Dal principio del ne bis in idem l’attribuzione di un potere discrezionale senza limiti ai giudici nazionali

Ciro Santoriello
30 Ottobre 2019

Nella verifica della compatibilità con il principio del ne bis in idem del trattamento sanzionatorio complessivamente irrogato in caso di insider trading, il giudice deve valutare la proporzionalità del cumulo sanzionatorio rispetto al disvalore del fatto, da apprezzarsi con riferimento agli aspetti propri di entrambi gli illeciti (quello penale e quello "formalmente" amministrativo) e, in particolare, agli interessi generali sottesi alla disciplina in tema di insider trading
Massima

Nella verifica della compatibilità con il principio del ne bis in idem del trattamento sanzionatorio complessivamente irrogato in caso di insider trading, il giudice deve valutare la proporzionalità del cumulo sanzionatorio rispetto al disvalore del fatto, da apprezzarsi con riferimento agli aspetti propri di entrambi gli illeciti (quello penale e quello "formalmente" amministrativo) e, in particolare, agli interessi generali sottesi alla disciplina in tema di insider trading (anche sotto il profilo dell'incidenza del fatto sull'integrità dei mercati finanziari e sulla fiducia del pubblico negli strumenti finanziari). Qualora detta valutazione dovesse condurre a ritenere il complessivo trattamento sanzionatorio lesivo della garanzia del ne bis in idem il giudice nazionale dovrà disapplicare, se necessario e solo in mitius, le norme che definiscono il trattamento sanzionatorio.

Il caso

In sede di merito, confermando la sentenza emessa dal Tribunale di Milano, condannava un dirigente di una primaria azienda operante nel settore finanziario e del trading borsistico per il reato di abuso di informazioni privilegiate (cd. insider trading) previsto dall'art. 184, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 58/1998, commesso con l'utilizzazione indebita di informazioni nel compimento di operazioni di compravendita di strumenti finanziari. In particolare, secondo l'ipotesi di accusa, l'imputato sarebbe entrato in possesso di informazioni riservate relativamente ad alcuni progetti di Offerte Pubbliche di Acquisto di azioni e su un programma di acquisizione del controllo di una società per azioni e si sarebbe avvalso di tali conoscenze acquisite in occasione dell'esercizio della sua attività professionale per acquistare azioni, le cui quotazioni, alla luce delle suddette informazioni, avrebbero ragionevolmente avuto incrementi.

La difesa avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione, lamentando, per quanto di interesse in questa sede, la lesione del principio del ne bis in idem. In particolare, si sottolineava che l'imputato, per i fatti di cui al processo, era già stato sanzionato, con provvedimento divenuto definitivo, con la delibera Consob n. 18070 del 2.1.2012, con la quale erano state emesse sanzioni amministrative sostanzialmente penali ai sensi dell'art. 187-bis d. lgs. n. 58/1998 (TUF) e perciò si chiedeva dichiararsi il divieto di bis in idem e di disapplicare la norma penale in ossequio all'art. 50 CDFUE, dichiarando l'improcedibilità dell'azione penale ex art. 529 c.p.c.

A conforto di questa richiesta la difesa evidenziava che le sanzioni applicate nel procedimento amministrativo - consistite in pene pecuniarie per oltre €. 500.000,00, in alcune sanzioni accessorie, in una confisca pari ad €. 1.193.914 ed alla luce della entità delle predette sanzioni amministrative - avevano natura sostanzialmente penale in ossequio ai principi consolidati dettati dalla giurisprudenza europea (i cd. criteri di Engel) e l'identità dei fatti oggetto dei due procedimenti sanzionatori - amministrativo e penale - avvalorata dalla identità formale delle contestazioni mosse nei confronti dell'imputato. Infine sottolineava come le doppie sanzioni (amministrative e penali) nei confronti dell'imputato fossero state inflitte in maniere indipendente, per la mancanza di meccanismi di raccordo che ne garantisse una portata afflittiva "proporzionata nel quadro di una strategia unitaria". In particolare, si evidenziava il tasso di afflittività e gravità delle sanzioni amministrative "sostanzialmente penali", divenute definitive nei confronti del ricorrente nel caso concreto, idonee ad adempiere in modo efficace alle funzioni repressive e dissuasive proprie delle sanzioni penali, soprattutto perché l'onere afflittivo in parola non era stato preso affatto in considerazione dai giudici penali per parametrare a questo la loro sanzione, nonostante la notevolissima misura della confisca per equivalente deliberata da Consob.

