Edilizia residenziale pubblica
09 Marzo 2023
Inquadramento
La l. n. 431/1998, che introduce la nuova normativa in materia di locazioni ad uso abitativo, superando in parte qua le disposizioni della l. n. 392/1978 (c.d. sull'equo canone), esclude espressamente, mediante l'art. 1, comma 2, lett. b), dal suo àmbito operativo, “gli alloggi di edilizia residenziale pubblica”, ai quali si applica, invece, la relativa normativa vigente statale e regionale; tuttavia, manca una definizione precisa ed esaustiva di tale tipologia locatizia, anche se, in prima approssimazione, si può ritenere che, in essa, si compendia l'attività pubblica volta a garantire a soggetti sfavoriti per condizioni economiche il godimento di un alloggio che non potrebbero altrimenti ottenere attingendo al libero mercato. Nel delineare l'evoluzione normativa della disciplina dell'edilizia residenziale pubblica, occorre prendere le mosse dalle l. 18 aprile 1962, n. 167 e 22 ottobre 1971, n. 865, che introducono i piani di zona per l'edilizia economica popolare, apprestano un'apposita organizzazione amministrativa destinata alla gestione della materia e stanziano le necessarie risorse finanziarie, segnando così il passaggio dall'idea della mera elargizione in favore dei meno abbienti a quella della realizzazione del progetto costituzionale, ove la casa - attraverso l'art. 47, comma 2, Cost., ma più in generale attraverso l'art. 3, comma 2, Cost. - è riguardata come bene sociale indispensabile allo sviluppo della collettività, anche mediante il progressivo coinvolgimento dei Comuni e delle Regioni nell'attuazione delle scelte pertinenti. La materia dell'edilizia residenziale pubblica risulta, per questa via, collocata entro quella dei “servizi pubblici” e, segnatamente, di quelli sociali, e tale inquadramento viene accolto anche dalla massima magistratura di vertice, che ha qualificato l'edilizia residenziale come “servizio pubblico di protezione sociale” (v., in particolare, Cass. civ., sez. un., 1 ottobre 1980, n. 5332), avuto riguardo sia al contenuto della prestazione, ossia l'accesso all'alloggio di categorie di cittadini meno provvedute, sia al regime delle fasi di provvista dei mezzi e di attuazione. A questo proposito, l'assai vasto àmbito dell'edilizia residenziale pubblica è fotografato in alcune definizioni normative, come quella che lo estende “a tutti gli alloggi realizzati o recuperati da Enti pubblici a totale carico o con il concorso o contributo dello Stato o delle Regioni, nonché a quelli acquistati, realizzati o recuperati da Enti pubblici non economici per le finalità sociali proprie dell'edilizia residenziale pubblica” (v. anche le l. 24 dicembre 1993, n. 560, 6 marzo 1976, n. 52, e 14 febbraio 1963, n. 60). Riguardo alla determinazione dei canoni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, va, altresì, fatto riferimento agli artt. 4 e 60, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, richiamato dall'art. 4, comma 4, l. n. 431/1998, laddove è stabilito che, “fermo restando quanto stabilito dall'art. 60, comma 1, lett. e), d.lgs. 31 marzo 1998 n. 112, con apposito atto di indirizzo e coordinamento, da adottare con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'art. 8, l. 15 marzo 1997, n. 59, sono definiti, in sostituzione di quelli facenti riferimento alla legge 27 luglio 1978, n. 392, e successive modificazioni, i criteri in materia di determinazione da parte delle Regioni dei canoni di locazione per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica”. Non dovrebbero essere compresi nella summenzionata categoria, gli alloggi realizzati dalle cooperative edilizie per i propri soci, quelli realizzati o recuperati con programmi di edilizia agevolata e convenzionata, quelli c.d. di servizio e quelli di proprietà degli Enti