Concordato nella liquidazione giudiziale (CCII)

29 Ottobre 2024

Il documento sul concordato nella liquidazione giudiziale, regolato dal codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (artt. 240-250 c.c.i.i.), viene aggiornato alle novità del Correttivo-ter (d.lgs. n. 136/2024)

Inquadramento

Il concordato nella liquidazione giudiziale, così come delineato dal legislatore del Codice della crisi e dell'insolvenza al Capo VI, artt. 240-250, d.lgs. n. 14/2019, come da ultimo integrato con d.lgs. n. 136/2024 (cd. Correttivo-ter), ricalca, nel suo complesso, la struttura del “vecchio” concordato fallimentare, disciplinato dagli artt. 124-141 l. fall.

Quanto sopra sia in termini di presentazione ed esame della proposta concordataria, sia in termini di procedimento, esecuzione ed omologazione della procedura, sia, infine, in termini di risoluzione ed annullamento della medesima.

Allo stesso modo, non sono mutate con il Codice della crisi né la finalità, né la natura del concordato: tale istituto, collocato all'interno della procedura concorsuale maggiore – e, dunque, privo di quel carattere d'autonomia che contraddistingue il concordato preventivo –, mira alla chiusura della liquidazione giudiziale, in modo alternativo rispetto alle altre cause di cessazione del concorso, come previste dall'art. 233 CCI.

E tuttavia, il concordato, in questo quadro sostanzialmente “replicativo” (così, F. Lamanna, Il nuovo Codice della crisi e dell'insolvenza (III), Milano, 2019, 117), presenta una serie di interessanti novità rispetto al “vecchio” concordato fallimentare.

Le principali novità possono essere così sintetizzate:

  • ove l'iniziativa concordataria sia riconducibile al debitore, la proposta è ammissibile solo se sia previsto l'apporto di risorse che incrementino l'attivo concorsuale in una misura pari ad almeno il dieci per cento (art. 240, comma 1);
  • le ipotesi di esclusione dal diritto di voto sono estese al convivente del debitore, a colui che sia parte di un'unione civile tra persone dello stesso sesso, ai creditori che si trovino in una situazione di conflitto d'interessi (art. 243, comma 5);
  • qualora l'iniziativa concordataria muova dal creditore, da società dallo stesso controllate, da società controllanti o da società sottoposte a comune controllo, il creditore esercita il voto se la proposta ne preveda l'inserimento in un'apposita classe (art. 243, comma 6;
  • in caso di società emittente obbligazioni o strumenti finanziari, il curatore non è tenuto a comunicare la proposta agli organi deputati alla convocazione delle rispettive assemblee, ai fini dell'esercizio del voto (art. 241 c.c.i.i., che non riproduce la norma già prevista dall'art. 125, comma 4, l. fall.);
  • qualora la società in liquidazione giudiziale abbia emesso obbligazioni o strumenti finanziari che rientrino nell'ambito della proposta concordataria, la medesima deve prevedere l'inserimento dei portatori di tali titoli in un'apposita classe (art. 240, comma 3);
  • se la proposta prevede la soddisfazione non integrale dei creditori prelatizi, il confronto con i prevedibili esiti della liquidazione giudiziale avviene in base al valore di mercato dei beni/diritti sui quali sussista la prelazione, al netto del presumibile ammontare delle relative spese di procedura, nonché della quota parte delle spese generali (art. 240, comma 4)
  • opera, anche nell'ambito del concordato nella liquidazione giudiziale, l'istituto del cram down anche in caso di crediti fiscali/contributivi secondo lo schema previsto per il concordato preventivo (art. 245, comma 5, come modificato dal Correttivo-ter).  

Funzione e natura del concordato

Se, come ricordato, con il Codice della crisi non sono variate la funzione, né la natura del concordato, entrambi tali elementi sono stati comunque “rivisitati” rispetto al r.d. n. 267/1942, come riformato a partire dagli anni 2005-2006.

Riforma sin da allora ispirata, riprendendo le parole della relazione di accompagnamento al d.lgs. n. 5/2006, ad «una maggiore sensibilità verso la conservazione delle componenti positive dell'impresa (beni produttivi e livelli occupazionali)».  

L'impresa ha dunque assunto un valore a sé stante, meritevole di conservazione, indipendentemente dal dissesto dell'imprenditore, sempreché la circolazione dell'azienda sia idonea a tutelare gli interessi dei creditori sociali, valore imprescindibile, quest'ultimo, cui resta pur ancorata la procedura concorsuale.

L'impresa, anche in un'ottica concorsuale, è vista, così, «non più come mera proprietà privata, ma come realtà dinamica che costituisce punto d'incontro di interessi e diritti soggettivi estranei alla proprietà» (S. Scarafoni, Concordato fallimentare, in A. Caiafa (a cura di), Le procedure concorsuali, II, Padova, 2011, 1100).

In questo quadro, il concordato fallimentare è passato dall'essere una mera modalità, alternativa, di chiusura della procedura, azionabile – in vigenza dell'originaria formulazione ex art. 124 l. fall. – dal solo debitore, ad uno strumento, alternativo, di “gestione” della liquidazione del patrimonio dell'imprenditore, proponibile, in ogni momento, dai creditori e dai terzi.