La questione

Come è noto il principio del ne bis in idem è sancito tanto nell'art. 4 protocollo n. 7 integrativo della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali che dall'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e la ricostruzione dell'ambito e dei presupposti di operatività dello stesso è stata principalmente operata dalla Corte europea dei Diritti dell'uomo, secondo cui in presenza di due presupposti - a) la natura sostanzialmente penale di entrambe le sanzioni inflitte o da infliggersi, b) la presa in considerazione da parte dell'ordinamento nazionale di un medesimo fatto storico considerato nelle sue coordinate spazio-temporali – l'inizio (o la prosecuzione) di un successivo procedimento dopo che il primo fosse giunto a una pronuncia definitiva avrebbe automaticamente costituito una violazione dell'art. 4 Prot. 7 CEDU.

In proposito, con riferimento alla nozione di “stesso fatto” i giudici di Strasburgo – diversamente da quanto sostenuto dalla nostra Cassazione che pare richiedere perché possa parlarsi di violazione del principio del ne bis in idem che le vicende per cui si procede siano completamente sovrapponibili in tutti i suoi elementi per cui è necessario che fra i fatti per cui si procede vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona – hanno da sempre ribadito che l'articolo 4 del Protocollo n. 7 deve essere inteso nel senso che esso vieta di perseguire o giudicare una persona per un secondo «illecito» nella misura in cui alla base di quest'ultimo vi sono fatti che sono sostanzialmente gli stessi (C.E.D.U., Grande Camera, Sergueï Zolotoukhine c. Russia, n. 14939/03). Ciò significa dunque che perché vi sia identicità del fatto perseguito dal medesimo ordinamento in sedi diverse – non è necessaria una identità delle accuse in tutti i loro elementi, ma più semplicemente – che i fatti ascritti al soggetto giudicato in più procedimenti siano riconducibili alla stessa condotta.

In secondo luogo – anche in questo caso in maniera diversa rispetto a quanto sostenuto dalla Cassazione, secondo cui il principio del ne bis in idem si riferisce solo ai procedimenti penali e non può, quindi, riguardare l'ipotesi dell'applicazione congiunta di una sanzione penale e di una sanzione amministrativa – la giurisprudenza CEDU, pur riconoscendo che è consentito il concorso tra una sanzione penale ed una di diversa tipologia (ad esempio amministrativa o fiscale), afferma che per escludere la natura penale di una sanzione non è sufficiente che essa sia qualificata come non penale dal diritto interno, occorrendo viceversa riguardare la natura in sé della pena, nonché il grado e la severità con cui la stessa può essere applicata. In sostanza, la Corte europea da tempo utilizza una nozione sostanziale di materia penale e, dunque, di reato e di pena, escludendo rilievo alla circostanza che l'illecito o la misura sanzionatoria siano o meno considerati come reato o come pena nel singolo ordinamento nazionale: lo scopo della nozione sostanziale di materia penale accolto dalla Corte Europea è, infatti, assicurare la massima estensione delle garanzie convenzionali annullando gli effetti di un'eventuale “ frode delle etichette” (Grande Camera, 8 giugno 1976, Engel e altri contro Paesi Bassi; Corte dei Diritti dell'Uomo n. 307 del 9 febbraio 1995 Welch v. Regno Unito nonché 20 gennaio 2009, Sud Fondi c. Italia).