previdenziali, purché non realizzati o recuperati da parte dello Stato o delle Regioni oppure con il loro concorso o contributo. Da ricordare, infine, il d.m. 22 aprile 2008 che, in attuazione dell'art. 5, l. 8 febbraio 2007, n. 9, ha definito il concetto di “alloggio sociale”, per il quale il canone di locazione non può superare quello derivante dai valori risultanti dagli accordi locali sottoscritti ai sensi dell'art. 2, comma 3, l. n. 431/1998 o, qualora non aggiornati, il valore determinato per le locazioni a canone speciale di cui all'art. 3, comma 114, l. n. 350/2003. Individuato, sia pure in estrema sintesi, l'àmbito entro il quale può discorrersi di edilizia residenziale pubblica - comprendente sia gli alloggi costruiti con mezzi finanziari pubblici per favorire l'accesso all'abitazione dei ceti meno abbienti, sia gli immobili edificati da soggetti privati in base a convenzioni urbanistiche che contemplano anche i criteri di determinazione dei canoni di locazione per utenti con redditi medio-bassi - va sottolineata la peculiarità che caratterizza, sotto il profilo genetico, il sorgere dei contratti di locazione abitativa ad essa attinenti. Secondo l'orientamento della Suprema Corte, la formazione dei contratti di locazione di immobili appartenenti al patrimonio dell'edilizia residenziale pubblica si articola in due distinti momenti: da un lato, vi è una fase pubblicistica, attinente alla scelta del contraente, ossia al momento della “assegnazione” dell'alloggio, fase nella quale non sorgono per il privato che interessi legittimi, tali da radicare la giurisdizione del giudice amministrativo, e, dall'altro lato, vi è una fase privatistica in senso stretto, che concerne la costituzione e lo svolgersi del rapporto di locazione, con il sorgere di veri e propri diritti soggettivi, azionabili dinanzi al giudice ordinario (v., ex multis, Cass. civ., sez. un., 28 gennaio 2005,n. 1731; Cass. civ., sez. un., 11 marzo 2004,n. 5051; Cass. civ., sez. un., 7 marzo 2002, n. 3389; Cass.civ., sez. un., 23 febbraio 2001, n. 67; Cass. civ., 11 febbraio 1998, n. 1443; Cass. civ., sez. un., 17 novembre 1994,n. 9749).
In argomento, merita rammentare, altresì, che la determinazione del canone nel rapporto di edilizia residenziale pubblica da parte dell'Amministrazione è assistita da una presunzione di legittimità sulla base del generale principio vigente in materia di atti amministrativi (Cass. civ., sez. III, 2 luglio 1998, n. 6453, riguardo ad immobili appartenenti ad un I.A.C.P.). È, infine, da ricordare che la giurisprudenza di vertice è costante nel ritenere che, in tema di edilizia residenziale pubblica, la natura privatistica del rapporto di locazione, a mezzo del quale viene attuato il provvedimento di assegnazione dell'alloggio, comporta che il rapporto stesso resta assoggettato alla normale disciplina della risoluzione della locazione per le cause previste dal codice civile (v., tra le altre, Cass. civ., sez. III,4 marzo 1998, n. 2401; Cass. civ., sez. I, 24 luglio 1997, n. 6923; Cass. civ., sez. I, 20 ottobre 1993,n. 10377; Cass. civ., sez. III, 18 giugno 1986, n. 4058). Rilevanza del momento pubblicistico
La l. n. 431/1998, all'art. 1, comma 2, esclude dal proprio àmbito di applicazione gli alloggi di edilizia residenziale pubblica, ai quali “si applica la relativa normativa vigente, statale e regionale”. La formulazione della norma - solo apparentemente limpida - sembra avere lo scopo di superare la bipartizione di cui all'art. 26, lett. b) e c), l. n. 392/1978 tra “le locazioni relative ad alloggi costruiti a totale carico dello Stato” e “le locazioni relative ad alloggi assoggettati alla disciplina dell'edilizia convenzionata”, ampliando la sfera dei rapporti esclusi dall'operatività della vigente disciplina e ponendo fine ad alcune incertezze