato di cui all'art. 589 c.p., avendo cagionato, per colpa professionale, la morte del paziente. In particolare, al medico veniva rimproverato di essersi limitato ad eseguire sulla vittima, presentatasi al pronto soccorso accusando disturbi respiratori, dolori allo stomaco, al petto e al braccio e alla parte laterale destra, una puntura intercostale e un elettrocardiogramma e di averlo dimesso, con la diagnosi di torocoalgia (rectius: toracoalgia) conseguente ad esofagite da reflusso, omettendo di effettuare un prelievo ematico e di tenere il paziente in osservazione, ai fini di eseguire un nuovo ECG o un ulteriore prelievo del sangue per controllare il dosaggio della troponina che avrebbero consentito di accertare e diagnosticare la malattia cardiaca ed avviare l'adeguato percorso terapeutico. La Corte d'Appello, diversamente argomentando sulla base delle risultanze istruttorie, assolveva l'imputato per assenza di prova del nesso causale tra la sua condotta omissiva e l'evento morte, con la formula perché il fatto non sussiste. La Corte di Cassazione penale (Cass. pen., sez. IV, 28 aprile 2015, n. 35528), su ricorso promosso dalla parte civile, ai soli effetti della responsabilità civile, annullava la sentenza gravata con rinvio al giudice civile competente affinché con giudizio controfattuale valutasse se, anche in presenza della patologia cardiaca da cui era affetta la vittima — aritmia ventricolare maligna — l'adesione da parte dell'attuale ricorrente alle linee guida avrebbe consentito di effettuare una diagnosi differenziale e di intervenire tempestivamente in modo risolutivo. La Corte d'Appello di Catania, con la sentenza fatta oggetto dell'impugnazione che porta alla decisione in esame, in sede di rinvio, ex art. 622 c.p.p., dichiarava la responsabilità professionale di medico e ne confermava la condanna al risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio, con onere del pagamento di una provvisionale di euro 150.000,00. Ricorrendo per la cassazione della decisone condannatoria, il sanitario poneva all'attenzione del collegio giudicante le seguenti questioni: - se ai fini dell'accertamento del nesso causale tra condotta omissiva ed evento nel giudizio di rinvio davanti alla Corte d'Appello, ai sensi dell'art. 622 c.p.p., in seguito all'annullamento della sentenza penale limitatamente ai capi della sentenza di condanna che riguardano l'azione civile, il giudice del rinvio debba essere vincolato alle statuizioni circa l'accertamento dei fatti materiali svolto dal giudice penale, ovvero se il giudice del rinvio possa rivalutarli in via autonoma qualora da essi dipenda il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno; - se il giudice civile sia tenuto ad applicare le regole di giudizio del diritto penale e non le distinte regole di giudizio consolidatesi nella giurisprudenza civile; - se, ai fini dell'accertamento del nesso di causa, il giudice del rinvio debba avvalersi della regola propria del processo penale — basato sul giudizio di alta probabilità logica, per cui un evento deve considerarsi causato da un comportamento omissivo, solo ove si accerti, con un giudizio controfattuale che, considerata realizzata la condotta doverosa omessa ed esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo oppure si sarebbe verificato in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva — o di quella adottata nel processo civile — della preponderanza dell'evidenza, per cui un evento è da ritenere causato da un dato comportamento quando il suo verificarsi per effetto di quel comportamento sia più probabile che non il suo contrario . Ci si chiede, in buona sostanza, se la decisone vincolata dal giudicato resa della Corte di Cassazione, con la quale si annulli la sentenza impugnata ai soli effetti civili, debba rinviare la causa al giudice civile competente per valore in grado di appello, senza null'altro disciplinare quanto alle norme processuali destinate a regolare la prosecuzione del giudizio innanzi al detto giudice civile; nonché, soprattutto, per quanto qui interessa, circa l'utilizzabilità delle prove raccolte nel processo penale, secondo regole processuali differenti. Il problema che sta a monte è che mentre la tutela giurisdizionale civile garantisce una reazione alla violazione dei diritti della persona, il processo penale