In particolare, per quanto concerne la nozione di “pena”, i giudici di Strasburgo riconoscono speciale importanza al legame della misura applicata o applicanda con la condanna per un'infrazione ed alla natura ed allo scopo della misura stessa, che deve essere punitivo (o repressivo) e dissuasivo, invitando poi anche a valutare quale sia la gravità della misura – nel senso che la sua particolare afflittività obbligherebbe l'interprete ad attribuire alla stessa la qualifica di sanzione criminale (Corte dei Diritti dell'Uomo n. 307 del 9 febbraio 1995 Welch v. Regno Unito nonché 20 gennaio 2009, Sud Fondi c. Italia. In dottrina, fra una bibliografia ormai sconfinata, ci limitiamo a citare, fra gli scritti più recenti, BASILE, Il “doppio binario” sanzionatorio degli abusi di mercato in Italia e la trasfigurazione del ne bis in idem europeo, in Giur. comm., 2019, 129; Bindi, Divieto di bis in idem e doppio binario sanzionatorio nel dialogo tra giudici nazionali e sovranazionali, in Federalismi.it, 12 settembre 2018. Fra i primi lavori, invece, successivi alla decisione cd. Grande Stevens, TRIPODI, Uno più uno (a Strasburgo) fa due. L'Italia condannata per violazione del ne bis in idem in tema di manipolazione del mercato, in Penalecontemporaneo.it, 9 marzo 2014; DE AMICIS, Ne bis in idem e “doppio binario” sanzionatorio: prime riflessioni sugli effetti della sentenza “Grande Stevens” nell'ordinamento italiano, in Dir. pen. cont.– Riv. trim., 3-4/2014, 201).

Questo quadro della giurisprudenza di Strasburgo è però significativamente mutata dopo la pronuncia della stessa Corte europea dei diritti dell'uomo A e B c. Norvegia del 15 novembre 2016, la quale, accanto ai presupposti già citati inerenti l'identità del fatto storico e la natura sostanzialmente penale delle sanzioni in questione, ha introdotto un nuovo presupposto, sostenendo che la violazione del divieto del bis in idem comunque non sussiste qualora i procedimenti in questione presentino, avendo riguardo alle peculiarità dei casi di specie, una “sufficiently close connection in substance and time” ovvero i due procedimenti siano avvinti da un legame materiale e temporale sufficientemente stretto. Con questa decisione, la Corte EDU ha profondamente modificato la natura del principio del ne bis in idem, che oggi non può oggi dirsi violato se la risposta sanzionatoria, derivante dal cumulo delle due pene inflitte nei diversi procedimenti, appaia comunque complessivamente proporzionata alla gravità dei fatti, con la conseguenza che, mentre secondo la giurisprudenza precedente si era in presenza di un'osservanza del divieto di bis in idem per il solo fatto che un soggetto era sottoposto a processo per un medesimo fatto, dopo la pronuncia A e C contro Norvegia il giudice, prima di riscontrare tale violazione, dovrà verificare a) se i due procedimenti perseguono scopi differenti ed esaminano profili diversi della medesima condotta antisociale, b) se la normativa nazionale rendeva prevedibile lo svolgimento di un doppio giudizio, c) se i due procedimenti sono stati condotti in modo da evitare, per quanto possibile, la duplicazione nella raccolta e nella valutazione della prova in conseguenza di un collegamento di natura cronologica fra i procedimenti, d) se la pena risultante dalle sanzioni applicate al termine dei due processi risulti proporzionata, e) se le fattispecie oggetto dei due procedimenti appartengano al ‘nucleo duro' del diritto penale e siano caratterizzate da forme accentuate di stigma sociale (su tale decisione VIGANÒ, La Grande Camera della Corte di Strasburgo su ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio, in Penalecontemporaneo.it, 18 novembre 2016. Con riferimento alla discrezionalità riconosciuta al singolo giudice,

Scoletta, Abusi di mercato e ne bis in idem: il doppio binario (e la legalità della pena) alla mercé degli interpreti, in Soc., 2019, 533).