interpretative che si sono poc'anzi poste in luce. Ciò verrebbe attuato spostando l'accento dal momento della costruzione degli immobili (a totale carico dello Stato o nel quadro dell'edilizia convenzionata) alla funzione dei medesimi di sostegno delle esigenze abitative dei meno abbienti. In quest'ottica, si conferma la ratio della norma, atteso che, escludendo tutte le categorie di alloggi destinati a soddisfare finalità sociali - volte segnatamente a garantire una stabile abitazione in favore dei soggetti economicamente più deboli - locati secondo definite modalità, si è inteso sottrarre alla sfera applicativa di una normativa pensata per i privati relativamente a contratti in cui assume un particolare rilievo il momento pubblicistico, tanto da rendere necessaria una normativa speciale (statale e regionale). Perciò, secondo la nuova impostazione (di più ampio respiro), sarebbero da ritenere escluse dall'àmbito di applicazione della l. n. 431/1998 - nei discutibili limiti in cui tale esclusione è congegnata - non solo le locazioni di immobili costruiti a spese esclusive dello Stato o nel quadro dell'edilizia convenzionata, ma, in genere, tutte le locazioni di alloggi destinati a soddisfare finalità sociali di rilievo pubblicistico concessi secondo modalità predeterminate di scelta dell'assegnatario-conduttore ed a canone calmierato. Va, però, ribadita l'incertezza della nozione di “edilizia residenziale pubblica”, dalla quale possono derivare nuovi dubbi interpretativi, tanto più che ora l'esclusione de qua in tanto può operare in quanto esista una “relativa normativa vigente, statale e regionale” applicabile alle ipotesi di volta in volta emergenti. Disposizioni applicabili e escluse
Se è sufficientemente chiaro l'intento di ampliare l'àmbito delle locazioni escluse dall'applicazione della l. n. 431/1998, non altrettanto lo è l'individuazione della portata dell'esclusione, avuto riguardo alla scelta legislativa di limitarla agli artt. 2, 3, 4, 4 bis, 7, 8 e 13 della nuova legge, il che, utilizzando l'argumentum a contrario, dovrebbe condurre ad affermare che sono, invece, applicabili alle locazioni di alloggi di edilizia residenziale pubblica gli artt. 1, 5, 6, 9, 10, 11 e 12. Tutto ciò pone seri interrogativi sia con riferimento alle disposizioni richiamate, sia a quelle non richiamate. Si è sostenuto, in proposito, che il combinato disposto degli artt. 2, 3, 4 e 8, l. n. 431/1998 contiene la sostanza della regolamentazione dei nuovi contratti di locazione, anche sul piano fiscale; la menzione, tra le norme non applicabili, dell'art. 7, l. n. 431/1998 - che, fissando le condizioni per la messa in esecuzione dei provvedimenti di rilascio dell'immobile locato, era destinato a combattere il fenomeno dell'elusione fiscale (ma che il giudice delle leggi ha ormai dichiarato incostituzionale da Corte Cost., 5 ottobre 2001, n. 333) - era, invece, di difficile comprensione, mostrandosi piuttosto come espressione di una singolare situazione di privilegio. Parimenti, muovendo dal nesso di collegamento tra l'art. 1, comma 4, l. n. 431/1998, che stabilisce l'obbligo di forma scritta per la stipulazione di validi contratti di locazione, e l'art. 13, comma 1, che pone la sanzione di nullità delle pattuizioni volte a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato, ci si è chiesti se dall'indicata disapplicazione possa desumersi che i contratti di locazione esclusi sono sottratti al rigore della forma, oppure se, pur valendo anche per questi il requisito, sia in qualche modo legittimata l'elusione fiscale. Per quanto riguarda le disposizioni ipoteticamente applicabili a contrario, si è sottolineata l'assai problematica compatibilità dell'art. 5, l. n. 431/1998 - posto in tema di contratti di locazione di natura transitoria - dal momento che