Bancarotta. Il concorso del professionista nel reato

07 Marzo 2019

La questione che viene rimessa all'esame della Corte di legittimità è se, ai fini della configurabilità, in capo all'extraneus, del concorso nel reato di bancarotta, occorre avere riguardo al momento consumativo di tale fattispecie criminosa, coincidente con la dichiarazione di fallimento, oppure è necessario individuare quando sono stati posti in essere i singoli segmenti della condotta illecita da parte dell'intraneus.
Massima

Un comportamento postumo del terzo extraneus non è idoneo a configurare la fattispecie del concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale commesso dall'intraneus, dovendo la condotta del terzo essere anteriore o comunque concomitante a quella distrattiva dell'imprenditore fallito (o dell'amministratore della società fallita).

Il caso

Con un unico e articolato motivo, l'imputato proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa dalla Corte d'appello di Bologna, che confermava la condanna di primo grado inflittagli quale terzo extraneus nel delitto di bancarotta patrimoniale e documentale commesso dall'amministratore di diritto.

Il ricorrente, in particolare, denunciava violazione di legge in relazione all'art. 110 c.p. e agli artt. 216 e 223 legge fallimentare, nonché vizio di motivazione.

Secondo l'assunto fatto proprio dalla difesa dell'imputato, infatti, i giudici di secondo grado lo avevano ritenuto, tra l'altro, responsabile delle condotte distrattive poste in essere dall'amministratore sull'erroneo presupposto della riconducibilità di tutti i singoli segmenti delle diverse condotte, indipendentemente dal momento in cui gli atti erano stati compiuti, al momento consumativo del delitto di bancarotta fraudolenta, rappresentato dalla dichiarazione di fallimento.

Così facendo i giudici di secondo grado avevano attribuito al professionista anche le distrazioni operate dall'amministratore in un momento precedente all'assunzione dell'incarico professionale.

Tuttavia, ricordava il ricorrente, la disciplina del concorso dell'extraneus nel reato proprio dell'amministratore, postula che il primo abbia prestato la propria assistenza in una fase antecedente o concomitante, solo così potendo fornire il proprio contributo – materiale o morale – alla commissione delle condotte illecite contestate all'intraneus.

Le stesse considerazioni venivano invocate anche con riferimento alla contestata bancarotta documentale, posto che con riferimento alle condotte di soppressione e occultamento delle scritture contabili, il giudice di merito non era stato in grado di collocare temporalmente le stesse dopo l'assunzione dell'incarico da parte del professionista.

Infine, avuto riguardo all'unica condotta relativamente alla quale il prevenuto aveva prestato il proprio contributo, relativa alla cessione delle quote ed alla sostituzione dell'amministratore, il ricorrente lamentava che la stessa non aveva determinato alcuna conseguenza patrimoniale negativa in capo alla società.

La questione

La questione che viene rimessa all'esame della Corte di legittimità è se, ai fini della configurabilità, in capo all'extraneus, del concorso nel reato di bancarotta, occorre avere riguardo al momento consumativo di tale fattispecie criminosa, coincidente con la dichiarazione di fallimento, oppure è necessario individuare quando sono stati posti in essere i singoli segmenti della condotta illecita da parte dell'intraneus.

Le soluzioni giuridiche

I giudici della Corte di cassazione ritengono il ricorso fondato e perciò meritevole di accoglimento.

In particolare, ad avviso del Supremo Consesso il giudice di merito avrebbe errato nel ritenere configurato il concorso del professionista, anche con riferimento a quelle condotte distrattive commesse dall'amministratore in tempi precedenti all'incarico conferito al professionista, sul rilievo che l'apporto causale del ricorrente si era comunque collocato in un periodo precedente alla dichiarazione di fallimento, ritenendo dunque il comportamento dell'imputato un “segmento rilevante della condotta”.

La Corte territoriale aveva fatto malgoverno dei principi espressi dalla richiamata sentenza n. 30412 del 30 giugno 2011, che afferiva al diverso caso della causazione dolosa del fallimento.

Precisavano, a tale riguardo, i giudici di legittimità che nella fattispecie esaminata dalla pronuncia della stessa Sezione, l'addebito mosso agli imputati non atteneva a “singole azioni di impoverimento fraudolento”, bensì ad una “complessiva condotta foriera del dissesto”, sicché il principio espresso non era applicabile al caso concreto, avendo l'imputazione in esame ad oggetto singole condotte distrattive.

La Corte precisava, peraltro, che se è certamente vero che il momento consumativo del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale coincide con la dichiarazione di fallimento, non assumendo rilevanza – invece – il momento di compimento dell'atto antidoveroso, è pur sempre vero che rappresentando la dichiarazione di fallimento un provvedimento giurisdizionale che si colloca al dì fuori della sfera di azione dell'autore dell'atto distrattivo, l'individuazione di tale momento ai fini della consumazione del delitto in parola non può portare alle “estreme e fuorvianti conseguenze” di ritenere configurato il concorso dell'extraneus nelle condotte precedenti poste in essere dall'intraneus, i cui effetti potevano già ritenersi esauriti.