Tale impostazione è stata poi accolta anche dalla Corte di Giustizia UE, la quale il 20 marzo 2018 ha pronunciato tre decisioni – originate da rinvii pregiudiziali di giudici italiani – che inerivano rispettivamente il tema del doppio binario sanzionatorio in materia di a) reati tributari con specifico riferimento al delitto di cui all'art. 10-bis d.lgs. 74/2000 (causa Menci, C-524/15), b) fattispecie di market abuse in relazione all'illecito qualificato come amministrativo dall'art. 187-ter d.lgs. n. 58/1998 ed al delitto di manipolazione di mercato di cui all'art. 185 del medesimo decreto legislativo (causa Garlsson Real Estate e a., C-537/16), c) reato di abuso di informazioni privilegiate di cui all'art. 184 d.lgs. 58/1998 e sanzioni inflitte dalla CONSOB ai sensi dell'art. 187-ter del medesimo testo normativo (cause Di Puma, C-596/16, e Zecca, C-597/16). In tali pronunce – che richiamano la giurisprudenza di Strasburgo con riferimento alla nozione di sanzione penale e di idem factum – si riconosce che il principio del ne bis in idem nell'ambito del diritto dell'Unione può ben trovare limitazioni e quindi è assolutamente possibile per un ordinamento nazionale sottoporre ad una duplice sanzione una medesima condotta illecita, sempre che – aggiunge la Corte di Giustizia – che le sanzioni: 1) siano finalizzate – nel rispetto del principio di proporzionalità – a un obiettivo di interesse generale tale da giustificare il cumulo, 2) siano previste da regole chiare e precise, tali da rendere prevedibile il ricorso ad un sistema di doppio binario sanzionatorio, 3) sia garantito un coordinamento fra i due procedimenti relativi all'idem factum, in modo da limitare il più possibile gli oneri supplementari che il ricorso a tale sistema genera, 4) siano rispettose del principio di proporzione della pena, limitando a quanto strettamente necessario il complesso delle sanzioni irrogate.

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione ha annullato con rinvio la decisione, limitatamente al trattamento sanzionatorio, chiedendo al giudice del rinvio di verificare la proporzionalità del complessivo trattamento punitivo irrogato, valutando, tra l'altro, l'incidenza del fatto sull'integrità e trasparenza del mercato finanziario e sulla fiducia del pubblico negli strumenti finanziari, ma anche la complessiva condotta del ricorrente.

Dopo una compiuta ricostruzione della giurisprudenza sovranazionale in tema di ne bis in idem ed un richiamo alla decisione n. 200 del 2016 della Corte costituzione che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p., per violazione dell'art. 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU, nella parte in cui escludeva che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale, la sentenza ritiene che il quadro normativo possa dirsi in qualche modo assestato dopo la decisione della Corte EDU Grande Chambre, A e B contro Norvegia del 15 novembre 2016, nella quale –al paradigma della connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta tra i procedimenti nei quali si discute di bis in idem - si affianca quello, fondamentale, della verifica della esistenza di un unico sistema sanzionatorio "integrato" in cui ciò che conta per stabilire se vi sia violazione o meno del superiore divieto di un doppio giudizio sul medesimo fatto è il risultato di proporzionalità complessiva della sanzione inflitta nell'ambito dei due procedimenti.