l'assegnazione in godimento degli alloggi di edilizia residenziale pubblica opera di regola a tempo indeterminato in favore di chi sia in possesso dei requisiti indicati dalla legge; l'omissione, infatti, non è stata ritenuta rilevante, giacché l'art. 5 è collegato con la disciplina ordinaria degli artt. 2 e 3, l. n. 431/1998 ed è, quindi, radicalmente inapplicabile nei casi contemplati dall'art. 1, comma 2, riguardo ai quali è prevista l'inapplicabilità dei citati artt. 2 e 3 citati. Altrettanti dubbi pone il mancato richiamo tra le norme non applicabili dell'art. 6, l. n. 431/1998, se si considera che il godimento degli alloggi di edilizia residenziale pubblica cessa normalmente in presenza di specifiche ipotesi di inadempimento contemplate dalla legge, ma, anche in questo caso, l'omessa menzione dell'art. 6 tra le norme non applicabili è stata ritenuta non decisiva, in ragione della transitorietà della disposizione, come tale non applicabile ai contratti stipulati nel vigore della nuova legge. E ancora, l'art. 9 recava disposizioni per i fondi per la previdenza complementare e, dunque, non poteva avere applicazione in materia di locazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica (tale articolo è stato, poi, abrogato dall'art. 7, comma 3, d.lgs. n. 47/2000); l'art. 10 contiene una disposizione volta a trovare attuazione in successive normative; l'art. 11, che prevede il versamento di contributi integrativi ai conduttori meno abbienti, appare difficilmente compatibile con la disciplina applicabile in materia di edilizia residenziale pubblica, per la quale è già prevista l'applicazione del canone sociale c.d. calmierato, il cui ammontare è stabilito da specifiche disposizioni legislative o regolamentari, proprio perché rivolto a soggetti economicamente deboli. In definitiva, le uniche disposizioni effettivamente applicabili agli alloggi di edilizia residenziale pubblica sembrano essere soltanto l'art. 1, comma 1, relativo alla forma scritta del contratto di locazione, e l'art. 12, istitutivo dell'Osservatorio per la condizione abitativa. Non è inutile rammentare, per completezza, che la summenzionata disciplina speciale ha valenza unicamente nei rapporti tra l'Ente assegnatario ed il privato, perché se quest'ultimo, contravvenendo a specifiche disposizioni che lo vietano, cede in locazione l'appartamento assegnatogli a terzi, il contratto, qualora ritenuto valido - v. appresso - va assoggettato alla generale normativa di cui alla legge n. 431/1998. In proposito, riguardo alla validità del contratto di locazione stipulato da un assegnatario di un alloggio di edilizia residenziale pubblica con un terzo, si confrontano due indirizzi giurisprudenziali. Secondo un orientamento, il contratto sarebbe affetto da nullità assoluta, rilevabile d'ufficio dal giudice, sicché all'assegnatario sono precluse tutte le azioni riguardanti il rapporto, salva la possibilità di agire per la rimozione dell'occupante abusivo proprio in considerazione di tale nullità (Cass. civ., sez. III, 9 ottobre 1997, n. 9813; Cass.civ., sez. III, 23 maggio 1988, n. 3563; Cass. civ., sez. III, 29 gennaio 1983, n. 832). Secondo l'altro orientamento, sul presupposto che le situazioni riguardanti la legittimità del rapporto tra assegnatario ed Ente assegnante non possono avere rilevanza alcuna nei confronti dei terzi, il contratto è considerato valido ed efficace, conservando il primo tutte le azioni proprie del locatore, senza che il conduttore possa eccepire la decadenza dall'assegnazione, quantomeno fino a che questa non sia effettivamente intervenuta ad opera dell'Ente assegnatario (Cass.civ., sez. III, 16 novembre 1993, n. 11280; Cass.civ., sez. III, 29 aprile 1992,n. 5159; Cass.civ., sez. III, 23 giugno 1990, n. 6390; Cass.civ., sez. III, 18 novembre 1986, n. 6773).
