Responsabilità dell'INPS per erronee informazioni rese all'assicurato sui dati contributivi: il se ed i limiti del risarcimento
18 Ottobre 2019
Massima
L'INPS risponde delle erronee comunicazioni della posizione contributiva rese all'assicurato, a seguito di specifica domanda di quest'ultimo, a titolo di responsabilità contrattuale ex art. 1218, c.c., potendo tuttavia il giudice limitare il risarcimento dovuto nell'ipotesi in cui l'assicurato medesimo - non essendosi attivato per interrompere il processo produttivo dell'evento dannoso, così rassegnando le proprie dimissioni malgrado l'evidente erroneità, riscontrabile sulla base dell'ordinaria diligenza, dei dati contributivi a lui comunicati - abbia concorso al verificarsi del predetto evento, ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c.
Nella specie, la S.C. ha ritenuto che l'omesso controllo, ad opera dell'interessato, dei dati forniti dall'INPS non potesse ritenersi di per sé solo causa del danno, ai sensi dell'art. 1227, comma 2, c.c., ed escludere la responsabilità dell'Istituto, in quanto la sussistenza di un obbligo di informazione dell'ente pubblico ed il legittimo affidamento dell'assicurato in ordine all'esattezza dei dati comunicatigli dalla pubblica amministrazione determinano l'applicazione del principio dell'equivalenza delle condizioni ex art. 41, comma 1, c.p. Il caso
Un lavoratore chiede all'INPS di conoscere la propria posizione contributiva e riceve una comunicazione certificativa con cui si attesta l'esistenza di un numero di contributi utili per il conseguimento della pensione di anzianità. Egli, pertanto, rassegna le proprie dimissioni dalla società presso la quale era impiegato; successivamente, l'Istituto gli comunica che i contributi relativi ad un determinato periodo erano risultati appartenere ad altra persona (il fratello gemello) e provvede, pertanto, alla eliminazione della pensione di anzianità.
L'interessato, a questo punto, agisce in giudizio per il conseguimento del risarcimento del danno arrecatogli dall'errata comunicazione dell'Inps; il giudice di appello condanna quest'ultimo alla corresponsione del risarcimento determinato nella retribuzione netta perduta, abbattuta del 30% per 12 mesi, con decorrenza dalla eliminazione della pensione. L'Inps propone ricorso per cassazione ravvisando nella condotta del lavoratore, consistita nell'omesso controllo circa l'esattezza di quanto comunicatogli, la fonte esclusiva del pregiudizio; la Cassazione ritiene che debba applicarsi, nel caso, il primo comma dell'art. 1227, c.c., che prevede solo la diminuzione del risarcimento ove il fatto colposo del creditore abbia concorso a cagionare il danno. La questione
La questione in esame è la seguente: nel caso in cui l'assicurato agisca per il conseguimento del risarcimento del danno subito in seguito alle dimissioni dal medesimo presentate a causa di erronee informazioni comunicategli dall'Inps circa la sua posizione previdenziale, l'omesso controllo, da parte sua, della correttezza dei dati contributivi, costituisce un concorso colposo nella causazione del danno, ex art. 1227, comma 1, c.c., oppure costituisce fattore esclusivo di produzione del predetto danno, con conseguente esclusione della responsabilità dell'ente previdenziale? Le soluzioni giuridiche
La S.C. ritiene che il mancato controllo dell'assicurato circa i dati contributivi comunicatigli dall'Inps costituisca un fatto colposo che concorre a cagionare il danno, sicché il risarcimento rimane dovuto, benché diminuito.
La tesi di partenza è che la responsabilità dell'ente ha natura contrattuale, poiché la comunicazione erronea dei dati integra inadempimento, atteso l'obbligo legale previsto dall'art. 54, l. n. 88 del 1989 (ove è previsto che “E' fatto obbligo agli enti previdenziali di comunicare, a richiesta esclusiva dell'interessato o di chi ne sia da questi legalmente delegato o ne abbia diritto ai sensi di legge, i dati richiesti relativi alla propria situazione previdenziale e pensionistica. La comunicazione da parte degli enti ha valore certificativo della situazione in essa descritta”).