In sostanza, con la pronuncia A e B è stata individuata una nuova chiave di valutazione per la verifica della sussistenza di una violazione del divieto di doppio giudizio nell'ordinamento interno di uno Stato membro, nel caso in cui ad una sanzione amministrativa definitiva si affianchi un procedimento penale per lo stesso fatto, nei confronti della stessa persona, venendo indicato il criterio finale di verifica della complessiva proporzionalità della sanzione, "integrata" poiché frutto dell'applicazione congiunta della pena e della sanzione amministrativa nei due procedimenti parallelamente creati (nel senso della rilevanza della decisione A. e B. vs. Norvegia, cfr. Corte costituzionale n. 43/2018, secondo cui dopo la predetta decisione il ne bis in idem non opera quando i procedimenti sono avvinti da un legame materiale e temporale sufficientemente stretto precisando che «legame temporale e materiale sono requisiti congiunti; il legame temporale non esige la pendenza contemporanea dei procedimenti, ma ne consente la consecutività, a condizione che essa sia tanto più stringente, quanto più si protrae la durata dell'accertamento; [...] il legame materiale dipende dal perseguimento di finalità complementari connesse ad aspetti differenti della condotta, dalla prevedibilità della duplicazione dei procedimenti, dal grado di coordinamento probatorio tra di essi, e soprattutto dalla circostanza che nel commisurare la seconda sanzione si possa tenere conto della prima al fine di evitare l'imposizione di un eccessivo fardello per lo stesso fatto illecito»).

L'esito finale di tale riflessione è, secondo la Cassazione, la considerazione secondo cui il ne bis in idem convenzionale cessa di agire quale regola inderogabile conseguente alla sola presa d'atto circa la definitività del primo procedimento ma viene subordinato a un apprezzamento proprio della discrezionalità giudiziaria in ordine al nesso che lega i procedimenti. In sostanza, si è passati dal divieto imposto agli Stati aderenti di configurare per lo stesso fatto illecito due procedimenti che si concludono indipendentemente l'uno dall'altro, alla facoltà di coordinare nel tempo e nell'oggetto tali procedimenti, in modo che essi possano reputarsi nella sostanza come preordinati a un'unica, prevedibile e non sproporzionata risposta punitiva, avuto specialmente riguardo all'entità della pena (in senso convenzionale) complessivamente irrogata, sicché, come si legge nella decisione della Corte costituzionale n. 43 del 2018, «ciò che il divieto di bis in idem ha perso in termini di garanzia individuale, a causa dell'attenuazione del suo carattere inderogabile, viene compensato impedendo risposte punitive nel complesso sproporzionate».

Come è noto, la giurisprudenza di cassazione già in altre occasioni si è conformata a tale conclusione, con una serie di decisioni relative al tema degli abusi di mercato, dichiarando l'insussistenza della violazione del principio di bis in idem in presenza della nota regola interpretativa della sufficiently close connection in substance and time e di una verifica della natura integrata della sanzione e proporzionata al disvalore del fatto (fra le tante, Cass., sez. II, 22 maggio 2018, n. 41007; Cass., sez. V, 21 settembre 2018, n. 49869, in questo portale, con nota di Picotti, Il perimetro giurisprudenziale del ne bis in idem in materia di abusi di mercato ed il dialogo multilivello fra le Corti; Cass., sez. V, 16 luglio 2018, n. 45829; Cass., sez. V, 19 novembre 2018 (dep. 2019), n. 5679). Tale verifica della compatibilità con il principio del ne bis in idem del trattamento sanzionatorio complessivamente irrogato compete, secondo la Cassazione al giudice (eventualmente anche a quello di legittimità sulla scorta di quanto prevede l'art. 620, comma 1, lett. I) c.p.p., sicché la Suprema Corte, qualora non sia necessario procedere ad ulteriori accertamenti di fatto e facendo riferimento ai criteri di cui all'art. 133 c.p., può pronunciarsi sulla complessiva proporzionalità della sanzione "integrata") che deve valutare la proporzionalità del cumulo sanzionatorio rispetto al disvalore del fatto, da apprezzarsi con riferimento agli aspetti propri di entrambi gli illeciti (quello penale e quello "formalmente" amministrativo) e, in particolare, agli interessi generali sottesi alla disciplina degli abusi di mercato (anche sotto il profilo dell'incidenza del fatto sull'integrità dei mercati finanziari e sulla fiducia del pubblico negli strumenti finanziari), tenendo conto, con riguardo alla pena della multa, del meccanismo "compensativo" di cui all'art. 187-terdecies TUF. Qualora detta valutazione dovesse condurre a ritenere il complessivo trattamento sanzionatorio lesivo della garanzia del ne bis in idem il giudice nazionale dovrà dare applicazione diretta al principio garantito dall'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, disapplicando, se necessario e, naturalmente, solo in mitius, le norme che definiscono il trattamento sanzionatorio (Cass., sez. V, 16 luglio 2018, n. 45829, cit.; Cass., sez. V 19 novembre 2018 (dep. 2019), n. 5679, cit.).