I quali hanno una corsia “preferenziale” rispetto al debitore: quest'ultimo, infatti, può attivarsi per l'iniziativa concordataria solo qualora sia decorso un anno dall'apertura della procedura (solo dunque ove non vi siano state precedenti iniziative andate a buon fine da parte dei creditori o terzi), e non oltre il biennio dal decreto di esecutività dello stato passivo.

Il “nuovo” concordato, come delineato dal d.lgs. n. 5/2016, ha quindi allentato il tradizionale vincolo che legava l'imprenditore all'impresa, divenendo uno strumento - “contendibile” - di circolazione sul mercato del complesso produttivo, nell'interesse dei creditori.

Quanto alla natura del concordato fallimentare, la riforma del 2006 non sopì invero l'annoso dibattito, dagli accentuati tratti dogmatici.

Da una parte, la teoria cd. contrattualistica: il concordato ha valenza di negozio giuridico, per quanto sui generis, sottoposto alla condizione dell'omologazione da parte del tribunale (v., fra gli altri, S. Satta, Diritto fallimentare, Padova, 1966, 316).

Dall'altra, la teoria cd. pubblicistica, seguita dalla giurisprudenza della Suprema Corte (v. Cass. Civ., Sez. I, 23 aprile 1980, n. 2655): l'omologazione si pone quale elemento costitutivo del concordato, assorbendo, sotto il profilo della fonte, gli accordi fra le parti (si veda, in dottrina, R. Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, Milano, 1974, 1789).       

Se, da un lato, la riforma del 2006 ha accentuato l'elemento negoziale del concordato, consentendo l'adozione di schemi “aperti”, ed insieme attenuando il potere d'intervento dell'autorità giurisdizionale, dall'altro, ne ha mantenuto i tratti marcatamente “processualistici” (maggioranza qualificata vincolante, limitazione degli strumenti di tutela giurisdizionale, sindacato del tribunale sui profili di legittimità della proposta).

La ricordata riforma ex d.lgs. n. 5/2006 non sembra dunque aver sancito la supremazia dell'una tesi sull'altra, avendo piuttosto tracciato una via “intermedia”, che si fonda – in sostanza – sull'adozione di schemi dalla natura privatistica finalizzati alla gestione di interessi dalla rilevanza (tuttora) pubblicistica.

In senso conforme, in dottrina, si vedano, M. Fabiani, Contratto e processo nel concordato fallimentare. Torino, 2009, 78 ss.; E. Frascaroli, Il concordato fallimentare, in A. Didone (a cura di), Le riforme delle procedura concorsuali, Milano, 2006, 1259 ss.

La proposta di concordato

Il primo comma dell'art. 240 c.c.i.i., in conformità all'art. 124 l. fall., prevede che una volta che il tribunale abbia dichiarato aperta la liquidazione giudiziale, i creditori ovvero i terzi possono proporre un concordato.

La proposta di concordato è presentata con ricorso da indirizzarsi al giudice delegato cui è demandata la relativa delibazione; è obbligatoria la difesa tecnica ex art. 40, comma 2, c.c.i.i., 

La proposta può essere presentata anche prima che lo stato passivo sia reso esecutivo, a condizione che il debitore abbia tenuto (rectius, conservato) le scritture contabili, sempreché le stesse, unitamente ad ogni altra informazione disponibile, consentano al curatore di predisporre l'elenco provvisorio dei creditori, da sottoporre all'approvazione del giudice delegato.

La “condizione” della tenuta della contabilità deve interpretarsi in senso sostanziale: rileva, cioè, ogni elemento informativo sufficientemente chiaro da consentire al curatore di predisporre l'elenco provvisorio dei creditori.    

Quanto sopra è confermato dalla relazione di accompagnamento al d.lgs. n. 14/2019: «la proposta può esser formulata anche prima che lo stato passivo sia stato reso esecutivo, a condizione che sia stata tenuta dal debitore una contabilità che, unitamente alle informazioni che può assumere, consenta al curatore di predisporre un elenco provvisorio di creditori dotato di un grado di affidabilità idoneo a farlo approvare dal giudice delegato».

La possibilità che a presentare la proposta di concordato siano, oltre ai creditori sociali, anche soggetti terzi, rappresentò una delle più rilevanti novità della riforma ex d.lgs. n. 5/2006: il concordato può essere uno strumento d'investimento per i capitali di terzi, secondo criteri di stretta convenienza economica.

L'art. 240 c.c.i.i. - come, in precedenza, l'art. 124 l. fall. - non fa alcun riferimento alla figura dell'assuntore del concordato.

Ciò trova fondamento nella natura “aperta”, sotto il profilo negoziale, del concordato: la (pur frequente) figura dell'assuntore può in effetti essere ricoperta sia dallo stesso proponente, diverso dal debitore, sia da un terzo rispetto al proponente (in senso conforme, M. Di Lauro, Il nuovo concordato fallimentare, Padova, 2011, 28).  

La proposta non può essere presentata dal debitore, da società dallo stesso partecipate, né da società sottoposte a comune controllo, se non dopo un anno dall'apertura della liquidazione e, comunque, non oltre due anni dal decreto di esecutività dello stato passivo.

La proposta non può essere presentata dal curatore.

