Alessandro Rossi
Alessandro Rossi
21 Ottobre 2019

La trattazione della causa in senso ampio è la fase del processo di cognizione in cui si compiono gli atti che hanno la funzione di preparazione alla decisione della controversia.

Inquadramento

IN FASE DI AGGIORNAMENTO AUTORALE DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE

La trattazione della causa in senso ampio è la fase del processo di cognizione in cui si compiono gli atti che hanno la funzione di preparazione alla decisione della controversia.

La trattazione è la seconda delle tre fasi in cui si articola il processo di cognizione. È, difatti, successiva alla fase di introduzione, la quale inizia con la proposizione della domanda e si conclude con la scadenza dei termini per la costituzione delle parti, e precedente a quella di decisione.

La trattazione in senso ampio comprende tutte le attività di impostazione e risoluzione delle questioni necessarie alla decisione della causa e si divide in tre fasi: a) trattazione in senso stretto, b) la fase di istruzione probatoria (la quale si impone solo come eventuale) e c) la rimessione della causa al collegio (o in decisione).

Nelle tre sub fasi della trattazione in senso ampio si compiono varie attività, le quali sono legate al controllo della corretta instaurazione del contraddittorio, allo svolgimento delle attività difensive delle parti, all'impostazione e risoluzione delle questioni pregiudiziali di merito e rito e preliminari di merito e all'eventuale esperimento delle prove costituende ammesse.

Nel momento in cui il giudice istruttore - sia esso uno dei tre componenti del collegio, nelle cause di competenza del tribunale in composizione collegiale ex art. 50-bis c.p.c., o giudice unico, nei casi di competenza del tribunale in composizione monocratica- ritenga la causa matura per la decisione procederà alla rimessione della causa al collegio o, più precisamente, in decisione, nel caso in cui il procedimento si svolga davanti al tribunale in composizione monocratica, invitando le parti a precisare le proprie conclusioni, ai sensi dell'art. 189 del c.p.c.

Il protagonista della fase di trattazione in senso ampio, pur non vedendo le parti relegate al ruolo di semplici comparse, è il giudice istruttore, il quale è investito di tutta l'istruzione della causa ex art. 174 c.p.c.

La figura del giudice istruttore, la quale sostituisce quella del giudice delegato, è stata introdotta con la riforma del 1940 al fine del perseguimento dei canoni Chiovendiani dell'oralità, immediatezza e concentrazione del processo civile.

Il giudice istruttore, infatti, è stato valutato figura più consona a garantire la celere trattazione della causa, portando comunque la sua esperienza, maturata nella fase di trattazione, nella fase di decisione. Questo avviene tramite la relazione al collegio, disciplinata ai sensi dell'art. 175 c.p.c.

La duplicità di funzioni tra istruzione e decisione della causa rimane anche nel caso in cui sia competente il tribunale in composizione monocratica, restando ben distinti i momenti in cui il giudice unico esercita le attività istruttorie e quelli in cui esercita la funzione decisoria.

La trattazione in senso stretto: udienza di trattazione, attività del giudice e delle parti

Il primo contatto effettivo tra le parti e il giudice si ha all'udienza di “prima comparizione delle parti e trattazione della causa”, disciplinata ex art. 183 c.p.c. e fissata dall'attore ai sensi dell'art. 163 comma 3, n.7 c.p.c.

Secondo quanto disposto dall'art. 181 c.p.c, nel caso in cui entrambe le parti siano assenti alla prima udienza, il giudice ne fissa una successiva che sarà comunicata alle parti dal cancelliere. In caso di assenza delle stesse anche a questa successiva udienza, il giudice ordinerà la cancellazione della causa dal ruolo e dichiarerà l'estinzione del processo, come disposto ex comma1 dell'art. 181 c.p.c. Ai sensi del comma 2 del citato articolo, si procede allo stesso modo nel caso di assenza del solo attore, salvo che non ci sia una richiesta di procedere senza di esso formulata da parte del convenuto.