non solo persegue l'obiettivo di applicare la legge penale alla fattispecie concreta, ma «riveste una ben più ampia funzione politico-assiologica di tutela di tutti i valori e gli interessi in gioco, a partire dai diritti fondamentali dell'imputato». La Corte di Cassazione, con la decisione in nota, nel confermare la sentenza di condanna e l'impianto della motivazione che aveva preso a base di valutazione il diverso iter processuale e probatorio che distingue sempre il processo penale da quello civile, afferma che «il giudizio che si svolge dinnanzi al giudice civile cui è stato rimesso è autonomo strutturalmente e funzionalmente da quello penale da cui proviene». Infatti, si legge in motivazione, «il giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p. è un giudizio trasmigrato dalla sede penale a quella civile, in quanto più consona ad accertare, senza deroghe e limitazioni alle regole processuali civilistiche ed a quelle sostanziali, una situazione soggettiva ed oggettiva del tutto autonoma (il fatto illecito) rispetto a quella posta a fondamento della doverosa comminatoria della sanzione penale (il reato), attesa la limitata condivisione, tra l'interesse civilistico e quello penalistico, del solo punto in comune del 'fatto' (e non della sua qualificazione), quale presupposto del diritto al risarcimento, da un lato, e del dovere di punire, dall'altro». Vero è anche che «le regole probatorie relative al nesso causale devono essere sottoposte al principio dì autonomia del giudizio di rinvio rispetto a quello penale che ha dato origine alla vicenda. È escluso evidentemente che, ai fini dell'accoglimento della domanda di risarcimento del danno, nel giudizio di rinvio debbano continuare ad applicarsi le regole processuali penali che hanno governato il processo fino all'annullamento da parte della Corte di cassazione con la conseguenza che l'an della responsabilità debba essere accertata secondo il canone dell'al di là di ogni ragionevole dubbio (così come avviene nel giudizio penale d'impugnazione avverso la sentenza di proscioglimento impugnata dalla sola parte civile)». Una volta dunque separata la res iudicanda penale da quella civile, a quest'ultima debbono applicarsi le regole processuali civili, con la conseguente sufficienza di un minor grado certezza in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi dell'illecito, secondo il canone civilistico del "più probabile che non" e senza alcun vincolo per il giudice civile nella ricostruzione del fatto di quanto accertato dal giudice penale. Tale chiara autonomia processuale e sostanziale si riflette così in molti degli elementi primari del processo e della sua fase istruttoria, come i “fatti costitutivi” che possono essere differenti nei due procedimenti, “i canoni probatori” del rito civile, ove il sanitario è tenuto ad un onere di allegazione e prova più ingente che nel rito penale, fino all'elemento soggettivo che nell'illecito civile è sganciato da quello accertato con diversa finalità in sede penale. In buona sostanza, il giudizio di rinvio dalla sede penale a quella civile attiene ad una indagine processuale e sostanziale del tutto autonoma, volta non più a discernere con funzione punitiva il reato e la sua imputabilità, ma attinente alla diversa dimensione del fatto come presupposto del diritto al risarcimento del danno. E così una condotta non del tutto prudente del sanitario (che nel caso specifico avrebbe potuto e dovuto estendere il campo dell'indagine diagnostica) potrà correttamente portare all'effetto di una assoluzione nella sede penale per la mancata prova (“oltre il ragionevole dubbio”) di una correlazione tra omissione e danno e, di contro, ad una condanna al risarcimento del danno nel processo civile ove l'indagine attiene alla mera sussistenza di una possibilità concreta (nella misura superiore al 50%) che l'evento si sarebbe potuto evitare. In conclusione, le radici della diversa struttura del processo civile rispetto a quello, già concluso penale, portano a delle essenziali difformità strutturali che hanno come esito, come in effetti avviene nel caso di specie, anche un diverso approdo condannatorio, pur in presenza di una assoluzione nella sede penale. Tali elementi distintivi, quindi, potranno realizzarsi:
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