Tale possibilità era stata introdotta dal d.lgs. n. 5/2006, peraltro solo con un inciso del novellato art. 129, comma 2, secondo periodo, l. fall. («[…] se la proposta di concordato è stata presentata dal curatore, la relazione è redatta e depositata dal comitato dei creditori […]»).

Il d.lgs. n. 169/2007, intervenendo, sin da subito, sull'art. 129 l. fall., soppresse tale facoltà in capo al curatore, così sopendo diffuse critiche in dottrina su quella che era parsa una delle più rilevanti novità della riforma.

Il legislatore del Codice della crisi - con l'art. 240 comma 1, terzo periodo, c.c.i.i. - ha introdotto la novità più rilevante in ambito di concordato nella liquidazione giudiziale: se la proposta è presentata dal debitore, la stessa è ammissibile solo ove sia previsto un apporto di risorse che incrementino il valore dell'attivo patrimoniale di almeno un dieci per cento.

Tale previsione replica quanto previsto dal Codice della crisi e dell'insolvenza in relazione al concordato preventivo di natura liquidatoria (si veda l'art. 84, comma 4, c.c.i.i.).

Sotto un profilo applicativo, se al momento della presentazione della proposta da parte del debitore l'attivo è stato integralmente realizzato dalla curatela nell'ambito della liquidazione concorsuale, non vi sono incertezze circa la base su cui determinare il 10% incrementativo.

Essa coincide con le somme ricavate dalla dismissione dell'attivo patrimoniale.

Laddove, al contrario, l'attivo non sia stato ancora (integralmente) realizzato, la base su cui applicare il 10%, in relazione agli assets non liquidati, dovrebbe coincidere con le valutazioni peritali predisposte (ovvero in via di predisposizione) dalla curatela nell'ambito delle operazioni inventariali ex art. 195 c.c.i.i. e/o delle operazioni propedeutiche alla liquidazione, secondo quanto indicato nel programma di liquidazione ex art. 213 c.c.i.i.

Il secondo comma dell'art. 240 c.c.i.i. replica quanto previsto dall'art. 124, comma 2, l. fall.

La proposta può dunque prevedere:

  • la suddivisione dei creditori in classi, secondo posizione giuridica ed interessi economici omogenei
  • il trattamento differenziato fra creditori appartenenti a classi diverse, a condizione che siano indicate le ragioni dei diversi trattamenti
  • la ristrutturazione dei debiti e/o il soddisfacimento dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione di beni, accollo ed altre operazioni straordinarie, ivi inclusa l'attribuzione ai creditori, nonché a società da questi partecipate, di azioni, quote ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni, altri strumenti finanziari e titoli di debito.

Con riferimento alla questione della facoltatività/obbligatorietà delle classi, il Codice della crisi, all'art. 240, comma 2, confermando la lettera dell'art. 124, comma 2, l. fall., ha previsto che «[…] la proposta può prevedere la suddivisione dei creditori in classi, secondo posizione giuridica ed interessi economici omogenei».

Tale disposizione non lascia spazi interpretativi diversi dalla piena discrezionalità del proponente, sotto un profilo generale, di proporre classi di creditori (in questo senso, già, Cass. civ., sez. I, 10 febbraio 2011, n. 3274). 

Se la formazione di classi di creditori è una mera facoltà, la stessa deve intendersi obbligatoria ogni qual volta siano proposte a favore dei creditori misure di soddisfacimento fra loro diversificate.

Le classi sono poi obbligatorie ove il debitore abbia emesso obbligazioni e/o strumenti finanziari rientranti nella proposta (art. 240, comma 3), nonché ove la stessa provenga da un terzo rispetto al debitore, con previsione di partecipazione al voto (art. 243, comma 6). 

In tutti i casi di formazione di classi, la proposta non potrà prevedere alterazioni nell'ordine delle cause legittime di prelazione, giusta ogni valutazione da parte dell'autorità giudiziaria.  

Sotto altro profilo – quello della percentuale da offrire ai creditori –, la giurisprudenza ha ritenuto che la proposta debba esporre, in modo determinato o determinabile, la percentuale offerta, non essendo ammissibili proposte indeterminate sotto il profilo del quantum, né peraltro proposte sottoposte a condizioni potestative (Cass. civ., sez. I, 9 maggio 2007, n. 10634).

Il Codice della crisi – come già la riformata legge fallimentare – non dispone alcunché circa la revoca della proposta di concordato.

Attesa la natura eminentemente negoziale dell'istituto, la proposta può essere revocata sino a quando non sia stata approvata dai creditori; ove si acceda alla natura sostanzialmente pubblicistica dell'istituto, la revoca potrebbe intervenire sino al procedimento di omologa.   

Sono equiparabili alla revoca, le modifiche della proposta in peius: in questo caso, dovrà essere nuovamente seguito l'iter di approvazione del concordato ex art. 241 c.c.i.i. (non necessita, invece, di approvazione da parte dei creditori la proposta migliorativa).       

Il Codice della crisi – così come la riformata legge fallimentare – non tratta della sospensione del procedimento di liquidazione giudiziale a seguito della presentazione di una proposta di concordato.

