Continuità indiretta e procedure competitive: due termini inconciliabili?

24 Ottobre 2019

Nel presente contributo l'autore analizza la disciplina introdotta dal nuovo codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza in tema di concordato preventivo in continuità indiretta e ne esamina il rapporto con il sistema delle procedure competitive.
Premessa

Nel presente contributo l'autore analizza la disciplina introdotta dal nuovo codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza in tema di concordato preventivo in continuità indiretta e ne esamina il rapporto con il sistema delle procedure competitive.

La continuità aziendale nel codice della crisi

Molte sono le disposizioni che attestano la predilezione del Legislatore per la continuità aziendale nell'ambito del nuovo codice della crisi d'impresa (decreto legislativo n. 14 del 12 gennaio 2019).

Anzitutto, nel sistema dell'accordo di ristrutturazione del debito, campeggia la figura dell'accordo di ristrutturazione esteso – art. 61 –, nel quale si dà la categorizzazione dei creditori anche comuni e il potere del debitore di estendere al 25% non aderente gli effetti di una intesa accettata dal 75% della categoria. E ciò a condizione che l'accordo non sia liquidatorio.

Poi nel campo del concordato preventivo. L'art. 84 contiene la definizione di continuità aziendale, positivizzando la figura della continuità indiretta, il che è un importante passo avanti. Lo fa in termini convenzionali, che però seguono linee di interessi chiari nel controluce della norma: la conservazione dell'occupazione, nel concordato indiretto; la preminenza dell'interesse dei creditori rispetto a quelli dell'imprenditore e dei soci; il riconoscimento della continuità aziendale laddove i creditori vengano soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità stessa, ivi compresa la cessione di magazzino - prevalenza, tuttavia, presunta se un certo livello occupazionale è salvato; una definizione di “currency” della soddisfazione dei creditori che va oltre il numerario per sfociare nel concetto di utilità “specificamente individuata ed economicamente valutabile” che potrà anche consistere nella prosecuzione dei rapporti contrattuali con il debitore ed il suo avente causa. Ebbene, sull'altare della continuità convenzionalizzata dall'art. 84 viene sacrificato l'interesse dei creditori ad una soddisfazione numeraria minima, tutelata solo nel concordato liquidatorio ( nella misura del 20% con un surplus del 10% rispetto a quanto rinvenibile nello scenario della liquidazione giudiziale, determinato dall'apporto di risorse esterne).

Ma il favor per la continuità aziendale non si arresta ai limiti della figura del concordato preventivo in continuità. Esso è rinvenibile anche nel campo del concordato in liquidazione. Più precisamente, il Legislatore mostra di saper distinguere tra una propria definizione di continuità aziendale, buona a giustificare l'accesso ai benefici del concordato in continuità e all'accordo di ristrutturazione esteso, e la continuità aziendale tout court, di stampo aziendalistico, da non meno considerare. E così troviamo una serie di norme intese a favorire la continuazione dell'azienda che operano anche fuori dal recinto dell'art. 84, secondo e terzo comma. Ci riferiamo alla possibilità per il Tribunale di autorizzare la vendita dell'azienda senza gara in caso di urgenza e quando possa essere compromesso l'interesse dei creditori al miglior soddisfacimento (art. 94, sesto comma); al potere del Tribunale di autorizzare finanziamenti prededucibili “quando è prevista la continuità aziendale, anche se unicamente in funzione della liquidazione” (art. 99, primo comma); e ancora di autorizzare il pagamento di crediti anteriori per prestazioni di beni e servizi “essenziali per la prosecuzione dell'attività d'impresa” (art. 100, primo comma); disciplina estendibile, in virtù del secondo comma, quando sia “prevista la continuazione dell'attività aziendale”, anche al rimborso delle rate di mutuo a scadere con garanzia reale gravante sui beni strumentali per l'esercizio dell'impresa; per finire, almeno nel sistema del concordato e dell'accordo, con la previsione di prededucibilità dei finanziamenti erogati in esecuzione di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione “quando è prevista la continuazione dell'attività aziendale” (art. 101, primo comma).