Ai sensi del comma1 dell'art. 183 c.p.c., il giudice istruttore in prima udienza deve verificare la regolarità del contraddittorio. Nel caso di rilievo del difetto della regolarità dello stesso e a seconda di che tipo di difetto sia, il giudice deve pronunciare uno dei provvedimenti previsti ai sensi degli artt. 102 comma 2, 164 commi 2 e 3, comma 5, 167 commi 2 e 3, 182 e 291 comma 1 c.p.c. Il giudice, quindi, procederà all'ordine di integrazione del contraddittorio nel caso di litisconsorzio necessario ove uno dei litisconsorti non sia stato citato in giudizio, all' ordine di rinnovazione o di integrazione dell'atto di citazione nel caso di vizio della vocatio in ius o dell'editio actionis dell'atto di citazione o della comparsa di risposta (qui, però, solo per il caso di nullità per difetto dell'editio actionis della domanda riconvenzionale proposta dal convenuto), all'invito alla regolarizzazione della costituzione delle parti o, infine, all'ordine di rinnovazione della notificazione della citazione quando si sia rilevato un difetto della stessa e il convenuto non si sia costituito.

Il giudice istruttore può rilevare d'ufficio, ai sensi dell'art. 38 c.p.c., durante la prima udienza, nonché nelle udienze che sono fissate in continuazione della stessa, la propria incompetenza per valore, materia o territorio funzionale. Non anche, quindi, quella per territorio derogabile.

Il giudice, ai sensi del comma 4 dell'art. 183 c.p.c., in udienza può anche chiedere i chiarimenti necessari, nonché indicare le questioni rilevabili d'ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione.

In evidenza: divieto di sentenze della “terza via”

Le sentenze della terza via, o cd. a sorpresa, sono quelle pronunce che si fondano su questioni rilevabili d'ufficio sulle quali non si è instaurato il contraddittorio tra le parti.

Prima della riforma del 2009, con la quale si è introdotto il nuovo comma2 dell'art. 101 c.p.c., per queste sentenze non era prevista la sanzione della nullità. Perciò, sussisteva contrasto, sia in dottrina che in giurisprudenza, in ordine alla possibilità che la mancata instaurazione del contraddittorio tra le parti comportasse la nullità della sentenza.

Il contrasto è stato risolto dalla pronuncia Cass. civ., Sez. Un., 30 settembre 2009, n. 20935, secondo la quale: «Nel caso in cui il giudice esamini d'ufficio una questione di puro diritto, senza procedere alla sua segnalazione alle parti onde consentire su di essa l'apertura della discussione (cd. terza via), non sussiste la nullità della sentenza, in quanto (indiscussa la violazione deontologica da parte del giudicante) da tale omissione non deriva la consumazione di altro vizio processuale diverso dall'"error iuris in iudicando" ovvero dall'"error in iudicando de iure procedendi", la cui denuncia in sede di legittimità consente la cassazione della sentenza solo se tale errore sia in concreto consumato: qualora invece si tratti di questioni di fatto, ovvero miste di fatto e di diritto, la parte soccombente può dolersi della decisione, sostenendo che la violazione di quel dovere di indicazione ha vulnerato la facoltà di chiedere prove o, in ipotesi, di ottenere una eventuale rimessione in termini, con la conseguenza che, ove si tratti di sentenza di primo grado appellabile, potrà proporsi specifico motivo di appello solo al fine di rimuovere alcune preclusioni (specie in materia di contro-eccezione o di prove non indispensabili), senza necessità di giungere alla più radicale soluzione della rimessione in primo grado, salva la prova, in casi ben specifici e determinati, che sia stato realmente ed irrimediabilmente vulnerato lo stesso valore del contraddittorio».

