Demansionamento e riorganizzazione aziendale

Marta Filippi
28 Ottobre 2019

Non costituisce demansionamento, ai sensi dell'art. 2103, c.c., l'adibizione di un lavoratore a mansioni in parte inferiori rispetto a quelle svolte precedenti, nel caso in cui la società datrice di lavoro provi l'esatto adempimento degli obblighi di cui al medesimo art. 2103, c.c. ovvero, in alternativa...
Massima

Non costituisce demansionamento, ai sensi dell'art. 2103, c.c., l'adibizione di un lavoratore a mansioni in parte inferiori rispetto a quelle svolte precedenti, nel caso in cui la società datrice di lavoro provi l'esatto adempimento degli obblighi di cui al medesimo art. 2103, c.c. ovvero, in alternativa, l'impossibilità dell'adempimento derivante da causa a lui non imputabile, ai sensi dell'art. 1218, c.c., in tema di obbligazioni contrattuali. Ne consegue, che a fronte del rifiuto opposto dal lavoratore di svolgere attività equivalenti a quelle precedentemente poste in essere presso siti diversi dalla sede aziendale, nell'ambito di una ristrutturazione aziendale con riduzione di specifiche posizioni lavorative, è legittima l'assegnazione dello stesso a mansioni anche in parte inferiori.

Il caso

A seguito della richiesta di una lavoratrice di veder accertato il proprio demasionamento, con contestuale condanna al risarcimento del danno, in quanto da addetta al supporto vendita era stata adibita al servizio di call center costumecare 187 a seguito di una riorganizzazione aziendale al cui esito la società aveva deciso di ridurre il personale addetto alla vendita, facendo salva esclusivamente una posizione, si esprimeva la Corte d'appello di Brescia con sentenza di rigetto delle domande azionate.

Secondo il giudice di secondo grado, infatti, dall'istruttoria compiuta nel corso del giudizio presso il Tribunale era emerso che nell'ambito di una riorganizzazione aziendale si era deciso di limitare ad una sola la figura di addetto alla vendita nell'area di Brescia e che contestualmente era stata offerta alla lavoratrice la possibilità di scelta tra due posizioni di addetta al supporto alla vendita di cui una presso la sede di Milano e l'altra di venditrice presso il negozio aziendale unificato di Brescia, entrambe rifiutate dalla lavoratrice. Inoltre, rilevava la Corte di seconda istanza come la scelta del lavoratore da mantenere nella sola posizione di supporto alla vendita era avvenuta senza violazione dei canoni di buona fede e correttezza e pertanto non essendo irrazionale non era sindacabile poiché basata su competenze ed esperienze pregresse acquisite dal lavoratore prescelto.

Avverso tale decisione la lavatrice decideva, infine, di proporre ricorso per Cassazione affidandosi a tre motivi di censura tutti disattesi dalla Corte di legittimità.

La questione

La questione giuridica sottesa alla presente controversia deve essere individuata nella possibilità di considerare l'adibizione di un lavoratore a mansioni inferiori in termini di demansionamento, e pertanto in violazione dell'obbligo di cui all'art. 2103, c.c., nell'ipotesi in cui all'interno di una riorganizzazione aziendale vengano meno le posizioni lavorative precedentemente occupate ed al contempo il lavoratore rifiuti lo svolgimento di attività equivalenti presso siti diversi.

Il cuore della questione va, infatti, individuato nella prova dell'esatto adempimento agli obblighi discendenti dall'art. 2013 c.c, norma che prevede l'assegnazione del lavoratore alla mansioni per le quale viene assunto e il contestuale divieto di adibizione del lavoratore a mansioni inferiori, seppur nella versione riformulata post 2015 ammette specifiche eccezioni controbilanciate tuttavia da precisi obblighi ricadenti in capo al datore di lavoro e limiti legali.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione al fine di risolvere la questione giuridica posta alla base della presente fattispecie analizza in primo luogo il testo dell'art. 2103, c.c., affermando come il demansionamento costituisca un inesatto adempimento dell'obbligo gravante sul datore di lavoro ai sensi della citata norma. Per tale motivo, proseguono gli ermellini, incombe su di lui l'onere di provarne l'esatto adempimento oppure l'impossibilità dell'adempimento derivante da causa a lui non imputabile, ai sensi dell'art. 1218, c.c. Ne consegue che il rifiuto opposto dalla lavoratrice di accettare le due posizioni di lavoro offerte dalla società deve ritenersi valido elemento di esonero dalla responsabilità per l'inadempimento.