Il problema posto dalle procedure competitive

Sul piano strutturale, porre con tale imponenza il problema della salvezza dell'azienda anche a (molto?) scapito della soddisfazione dei creditori, non può che implicare una particolare torsione nell'affrontare l'altro tema ad esso connesso: quello della circolazione dell'azienda nel sistema delle procedure di risoluzione della crisi. Infatti, l'imprenditore in crisi potrebbe non essere più nelle condizioni di continuare il progetto imprenditoriale che si è materializzato nell'azienda ed essere di ostacolo alla continuità, per le più varie ragioni: anagrafiche, reputazionali, professionali, finanziarie, etc..

Sappiamo che l'attuale regime di circolazione è dominato dalla riforma del 2015, che si è concretata nell'inserimento nella legge fallimentare dell'art. 163 bis (introdotto dall'art. 2, comma1, del decreto legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito in legge 6 agosto 2015, n. 132). Riforma che nacque dal tronco di una brillante operazione di salvataggio di un gruppo ospedaliero milanese (che, significativamente, apparteneva al tipo del “concordato liquidatorio con cessione dei beni” in cui lo scopo primario era la “massimizzazione della recovery dei creditori”; così Lamanna, F., Speciale Decreto “Contendibilità e soluzioni finanziarie” n. 83/2015: concordato preventivo – “Proposte/piani” ed “offerte” concorrenti, Il Fallimentarista, Focus, 29.6.2015), nella quale il tribunale meneghino impose l'adozione di una procedura competitiva che portò a risultati assai migliori di quelli apprestati dal debitore scegliendosi la propria controparte.

Novella ispirata da nobili intenzioni: favorire con il meccanismo della procedura competitiva la massimizzazione del risultato per il ceto creditorio e per l'effetto, proprio in virtù del maggiore impegno posto dall'aggiudicatario nell'operazione, anche la migliore soluzione imprenditoriale per l'azienda.

Tali intenzioni, tuttavia, devono fare i conti con un elemento: il tempo. A ormai quattro anni dalla riforma occorrerebbe fare un bilancio dei pro e dei contra del nuovo regime, soprattutto in relazione ai tempi medi necessari a imbastire e portare a effetto una procedura competitiva, tra stima, pubblicità, due diligence e gara. Se emergesse, come temiamo potrebbe emergere, che tali tempi, nella media nazionale, sono eccessivi in rapporto all'esigenza di un'azienda tipo di avere rapidamente un nuovo conduttore, allora il problema della compatibilità tra monopolio regimale della gara e aspirazione alla salvaguardia del bene azienda si porrebbe in maniera assai acuta.

Ora, non è dato sapere se il Legislatore del codice della crisi abbia avuto a disposizione quei dati statistici che ci paiono fondamentali per legiferare in modo coerente con la realtà, ma per certo Esso sembra avere aperto importanti brecce nel muro della inderogabilità della procedura competitiva e soprattutto ha creato un sistema che fatalmente potrebbe finire con il cozzare con quello delle gare mettendolo, ne siamo certi, fortemente in crisi, a meno che la prassi giudiziaria non trovi, anche sulla scorta degli spunti che Legislatore ha apprestato, degli accomodamenti.

Cominciamo da questo secondo aspetto, che ci pare fondamentale.

La continuità indiretta e le sue implicazioni sul rapporto tra debitore e avente causa dell'azienda

Abbiamo accennato brevemente al contenuto dell'art. 84, che istituisce la figura della continuità aziendale indiretta. È necessario qualche maggiore approfondimento.

Il secondo comma dell'art. 84 vuole che il contratto, con cui viene disposto il trasferimento dell'azienda al terzo, contempli il mantenimento o la riassunzione di un numero di lavoratori pari ad almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il deposito del ricorso, per un anno dall'omologazione.

La continuità indiretta partecipa poi, “in quanto compatibile”, di una condizione che è propria anche della diretta: che l'attività di impresa sia funzionale ad assicurare il riequilibrio economico finanziario nell'”interesse prioritario dei creditori”, oltre che dell'imprenditore e dei soci. Da ciò discende che non dovrebbe mai accadere che dal concordato esca un imprenditore ricco sulle macerie che ha lasciato dietro di sé, ma che i frutti della ripresa dell'attività dovrebbero andare soprattutto ai creditori, in un gioco di equilibrio tra soddisfazione di questi e rafforzamento patrimoniale dell'impresa non facile da interpretare, ma che andrà ben tenuto presente dal giudice dell'ammissione e dell'omologa.

