La pignorabilità del reddito di cittadinanza: un problema aperto
28 Ottobre 2019
I crediti non pignorabili
In difetto di un'esplicita normativa ci sembra necessario muovere dalla normativa di riferimento, vale a dire dall'art. 545 c.p.c. secondo cui sono impignorabili: i crediti alimentari (salva l'ipotesi in cui il credito del procedente abbia natura alimentare e sempre che il presidente del tribunale o un giudice da lui delegato abbia preventivamente autorizzato il suddetto pignoramento), i sussidi di maternità e per malattie (o funerali) da casse di assicurazione e quelli di sostentamento a persone comprese nell'elenco dei poveri. Per vero, la finalità perseguita dall'art.545 c.p.c. è, come noto, la tutela del debitore che versa in condizioni di bisogno e, quindi, di particolare vulnerabilità, impedendo o limitando, il pignoramento del credito. Al pignoramento delle somme percepite dal debitore a titolo di stipendio o di salario (ovvero altre indennità che originano dal rapporto d'impiego, incluse quelle dovute a causa di licenziamento quelle, ad esempio, determinate dalla cassa integrazione, come pure l'indennità di disoccupazione) sono poi dedicati i commi terzo, quarto e quinto dell'art. 545 c.p.c. In lineagenerale, in queste ipotesi, il limite alla pignorabilità è determinato dal quarto comma dell'art. 545 c.p.c., per il quale si tratta di somme pignorabili nella misura di un quinto (dell'importo netto corrisposto periodicamente al lavoratore). Non mancano però le eccezioni. Ed infatti, a norma del terzo comma dell'art. 545 c.p.c. lo stipendio è pignorabile, nella misura autorizzata dal presidente del tribunale, o da un giudice da lui delegato, ogni volta che il credito portato ad esecuzione abbia natura alimentare. È appena il caso di notare che manca l'individuazione di una soglia massima per la pignorabilità; con ogni probabilità la circostanza che sia affidata direttamente al presidente del tribunale (e non al giudice dell'esecuzione) l'autorizzazione al pignoramento (oltre il limite normativamente previsto), pone l'attenzione sulla singola fattispecie e sul contemperamento dell'esigenza del lavoratore a condurre una vita dignitosa e quella, contraria, del creditore che vantano un credito avente natura alimentare. Altra eccezione è stabilita dal quinto comma dell'art. 545 c.p.c. in forza del quale il simultaneo concorso di diverse cause di credito (di natura tributaria, alimentari, ecc.) non può mai eccedere il limite massimo della metà dello stipendio. Discorso a parte va fatto per gli ultimi commi introdotti nell'art. 545 dal d.l. n. 83/2015 (convertito con l. n. 132/2015). In particolare, il comma settimo disciplina il pignoramento della pensione, consentito solo per un quinto della parte eccedente un importo pari all'assegno sociale aumentato della metà. Il comma ottavo ha ad oggetto il pignoramento del conto corrente bancario o postaleusato per l'accredito dello stipendio o della pensione: gli importi ivi depositati possono essere assegnati nella misura eccedente il triplo dell'assegno sociale; le somme, invece, confluite sul conto successivamente alla notifica del pignoramento e fino al momento dell'assegnazione patiscono i limiti previsti per la pignorabilità dello stipendio o della pensione (e, dunque, per le somme percepite a titolo di stipendio, c'è il limite di un quinto dell'accredito effettuato, per le somme percepite a titolo di pensione, il limite è di un quinto di quanto eccede un importo pari all'assegno sociale aumentato della metà). L'ultimo comma dell'art. 545 c.p.c., prevede infine che il pignoramento effettuato oltre i suddetti limiti è inefficace, con conseguente attribuzione in capo al giudice dell'esecuzione di rilevarla anche d'ufficio. Resta da dire, e non sembra una disposizione d'importanza marginale, che l'art. 545, comma 6, c.p.c. rinvia, per ulteriori ipotesi di impignorabilità dei crediti, a speciali disposizioni di legge. È il caso, tra molti, dell'art. 19-bis,d.l. n. 132/2014, convertito dalla l. n. 162/2014, che al primo comma, dispone l'impignorabilità delle «somme a disposizione dei soggetti di cui all'art. 21, comma 1, lettera a), della Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, fatta a New York il 2 dicembre 2004, di cui alla legge 14 gennaio 2013, n. 5, depositate su conti correnti bancari o postali, in relazione ai quali il capo della rappresentanza, del posto consolare o il direttore, comunque denominato, dell'organizzazione internazionale in Italia, con atto preventivamente comunicato al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e all'impresa autorizzata all'esercizio dell'attività bancaria presso cui le medesime somme sono depositate, ha dichiarato che il conto contiene esclusivamente somme destinate all'espletamento delle funzioni dei soggetti di cui al presente comma». Altra ipotesi speciale di impignorabilità riguarda i crediti della p.a. (v. ad es. l'art. 11, d.l. n. 8 del 1993). La natura del reddito di cittadinanza