Da ciò conseguiva, secondo quanto stabilito dalla Suprema Corte, che la circostanza che la condotta dell'extraneus si collochi in epoca antecedente alla dichiarazione di fallimento, ed abbia lo scopo di rendere irreversibili gli effetti di un atto distrattivo, non consente di ritenere sussistente la fattispecie concorsuale, che non è configurabile in ragione del già intervenuto esaurimento dell'atto distrattivo dell'intraneus.

In conclusione, il comportamento postumo del terzo estraneo non può configurare la fattispecie del concorso con il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale commesso dall'amministratore, dovendo la condotta del terzo essere anteriore o quantomeno concomitante a quella distrattiva.

Nel caso sottoposto all'esame del Supremo Consesso, le condotte compiute dal professionista, segnatamente la cessione delle quote e la trasformazione della società fallita, attuate al fine di ritardare la dichiarazione di fallimento, erano successive alle distrazioni poste in essere dall'amministratore, senza alcun previo concerto e senza alcun contributo – neppure morale – da parte del professionista.

Pertanto non poteva ascriversi alcuna responsabilità in capo all'extraneus per tali condotte distrattive e, per le medesime ragioni, per quelle di bancarotta documentale.

La Corte, per le ragioni esposte, annullava senza rinvio la sentenza impugnata, in quanto il fatto, così come contestato, non sussisteva.

Osservazioni

I giudici di legittimità, con la sentenza in commento, fanno esemplare applicazione dei principi generali espressi in tema di concorso di persone nel reato.

Sebbene, come noto, il titolo del concorso di persone nel reato eviti di specificare cosa sia il concorso e quando si realizzi, la dottrina e la giurisprudenza si sono ampiamente preoccupate di salvaguardare il principio di legalità e soprattutto di tassatività o determinatezza della fattispecie penale.

Avendo il sistema normativo degli artt. 110 e ss. c.p. adottato il modello delle pari responsabilità o modello unitario, è stato necessario effettuare una tipizzazione causale dell'illecito, riconducendo alla fattispecie concorsuale tutte quelle condotte eziologicamente legate all'evento lesivo.

Dunque, contro il pericolo di un'eccessiva dilatazione della responsabilità a titolo di concorso, sono stati definiti i requisiti di tipicità al ricorrere dei quali può essere riconosciuta una responsabilità al soggetto non autore della condotta tipica, a titolo di concorso nel reato.

Perché un soggetto risponda, ex art. 110 c.p., della commissione di un reato è necessario che abbia apportato un contributo personale alla realizzazione dello stesso.

In dottrina sono emersi, a riguardo, diversi orientamenti per stabilire i criteri di imputazione della responsabilità del complice, che hanno visto contrapporsi, da un lato, la teoria causale-condizionalistica, dall'altro quella della causalità agevolatrice o di rinforzo e, infine, quella della prognosi postuma.

Solo quest'ultima, come noto, è stata accolta dalla giurisprudenza, secondo la quale ricade nella fattispecie concorsuale la condotta del partecipe che appare ex ante idonea ad agevolare la commissione del reato, accrescendone le probabilità di realizzazione; reputandosi sussistente il concorso ogniqualvolta, secondo un giudizio ex post, l'agente abbia fornito un contributo necessario al reato - avendo creato una condicio sine qua non, o avendo semplicemente facilitato la realizzazione del fatto, che sarebbe ugualmente stato commesso ma con una maggiore difficoltà o perdita di tempo.

Facendo corretta applicazione dei principi sopra esposti, la Corte, nella pronuncia che qui si commenta, ha chiarito che, seppur la consumazione del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale si cristallizza con la declaratoria di fallimento, occorre, tuttavia, avere riguardo all'esatta individuazione del momento consumativo delle condotte contestate al fine di valutare l'apporto eventualmente dato dal terzo estraneo.

Pertanto, se considerata la corretta individuazione temporale delle condotte, risulta che l'extraneus non abbia prestato alcun contributo materiale alla realizzazione dell'evento, né alcuno di naturale morale, quale il rafforzamento o la determinazione del proposito criminoso dell'amministratore, al primo non potranno essere ascritte tali condotte, ai sensi dell'art. 110 c.p.

Del resto, nella vicenda esaminata dal Supremo Consesso, le condotte poste in essere dal professionista, successivamente alle distrazioni compiute dall'amministratore, non avevano in alcun modo agevolato o facilitato queste ultime, essendo, l'imputato, intervenuto quando queste erano già del tutto esaurite.

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