E ancora il terzo comma della norma in commento chiede che nel concordato in continuità anche indiretto, in cui vi siano anche elementi liquidatori – cosiddetto misto -, i creditori siano soddisfatti prevalentemente dal ricavato della continuità aziendale, inclusa la vendita del magazzino. Tale prevalenza è presunta quando i ricavi attesi dalla continuità per i primi due anni di attuazione del piano derivino da una attività di impresa alla quale sono addetti almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il momento del deposito del ricorso.

E ancora, ed è sempre il terzo comma, si vuole che a ciascun creditore sia assicurata “un'utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile” che può essere anche “rappresentata dalla prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o il suo avente causa”.

Ora, dinnanzi a queste condizioni così stringenti, si pone la questione della natura dei rapporti tra il debitore e l'avente causa. L'accesso e il mantenimento dei benefici del concordato in continuità indiretta dipendono infatti dal modo con il quale la coppia debitore e terzo si comporterà nelle fasi rilevanti della procedura, fino al compimento dell'esecuzione del concordato. Il terzo non ha una tangenza puntuale con il debitore. Infatti, a seguito dell'atto di trasferimento dell'azienda il terzo si potrebbe al più configurare come un debitore del prezzo o un soggetto onerato dal mantenimento di alcuni obblighi contrattuali – il cui mancato adempimento, tuttavia, non si riverbera in modo così invasivo sulla situazione del debitore –, ma al contrario si qualifica come un sodale del debitore lungo tutto il corso del concordato, nella creazione e nel mantenimento delle condizioni che consentono ad esso di andare ad effetto, pena la caduta del debitore nel gorgo della liquidazione giudiziale (Petrosillo, Ruggiero, L'obbligo di preservazione dei limiti occupazionali nel concordato in continuità indiretta, in Ilfallimentarista.it, 14.03.2019).

Siamo oggettivamente ai limiti dell'intuitu personae.

Come si concilia quindi l'istituto della continuità indiretta delineato dall'art. 84 e dalle norme a corredo con un sistema caratterizzato dall'utilizzo della procedura competitiva? In altri termini, alla luce dell'interesse preminente – smaccato, diremmo - del Legislatore per la continuità aziendale, interesse che schiaccia con minimi riguardi quello dei creditori alla massima soddisfazione pecuniaria, qual è la coerenza sistematica dell'imposizione della procedura competitiva con (i) l'interesse del debitore a scegliersi il suo associato nell'impresa del concordato in continuità, il cui esito infausto lo porterà alla liquidazione giudiziale e (ii) l'interesse a garantire una circolazione del bene azienda, pur così condizionata come vuole l'art. 84, che sia agile nei tempi e compatibile con l'esigenza che nelle more – e speriamo non nel limbo – della gara il valore dell'azienda, e forse l'azienda stessa, non svaporino.

In teoria tutto è possibile, anzi, si può pensare che l'art. 91 lasci ancora in mano debitore le redini del gioco predisponendo la piattaforma sulla quale dovranno posarsi le offerte competitive attraverso, ad esempio, la stipula di un contratto preliminare con una società di nuovo conio controllata da lui stesso, che si candidi ad acquistare o ad essere conferitaria dell'azienda con accollo di tutto o parte del debito. Ma questo scenario si concilia con una situazione nella quale il debitore “può aspettare” l'esperimento delle procedure di gara e non ha bisogno di un terzo genuino, che immetta da subito nel sistema nuove energie imprenditoriali e risorse finanziarie?.

In questo secondo caso, che non è detto che sia marginale, specie quando sono in crisi imprese di piccola dimensione che il mercato può inghiottire come navi nella tempesta, trovare un soggetto che sia disposto a fare da lepre per favorire un qualsiasi terzo “interessato” all'azienda sarà molto difficile.