Sul punto, la giurisprudenza ha ammesso la sospensione della liquidazione, considerata la norma di cui all'art. 108, comma 1 l. fall. (adesso, art. 217, comma 1, c.c.i.i.): «Il giudice delegato, su istanza del fallito, dei creditori o di altri interessati, previo parere del comitato dei creditori, può sospendere, con decreto motivato, le operazioni di vendita, qualora ricorrano gravi e giustificati motivi […]».

Come ricordato, ai sensi dell'art. 240, comma 4, c.c.i.i., la proposta può prevedere che i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, siano soddisfatti in misura non integrale, a condizione che il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore rispetto a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione.

Quanto sopra, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni e/o diritti sui quali sussista la prelazione, al netto del presumibile ammontare delle relative spese di procedura, nonché della quota parte delle spese generali, come indicato nella relazione giurata di un professionista indipendente designato dal tribunale, in possesso dei requisiti ex art. 358 c.c.i.i..

Resta fermo il caposaldo ex art. 240, comma 4, ultimo periodo, c.c.i.i.: il trattamento previsto per ciascuna classe di creditori non può avere l'effetto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione.

Il legislatore, con il d.lgs. 13 settembre 2024, n. 136 (cd. Correttivo-ter), pubblicato in G.U. il 27 settembre 2024, ha integrato il sopra ricordato art. 240 comma 4, prevedendo che la falcidia nei confronti dei creditori prelatizi sia possibile solo qualora non sia peggiorativa rispetto a quella che si avrebbe con la liquidazione giudiziale dei beni e/o diritti cui sia collegata la causa di prelazione.

Altra conferma, quella di cui all'art. 240, comma 5, c.c.i.i.: la proposta presentata dai creditori o dai terzi può avere ad oggetto anche la cessione delle azioni di pertinenza della massa, per quanto ancora non esercitate, sempreché le stesse siano state autorizzate dal giudice delegato con provvedimento che precisi l'oggetto ed il fondamento della sottostante pretesa.

Il proponente può limitare gli obblighi assunti con la domanda di concordato ai soli creditori ammessi al passivo, anche a titolo provvisorio, così come ai creditori che abbiano proposto opposizione ovvero ammissione tardiva, al momento della presentazione della proposta.

In tal caso, continua a rispondere nei confronti dei creditori “esclusi”, il debitore, salvi gli effetti dell'esdebitazione, ex art. 278 ss., c.c.i.i..

Il Correttivo-ter ha introdotto all'interno dell'art. 240 c.c.i.i., il nuovo comma 4-bis.

Tale disposizione norma prevede che qualora il tribunale disponga l'apertura di una liquidazione giudiziale unitaria ex art. 287 c.c.i.i. (gruppo d'imprese), la proposta concordataria può essere presentata, alternativamente:

  • con un'unica domanda
  • con più domande coordinate
  • con una domanda autonoma,

restando, in ogni caso, ferma l'autonomia delle rispettive masse attive e passive.

La domanda unica o le domande coordinate danno conto della maggior convenienza, nella prospettiva dei creditori delle singole imprese, rispetto alla scelta di presentare una domanda autonoma.

L'art. 241 c.c.i.i. disciplina l'esame della proposta concordataria, disponendo anche in ordine alle comunicazioni ai creditori, il tutto senza alcuna novità di rilievo rispetto alla legge fallimentare.

Una volta che sia stata presentata la domanda di concordato, il giudice delegato chiede al curatore di esprimere il proprio parere, con particolare riferimento ai presumibili risultati della liquidazione ed alle garanzie offerte nell'ambito della proposta.

Il giudice delegato, sentito il parere del comitato dei creditori, ove costituito, valutata la ritualità della proposta, ordina al curatore di comunicarla via PEC ai creditori, unitamente ai pareri del comitato dei creditori e dello stesso curatore.

Quest'ultimo specifica, con la propria comunicazione, dove possano essere reperiti i dati per la valutazione della proposta, informando i creditori che la mancata risposta sarà considerata come voto favorevole (cd. silenzio assenso).

In presenza di un rilevante numero di creditori, il giudice delegato può autorizzare il curatore a dare notizia della proposta, anziché a ciascun creditore, mediante pubblicazione del testo integrale della comunicazione su uno o più quotidiani, nazionali o locali (art. 242 c.c.i.i.).

Il giudice delegato fissa un termine compreso fra i venti ed i trenta giorni, entro il quale i creditori possono far pervenire in cancelleria le proprie eventuali dichiarazioni di dissenso.

Nel caso in cui siano state presentate più proposte di concordato o quando ne sia sopraggiunta una nuova, il giudice delegato dispone che tutte le proposte siano sottoposte all'approvazione dei creditori, a meno che il curatore ed il comitato dei creditori, congiuntamente fra loro, ne individuino una - o più di una -  maggiormente conveniente (ultimo comma dell'art. 241, come integrato dal d.lgs. n. 136/2024).

Il curatore può peraltro chiedere al giudice delegato che venga comunicata ai creditori una o più proposte diverse da quella “prescelta” dal comitato dei creditori, ove ritenuta, al pari, conveniente per il ceto creditorio.

Come prevede l'art. 140, comma 4, c.c.i.i. - richiamato dall'art. 241, comma 2, ultimo periodo, c.c.i.i. -, in caso d'inerzia, impossibilità di costituzione e/o funzionamento del comitato dei creditori, ovvero di urgenza, agli adempimenti di spettanza del comitato provvede, in via suppletiva, il giudice delegato.

