Istanza di fallimento ed insolvenza prospettica: ovvero le regole della crisi prima che entri in vigore la disciplina dell'allerta
23 Ottobre 2019
Premessa
Una nota vicenda che vede contrapposti alcuni Fondi di investimento stranieri, portatori di obbligazioni, alla società emittente, una nota Compagnia di navigazione italiana, giunge ad un singolare sbocco “procedimentale”, su iniziativa dei Fondi. Questi, con grande anticipo sulla scadenza del prestito obbligazionario, infatti, prospettano (anche alla stregua di una serie di operazioni straordinarie di recente poste in essere dalla emittente) una prossima insolvenza di essa e ne chiedono la dichiarazione di fallimento: nel contempo, all'interno dell'istruttoria prefallimentare, richiedono, ai sensi dell'art. 15, comma 8, l. fall., l'adozione di provvedimenti cautelari particolarmente incisivi, diretti a conseguire la “sostituzione o inertizzazione degli amministratori della società per quanto riguarda le scelte imprenditoriali in genere e segnatamente le attività di esecuzione della compravendita di navi ed utilizzo dei ricavi promananti dalla stessa” (tutte le citazioni sono tratte dalla motivazione del provvedimento in commento). Il Tribunale di Milano (Sez. Fall., decreto del 3 ottobre 2019), nel rigettare entrambe le richieste (sia quella di dichiarazione di fallimento sia quella cautelare), coglie l'occasione per formulare una riflessione sul concetto di crisi e sul concetto di insolvenza prospettica, non mancando di sottolineare quali sarebbero le condotte da assumersi nella ricorrenza della fattispecie. Il concetto di insolvenza prospettiva
Prima di esaminare il nucleo centrale della riflessione suddetta, vanno formulate alcune considerazioni preliminari. Come emerge anche dalla motivazione del provvedimento in commento, gli atti ed i documenti scambiati tra le parti nel procedimento di istruttoria prefallimentare risultavano di gran mole: chi scrive ha conoscenza soltanto del provvedimento del Tribunale e, dunque, una conoscenza assai limitata della vicenda. Dal che può scaturirne (anzi, inesorabilmente, ne consegue) una superficialità nelle valutazioni e nelle considerazioni di sintesi. Anche per questo ci si soffermerà essenzialmente, se non esclusivamente sulle riflessioni di ordine giuridico generale che scaturiscono dalla lettura del provvedimento.
La prima considerazione è che - soprattutto in un contesto normativo in cui il Codice della Crisi e dell'Insolvenza non è ancora in vigore -, allo stato attuale della legislazione vigente, non pare vi siano spazi per attribuire rilevanza, in un procedimento di istruttoria prefallimentare, alla insolvenza prospettica: la legge fallimentare riconosce rilievo, ai fini della dichiarazione di fallimento, esclusivamente allo stato di insolvenza, che, per definizione, si connota di irreversibilità senza che se ne renda possibile un esame in funzione prospettica. Di tanto sembrano essere state ben consapevoli tutte le parti del procedimento, tanto che il Tribunale non manca di sottolineare - per averlo evidentemente rilevato in corso di istruttoria - che l'istanza in questione paresse avere una finalità di pressione indiretta, quasi necessitata anche dall'impossibilità per i Fondi creditori di attivare il procedimento ex art. 2409 c.c., nella loro qualità di meri creditori e non di soci della società emittente; da qui, forse, potrebbe intuirsi che lo scopo effettivo dei Fondi istanti fosse, più che l'improbabile dichiarazione di fallimento di una società “non ancora insolvente” (tale deve ritenersi una società che potrebbe divenirlo solo “in prospettiva futura”), la finalità di conseguire un provvedimento cautelare che neutralizzasse l'operatività degli amministratori in carica. Se così fosse, la scelta procedimentale però parrebbe in radice impropria, nella misura in cui le misure cautelari di cui all'art. 15, l. fall. hanno senso e possibilità di accoglimento solo in funzione di una istanza di fallimento fondata: e forse, allo stato attuale della legislazione, la sede più propria per un confronto processuale sarebbe stata quella civile/societaria e non quella fallimentare/concorsuale.
Con tutto quanto ne consegue in termini di pertinenza delle valutazioni conseguite all'esito del procedimento. Quanto precede induce allora ad analizzare le (importanti) valutazioni espresse dal Tribunale di Milano, nella motivazione cui ha affidato il rigetto dell'istanza in questione, più su un piano astratto che su quello della questione concretamente sottoposta al suo esame. Stante l'irrilevanza, in questa sede, delle questioni concernenti la legittimazione attiva dei fondi ricorrenti a richiedere la dichiarazione di fallimento della società emittente, il cuore del provvedimento è rappresentato certamente dalle tematiche in materia di crisi, di insolvenza e di prospettiva di insolvenza. Questi i passaggi essenziali (estremamente schematizzati) su cui si fonda l'iter logico-giuridico seguito dal Giudice per giungere al rigetto dell'istanza:
Osservazioni conclusive
Il provvedimento in esame sollecita alcuni spunti di riflessione potenzialmente di grande interesse concreto, oltre che dogmatico. Ineccepibili appaiono i rilievi definitori sui concetti di crisi, di insolvenza e di insolvenza prospettica, così come ineccepibile appare la decisione finale di rigetto dell'istanza. Qualche perplessità forse lascia lo sviluppo della motivazione, soprattutto di fronte alla perfetta comprensione, da parte del Tribunale, della finalità indiretta (e sotto certi profili forse surrettizia) che ispirava il ricorso proposto. La questione ripropone l'annoso tema del rapporto tra ratio decidendi e obiter dictum: se si fosse soffermato soltanto a valutare e decidere la questione concretamente sottoposta al suo esame, infatti, il Tribunale avrebbe ben potuto limitarsi a valutare e chiarire se lo stato denunciato dai ricorrenti fosse o meno di insolvenza e, una volta accertata l'insussistenza attuale dello stato di insolvenza e ribadita l'irrilevanza dello stato di insolvenza prospettica ai fini della declaratoria di fallimento, rigettare l'istanza. L'aver colto invece l'opportunità di una articolata riflessione (certamente utile sotto il profilo scientifico) su quel che sia lo stato attuale delle cose, lo ha indotto a segnare una strada quasi obbligata per il soggetto destinatario dell'istanza di fallimento ed a suggerire un percorso “procedimentale” quasi inevitabile. Questo proprio era proprio lo scopo che (ad avviso dello stesso Tribunale) l'istanza di fallimento ritenuta infondata mirava a conseguire. Il che sembra suggerire l'apertura possibile di una nuova stagione: quella in cui, pur in presenza di una crisi e non di una insolvenza, un creditore “forzi” la mano presentando un'istanza di fallimento verso il debitore, con l'auspicio che il giudice, pur rigettando l'istanza, finisca per “suggerire” caldamente al debitore di aprire un percorso di risanamento, provvedendo a sottolineare tutte le responsabilità cui, in caso contrario, andrebbe incontro. È un tema che merita di essere ben meditato.
(Fonte: IlFallimentarista.it)
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