Una possibile valvola di sfogo

In realtà, l'impianto che esce dal codice non sembra del tutto indifferente al tema del conflitto fra astratta massimizzazione del risultato della circolazione d'impresa e reale conservazione del valore dell'azienda.

Ci riferiamo a due norme che aprono un pertugio nel sistema chiuso del dogma delle procedure competitive.

Si tratta dell'art. 84, secondo comma, e dell'art. 94, ultimo comma.

Il primo consente al debitore, che voglia proporre un concordato in continuità indiretta, di affittare l'azienda anche prima della presentazione del ricorso che apre la procedura concordataria; il secondo consente al tribunale di autorizzare la cessione dell'azienda senza gara se vi è urgenza e quando il ritardo, inevitabilmente comportato dalla procedura competitiva, può compromettere “l'interesse dei creditori al miglior soddisfacimento”.

Si tratta di un combinato di norme che se correttamente interpretato può diventare eversivo dell'assetto attuale.

Infatti, l'art. 163-bis, ultimo comma,l. fall. prevede che la procedura competitiva trovi applicazione anche agli atti urgenti di straordinaria amministrazione che si devono compiere tra la presentazione della domanda e l'omologazione e che si estende anche all'affitto di azienda. Ed è communis opinio che la disciplina versata in questa norma sia “inderogabile” (Vitiello, Vendite concorsuali e offerte concorrenti: la fine dell'era delle proposte di concordato chiuse, Ilfallimentarista.it, 2.11.2015).

Invece l'art. 84 consente al debitore, nello spazio di totale autonomia gestionale che gli è proprio prima della presentazione della domanda, e senza dovere esperire gara, di affittare l'azienda al terzo che ha scelto come suo compagno di viaggio nel percorso che dovrà portarlo attraverso la procedura di concordato in continuità. In uno con questo affidamento, potrà stabilire i termini e le condizioni della cessione dell'azienda. Potrà poi chiedere al tribunale ai sensi dell'art. 94, sesto comma, allegando l'urgenza e il pregiudizio che ai creditori può derivare dalla procedura competitiva, di autorizzare senz'altro la cessione.

Tutto si giocherà sulla disponibilità delle Corti ad applicare in modo aperto e liberale questa coppia di norme, e, in specie, sull'interpretazione dei concetti di urgenza e di miglior soddisfazione.

Circa l'urgenza, si tratterà di calarsi nella situazione concreta data dall'oggettiva conformazione dell'azienda combinata con la prospettiva offerta dal terzo prescelto dal debitore, il quale, se già investito della gestione dell'azienda, ben potrà dare al suo impegno un termine breve, proprio per non fare da stampella alla procedura competitiva.

In termini generali l'urgenza dovrebbe esservi in ogni frangente nel quale il debitore non sia in grado di continuare da solo l'azienda così da almeno conservarne il valore che essa aveva al momento del ricorso e il tempo ne provochi un rapido decadimento, richiedendosi così un intervento “immediato e rapido”. Il che potrebbe accadere ogni volta che, aperta la crisi, i fornitori cessino di fornire, le banche ritirino i loro affidamenti, il personale e i collaboratori esterni migliori se ne vadano, i clienti cambino fornitore, il magazzino si deteriori per non essere collocato tempestivamente, e via discorrendo.

Notevole è che il criterio di giudizio previsto dal nuovo art. 94 affinché il tribunale possa autorizzare l'omissione della pubblicità e della procedura competitiva in caso di urgenza debba essere il “miglior” e non il “maggior soddisfacimento dei creditori. Migliore è quel soddisfacimento che avviene immediatamente senza attese gravide di rischi così da meglio assicurare ai lavoratori – che sono anche creditori - un posto certo, ai fornitori strategici la ripresa più celere dell'operatività commerciale, ai professionisti che hanno prestato la loro opera uno sbocco veloce al loro lavoro, al Fisco un quadro chiaro per la soddisfazione delle sue pretese e il riavvio di un cespite che dà gettito, ai creditori generici il poter fare conto su un bene, l'azienda, immediatamente messo in operatività secondo le linee del piano e via enumerando.