Prosegue poi il giudice di legittimità, anche alla luce dei principi suesposti, osservando come la valutazione della corte territoriale avesse permesso di ricondurre le nuove mansioni attribuite alla dipendente al medesimo livello di appartenenza e giustificato l'adibizione a mansioni in parte differenti e più semplici sulla base dell'assenza di precedenti esperienze lavorative e sulla mancanza di ulteriori posizioni lavorative.

Allo stesso modo per gli ermellini non possono trovare accoglimento gli ulteriori motivi di censura ed in particolare la mancata valutazione da parte della Corte d'appello dell'indicazione da parte della lavoratrice dell'esistenza di ulteriori posizioni da venditrice, in quanto allegate tardivamente nel corso del giudizio di secondo grado e quello relativo alla decisione da parte del giudice di seconde cure di non sindacare la decisione di assegnare l'unico posto da addetto alla vendite ad altro lavoratore, in violazione del principio di buona fede. Su tale ultimo punto la Corte di cassazione risponde affermando come tale richiesta rappresenti una rivalutazione di una decisione avente ad oggetto una questione di merito e pertanto preclusa in sede di giudizio di legittimità.

Osservazioni

Non si può non osservare come la Corte di cassazione nell'ordinanza in esame abbia correttamente impostato la problematica in esame. Se il demansionamento altro non è che l'inadempimento agli obblighi imposti al datore di lavoro ex art. 2103, c.c., la proposta formulata al lavoratore di adibizione a mansioni equivalenti presso altre sedi, nell'ambito di una riorganizzazione aziendale, costituisce certamente prova di una assenza di inadempimento datoriale.

Il demansionamento consiste, infatti, nell'assegnare il lavoratore a mansioni inferiori a quelle per le quale lo stessi è assunto. Per mansioni inferiori prima della riforma operata dal d.lgs. n. 81 del 2015, andavano considerate quelle che comportavano una minore adozione delle capacità lavorative acquisite dal lavoratore e del suo bagaglio professionale, mentre nella versione novellata, venuto meno il giudizio di professionalità, ai fini dell'equivalenza occorre valutare l'inserimento nel medesimo livello delle varie mansioni sulla base della declaratoria della contrattazione collettiva. Ebbene, in particolare a seguito della novella che ha riscritto l'art. 2103, c.c., la possibilità di demansionamento è esplicitamente prevista proprio in ipotesi di ristrutturazione aziendale fermo il limite del mantenimento della categoria legale.

Tuttavia, la Cassazione evitando di affrontare il tema dell'efficacia temporale dell'art. 2103, c.c., relativamente ai demansionamenti iniziati prima dell'intervento della riforma renziana, tema su cui si erano inizialmente contrapposte due diverse correnti giurisprudenziali (cfr. Tribunale di Roma, sez. lav., 7 novembre 2017, n. 8982, contro Tribunale di Ravenna, sez. lav., 22 settembre 2015, n. 174), esamina il problema sotto un altro punto di vista, approcciando al demansionamento in termini di inadempimento contrattuale attraverso una lettura strettamente connessa ai canoni ed ai principi civilistici. Va comunque osservato come già prima della riforma del 2015 la giurisprudenza maggioritaria fosse orientata nell'ammettere la legittimità dell'adibizione a mansioni inferiori a fronte della perdita del posto di lavoro. In tal caso la Corte va leggermente oltre affermando non tanto l'ammissibilità del dimensionamento quanto proprio la sua insussistenza.

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