Il primo comma dell'art. 1 del d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, contiene un'ampia definizione del reddito di cittadinanza, intesa quale «misura fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro, di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all'esclusione sociale, nonché diretta a favorire il diritto all'informazione, all'istruzione, alla formazione e alla cultura attraverso politiche volte al sostegno economico e all'inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro». In sintesi: il reddito di cittadinanza - seppure integri in concreto un rimedio alla povertà - non sembra costituire un sussidio per il sostentamento a favore dei poveri, trattandosi invece di una misura di politica attiva del lavoro. La funzione principale del reddito di cittadinanza ci sembra, a prima lettura, quella di sostenere i beneficiari durante la ricerca di un'occupazione. La migliore riprova di tale assunto viene dall'esame del dato normativo. Tant'è vero che: a) il comma terzo dell'art. 2 della nuova disciplina stabilisce che non hanno diritto al reddito di cittadinanza i nuclei familiari che hanno tra i componenti soggetti disoccupati a seguito di dimissioni volontarie nei dodici mesi successivi alla data delle dimissioni, fatte salve le dimissioni per giusta causa; b)il comma 4 dell'art. 4 prevede l'obbligo della dichiarazione d'immediata disponibilità al lavoro da parte dei componenti maggiorenni del nucleo familiare e l'adesione ai percorsi di accompagnamento all'inserimento lavorativo; chi è completamente inabile al lavoro non può percepire il Reddito di cittadinanza; c) per il comma 6 della medesima disposizione qualora il richiedente non abbia già presentato la dichiarazione di immediata disponibilità, deve renderla all'atto del primo incontro presso il centro per l'impiego e, in questa sede, sono individuati eventuali altri componenti esonerati dagli obblighi ai sensi del comma 3, fatta salva la valutazione di bisogni sociali o socio-sanitari connessi ai compiti di cura. Nel caso in cui il richiedente versi in una delle condizioni di esclusione o esonero dagli obblighi, di cui ai commi 2 e 3, comunica tale condizione al centro per l'impiego e contestualmente individua un componente del nucleo (tra quelli che non si trovino in una delle condizioni di esclusione o esonero) perché si rechi al primo incontro presso il centro per l'impiego medesimo. In ogni caso, nei trenta giorni successivi al primo incontro, la dichiarazione d'immediata disponibilità̀ è resa da tutti gli altri componenti che non si trovino in una delle condizioni di esclusione o esonero dagli obblighi, cui s'è fatto cenno. Alla luce delle superiori considerazioni, ci sembra da escludere che il beneficio in questione possa considerarsi assistenziale (e quindi assolutamente impignorabile), né essere assimilato ad un reddito di tipo previdenziale (pignorabile con il limite del minimo vitale); di contro per le ragioni sopra esposte il reddito di cittadinanza ci sembra presenti natura analoga a quella propria delle somme percepite a titolo di stipendio o di salario e, quindi, pignorabile nei limiti di un quinto (dell'importo netto corrisposto periodicamente al beneficiario). La pronuncia n. 3981/2019 della Corte di cassazione
Per completezza occorre, da ultimo, tenere conto di una recente decisione della Suprema Corte che ha stabilito un principio alquanto piano riassumibile nei seguenti termini: in caso di azioni esecutive proposte nei confronti del Ministero della Giustizia per condanne relative alla durata irragionevole del processo, il divieto di pignorabilità dei fondi destinati al pagamento degli emolumenti di qualsiasi tipo dovuti al personale ex art. 1-ter del d.l. n. 143/2008, conv. in l. n. 181/2008, pur comprendendo gli oneri accessori contributivi e fiscali sul singolo compenso dovuto a ciascun lavoratore, così come la quota del predetto compenso da versare direttamente allo Stato (o ad altri eventuali enti impositori) quale sostituto di imposta, non si estende ai fondi destinati al pagamento dell'IRAP. Di là dal principio di diritto ora riportato, nella motivazione si chiarisce che le disposizioni sui divieti di pignorabilità costituiscono norme eccezionali rispetto al principio generale della responsabilità patrimoniale di cui all'art. 2740 c.c. (principio valido anche per le p.a., salvo singole e specifiche deroghe normative), sono di stretta interpretazione e la loro applicazione è limitata alle ipotesi espressamente previste. A voler aderire, dunque, a questa rigorosa interpretazione si deve concludere nel senso che, in mancanza di specifiche indicazioni contrarie, il reddito di cittadinanza sia interamente pignorabile.
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