Revocazione del lodo arbitrale

Mauro Di Marzio
16 Ottobre 2019

Stabilisce l'art. 827 c.p.c. che il lodo arbitrale è soggetto all'impugnazione per nullità, per revocazione e per opposizione di terzo, soggiungendo che i mezzi d'impugnazione possono essere proposti indipendentemente dal deposito del lodo.
Inquadramento

Stabilisce l'art. 827 c.p.c. che il lodo arbitrale (rituale: per Il lodo irrituale v. M. Di Marzio, Impugnazione del lodo irrituale, in www.ilProcessoCivile.it) è soggetto all'impugnazione per nullità, per revocazione e per opposizione di terzo, soggiungendo che i mezzi d'impugnazione possono essere proposti indipendentemente dal deposito del lodo. L'elencazione è ritenuta tassativa, sicché è stato affermato che il lodo arbitrale, anche se pronunci sulla sola competenza degli arbitri, è impugnabile esclusivamente con i rimedi previsti dagli artt. 828 e 831 c.p.c. e non con il regolamento di competenza che, come tutti gli altri mezzi di gravame diversi da quelli per nullità e per revocazione del lodo, è escluso dal novero dei rimedi consentiti avverso le sentenze arbitrali (Cass. civ., 23 dicembre 1983, n. 7587; Cass. civ., 24 settembre 1996, n. 8407).

Con particolare riguardo alla revocazione, l'art. 831 afferma al comma 1 che il lodo, nonostante qualsiasi rinuncia, è soggetto a revocazione nei casi indicati nei numeri 1), 2), 3) e 6) dell'art. 395, osservati i termini e le forme stabiliti nel libro secondo. Soggiunge la disposizione al comma 2 che, se detti casi si verificano durante il corso del processo di impugnazione per nullità, il termine per la proposizione della domanda di revocazione è sospeso fino alla comunicazione della sentenza che abbia pronunciato sulla nullità. L'impugnazione per revocazione, secondo la previsione dettata dal comma 3, si propone davanti alla corte d'appello nel cui distretto è la sede dell'arbitrato, osservati i termini e le forme stabiliti nel libro secondo. Dispone in fine la norma che la corte d'appello può riunire le impugnazioni per nullità, per revocazione ed altresì per opposizione di terzo nello stesso processo, se lo stato della causa preventivamente proposta consente l'esauriente trattazione e decisione delle altre cause.

La revocazione del lodo arbitrale in generale

La revocazione può essere proposta, nonostante qualsiasi rinuncia per i motivi di cui ai nn. 1, 2, 3 e 6 dell'art. 395 c.p.c., e, cioè, nei casi di c.d. revocazione straordinaria, ovverosia rivolta contro una sentenza già passata in giudicato: e dunque per dolo di una parte in danno dell'altra, per essersi giudicato in base a prove riconosciuti o comunque dichiarate false, per il ritrovamento di documenti decisivi, per dolo del giudice. Non è perciò prevista la revocazione ordinaria per i motivi di cui ai nn. 4 e 5 dell'art. 395 c.p.c.: errore di fatto e contrarietà ad altra precedente sentenza avente tra le parti autorità di cosa giudicata. La Suprema Corte non dubita che l'art. 831 c.p.c. esclude l'impugnazione per revocazione delle sentenze arbitrali per i motivi di cui ai nn. 4 e 5 dell'art. 395 dello stesso codice (Cass. civ., 4 ottobre 1994, n. 8043; Cass. civ., 11 febbraio 1988, n. 1465, ove si chiarisce che l'esclusione della revocazione non sta a significare che i motivi in discorso possono essere fatti valere con l'impugnazione per nullità). Nello stesso senso della non revocabilità del lodo per i motivi di revocazione ordinaria è la dottrina prevalente (per tutti Luiso, 205). Secondo alcuni, tuttavia, la norma dovrebbe essere intesa nel senso che la revocazione è ammessa per tutti i motivi elencati dall'art. 395 c.p.c. e che, però, essa è irrinunciabile esclusivamente in riferimento ai casi di cui ai nn. 1, 2, 3 e 6 dello stesso art. 395 (Salvaneschi, 945; secondo Campione, la revocazione ai sensi dei nn. 4 e 5 dell'art. 395 dovrebbe essere ammessa in via di analogia). In altra prospettiva, in dottrina, si sostiene che l'errore di fatto revocatorio di cui all'art. 395, n. 4, c.p.c., possa essere fatto valere con l'impugnazione per nullità, ai sensi del n. 5 dell'art. 829 c.p.c., quale vizio motivazionale (Monteleone, 54), oppure ai sensi del n. 9, quale violazione del principio del contraddittorio (Ronco, 726), oppure ai sensi del n. 11, concernente le disposizioni contraddittorie (Tommaseo, 199). In giurisprudenza, peraltro, è stato ripetutamente affermato che tra i casi previsti dall'art. 829 c.p.c. non sono compresi quelli dell'art. 395 citato (Cass. civ., 19 luglio 1982, n. 4237; Cass. civ., 11 febbraio 1988, n.1465, nelle quali si afferma che, qualora si sia esperita l'azione di nullità, l'unico rimedio è quello di impugnare per revocazione la sentenza che ha pronunciato su detta azione, sentenza da considerarsi emessa in grado di appello, ai sensi del menzionato art. 395, e, come tale, impugnabile per tutti i motivi previsti in quest'ultima disposizione). Ancor più esplicitamente si è poi ribadito che l'art. 831 c.p.c., che esclude l'impugnazione per revocazione delle sentenze arbitrali per i motivi di cui ai n. 4 e 5 dell'art. 395 dello stesso codice, non implica che ai tassativi casi in cui, secondo la previsione dell'art. 829 è ammessa l'impugnazione per nullità — la quale è circoscritta alla denuncia di vizi afferenti l'essenziale regolarità del procedimento e della sentenza arbitrali — si debbono aggiungere i casi previsti dai n. 4 e 5 dell'art. 395 c.p.c. (Cass. civ., 4 ottobre 1994, n. 8043).