Su tale aspetto la giurisprudenza della S.C. può dirsi attualmente consolidata; cfr., tra le altre, Cass. 19 settembre 2013, n. 21454: “Nell'ipotesi in cui l'INPS abbia fornito all'assicurato, mediante il rilascio di estratti-conto assicurativi, contenenti risultanze di archivio e pur se privi di sottoscrizione, una erronea indicazione (in eccesso) del numero dei contributi versati, solo apparentemente sufficienti a fruire di pensione di anzianità, il danno sofferto dall'interessato per la successiva interruzione del rapporto di lavoro per dimissioni e del versamento dei contributi è riconducibile non già a responsabilità extracontrattuale, ma contrattuale, in quanto fondata sull'inadempimento dell'obbligo legale gravante su enti pubblici dotati di poteri di indagine e certificazione, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede (applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all'art. 97, Cost.), di non frustrare la fiducia di soggetti titolari di interessi al conseguimento di beni essenziali della vita (quali quelli garantiti dall'art. 38, Cost.), fornendo informazioni errate o anche dichiaratamente approssimative, pur se contenute in documenti privi di valore certificativo”.
E' invece ancora dubbio se la responsabilità in questione sorga a condizione che le informazioni sulla posizione previdenziale siano state rese a seguito di apposita domanda dell'interessato (cfr., sul punto, di recente, Cass. 1° febbraio 2018, n. 2498: “La responsabilità contrattuale dell'ente previdenziale per erronee informazioni fornite all'assicurato può configurarsi soltanto ove queste siano rese od omesse su specifica domanda dell'interessato, lo inducano in un errore scusabile e si riferiscano a dati di fatto concernenti la posizione assicurativa dell'interessato”; in senso difforme v. Cass. 3 ottobre 2017, n. 23050, secondo cui tale responsabilità sussiste “ancorché le informazioni erronee siano state fornite mediante il rilascio di estratti-conto assicurativi non richiesti dall'interessato e inidonei a rivestire efficacia certificativa”; in senso analogo v. la sopra citata Cass. 19 settembre 2013, n. 21454).
Una volta riconosciuta la natura contrattuale della responsabilità dell'ente previdenziale, la disciplina applicabile è quella di cui agli artt. 1218, c.c. e ss.
L'assicurato dovrà quindi dedurre l'inadempimento (ossia il fatto che i dati contributivi rilasciati si siano rivelati inesatti) dell'Istituto, mentre quest'ultimo dovrà provare che l'inadempimento in questione è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile (che non potrà ovviamente coincidere, tanto per fare un esempio, con errori commessi da impiegati dell'Istituto o da criticità del sistema informatico).
Ove l'Istituto non eccepisca (o non riesca a fornire la dimostrazione) dell'impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, potrà, sempre in chiave difensiva, allegare i fatti dai quali desumere una colpa del creditore ai fini dell'applicabilità dell'art. 1227, comma 1, c.c. (con indagine da compiersi di ufficio dal giudice), o in ipotesi dedurre, quale eccezione in senso stretto, che l'assicurato avrebbe potuto evitare i danni (integrati dal mancato percepimento dello stipendio in seguito alle presentate dimissioni) usando l'ordinaria diligenza, ai sensi dell'art. 1227, comma 2, c.c. (cfr., sulla distinzione tra le due ipotesi, anche in punto di oneri di allegazioni delle parti, Cass. 19 luglio 2018, n. 19218: “In tema di risarcimento del danno, l'ipotesi del fatto colposo del creditore che abbia concorso al verificarsi dell'evento dannoso, di cui al primo comma dell'art. 1227 c.c., va distinta da quella, disciplinata dal secondo comma della medesima norma, riferibile ad un contegno dello stesso danneggiato che abbia prodotto il solo aggravamento del danno senza contribuire alla sua causazione, giacché - mentre nel primo caso il giudice deve procedere d'ufficio all'indagine in ordine al concorso di colpa del danneggiato, sempre che risultino prospettati gli elementi di fatto dai quali sia ricavabile la colpa concorrente, sul piano causale, dello stesso - la seconda di tali situazioni forma oggetto di un'eccezione in senso stretto, in quanto il dedotto comportamento del creditore costituisce un autonomo dovere giuridico, posto a suo carico dalla legge quale espressione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede”).