L'art. 241, comma 3, c.c.i.i., senza alcuna variazione rispetto all'art. 125 l. fall., prevede che ove la proposta contenga condizioni differenziate per singole classi di creditori, la stessa, prima di essere comunicata ai creditori, sia sottoposta, unitamente ai pareri del comitato dei creditori e del curatore, al giudizio del tribunale, il quale procede a  verificare il corretto utilizzo dei criteri che attengono:

  • alla omogeneità della posizione giuridica e degli interessi economici delle singole classi
  • alle ragioni dei trattamenti differenziati fra creditori appartenenti alle singole classi,

tenuto conto della relazione giurata dell'esperto indipendente, ex art. 240, comma 4, c.c.i.i.

Il procedimento: voto ed approvazione

Le fasi del voto e dell'approvazione sono disciplinate dagli art. 243-244, i quali ricalcano, non senza alcune novità, di cui diremo, quanto previsto dagli artt. 127-128 l. fall.

Hanno diritto al voto i creditori ammessi al passivo, compresi i creditori ammessi in via provvisoria ovvero con riserva (art. 243 comma 1).

Qualora la proposta sia presentata prima che lo stato passivo sia stato reso esecutivo, partecipano al voto i creditori iscritti nell'elenco provvisorio predisposto dal curatore ex art. 240, comma 1.

I creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca – ove anche la garanzia sia oggetto di contestazione –, per i quali la proposta preveda l'integrale pagamento, non hanno diritto al voto, a meno che non rinunzino (espressamente) alla prelazione.

La rinunzia può essere anche parziale, purché non inferiore alla terza parte del credito, comprensivo degli accessori (art. 243 comma 2).

L'art. 243, comma 2, nel sancire l'esclusione dal voto dei creditori prelatizi, fa riferimento all'integrale pagamento dei relativi crediti.

L'espressione “pagamento” induce a ritenere che, affinché operi l'esclusione dal voto, il soddisfacimento dei crediti muniti di prelazione non debba subire, per effetto della proposta concordataria, alcuna alterazione, né quantitativa, né qualitativa, in relazione al diritto vantato.

Come prevede il terzo comma dell'art. 243, qualora i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca rinunzino, in tutto o in parte, alla prelazione, gli stessi, per la parte del credito “rinunziata”, sono assimilati ai chirografari.

La rinunzia ha effetto ai soli fini concordatari.

Al pari, sono considerati alla stregua dei chirografari i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca per i quali la proposta preveda la soddisfazione non integrale, e ciò in relazione alla parte del credito oggetto di “falcidia” (art. 243, comma 4).

Come ricordato, l'art. 243, comma 5, c.c.i.i., nel disciplinare le cause di esclusione dal voto e/o dal quorum per l'approvazione del concordato, amplia quanto previsto dall'art. 127, comma 5, l. fall.

Sono esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze, oltre al coniuge del debitore, ai propri parenti ed affini sino al quarto grado:

  • il convivente di fatto
  • colui che sia parte di un'unione civile tra persone dello stesso sesso
  • la società che controlli la società sottoposta a liquidazione giudiziale, le società dalla stessa controllate e quelle sottoposte a comune controllo
  • i cessionari ovvero gli aggiudicatari di crediti dai suddetti soggetti da meno di un anno dalla domanda di concordato.

Sono altresì esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze, i creditori che si trovino in una situazione di conflitto d'interessi, ovvero coloro che siano “portatori di un interesse che non sia quello derivante dalle cause legittime di prelazione, in conflitto con il miglior soddisfacimento dei creditori” (così, la relazione di accompagnamento al d.lgs. n. 14/2019).

L'art. 243 comma 6 dispone, con portata innovativa, che in caso di proposta presentata da un creditore ovvero da società dallo stesso controllate, da società controllanti o sottoposte a comune controllo ex art. 2359, comma 1, c.c., il creditore cui sia riconducibile la proposta può esercitare il diritto di voto solo qualora la stessa ne preveda l'inserimento in un'apposita classe.

Infine, l'ultimo comma dell'art. 243, al fine di prevenire interferenze nella formazione del consenso, conferma che i trasferimenti di crediti posti in essere dopo l'apertura del concorso non attribuiscono il diritto di voto, salvo che non siano effettuati a favore di istituti bancari ovvero di altri intermediari finanziari.

L'art. 244 regola – senza novità – la fase dell'approvazione del concordato.

La proposta è approvata dai creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto.

Ove la proposta preveda diverse classi di creditori, il concordato è approvato a condizione che la maggioranza si verifichi anche nel maggior numero di classi.

Ai fini del voto, sono considerati “consenzienti” i creditori che non abbiano fatto pervenire il proprio dissenso nel termine fissato dal giudice delegato, ex art. 241, comma 2.

L'art. 244 comma 3 conferma che la variazione del numero dei creditori ammessi al passivo, o dell'ammontare dei singoli crediti, che avvenga per effetto di un provvedimento emesso dopo il termine fissato dal giudice delegato per le votazioni, non influisce sul calcolo delle maggioranze.