Durante l'udienza di trattazione è previsto anche lo svolgimento di alcune attività difensive delle parti. Nello specifico, l'attore è onerato di proporre, a pena di decadenza, le eccezioni in senso stretto che sono conseguenza delle eccezioni o delle domande proposte dal convenuto tramite la propria comparsa di costituzione e risposta. Entrambe le parti possono comunque precisare le proprie domande e le proprie eccezioni, rimanendo ammissibili le modifiche delle domande solo nei casi previsti dalla legge, nonché chiedere l'ammissione dei mezzi di prova.

Sulla differenza tra l'attività di trattazione e di precisazione della causa si rinvia a A. Rossi, Udienza di trattazione, su www.ilProcessoCivile.it.

Il giudice, se richiesto da almeno una delle parti, concederà, ai sensi del comma7 dell'art. 183 c.p.c., tre termini perentori per il deposito di altrettante memorie.

La prima, che deve essere depositata entro 30 giorni dal provvedimento di concessione dei termini, è limitata alla sola precisazione o modificazione delle eccezioni, delle domande o delle conclusioni già proposte.

La seconda, la quale deve depositata entro i 30 giorni successivi, è, invece, relativa alla replica alle eccezioni o domande modificate dalla controparte e alla proposizione delle nuove domande e delle nuove eccezioni conseguenti alle stesse, nonché all'indicazione dei mezzi di prova dei quali si richiede l'assunzione e delle produzioni documentali.

La terza, depositabile nei 20 giorni successivi alla scadenza del termine per il deposito della seconda memoria, è, invece, relativa alla deduzione dei mezzi di prova contrari.

In udienza, o fuori udienza successivamente alla scadenza dei termini previsti ai sensi del comma7 dell'art. 183 c.p.c., il giudice adotta l'ordinanza ex art. 184 c.p.c., fissando, quindi, l'udienza per l'assunzione delle prove costituende, purché il giudice ne abbia ammesse, richieste dalle parti.

Segue. Trattazione delle questioni pregiudiziali di merito e rito e delle questioni preliminari di merito

Il giudice istruttore durante la fase di trattazione, come accennato in apertura, deve affrontare e risolvere le questioni pregiudiziali (siano esse di rito o di merito) e preliminari di merito.

Le questioni pregiudiziali sono quelle che si pongono in un momento logico-giuridico antecedente al diritto oggetto della domanda proposta dall'attore.

Quando si tratta delle questioni pregiudiziali di rito ci si riferisce a quelle condizioni che fondano il potere del giudice di decidere la causa nel merito e che quindi sono relative ai presupposti del processo. Queste sono, ad esempio, le condizioni dell'azione, la competenza o la giurisdizione del giudice adito. Nel caso in cui queste condizioni vengano a mancare, il giudice dovrà pronunciare un provvedimento sul rito, che, benché sia idoneo al giudicato formale, non sarà idoneo al giudicato in senso sostanziale.

Le questioni pregiudiziali di merito, invece, sono quelle che hanno in oggetto dei veri e propri diritti, ovvero sono idonee a un'autonoma pronuncia del giudice nel caso in cui siano dedotte in un autonomo giudizio. Una statuizione specifica su di esse è possibile in quanto, pur essendo parte della fattispecie costitutiva di un altro diritto, si riferiscono diritti in senso proprio e, quindi, accertabili con un provvedimento idoneo a passare in giudicato. Per fare un esempio ci si può riferire all'azione di condanna all'adempimento di un'obbligazione contrattuale: la nullità o meno del contratto si pone come questione pregiudiziale di merito alla pronuncia di condanna ad adempiere della controparte alle obbligazioni che da esso derivano. Ancora, la validità del contratto di locazione di un bene è uno degli elementi della fattispecie costitutiva del contratto di sublocazione dello stesso bene.

Le questioni pregiudiziali di merito, ai sensi dell'art. 34 c.p.c., vanno accertate in via incidentale, salvo che la legge o le parti non ne chiedano la pronuncia con efficacia di giudicato.