Le singole ipotesi di revocazione

Nella scarsissima giurisprudenza edita in tema di revocazione del lodo arbitrale, con riguardo all'ipotesi di cui al n. 1 dell'art. 395 c.p.c. (se il lodo è l'effetto del dolo di una delle parti in danno dell'altra), è stato affermato che la falsa dichiarazione resa di fronte al collegio arbitrale non integra gli estremi del dolo revocatorio qualora non sia accompagnata dal compimento di artifici o raggiri tali da paralizzare la difesa in giudizio dell'avversario e ad impedire al giudice l'accertamento della verità (App. Roma 11 giugno 1990, in Riv. arb., 1992, 83).

Riguardo alla medesima previsione normativa è stato anche detto che in materia di revocazione del lodo arbitrale, ex art. 831 c.p.c., non può ritenersi sussistente il dolo di una parte in danno dell'altra ai sensi dell'art. 395, n. 1, c.p.c., allorquando non risulti provata un'attività intenzionalmente fraudolenta, consistente in veri e propri artifizi o raggiri ed idonea ad indurre sia la controparte che il collegio decidente in errore nella ricerca della verità, non essendo, pertanto, sufficiente la semplice violazione dell'obbligo di lealtà e probità previsto dall'art. 88 c.p.c. Ciò rilevato, non pare potersi configurarsi alla stregua di comportamento doloso, tale da determinare la declaratoria di nullità del lodo, la mancata produzione di un precedente lodo analogo a quello oggetto di revocazione (App. Napoli 28 gennaio 2010, in fattispecie relativa al rigetto della censura sollevata da attrice in merito all'asserita sussistenza nella controparte di un dolo revocatorio manifestatosi nella mancata indicazione di una precedente decisione arbitrale).

Con riguardo all'ipotesi di cui al n. 2 dell'art. 395 c.p.c. (se si è giudicato in base a prove riconosciuti o comunque dichiarate false dopo la sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza), si trova affermato che non conduce a revocazione del lodo l'accertamento in sede penale della falsità di una perizia esperita nel procedimento arbitrale qualora tale prova non abbia esercitato decisiva influenza sul giudizio emesso dagli arbitri (App. Roma, 11 febbraio 1980, in Giust. civ., 1980, I, 1152).