Utile sarà che il debitore offra al Tribunale una doppia valutazione: quella dell'azienda al momento della domanda di concordato e quella dell'azienda al momento in cui si potrà dar corso all'aggiudicazione al migliore offerente, secondo la complessa procedura delineata dall'art. 91. Massimizzare il prezzo di quel momento, infatti, può non voler dire conseguire il prezzo maggiore, se nel frattempo l'asset sottostante si è fortemente svalutato.

È da credere che se la giurisprudenza si attesterà su una visione aziendalistica del problema della conservazione del valore aziendale, le autorizzazioni ex art. 94 ultimo comma diverranno la norma e non l'eccezione e si potranno tempestivamente costruire salvataggi in continuità partendo da un affitto di azienda stipulato prima della domanda e in sua funzione corredato da un preliminare di compravendita di azienda il tutto condizionato all'autorizzazione del Tribunale entro un termine breve, autorizzazione di cui sarà prevedibile il rilascio al verificarsi di determinate pre-condizioni.

Conclusioni e un post scriptum

Il sistema che emerge dal codice della crisi di impresa in punto di continuità aziendale e di procedure competitive è radicalmente diverso dall'attuale.

I fattori di novità, al limite dell'eversione, sono più d'uno.

Anzitutto la definizione di continuità che schiaccia l'interesse dei creditori alla massimizzazione del loro risultato monetario. In secondo luogo, la nozione di continuità indiretta, che associa il terzo al debitore nella conduzione del piano che deve costituire e mantenere le condizioni della continuità, evitando la liquidazione giudiziale, sempre immanente.

I due fattori, cioè la poca importanza nel concordato in continuità per la soddisfazione pecuniaria dei creditori in rapporto al valore della continuità medesima, solidarietà del debitore e del terzo nella vicenda concorsuale, sembrano scardinare l'attuale impostazione della legge fallimentare che predilige la massimizzazione del prezzo dell'azienda (l'art. 91, quarto comma, prevede che il decreto del Tribunale che stabilisce le modalità di presentazione delle offerte concorrenti debba prevedere “l'aumento minimo del corrispettivo”).

Di qui la necessità di rinvenire nel sistema valvole di sfogo, che consentano di affrontare situazioni nelle quali le gare, con il loro corredo di adempimenti – si pensi ai tempi per la due diligence -, distruggano valore.

Ebbene, ve ne sono due.

La prima è la regola che consente di affittare l'azienda senza gara anche prima della domanda di concordato, purché in funzione di essa.

La seconda, e la più rilevante, è la disposizione, contenuta nell'art. 94, ultimo comma, che, in deroga al meccanismo della gara ribadito dal quinto comma, prevede che in “caso di urgenza” e quando pubblicità e procedure competitive possono compromettere “l'interesse dei creditori al miglior soddisfacimento” il Tribunale possa autorizzare l'immediata cessione dell'azienda.

Decisivo sarà il consenso che si formerà tra i commentatori e nella giurisprudenza sulla nozione di urgenza e di miglior (e non maggior) soddisfazione dei creditori.

Se l'interpretazione che si consoliderà sarà conformata all'esigenza aziendalistica di assicurare quanto prima all'azienda una conduzione salda, allora il sistema potrà trovare un suo equilibrio tra situazioni in cui il debitore non può aspettare ad affidare la gestione e la conseguente titolarità a un terzo, che egli si sia scelto e in cui viceversa l'azienda ha un tale grado di resilienza da poter resistere al passaggio concordatario, e quindi, ove il debitore non volesse agire in continuità diretta, ad essere messa sul mercato con le procedure dell'art. 91.

Se invece la giurisprudenza sarà avara nel concedere il requisito dell'urgenza allora si creerà un conflitto forte tra l'esigenza del debitore di trovare senza indugio una soluzione al tema della continuità indiretta e farraginosità del sistema, il cui esito sarà un impiego sub ottimale del concordato in continuità indiretta.

Onde evitare di dover attendere il lungo tempo di consolidamento di una posizione giurisprudenziale sarebbe auspicabile un intervento integrativo del Legislatore che spiegasse, ispirandosi alla scienza aziendale, cosa intende per caso di urgenza.

Ed ecco il post scriptum.