Le questioni preliminari di merito, invece, sono introdotte da un'eccezione in senso proprio e deducono, quindi, fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto dedotto in giudizio che, in quanto meri fatti e non diritti, non sarebbero comunque oggetto di un'autonoma pronuncia idonea al giudicato. Un esempio tipico è quello della prescrizione che si pone come fatto estintivo del diritto dedotto tramite la domanda giudiziale.

Nel miglior contemperamento dei canoni Chiovendiani di immediatezza e concentrazione del processo civile, è permessa al giudice istruttore una valutazione provvisoria e implicita delle questioni pregiudiziali di merito e rito e preliminari di merito. La valutazione di cui si parla è quella implicitamente negativa della capacità delle questioni citate di definire il giudizio in rito o nel merito, la quale emerge dalla mancata disposizione della remissione in decisione ai sensi degli art. 187 comma 2 e comma 3 c.p.c.

Ammissione e assunzione dei mezzi di prova

Il giudice, nel caso in cui sia richiesta l'assunzione di prove costituende a istanza di parte o nel caso ne disponga l'assunzione d'ufficio, fissa, ai sensi dell'art. 183 comma 7, c.p.c. l'udienza di assunzione dei mezzi di prova. Questi, però, per poter essere esperiti devono essere ammissibili, nel senso di conformi al modello legale, nonché rilevanti, come del resto le prove documentali.

In evidenza: rilevanza del mezzo di prova

Il giudizio di rilevanza del mezzo di prova può essere anche implicito, come sostenuto anche nella sentenza Cass. civ.,sez. lav., 13 giugno 2014, n. 13485, secondo la quale: «In tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni».

Secondo il brocardo «Frustra probatur quod probatur non relevat» la valutazione di rilevanza investe i fatti ipotizzandone l'accadimento.

Sull'ammissibilità delle prove offerte dalle parti si pronuncia il giudice istruttore con ordinanza revocabile.

Già l'ammissione di una prova, però, può implicare, in tutto o in parte, la decisione della causa. Proprio per questo, la valutazione sull'ammissibilità o meno del mezzo di prova compiuta dal giudice istruttore ha carattere provvisorio. Ai sensi dell'art. 178 c.p.c. è prevista in capo alle parti la facoltà di riproporre innanzi al collegio le questioni che il giudice istruttore ha risolto tramite ordinanza revocabile. Non è più prevista, infatti, la rimessione istruttoria al collegio, introdotta tramite la novella del 1950 e successivamente abrogata dalla l. 353/1990.

Le modalità di assunzione dei mezzi di prova sono regolate nel Titolo I, Sezione III del Libro II del codice di procedura civile.

Rimessione in decisione

La rimessione in decisione è l'ultimo atto della fase di trattazione. Le modalità della stessa sono differenti a seconda che la causa sia trattata di fronte al tribunale in forma collegiale o monocratica. Normalmente, secondo quanto disposto dal comma 2 dell'art. 189 c.p.c., la rimessione è totale, ovvero investe il collegio (o il giudice unico in funzione decisoria) di tutta la causa. Sono previste, però, due ipotesi di rimessione parziale nel caso in cui: a) sia proposta querela di falso e b) sia proposta l'istanza di verificazione.

Il giudice istruttore rimette la causa in decisione secondo le modalità previste ai sensi degli artt. 187, 188 e c.p.c.

Le modalità disposte ai sensi dell'art. 187 c.p.c. sono le seguenti: 1) rimessione in decisione senza svolgere l'istruzione probatoria in quanto la causa sia ritenuta già matura per la decisione nel merito (comma 1), rimessione in decisione quando è rilevata una questione preliminare dalla cui risoluzione possa derivare definizione del giudizio (comma 2) e 3) rimessione in decisione nel caso in cui sia rilevata una questione pregiudiziale (sia di merito che di rito) dalla cui risoluzione possa derivare definizione del giudizio (comma3).

L'ipotesi prevista ai sensi dell'art. 188 c.p.c., invece, è quella in cui il giudice rimette la causa in decisione dopo aver svolto l'attività di istruzione probatoria.