Questa ipotesi di disapplicazione – istituto assolutamente anomalo ed innovativo per il nostro ordinamento - potrà investire in toto la norma relativa alla sanzione non ancora divenuta irrevocabile solo quando la "prima" sanzione sia, da sola, proporzionata al disvalore del fatto, avuto riguardo anche agli aspetti propri della "seconda" sanzione e agli interessi generali sottesi alla disciplina degli abusi di mercato: infatti, solo in presenza di una sanzione irrevocabile idonea, da sola, ad "assorbire" il complessivo disvalore del fatto, il giudice comune dovrà disapplicare in toto la norma che commina la sanzione non ancora irrevocabile, così escludendone l'applicazione. Tuttavia, quest'ultima eventualità costituisce senza dubbio un' ipotesi, che, considerata l'estraneità della sanzione irrogata dall'autorità amministrativa al nucleo più incisivo del diritto sanzionatorio, rappresentato dal diritto penale, è potenzialmente suscettibile di venire in rilievo nel caso in cui la valutazione circa la violazione del ne bis in idem riguardi la sanzione amministrativa, essendo già divenuta irrevocabile quella penale, mentre, nel caso opposto in cui (come nella fattispecie sottoposta alla Corte nel caso deciso dalla sentenza in commento) la sanzione divenuta irrevocabile sia quella irrogata da Consob, la disapplicazione in toto della norma sanzionatoria penale può venire in rilievo in ipotesi del tutto eccezionali, in cui la sanzione amministrativa - evidentemente attestata sui massimi edittali in rapporto ad un fatto di consistente gravità - risponda, da sola, al canone della proporzionalità nelle diverse componenti riconducibili ai due illeciti. Fuori da tale ultima ipotesi - definita in più occasioni eccezionale dalla stessa Corte di legittimità -, l'accertamento dell'incompatibilità del trattamento sanzionatorio complessivamente irrogato rispetto alla garanzia del ne bis in idem comporta, nel caso di sanzione amministrativa già divenuta irrevocabile, esclusivamente la rideterminazione delle sanzioni penali attraverso la disapplicazione in mitius della norma che commina dette sanzioni non già in toto, ma solo nel minimo edittale.

Tale impostazione è ribadita anche nella decisione in commento, la quale rinvia al giudice di merito il compito di stabilire se la sanzione deve essere riproporzionata (operando, ovviamente, sulla porzione ancora sub iudice che nella specie è quella penale) ovvero disapplicata completamente. Tuttavia, nell'annullare in tale parte la decisione i giudici di legittimità forniscono alcune indicazioni al giudice del rinvio per la sua valutazione, evidenziando

1) che nel valutare la proporzionalità della sanzione con riguardo alla pena della multa si deve tenere conto del meccanismo "compensativo" previsto dall'art. 187-terdecies TUF, secondo cui, quando per lo stesso fatto è stata applicata a carico del reo o dell'ente una sanzione amministrativa pecuniaria ai sensi dell'art. 187-septies, la esazione della pena pecuniaria e della sanzione pecuniaria dipendente da reato è limitata alla parte eccedente quella riscossa dall'autorità amministrativa;