Qualora siano sottoposte al voto più proposte concordatarie, si considera approvata quella che abbia conseguito la maggioranza più elevata dei crediti ammessi al voto; in caso di parità di voti, si considera approvata la proposta presentata per prima, secondo - pertanto - un criterio di priorità temporale (art. 244, comma 4, come modificato dal d.lgs. n. 136/2024).

Omologazione ed esecuzione del concordato

L'art. 245 c.c.i.i. disciplina il giudizio di omologazione della proposta concordataria ove la stessa sia stata approvata ai sensi di legge.

La fase di omologazione del concordato nella liquidazione giudiziale è stata sensibilmente modificata ed integrata dal legislatore del Correttivo-ter: ne daremo, dunque, nel prosieguo, dettagliata informativa.

Si premette che, al pari del “vecchio” art. 129 l. fall., l'art. 245 c.c.i.i. non disciplina il caso in cui la proposta non abbia ricevuto l'approvazione da parte dei creditori.

In questa evenienza, il tribunale, acquisite le informazioni sull'esito negativo del voto, rileva la improcedibilità del ricorso (in senso conforme, M. Cristiano. Sub art. 129, in A. Nigro, M. Sandulli, V. Santoro (a cura di), La legge fallimentare dopo la riforma, Torino, II, 2010, 1776).

Quanto premesso, tornando al giudizio di omologazione, il curatore, decorso il termine previsto per le votazioni, presenta al giudice delegato una relazione con la quale dà conto degli esiti del voto (art. 245, comma 1, c.c.i.i.).

Qualora la proposta sia stata approvata, il giudice delegato dispone che il curatore ne dia immediata comunicazione a mezzo PEC sia al proponente, affinché egli richieda l'omologazione del concordato,  nel termine di dieci giorni dalla comunicazione, sia ai creditori dissenzienti.

Ove non sia possibile procedere alla comunicazione con modalità telematiche al debitore, l'approvazione della proposta di concordato viene comunicata al medesimo mediante lettera raccomandata AR.

Il giudice delegato, con decreto da pubblicarsi ex art. 45 c.c.i.i., fissa un termine non inferiore a quindici giorni e non superiore a trenta giorni:

  • per la proposizione di eventuali opposizioni al concordato, anche da parte di qualsiasi altro soggetto interessato
  • per il deposito da parte del comitato dei creditori di una relazione motivata co il proprio parere definitivo.

Qualora il comitato dei creditori non provveda nel termine suddetto, la relazione è redatta e depositata a cura del curatore nei sette giorni successivi.

L'omologazione è proposta con ricorso, nei termini previsti dall'art. 244, comma 3, c.c.i.i..

Il tribunale, verificata:

  • la regolarità della procedura
  • l'esito della votazione
  • ove siano state proposte opposizioni, il contenuto delle stesse,

assunti i mezzi istruttori richiesti dalle parti ovvero disposti d'ufficio, omologa, con decreto motivato, il concordato.

Qualora la proposta preveda più classi di creditori, se un creditore appartenente ad una classe dissenziente contesta la convenienza della proposta, il tribunale omologa comunque il concordato ove ritenga che il credito possa venir soddisfatto in ambito di concordato in misura non inferiore rispetto a quanto prevedibilmente conseguibile in caso di prosecuzione della liquidazione giudiziale.

Il Correttivo-ter, integrando l'art. 245, comma 5, secondo periodo prevede che il tribunale, in caso di voto contrario da parte dell'Amministrazione finanziaria e/o degli enti gestori di forme di previdenza ovvero assistenza obbligatorie, omologa il concordato qualora:

  • il voto sia determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze previste dall'art. 244, comma 1, c.c.i.i.
  • il quantum proposto agli enti pubblici sia più conveniente rispetto all'alternativa prosecuzione del concorso, ciò anche in base alle risultanze della relazione del professionista indipendente.

Il decreto che omologa il concordato produce i propri effetti dalla data della pubblicazione; in tal caso, il curatore rende il conto della gestione, ex art. 231 c.c.i.i., ed il tribunale dichiara chiusa la liquidazione giudiziale (art. 246, commi 1-2, c.c.i.i.).

Il legislatore, con il Correttivo-ter, ha introdotto all'interno dell'art. 246, il nuovo comma 2-bis.

Esso dispone che una volta che sia divenuto definitiva l'omologazione, le impugnazioni dello stato passivo pendenti a tale data si interrompono.

Il giudizio può peraltro essere riassunto dal proponente o nei confronti dello stesso: in tal caso, il procedimento prosegue, ex art. 207 c.c.i.i., avanti allo stesso giudice, il quale provvede sull'accertamento del credito e/o della causa di prelazione.

In materia di reclamo, dispone l'art. 247 c.c.i.i.

Il decreto di omologazione è reclamabile avanti la corte d'appello, con ricorso che deve essere  depositato nel termine di trenta giorni dalla notifica a cura della cancelleria del tribunale.

L'udienza di comparizione è fissata dal presidente della corte nei sessanta giorni successivi.

Il ricorso, unitamente al decreto di fissazione d'udienza, è notificato a cura del reclamante, nei dieci giorni dalla comunicazione di cancelleria, al curatore, al debitore ed al proponente (qualora non siano essi i reclamanti).

Tra la data di notificazione e quella d'udienza devono intercorrere almeno trenta giorni.

