Relativamente alla materia degli alloggi ad uso abitazione concessi in locazione, abbiamo visto che la Costituzione non prevede espressamente il diritto all'abitare, mentre l'unico esplicito riferimento si rinviene nell'art. 47 secondo cui “La Repubblica (...) favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione (...)” che, letto in combinato disposto con l'art. 42 Cost., secondo cui i limiti apponibili alla proprietà privata rispondono al fine di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti, manifesta l'attenzione dei costituenti per l'accesso alla proprietà della casa.
Sempre a livello costituzionale, va rammentato che, nel compito assegnato allo Stato di determinare “i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (art. 117, comma 2, lett. m, Cost.), si rinviene l'indicazione di un'attività dovuta di definizione di concreti ed effettivi limiti alla capacità espansiva della logica di mercato, nell'àmbito della quale può ricomprendersi la materia della edilizia residenziale pubblica, come ausilio agevolato contrattuale per le categorie di cittadini meno abbienti.
Nell'ordinamento interno, la legge di riforma della casa (l. 22 ottobre 1971, n. 865) ha introdotto il termine di edilizia residenziale pubblica, così abbandonando la precedente definizione di edilizia economico-popolare (T.U. 28 aprile 1938, n. 1165).
La materia dell'edilizia residenziale pubblica, intesa lato sensu, comprende tutti gli interventi normativi mediante i quali viene fornito ai cittadini meno abbienti un contributo diretto o indiretto dallo Stato sia per la realizzazione sia per l'assegnazione degli alloggi in locazione ad un costo più moderato rispetto al mercato privato.
Tale materia, per la finalità sociale che la connota, è compresa in quella dei servizi pubblici - già disciplinata dall'art. 33 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, nel testo sostituito dall'art. 7 della l. 21 luglio 2000, n. 205, come risultante dalla sentenza di illegittimità costituzionale parziale del 6 luglio 2004, n. 204, disposizione ora trasfusa nell'art. 133, comma 1, lett. b) del c.p.a. - che la attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Orbene, il procedimento di assegnazione degli alloggi di edilizia pubblica si articola in due fasi: a) quella attinente alla prenotazione ed all'assegnazione dell'alloggio ed alla posizione e qualità del richiedente; b) quella inerente alla disciplina del rapporto così instaurato.
La prima fase ha natura pubblicistica ed è caratterizzata dall'esercizio di poteri finalizzati al perseguimento di interessi pubblici ai quali corrispondono posizioni di interesse legittimo dei richiedenti, mentre la seconda fase ha natura privatistica in funzione della posizione di diritto soggettivo del richiedente, poiché qui la Pubblica Amministrazione non è titolare di poteri di supremazia di alcun genere e vede limitato il suo intervento alla verifica del corretto adempimento di obbligazioni civili che gravano sull'assegnatario.
La distinzione ha rilevanti ripercussioni sulla giurisdizione, ma è oramai costante orientamento delle Sezioni Unite nel senso che le controversie attinenti a pretesi vizi di legittimità dei provvedimenti emessi nella prima fase sono attribuite alla giurisdizione del giudice amministrativo, mentre quelle in cui siano in discussione cause sopravvenute di estinzione o risoluzione del rapporto locatizio, poiché sottratte al discrezionale apprezzamento della Pubblica Amministrazione, sono ricondotte alla giurisdizione del giudice ordinario.
Stante la pacifica natura di servizio pubblico della materia dell'edilizia residenziale pubblica (ERP) e di bene pubblico indisponibile dell'immobile concesso in locazione, va, innanzitutto, richiamato il d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035 (norme per l'assegnazione e la revoca nonché per la determinazione e la revisione dei canoni di locazione degli alloggi di edilizia residenziale), che, all'art. 18, attribuisce all'Ente gestore e proprietario il potere di disporre, con decreto, il rilascio degli alloggi di edilizia residenziale pubblica occupati senza titolo, rinviando al comma 12 dell'art. 11 del medesimo decreto ai fini dell'individuazione del giudice (ordinario) competente per l'opposizione avverso il decreto di rilascio.
Le legislazioni regionali si occupano di stabilire; a) i requisiti soggettivi per l'accesso all'edilizia residenziale pubblica destinata all'assistenza abitativa e, in particolare, quello della stabile convivenza (stabilendo, ad esempio, la nozione di nucleo familiare); b) i casi di subentro nell'assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica destinati all'assistenza abitativa; c) le ipotesi in cui l'assegnatario decade automaticamente dall'assegnazione e le condizioni all'accertamento delle quali il contratto di locazione si intende risolto di diritto (ad esempio, per aver l'assegnatario ceduto a terzi, in tutto o in parte, l'alloggio assegnatogli); d) le disposizioni di rilascio e sanzionatorie nel caso in cui gli alloggi di edilizia residenziale pubblica destinata all'assistenza abitativa vengano occupati senza titolo.
Con particolare riguardo al subentro nel diritto di godimento dell'alloggio di edilizia residenziale pubblica, da ultimo, il massimo organo di nomofilachia (Cass. civ., sez. un., 20 luglio 2021, n. 20671) sono state investite della seguente questione, ritenuta di massima di particolare importanza: se possa formarsi silenzio-assenso ai sensi dell'art. 20 della l. n. 241/1990 sulle istanze di successione e di subentro nel diritto di godimento di un alloggio di edilizia residenziale pubblica e, in generale, se e in base a quali presupposti sia possibile escludere la formazione del silenzio assenso al di fuori delle ipotesi indicate dal comma 4 del citato art. 20.
Le Sezioni Unite hanno chiarito che, implicando l'istituto del silenzio-assenso, una posizione di interesse legittimo, la controversia sul diritto soggettivo al subentro nell'assegnazione dell'alloggio di edilizia residenziale pubblica resta estranea all'orbita dell'art. 20 della l. n. 241/1990; hanno, altresì, escluso la configurabilità di un nesso di pregiudizialità-dipendenza con un rapporto amministrativo connotato da una fattispecie di silenzio-assenso - che avrebbe implicato la devoluzione della controversia alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo - atteso che tutti gli elementi della fattispecie alla base del rapporto dedotto in giudizio rinviano al diritto civile, senza che vi sia alcuna interferenza della Pubblica Amministrazione quale autorità.
Pertanto, non essendovi intermediazione del potere amministrativo, il subentro nell'assegnazione di edilizia residenziale costituisce integralmente effetto giuridico dei presupposti di fatto previsti dalla norma.
Hanno, inoltre, osservato che il rimedio del silenzio assenso risulta irrilevante, avendo la posizione soggettiva consistenza di diritto soggettivo e potendo, pertanto, in via immediato l'interessato proporre domanda di accertamento innanzi al giudice ordinario in sede civile.
Sotto altro profilo, hanno aggiunto che il silenzio-assenso, essendo relativo al rapporto singolo fra la parte che propone l'istanza e la competente Amministrazione, non è configurabile neanche con riferimento al pubblico concorso indetto per l'assegnazione dell'alloggio (art. 3 ss. I. 30 dicembre 1972, n. 1035), nel quale, coerentemente alla logica del concorso, l'Amministrazione è il punto di riferimento di una pluralità di concorrenti.
Pertanto, le Sezioni Unite hanno affermato, in armonia con i precedenti espressi dalla giurisprudenza amministrativa sul punto, che la fattispecie del silenzio-assenso non possa avere spazio “nella materia dell'assegnazione degli alloggi ERP, governata da specifica normativa e caratterizzata da complesse graduatorie” (Cons. Stato, sez. V, 10 ottobre 2017, n. 4688 e Cons. Stato, sez. V, 19 febbraio 2018, n. 1013).