Aspetto problematico è stabilire, in concreto, quando ricorrono i presupposti per l'applicabilità del primo comma dell'art. 1227, c.c.
Nel caso in esame, la S.C. ha fatto leva sulla sussistenza di un obbligo di informazione dell'ente pubblico e sul legittimo affidamento dell'assicurato in ordine all'esattezza dei dati comunicatigli dalla pubblica amministrazione; la presenza di questi due elementi determinerebbe l'applicazione del principio dell'equivalenza delle condizioni, in forza del quale va riconosciuta efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito alla produzione dell'evento, ai sensi dell'art. 41, comma 1, c.p.
Il tutto potrebbe tradursi nel seguente principio: poiché l'assicurato può fare legittimo affidamento sulla bontà dei dati fornitigli dall'Inps in attuazione di un obbligo legale, l'atto di dimissioni – quale evento produttivo del danno da perdita delle retribuzioni – è il naturale e conseguenziale effetto dell'inadempimento dell'Istituto, sicché l'omissione di controllo da parte dell'assicurato non è mai causa assorbente del danno, ma integra un apporto causale non esclusivo.
Secondo la Corte, inoltre, è necessario che l'assicurato non abbia fatto uso della ordinaria diligenza; in particolare, egli ha l'obbligo di intervenire per interrompere il processo che determina l'evento produttivo di danno quando l'erroneità dei dati forniti dall'Istituto sia riscontrabile nell'ambito di quelli che rientrano nella sua normale sfera di conoscibilità. L'erroneità in questione deve essere, in tale prospettiva, “evidente”. Osservazioni
In passato non vi è sempre stata coerente applicazione dell'art. 1227 c.c. a fattispecie analoghe a quella in esame.
La più volte citata Cass. 19 settembre 2013, n. 21454, ha statuito che “con riferimento al risarcimento del danno subito dal lavoratore che si sia dimesso anticipatamente nella convinzione, derivante da erronea informazione dell'INPS circa la congruità della sua posizione contributiva utile, di avere maturato il diritto alla pensione di anzianità, benché sia da escludersi in via generale che l'ordinamento imponga all'assicurato l'obbligo di verificare l'esattezza dei dati forniti dall'INPS, può trovare applicazione il principio di cui all'art. 1227, comma 2, c.c., che impone l'onere di doverosa cooperazione della parte creditrice per evitare l'aggravamento del danno indotto dal comportamento inadempiente del debitore, sicché l'assicurato deve essere risarcito in misura diminuita, qualora abbia trascurato le espressioni cautelative usate dalla pubblica amministrazione e idonee a far dubitare dell'esattezza dei dati esposti”.
In tal modo, ai fini della diminuzione del risarcimento, la S.C. ha fatto riferimento alla previsione di cui al secondo comma dell'art. 1227 c.c.
Nella sentenza in esame, invece, la S.C. chiarisce che “l'ipotesi del fatto colposo del creditore che abbia concorso al verificarsi dell'evento dannoso (art. 1227, comma 1, c.c.) va tenuta distinta da quella (disciplinata dal comma 2 della medesima norma) riferibile ad un contegno dello stesso danneggiato che abbia prodotto il solo aggravamento del danno senza contribuire alla sua causazione”.
La questione, in realtà, è oltremodo complessa, poiché è non poco articolata la fattispecie.
Occorre partire dalla constatazione che il danno derivante da erronea comunicazione della posizione contributiva non è correlato in via diretta alla condotta dell'Istituto previdenziale; tra l'inadempimento di quest'ultimo e il danno da mancata retribuzione vi è infatti l'iniziativa dell'assicurato costituita dalle dimissioni, che, di norma, sono l'effetto di un mancato controllo dei dati o dalla impossibilità di un effettivo controllo (per difetto di adeguate cognizioni dell'assicurato ecc …).