Volendo trarre dal ragionamento condotto spunti ulteriori, ci pare che il cozzo tra impianto della continuità indiretta e sistema delle gare debba portare a un ripensamento della questione della competitività nella circolazione dell'azienda. Fino ad ora, infatti, gli strumenti per garantire il perseguimento del massimo paretiano nelle procedure si sono concentrati sulle vicende endo-procedimentali. Ciò crea una forte turbativa al corso della procedura perché interferisce con il piano di azione concepito dal debitore, che fino a prova contraria è il soggetto più vicino alla situazione e il più interessato a che essa si risolva positivamente (principio di sussidiarietà).

Invece poca attenzione è stata concessa al piano delle proposte concorrenti, che agisce non all'interno del concordato, ma sul concordato nella sua totalità. È vero che il sistema conosce l'art. 163 l. fall., trasfuso nell'art. 90 del codice della crisi. Ma tale norma è rimasta fino a qui pressoché lettera morta (Sanzo, Burroni, Proposte concorrenti nel concordato: inquadramento normativo e primo caso pratico, in Ilfallimentarista.it, 2 agosto 2018; Rossi, Il difficile avvio delle proposte concorrenti nel concordato preventivo, Il Fallimento 1/2019). Tra le ragioni del mancato utilizzo di tale istituto si potrebbe altresì evidenziare la limitazione all'accesso alla procedura resa molto stringente dal requisito della titolarità di almeno il 10% del debito, che riduce drasticamente i papabili e taglia fuori gli operatori professionali e i concorrenti dell'impresa (che di solito non hanno crediti con essa). La competizione nella “circolazione del concordato”, eventualmente inibita dall'offerta di significative percentuali minime ai creditori chirografari, come oggi è, può risultare un meccanismo molto meno invasivo e disincentivante per i terzi – che l'art. 91 chiama “offerenti originari” - della competizione nella circolazione dell'azienda.

L'offerente (e contraente) originario infatti che fosse genuinamente interessato all'azienda e che fosse in accordo col debitore, col quale dovrebbe condividere il percorso di salvataggio che evita la liquidazione giudiziale, non sarebbe inibito fin dalla fase pre-concorsuale dall'impegnare rilevanti risorse manageriali e finanziarie per intervenire nella conduzione dell'impresa. Lo potrebbe fare senza timore di stare lavorando per terzi – creditori e concorrenti - come accade nello schema dell'art. 91. Perché infatti egli dovrebbe affittare l'azienda esponendo il suo nome, impegnarsi a comprarla a condizioni date, conservarne o addirittura incrementarne il valore, per poi dovere negoziare contro sé stesso nel caso in cui si scateni un'asta sull'asset? Né può essere considerato un rimedio il magrissimo indennizzo previsto dall'art. 91, ottavo comma (che assegna il rimborso delle spese e dei costi sostenuti per la formulazione dell'offerta entro il limite massimo del tre per cento del prezzo in essa indicato.). Questo terzo sarà tentato di aspettare di vedere come vanno le cose e decidere di conseguenza. Non è detto infatti che ciò che alla data di presentazione dell'offerta vale 100 alla data dell'asta non valga 70.

Diverso è il piano di gioco della “competizione per il concordato”. Esso si colloca a un livello superiore, dove la partita sarebbe, sì, solamente monetaria. Il debitore non avrebbe alcun problema a uscire dalla scena totalmente liberato dalle obbligazioni da parte di chi rilevasse il concordato. E il terzo, che ha avuto il ruolo di traghettare l'azienda, conservandone o incrementandone il valore, e che non ha ritenuto di pareggiare l'offerta del proponente, dovrebbe essere ricompensato per il suo lavoro con un indennizzo pari alle spese sostenute e a una quota, possibilmente non marginale, del maggior prezzo.

Si tratta di considerazioni che meritano un approfondimento specifico, basato sulle ormai sviluppate scienze comportamentali dei soggetti che partecipano a gare, e la cui esigenza è rinfocolata dal conflitto, che a noi pare stridente, tra l'impostazione del concordato in continuità indiretta e il sistema dell'art. 163-bis l. fall. che si perpetua nel contesto, ormai in parte estraneo, del codice della crisi attraverso l'art. 91.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario