Non detraibilità dell'indennità di mobilità in caso di nullità della cessione d'azienda o di ramo di essa

Sabrina Apa
25 Ottobre 2019

Per la Corte di legittimità infatti – secondo un principio recentemente affermato dalla stessa Corte - le somme percepite dal lavoratore a titolo d'indennità di mobilità non possono essere detratte da quanto egli abbia ricevuto per il mancato ripristino del rapporto ad opera del cedente...

Il caso. La Corte d'appello di Napoli aveva rigettato l'appello proposto da Telecom Italia s.p.a. avverso la sentenza di primo grado che ne aveva respinto l'opposizione al decreto con il quale lo stesso Tribunale (di Napoli) le aveva ingiunto il pagamento della somma di Euro 2.233,79, in favore di G.R. a titolo di retribuzione del mese di febbraio 2013, in conseguenza del mancato ripristino del rapporto ordinato dalla sentenza del Tribunale di Napoli del 26 ottobre 2009 n. 25877, di accertamento dell'illegittimità del trasferimento, con decorrenza dal 1 marzo 2003, di ramo d'azienda (cui il lavoratore era addetto) dalla predetta società a TNT Logistics Italia s.p.a., alle cui dipendenze egli aveva lavorato fino al gennaio 2012.

Avverso tale sentenza la società ha proposto ricorso per cassazione con due motivi.

Sul vizio di extrapetizione. La ricorrente ha anzitutto dedotto la nullità della sentenza per violazione dell'art. 112, c.p.c., per vizio di extrapetizione non essendosi la Corte territoriale limitata "ad interpretare la domanda giudiziale di controparte" ma avendone operato "una totale trasmutazione", qualificando la domanda come risarcitoria benché esplicitamente proposta dal lavoratore per l'adempimento datoriale di corresponsione dello stipendio mensile, e pertanto a titolo retributivo (primo motivo).

Non detraibilità dell'indennità di mobilità in caso di nullità della cessione d'azienda o di ramo di essa. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1223, 1256, 1453, 1463 c.c., per la negata sottrazione, alla stregua del principio di "compensatio lucri cum damno", dell'indennità di mobilità percepita dal lavoratore per la sua natura previdenziale, invece detraibile non rilevando la natura retributiva o assistenziale delle somme percepite e diverso essendo il caso del licenziamento illegittimo (in riferimento al quale si esclude la computabilità nell'aliunde perceptum delle somme erogate a titolo assistenziale, da restituire all'Ente previdenziale) da quello dell'asserito inadempimento datoriale alla ricostituzione del rapporto di lavoro (secondo motivo).

I giudici della Cassazione, in applicazione del principio della "ragione più liquida", desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., secondo cui la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, avviano l'esame dal secondo motivo e lo ritengono infondato.

Per la Corte di legittimità infatti – secondo un principio recentemente affermato dalla stessa Corte - le somme percepite dal lavoratore a titolo d'indennità di mobilità non possono essere detratte da quanto egli abbia ricevuto per il mancato ripristino del rapporto ad opera del cedente a seguito di dichiarazione di nullità della cessione di azienda o di ramo di essa: posto che detta indennità opera su un piano diverso dagli incrementi patrimoniali che derivino al lavoratore dall'essere stato liberato, anche se illegittimamente, dall'obbligo di prestare la sua attività, dando luogo la sua eventuale non spettanza ad un indebito previdenziale, ripetibile nei limiti di legge.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso.

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