Ai sensi dell'art. 189 c.p.c. è disposto che il giudice, qualora ritenga la causa matura per la decisione, inviti le parti a precisare le conclusioni (alla stessa udienza o in udienza fissata successivamente). L'udienza in cui si precisano le conclusioni è l'ultima udienza istruttoria del processo.

La precisazione delle conclusioni è l'atto orale con il quale le parti manifestano in maniera precisa e definitiva le proprie conclusioni, tenuto conto degli elementi emersi durante la trattazione e nello svolgimento dell'istruzione probatoria.

Ai sensi dell'art. 190 c.p.c. le parti possono depositare due memorie, nel rispetto dei termini perentori (di 60 giorni, il primo, e di 20 giorni successivi, il secondo), conosciute come comparsa conclusionale e memoria di replica.

Il contenuto della comparsa conclusionale è di tipo riepilogativo e di natura narrativo-illustrativa. Con essa si riassumono le attività difensive svolte durante lo svolgimento del processo.

La memoria di replica, invece, ha funzione di meramente illustrativa e consiste nella replica di quanto affermato dalla controparte nella comparsa conclusionale.

Nelle cause trattate di fronte al tribunale in composizione collegiale, le parti, all'atto di precisazioni delle conclusioni e reiterandolo la propria istanza di fronte al presidente del tribunale alla scadenza dei termini per la memoria di replica, possono chiedere che la causa sia discussa oralmente di fronte al collegio.

Nelle cause trattate di fronte al tribunale in composizione monocratica, oltre allo scambio conclusionale e alla successiva decisione, il giudice istruttore, su richiesta di almeno una parte, può disporre il solo scambio delle comparse conclusionali e fissare successiva udienza di discussione, ai sensi dell'art. 281-quinques c.p.c.

Il giudice istruttore, inoltre, può disporre la discussione della causa all'udienza di precisazione delle conclusioni ai sensi dell'articolo 281-sexies c.p.c., previsto per le cause trattate di fronte al tribunale in composizione monocratica. Questa modalità di rimessione in decisione si considera applicabile anche alle cause di competenza del tribunale in composizione collegiale.

In evidenza: rispetto del diritto di difesa in caso di decisione ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c.

La citata modalità di decisione della controversia, data la coincidenza del momento in cui si precisano le conclusioni con quello in cui si discute la causa, potrebbe, in concreto, minare il diritto di difesa delle parti.

Infatti, nel caso di disposizione della decisione della causa senza lo scambio di una o di entrambe le memorie, l'invito a discutere la causa “a sorpresa” potrebbe cogliere impreparate le parti.

In materia assume quindi notevole rilevanza la pronuncia Cass. civ., sez. VI, 24 settembre 2018, n. 22521, secondo la quale: «In caso di decisione della causa ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c., la facoltà della parte di richiedere un differimento dell'udienza di discussione, che trova fondamento nella tutela del diritto di difesa, è parimenti soddisfatta dalla fissazione officiosa di apposita udienza per la trattazione orale, in esito alla quale la parte non ha diritto ad un ulteriore rinvio, a nulla rilevando la mancata acquisizione, all'udienza precedente, delle conclusioni rassegnate, in quanto l'omissione di tale attività processuale (che si compendia nella mera sintesi delle domande, delle difese e delle eccezioni proposte) può dar luogo ad una nullità processuale solamente qualora la parte interessata deduca la specifica lesione di un interesse sostanziale».

Con la rimessione in decisione si conclude la fase di trattazione, la quale, però, potrebbe essere riaperta, data la possibilità del collegio (ma anche del giudice unico) di riaprire l'istruzione tramite ordinanza se si rilevi la non possibilità di definire il giudizio o sia accolta l'istanza di assunzione del mezzo di prova non ammesso in precedenza.

Riferimenti
  • Consolo, Spiegazioni di Diritto Processuale Civile, Vol. II, Torino, 2017;
  • Mandrioli / Carratta, Diritto Processuale Civile, Vol. II, Torino, 2017, 57 e ss.
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