Ove queste ultime fossero, però, del tutto ingiustificate, non pare dubbio che il danno debba ricadere per intero sull'assicurato; se, ad esempio, la comunicazione dei dati contributivi contenga errori, ma non tali, comunque, da giustificare le dimissioni - poiché già dalla lettura del prospetto, o dalle stesse dichiarazioni a firma del funzionario ivi contenute - si evince l'insussistenza dei presupposti per il perfezionamento dei requisiti pensionistici, non si vede perché la scelta azzardata dell'interessato debba ricadere sull'Istituto. In tal caso, pertanto, non dovrebbe applicarsi l'art. 1227, c.c., bensì l'art. 1223, c.c., perché il danno non è conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento.
E' dubbio se possa valere lo stesso ragionamento ove le comunicazioni erronee inviate all'assicurato siano di agevole lettura; se, infatti, risulta chiaramente un accredito contributivo per un periodo nel quale l'assicurato sa bene di non aver lavorato, non sembra esservi plausibile ragione perché egli si dimetta, quanto meno senza aver prima richiesto delucidazioni in proposito.
Ove invece l'errore dell'Istituto stesso non sia - come sovente avviene - agevolmente percepibile dall'assicurato, al quale non possa quindi ascriversi alcuna colpa, è arduo ritenere che quest'ultimo abbia anche solo concorso a cagionare il danno. Ed in tale ipotesi è da escludere l'applicabilità dell'art. 1227, comma 2, c.c., che presuppone un nesso tra inadempimento e danno, che invece nella predetta ipotesi mancherebbe per essere il danno in questione cagionato per intero dalle presentate dimissioni.
Il tutto dovrebbe ruotare, in altri termini, sulla agevole, o meno, riconoscibilità delle erronee informazioni.
Il principio di affidamento, infatti, non dovrebbe esonerare l'assicurato da un dovere minimo di controllo della correttezza dei dati in questione (ma in senso contrario v. Cass. 21 luglio 2011, n. 15992, anche se con riferimento alla diversa ipotesi dei dati forniti dal datore di lavoro: “Sussiste nesso di causalità tra la condotta del - nella specie ex - datore di lavoro, il quale erroneamente attesti al - nella specie ex - dipendente un periodo di servizio superiore al reale e la richiesta di pensionamento presentata dal lavoratore anzitempo, fidando nell'esattezza dei calcoli compiuti dal primo circa la sua posizione contributiva, il che non gli aveva consentito di godere della pensione nel periodo immediatamente successivo. Né è ravvisabile, nella suddetta ipotesi, alcun concorso di colpa del danneggiato nella produzione dell'evento, non essendo da questi esigibile - alla stregua dell'ordinaria diligenza - alcuna verifica di dati forniti che, provenendo dalla - nella specie ex - parte datoriale, dovevano ritenersi per ciò solo attendibili”).
Ove pertanto si ritenga, come sembra plausibile, che sia esigibile una verifica da parte dell'assicurato circa i dati contributivi comunicatigli, si apre il seguente scenario: a) ove l'assicurato non provveda ad esercitare alcuna verifica e si dimetta, si applicherà l'art. 1227, comma 1, c.c., essendo ravvisabile la colpa dell'interessato/danneggiato, quale requisito legale della rilevanza causale del fatto del danneggiato stesso (e tale è la soluzione offerta al caso dalla Cassazione); b) ove l'assicurato provveda alla verifica ma, in base alle sue cognizioni, non si avveda dell'errore e si dimetta, la responsabilità del danno graverà per intero sull'ente previdenziale; c) ove l'assicurato proceda alla verifica e, avvedutosi dell'evidente errore (e a tale ipotesi può forse equipararsi quella in cui l'errore sarebbe stato all'evidenza rilevabile), si dimetta comunque, omettendo di chiedere alcun ulteriore chiarimento all'ente previdenziale, potrebbe ipotizzarsi che la sua condotta non possa ascriversi a mera colpa ma integri il fattore esclusivo del danno; il che, peraltro, striderebbe con la soluzione sub a), poiché in quel caso l'assicurato potrebbe conseguire la posta risarcitoria solo perché la sua negligenza è, per così dire, a monte.
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