Con riguardo l'ipotesi di cui al n. 3 dell'art. 395 c.p.c. (se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario), è stata disattesa la domanda di revocazione fondata sul ritrovamento di un documento inidoneo a formare un diverso convincimento del giudice (Cass. civ., 29 luglio 1986, n. 4847). Difatti, ai fini dell'impugnazione per revocazione, ai sensi dell'art. 395, n. 3, c.p.c., è «decisivo» il documento, trovato dopo la sentenza, che la parte non abbia potuto produrre in giudizio per cause di forza maggiore o per fatto dell'avversario, quando, se acquisito agli atti, sarebbe stato in astratto idoneo a formare un diverso convincimento del giudice, e perciò a condurre ad una diversa decisione, attenendo a circostanze di fatto risolutive che il giudice non abbia potuto esaminare. Sicché è stato escluso il carattere «decisivo» di una scrittura modificativa ed integrativa della descrizione - contenuta in altra scrittura agli atti - di lavori edilizi, dedotti a fondamento della pretesa creditoria, la cui consistenza era stata ricostruita direttamente sulla base di una consulenza: difatti, si legge nella menzionata decisione, «la corte di Trieste ha rilevato, nella motivazione della sentenza sulla proposta impugnazione per revocazione, che, nel precedente giudizio arbitrale, il consulente tecnico di ufficio aveva operato autonomamente il riscontro dei dati di fatto riguardanti i lavori compiuti dall'una e dall'altra parte, e sulla base della relazione del consulente tecnico nel precedente giudizio arbitrale il giudice aveva sviluppato le proprie argomentazioni motive pervenendo alla decisione impugnata, sulla quale, pertanto, non aveva influito la descrizione del geom.… allora prodotta. Ed esattamente, quindi, la corte di Trieste ha escluso che la nuova descrizione del medesimo geometra, che si assumeva trovata dopo la sentenza sull'impugnazione per nullità del lodo, avesse carattere di «documento decisivo», giustificante la revocazione della precedente sentenza.

Con riguardo l'ipotesi di cui al n. 6 dell'art. 395 c.p.c. (se il lodo è l'effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato), la Suprema Corte ha stabilito che la revocazione del lodo arbitrale per dolo del giudice, ai sensi degli artt. 831, comma 1, e 395, n. 6, c.p.c., richiede che il dolo dell'arbitro sia stato accertato con sentenza passata in giudicato e che esso consista in un intento fraudolento, ovvero in una collusione che hanno falsato la corretta formazione della decisione, costituendo causa diretta e determinante del provvedimento ingiusto; pertanto, la falsa attestazione apposta sul lodo in ordine alla deliberazione del medesimo in conferenza personale di tutti gli arbitri e le irregolarità che inficiano le modalità di svolgimento delle riunioni del collegio arbitrale incidono sulla validità sostanziale del lodo, senza tuttavia integrare il succitato dolo revocatorio, dato che esse non influiscono sul procedimento di formazione della volontà degli arbitri, ma riguardano la regolarità del documento formato successivamente all'adozione della decisione, alla quale ciascun arbitro può avere apportato il proprio apporto volitivo, senza inganno o collusione, benché abbia manifestato la propria volontà in più riunioni separate di due arbitri (Cass. civ., 27 gennaio 2004, n. 1409).

Il procedimento

Il procedimento di impugnazione per revocazione è regolato, ai sensi del comma 1 dell'art. 831 c.p.c., laddove rinvia ai «termini e le forme stabilite nel libro secondo), dagli artt. 398 ss. c.p.c. Tuttavia lo stesso art. 831 c.p.c. contiene al comma 3 una speciale previsione in tema di competenza territoriale, attribuita alla corte d'appello nella cui circoscrizione è la sede dell'arbitrato.