Le parti resistenti devono costituirsi nei dieci giorni precedenti l'udienza, mediante deposito in cancelleria di una memoria contenente l'esposizione delle difese, in fatto e diritto, nonché l'indicazione dei mezzi di prova e dei documenti prodotti.

La corte d'appello, tenutasi l'udienza, provvede con decreto motivato, ex art. 45 c.c.i.i., che viene notificato alle parti da parte della cancelleria.

Il decreto della corte d'appello è impugnabile con ricorso per cassazione, nel termine di trenta giorni dalla notificazione.

Il Correttivo-ter ha aggiunto all'art. 247 c.c.i.i., il nuovo comma 12-bis.

Esso prevede che una volta che sia proposto il reclamo ovvero il ricorso per cassazione, la corte di appello, su richiesta delle parti o del curatore, ove ricorrano gravi e fondati motivi, può:

  • sospendere, in tutto, in parte ovvero temporaneamente, la liquidazione dell'attivo
  • inibire, in tutto, in parte ovvero temporaneamente, l'attuazione del piano o dei pagamenti.

Per effetto del decreto di omologazione definitivo, il debitore torna in bonis: egli è reintegrato nella disponibilità ed amministrazione del proprio patrimonio, con effetti d'esdebitazione, salvo il buon esito del concordato. 

Circa gli effetti del concordato rispetto ai creditori, l'art. 248 c.c.i.i. prevede che la proposta sia obbligatoria verso tutti i creditori anteriori alla sentenza che dichiari aperta la liquidazione giudiziale, compresi coloro che non abbiano presentato la domanda d'ammissione al passivo.

A questi ultimi non si estendono peraltro le garanzie prestate dai terzi.

I creditori conservano le proprie azioni, per l'intero importo del credito, nei confronti dei soggetti coobbligati, dei fideiussori del debitore e degli obbligati in via di regresso (art. 246, comma 2, c.c.i.i.).

La fase dell'esecuzione del concordato è disciplinata dall'art. 249 c.c.i.i..

Una volta che il concordato sia stato omologato, ne sorvegliano l'adempimento il giudice delegato, il curatore ed il comitato dei creditori, se costituito, in conformità a quanto previsto nel decreto di omologazione.

Il nuovo comma 1-bis introdotto dal legislatore del Correttivo-ter prevede che in caso di riforma ovvero cassazione del decreto di omologazione del concordato, siano fatti salvi tutti gli atti legalmente compiuti in esecuzione del concordato medesimo, nonché i provvedimenti ad essi collegati.

Le somme spettanti ai creditori contestati, condizionali ovvero irreperibili sono depositate nei modi stabiliti dal giudice delegato.

Giunta a compimento la fase attuativa del concordato, il giudice delegato – con decreto pubblicato ex art. 45 c.c.i.i. – ordina lo svincolo delle cauzioni, nonché la cancellazione delle ipoteche iscritte a garanzia dell'adempimento della proposta, adottando le più idonee misure per il conseguimento delle finalità del concordato.

Se la proposta concordataria prevede la cessione di uno o più beni compresi nella liquidazione giudiziale, il giudice delegato, una volta che:

  • sia stato eseguito il trasferimento
  • sia stato riscosso il corrispettivo,

ordina la cancellazione sia delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, sia delle trascrizioni dei pignoramenti, sequestri conservativi ed ogni altro vincolo (art. 249, comma 3, secondo periodo, come introdotto dal Correttivo-ter).

Risoluzione ed annullamento

Ai sensi dell'art. 250, comma 1, c.c.i.i., ciascun creditore può chiedere al tribunale la risoluzione del concordato qualora le garanzie promesse con la proposta omologata non siano state costituite ovvero qualora il proponente non abbia adempiuto regolarmente agli obblighi derivanti dal concordato.

Il ricorso per la risoluzione del concordato non può essere proposto oltre l'anno decorrente dalla scadenza del termine previsto nella proposta per l'ultimo adempimento.

Al procedimento, regolato ex art. 41 c.c.i.i., è chiamato a partecipare l'eventuale garante.

La sentenza che dichiara risolto il concordato – provvisoriamente esecutiva – riapre la liquidazione giudiziale.

Con tale sentenza, il tribunale adotta i provvedimenti di cui all'art. 237, comma 2 (riapertura della procedura); la sentenza è reclamabile ex art. 51 c.c.i.i..

La risoluzione non può essere dichiarata qualora gli obblighi concordatari siano stati assunti dal proponente ovvero da uno o più creditori, con liberazione immediata del debitore.

Non possono richiedere la risoluzione del concordato i creditori verso i quali il terzo proponente non abbia assunto alcuna responsabilità sotto il profilo patrimoniale, ex art. 240, comma 5.

Quello sopra è l'iter previsto dall'art. 250 c.c.i.i. in tema di risoluzione del concordato: tale norma riproduce, senza alcuna variazione, il contenuto di cui all'art. 137 l. fall.

Al pari, l'art. 251 tratta dell'annullamento del concordato, alla stregua dell'art. 130 l. fall.

E prevede – in sintesi – quanto segue.