Casistica
Riferimenti
Assini- Solinas, Edilizia residenziale pubblica, in Enc. giur., vol. XII, 1989, 22 Cuffaro - Giove, La riforma delle locazioni abitative, Milano, 1999, 5 Lazzaro - Di Marzio, Le locazioni per uso abitativo, Milano, 2012, 139 Nonno, Commento all'art. 1 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, in Le nuove locazioni abitative a cura di Cuffaro, Milano, 2000, 11 Piombo Lineamenti della disciplina delle locazioni abitative e dell'esecuzione degli sfratti per finita locazione, dopo l'entrata in vigore della l. 431/98, in Foro it., 1999, V, 138 Piombo, Alcuni spunti a proposito delle locazioni abitative escluse dalla tutela della legge n. 431/98, in Rass. loc. e cond., 1999, 450 Tinelli, La risoluzione di diritto del contratto di locazione, per decadenza e annullamento dell'assegnazione, e il procedimento di sfratto negli immobili ad uso abitativo dell'edilizia residenziale pubblica, in Arch. loc. e cond., 2016, 251 Celeste, Trasformazione irreversibile del diritto al godimento dell'alloggio residenziale pubblico assegnato, da locazione semplice a trasferimento della proprietà, in IUS Condominioelocazione, 17 maggio 2021
Relativamente alla materia degli alloggi ad uso abitazione concessi in locazione, abbiamo visto che la Costituzione non prevede espressamente il diritto all'abitare, mentre l'unico esplicito riferimento si rinviene nell'art. 47 secondo cui “La Repubblica (...) favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione (...)” che, letto in combinato disposto con l'art. 42 Cost., secondo cui i limiti apponibili alla proprietà privata rispondono al fine di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti, manifesta l'attenzione dei costituenti per l'accesso alla proprietà della casa. Sempre a livello costituzionale, va rammentato che, nel compito assegnato allo Stato di determinare “i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (art. 117, comma 2, lett. m, Cost.), si rinviene l'indicazione di un'attività dovuta di definizione di concreti ed effettivi limiti alla capacità espansiva della logica di mercato, nell'àmbito della quale può ricomprendersi la materia della edilizia residenziale pubblica, come ausilio agevolato contrattuale per le categorie di cittadini meno abbienti. Nell'ordinamento interno, la legge di riforma della casa (l. 22 ottobre 1971, n. 865) ha introdotto il termine di edilizia residenziale pubblica, così abbandonando la precedente definizione di edilizia economico-popolare (T.U. 28 aprile 1938, n. 1165). La materia dell'edilizia residenziale pubblica, intesa lato sensu, comprende tutti gli interventi normativi mediante i quali viene fornito ai cittadini meno abbienti un contributo diretto o indiretto dallo Stato sia per la realizzazione sia per l'assegnazione degli alloggi in locazione ad un costo più moderato rispetto al mercato privato. Tale materia, per la finalità sociale che la connota, è compresa in quella dei servizi pubblici - già disciplinata dall'art. 33 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, nel testo sostituito dall'art. 7 della l. 21 luglio 2000, n. 205, come risultante dalla sentenza di illegittimità costituzionale parziale del 6 luglio 2004, n. 204, disposizione ora trasfusa nell'art. 133, comma 1, lett. b) del c.p.a. - che la attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. La prima fase ha natura pubblicistica ed è caratterizzata dall'esercizio di poteri finalizzati al perseguimento di interessi pubblici ai quali corrispondono posizioni di interesse legittimo dei richiedenti, mentre la seconda fase ha natura privatistica in funzione della posizione di diritto soggettivo del richiedente, poiché qui la Pubblica Amministrazione non è titolare di poteri di supremazia di alcun genere e vede limitato il suo intervento alla verifica del corretto adempimento di obbligazioni civili che gravano sull'assegnatario. La distinzione ha rilevanti ripercussioni sulla giurisdizione, ma è oramai costante orientamento delle Sezioni Unite nel senso che le controversie attinenti a pretesi vizi di legittimità