Il comma 3, che si riferisce sia alla revocazione che all'opposizione di terzo, richiama nuovamente «i termini e le forme stabiliti nel libro secondo» ma, come è stato osservato, relativamente all'impugnazione per revocazione la precisazione è superflua (Boccagna, 1389), dal momento che il riferimento ai termini ed alle forme stabiliti nel libro secondo del codice di procedura civile era già contenuto al comma 1 della norma. È stato affermato che detta disposizione viene pacificamente interpretata nel senso che se la controversia verte in materia di lavoro l'atto introduttivo deve assumere la forma del ricorso ed il giudizio si svolge nel rispetto degli artt. 409 ss. (in questo senso v. D'Alessandro, 1049). In effetti, in giurisprudenza si trova affermato, al contrario, che la revocazione va chiesta con citazione, e ciò — è stato detto — indipendentemente dal rito applicabile nel giudizio conclusosi con la sentenza revocanda (Cass. civ., 11 luglio 1990, n. 7203, secondo cui resta salva la convertibilità del ricorso, con cui sia erroneamente proposta la domanda di revocazione, ove ricorrano i relativi presupposti, per essere stato il ricorso notificato unitamente al pedissequo decreto contenente l'indicazione della data di comparizione). Più di recente si è tuttavia profilato l'opposto indirizzo secondo cui, in caso di rito del lavoro, l'impugnazione va proposta con ricorso (Cass. civ., 9 giugno 2010, n. 13834; Cass. civ., 23 giugno 2016, n. 13063).

La domanda di revocazione deve contenere i requisiti previsti dall'art. 398, comma 2, a pena di inammissibilità rilevabile d'ufficio dal giudice (App. Torino, 15 gennaio 1957, in Giust. civ., 1957, I, 717). Mutuando gli insegnamenti formatisi con riguardo al giudizio di revocazione avverso le sentenze, si può in sintesi rammentare che l'atto introduttivo dell'impugnazione per revocazione deve contenere, a pena di inammissibilità, oltre ai requisiti previsti dall'art. 163 c.p.c. anche l'indicazione del motivo di revocazione e delle prove utili a dimostrare la sussistenza dei motivi di cui ai nn. 1, 2, 3 e 6 dell'art. 395, nonché del giorno in cui la parte ne ha avuto conoscenza. Così, l'esatta individuazione della data in cui si è verificato l'evento rilevante agli effetti della decorrenza del termine di impugnazione per revocazione e prescritta a pena di inammissibilità della domanda dall'art. 398, comma 2, deve essere sin dall'inizio di chiara ed immediata percezione, in guisa da consentire la possibilità di accertare l'osservanza o meno del termine perentorio di impugnazione e costituisce, pertanto, un onere di allegazione della parte istante, oggetto di un preciso thema probandum, in quanto consente di dare ingresso al giudizio rescindente (Cass. civ., 25 maggio 2011, n. 11451).

Inoltre, ove impone che la citazione introduttiva indichi i motivi della revocazione, a pena d'inammissibilità, l'art. 398 c.p.c., cui rinvia l'art. 831, preclude ogni possibilità di successivo ampliamento od integrazione di tali motivi (Cass. civ., 15 giugno 2010, n. 14449).

Al giudizio di revocazione devono partecipare gli stessi soggetti che avevano preso parte al processo conclusosi con la pronuncia di cui si chiede la revoca (Cass. civ., 3 aprile 1987, n. 3228).

Il termine per la proposizione dell'impugnazione è quello fissato dagli artt. 325 e 326: trenta giorni decorrenti dal giorno in cui è stato scoperto il dolo o la falsità o è stato recuperato il documento decisivo o è passata in giudicato la sentenza che accerta il dolo degli arbitri. Ai sensi del comma 2 dell'art. 831 c.p.c., inoltre, qualora i motivi di revocazione si verifichino nel corso del giudizio di impugnazione per nullità, il termine in questione è sospeso fino alla comunicazione della sentenza che abbia pronunciato su detta impugnazione. In argomento, è stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 395 n. 3, 398, comma 2, 827 e 831 c.p.c., in relazione agli art. 325 e 326 c.p.c. per assunto contrasto con l'art. 3 Cost., non sussistendo la violazione del canone di ragionevolezza nella previsione di termini per la proposizione di un rimedio impugnatorio di carattere straordinario, poiché la straordinarietà del mezzo non significa che lo stesso possa essere proposto in ogni momento e non entro un determinato termine dal momento del verificarsi dell'ipotesi che legittima la proposizione dell'impugnazione straordinaria; si deve, anzi, rilevare che la mancata sottoposizione anche del rimedio straordinario ad un termine, decorrente ragionevolmente dall'atto della cognizione della causa posta a fondamento della stessa impugnazione straordinaria, introdurrebbe un elemento di ingiustificata eccentricità nel sistema delle impugnazioni (Cass. civ., 24 aprile 2009, n. 9826).