Il concordato omologato può essere annullato dal tribunale, su istanza del curatore e di ciascun creditore, in contraddittorio col debitore, quando sia stato dolosamente aumentato il passivo concorsuale ovvero sia stata sottratta e/o dissimulata una parte rilevante dell'attivo patrimoniale.

Il ricorso deve essere proposto nel termine di sei mesi dalla scoperta del dolo e, in ogni caso, non oltre due anni dalla scadenza del termine fissato in proposta per l'ultimo adempimento.

Non è ammissibile alcuna diversa azione di nullità.

Il procedimento è analogo a quello previsto per la risoluzione; al pari, la sentenza che annulla il concordato – provvisoriamente esecutiva – riapre la procedura di liquidazione giudiziale.

Effetti della riapertura della liquidazione giudiziale e nuova proposta di concordato

Dispone l'art. 252, comma 1, c.c.i.i. – senza modifiche rispetto all'art. 140 l. fall. – che in caso di risoluzione o annullamento del concordato, gli effetti della riapertura della liquidazione giudiziale sono regolati dagli artt. 238-239 c.c.i.i..

In base alla prima norma, rubricata «Concorso dei vecchi e nuovi creditori», i creditori dell'imprenditore concorrono alle nuove ripartizioni in relazione alle somme loro dovute al momento della riapertura della liquidazione giudiziale, dedotto quanto percepito nelle precedenti ripartizioni e salve, in ogni caso, le cause legittime di prelazione.

In base alla seconda norma, rubricata «Effetti della riapertura sugli atti pregiudizievoli ai creditori», i termini previsti per l'esperimento delle azioni revocatorie in relazione agli atti compiuti dal debitore dopo la chiusura della liquidazione giudiziale, sono computati dalla data della sentenza di riapertura della procedura.

Secondo quanto prevede l'art. 252, comma 2, c.c.i.i. possono essere riproposte le azioni revocatorie già avviate in pendenza dell'originaria procedura di liquidazione giudiziale e poi interrotte per effetto della presentazione della proposta di concordato.

I creditori anteriori conservano le garanzie per le somme loro dovute in base alla proposta, e non sono tenuti a restituire quanto riscosso; essi concorrono per l'importo dell'originario credito, detratto quanto riscosso in parziale esecuzione del concordato (art. 252, commi 3-4, c.c.i.i.).

Riaperta la liquidazione giudiziale, reso esecutivo il nuovo stato passivo, il (solo) proponente ha facoltà di presentare una nuova domanda di concordato.

In questo caso, il concordato non può essere omologato se, prima dell'udienza fissata dal giudice delegato, non siano state integralmente depositate le somme necessarie per il completo adempimento della proposta, ovvero non siano state prestate garanzie equivalenti – così dispone, in conclusione, confermando il testo della riformata legge fallimentare, l'art. 253 del Codice della crisi e dell'insolvenza.

Il concordato della società e del socio

Gli artt. 265-266 del d.lgs. n. 14/2019 riproducono, in tema di concordato di società sottoposte a liquidazione giudiziale, il contenuto degli artt. 152-153 l. fall., disponendo quanto segue.

La proposta di concordato è sottoscritta da coloro che abbiano la rappresentanza della società.

Ai sensi dell'art. 265 c.c.i.i., la proposta, salva diversa disposizione dell'atto costitutivo ovvero dello statuto:

  • nelle società di persone (ivi incluse le società irregolari), è approvata da tanti soci che rappresentano la maggioranza assoluta del capitale;
  • nelle società per azioni, in accomandita per azioni ed a responsabilità limitata, nonché nelle società cooperative, è deliberata dagli amministratori, mediante verbale notarile iscritto presso il registro imprese, ex art. 2436 c.c.

Qualora la proposta non provenga dalla stessa società sottoposta a liquidazione giudiziale, ma da una società creditrice ovvero terza, il menzionato verbale notarile può essere allegato alla domanda concordataria anche dopo il suo deposito, purché anteriormente alla comunicazione ai creditori, con effetto di ratifica ex tunc (Trib. Roma, 26 marzo 1998). 

Sotto il profilo degli effetti, dispone l'art. 266 c.c.i.i. che il concordato della società, salvo patto contrario, ha effetto anche verso i soci a responsabilità illimitata, facendo cessare la procedura aperta nei loro confronti.

Avverso il decreto di chiusura della liquidazione giudiziale aperta nei confronti del socio è ammesso reclamo ex art. 124 c.c.i.i..

Il concordato del socio è regolato dall'art. 267 c.c.i.i., in modo analogo all'art. 154 l. fall.

In ambito di liquidazione giudiziale di società con soci a responsabilità illimitata, ciascuno di essi può proporre, in relazione alla procedura aperta nei propri confronti, un concordato verso i creditori sociali ed i creditori particolari, i quali concorrono nella procedura personale.

La possibilità per il socio illimitatamente responsabile di proporre un concordato personale trova il proprio limite temporale nella chiusura della procedura di liquidazione giudiziale della società e, in caso di concordato della società, nel decreto di omologazione del concordato medesimo.

L'effetto di esdebitazione del concordato personale non si estende alla società, né agli altri soci illimitatamente responsabili: i creditori sociali hanno così diritto di concorrere per l'intero sia nella liquidazione giudiziale della società, sia nella liquidazione giudiziale personale, fermo il diritto di regresso fra i soci.

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