dei provvedimenti emessi nella prima fase sono attribuite alla giurisdizione del giudice amministrativo, mentre quelle in cui siano in discussione cause sopravvenute di estinzione o risoluzione del rapporto locatizio, poiché sottratte al discrezionale apprezzamento della Pubblica Amministrazione, sono ricondotte alla giurisdizione del giudice ordinario. Stante la pacifica natura di servizio pubblico della materia dell'edilizia residenziale pubblica (ERP) e di bene pubblico indisponibile dell'immobile concesso in locazione, va, innanzitutto, richiamato il d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035 (norme per l'assegnazione e la revoca nonché per la determinazione e la revisione dei canoni di locazione degli alloggi di edilizia residenziale), che, all'art. 18, attribuisce all'Ente gestore e proprietario il potere di disporre, con decreto, il rilascio degli alloggi di edilizia residenziale pubblica occupati senza titolo, rinviando al comma 12 dell'art. 11 del medesimo decreto ai fini dell'individuazione del giudice (ordinario) competente per l'opposizione avverso il decreto di rilascio. Le legislazioni regionali si occupano di stabilire; a) i requisiti soggettivi per l'accesso all'edilizia residenziale pubblica destinata all'assistenza abitativa e, in particolare, quello della stabile convivenza (stabilendo, ad esempio, la nozione di nucleo familiare); b) i casi di subentro nell'assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica destinati all'assistenza abitativa; c) le ipotesi in cui l'assegnatario decade automaticamente dall'assegnazione e le condizioni all'accertamento delle quali il contratto di locazione si intende risolto di diritto (ad esempio, per aver l'assegnatario ceduto a terzi, in tutto o in parte, l'alloggio assegnatogli); d) le disposizioni di rilascio e sanzionatorie nel caso in cui gli alloggi di edilizia residenziale pubblica destinata all'assistenza abitativa vengano occupati senza titolo. Con particolare riguardo al subentro nel diritto di godimento dell'alloggio di edilizia residenziale pubblica, da ultimo, il massimo organo di nomofilachia (Cass. civ., sez. un., 20 luglio 2021, n. 20671) sono state investite della seguente questione, ritenuta di massima di particolare importanza: se possa formarsi silenzio-assenso ai sensi dell'art. 20 della l. n. 241/1990 sulle istanze di successione e di subentro nel diritto di godimento di un alloggio di edilizia residenziale pubblica e, in generale, se e in base a quali presupposti sia possibile escludere la formazione del silenzio assenso al di fuori delle ipotesi indicate dal comma 4 del citato art. 20. Le Sezioni Unite hanno chiarito che, implicando l'istituto del silenzio-assenso, una posizione di interesse legittimo, la controversia sul diritto soggettivo al subentro nell'assegnazione dell'alloggio di edilizia residenziale pubblica resta estranea all'orbita dell'art. 20 della l. n. 241/1990; hanno, altresì, escluso la configurabilità di un nesso di pregiudizialità-dipendenza con un rapporto amministrativo connotato da una fattispecie di silenzio-assenso - che avrebbe implicato la devoluzione della controversia alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo - atteso che tutti gli elementi della fattispecie alla base del rapporto dedotto in giudizio rinviano al diritto civile, senza che vi sia alcuna interferenza della Pubblica Amministrazione quale autorità. Pertanto, non essendovi intermediazione del potere amministrativo, il subentro nell'assegnazione di edilizia residenziale costituisce integralmente effetto giuridico dei presupposti di fatto previsti dalla norma. Sotto altro profilo, hanno aggiunto che il silenzio-assenso, essendo relativo al rapporto singolo fra la parte che propone l'istanza e la competente Amministrazione, non è configurabile neanche con riferimento al pubblico concorso indetto per l'assegnazione dell'alloggio (art. 3 ss. I. 30 dicembre 1972, n. 1035), nel quale, coerentemente alla logica del concorso, l'Amministrazione è il punto di riferimento di una pluralità di concorrenti. |