La Corte d'appello può disporre la sospensione dell'esecuzione del lodo in applicazione dell'art. 401 (Ruffini, La sospensione dell'esecuzione delle sentenze arbitrali, in Riv. arb., 1993, 697; La China, L'arbitrato. Il sistema e l'esperienza, Milano, 2011, 277).

Un certo margine di incertezza, peraltro di scarso rilievo pratico, sussiste in ordine al significato del rinvio dell'art. 831 c.p.c. all'art. 403, secondo il quale la sentenza di revocazione rimane soggetta ai mezzi di impugnazione cui era originariamente soggetta la sentenza impugnata per revocazione. Si è al riguardo osservato che non avrebbe senso predicare la soggezione della sentenza resa in sede di revocazione all'impugnazione per nullità, sicché essa sarebbe impugnabile con il c.d. ricorso straordinario per cassazione di cui all'art. 111, comma 7, Cost. (Califano, Le vicende del lodo: impugnazioni e correzione, in Verde (a cura di), Diritto dell'arbitrato rituale, Torino, 2005, 454; Siracusano, in C.p.c. a cura di Picardi, Milano, 2004, 2718). Secondo altro indirizzo, una volta constata l'inapplicabilità del precetto dettato dall'art. 403 c.p.c., occorrerebbe applicare le regole ordinarie in materia di impugnazioni e quindi utilizzare il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360 (Zucconi Galli Fonseca, 719). Il rilievo della questione è come si diceva marginale, attesa la sovrapponibilità dell'uno e dell'altro ricorso, ai sensi dell'u.c. dell'art. 360 c.p.c.

Si è aggiunto infine che la fase rescissoria in caso di revocazione si svolgerebbe dinanzi agli arbitri in forza degli effetti della originaria convenzione di arbitrato; anche se dovrebbe esservi la possibilità che le parti possano accordarsi, con una successiva manifestazione di volontà diversa rispetto a quella espressa con l'accordo arbitrale, per devolvere tale fase alla corte d'appello (D'Alessandro, 1051). Secondo altri, invece, la fase rescissoria si svolgerebbe dinanzi alla corte d'appello (Siracusano, op. cit., 2718; Zucconi Galli Fonseca, 717).

Rapporti fra le impugnazioni

L'art. 831 c.p.c. non prevede la pregiudizialità del l'impugnazione per nullità rispetto a quella per revocazione: non è cioè stabilito, come in passato, che il rimedio della revocazione possa esperirsi solo quando non può proporsi l'impugnazione per nullità, mentre è previsto che se i casi indicati nei nn. 1, 2, 3 e 6 dell'art. 395 si verificano durante il corso dell'impugnazione per nullità, il termine per la proposizione della domanda di revocazione è sospeso fino alla comunicazione della sentenza che abbia pronunciato sulla nullità.

Se le diverse impugnazioni esperibili avverso il lodo, ed effettivamente proposte, siano pendenti dinanzi alla medesima corte d'appello (quella nella cui circoscrizione è la sede dell'arbitrato), questa può disporne la riunione, se lo stato della causa preventivamente proposta consente l'esauriente trattazione e decisione delle altre cause.

Quando la riunione delle due cause non possa avere luogo, sembra che ciascuna di esse debba proseguire autonomamente (D'Alessandro, 1053).

Riferimenti
  • Boccagna, in Riforma del diritto arbitrale (d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40), in Nuove leggi civ. comm., 2007, 1389;
  • Campione, Un itinerario (non solo) giurisprudenziale sulla revocazione del lodo, in Riv. arb., 2011, 725;
  • D'Alessandro, in Aa.Vv., Commentario alle riforme del processo civile, a cura di Briguglio-Capponi, Padova 2009, 1049;
  • Luiso, Diritto processuale civile, V, Milano, 2011;
  • Monteleone, Diritto processuale civile, II, Padova 2012;
  • Ronco, in Aa.Vv., Sull'arbitrato. Studi offerti a Giovanni Verde, Napoli 2010, 726;
  • Salvaneschi, Dell'arbitrato, Bologna, 2014, 945;
  • Tommaseo, Le impugnazioni del lodo arbitrale nella riforma dell'arbitrato (D.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40), in Riv. arb., 2007, 199;
  • Zucconi Galli Fonseca, Revocazione ed opposizione di terzo, in Carpi (a cura di), Arbitrato, Bologna, 2001, 719.