2) che la rimodulazione del trattamento sanzionatorio in caso di sovrapposizione di sanzioni per il medesimo fatto deve essere compiuta mediante una verifica complessiva che attenga sia alla pena principale che alla confisca ex art. 187 TUF ed alle pene accessorie. Trattasi di un profilo particolarmente rilevante, considerata l'incidenza sanzionatoria che assai di frequente presenta la confisca (anche se la gravosità della stessa è stata fortemente ridotta dopo la decisione della Corte costituzionale n. 112 del 2019 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli art. 187-sexies del d.lgs. n. 58 del 1998, nella parte in cui prevedeva la confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, del prodotto dell'illecito e dei beni utilizzati per commetterlo, e non del solo profitto) e per tale ragione i giudici di legittimità sottolineano come debba tenersi conto della necessità di ottenere un risultato sanzionatorio che complessivamente non esorbiti da criteri di ragionevolezza e sproporzione rispetto al disvalore in sé del fatto, avuto riguardo anche alla porzione confiscata riferita al capitale investito;

3) che va considerato il disposto di cui all'art. 133 c.p., il quale va letto considerando, per un verso, il trattamento sanzionatorio inteso come comprensivo anche della sanzione formalmente amministrativa e, per altro verso, il fatto commesso nei diversi aspetti propri dei due illeciti (quello penale e quello "formalmente" amministrativo). A quest'ultimo proposito, si invita il giudice a tener conto dell'incidenza negativa sulla fiducia degli investitori nei mercati e sulla lesione provocata al bene dell'integrità e trasparenza del mercato, nonché di tutti i fattori soggettivi ed oggettivi ulteriori che possono influire sul rapporto sanzione/disvalore del fatto, come il comportamento processuale dell'imputato, l'episodicità o meno della sua condotta

Conclusioni

La sentenza in commento presumibilmente rappresenta la consacrazione del principio secondo cui il rispetto del divieto di bis in idem può essere garantito anche mediante una rimodulazione in sede giudiziale, ad opera cioè del singolo giudice che precede, delle diverse sanzioni onde pervenire all'applicazione di una pena che non risulti irragionevolmente severa rispetto al fatto commesso. Anzi, può sostenersi che rispetto alle precedenti decisioni di analogo tenore la Cassazione in questa occasione si andata ancora oltre nel riconoscimento di un tale potere decisionale al singolo giudice: nella parte finale della pronuncia infatti è dato di leggere che “l'ipotesi della disapplicazione in toto della sanzione penale che "doppi" quella amministrativa già inflitta, intervenendo "da seconda" dopo il passaggio in giudicato di quest'ultima, è rara … per quanto rara, l'ipotesi non è relegata entro ambiti paradossali e che, proprio in una materia come quella degli abusi di mercato, in cui l'apparato sanzionatorio penale fa spesso eco alla severità draconiana delle sanzioni amministrative per prime inflitte, il giudice di merito - o quello di legittimità, ricorrendo le condizioni previste dall'art. 620, comma 1, lett. I) - ha il dovere, nella valutazione dell'afflittività complessiva della sanzione "integrata", di spingersi oltre la verifica meramente quantitativa o legata alle pur evidenti e pressanti ragioni di tutela dell'interesse generale alla trasparenza ed integrità dei mercati e, con essi, dei sistemi economici, valorizzando parimenti quelle esigenze di garanzia individuale delle quali le Corti europee lo hanno eletto primo custode. In questo compito, al giudice penale non devono essere di ostacolo né il principio di obbligatorietà dell'azione penale ex art. 112 Cost., che non può operare come una sorta di generalizzata preclusione al "recepimento", nell'ordinamento interno, della riconducibilità nel genus della sanzione penale, così come delineato dalla CEDU, di sanzioni formalmente non qualificate come tali, né il già evocato criterio di legalità sulle cui basi si fonda la teoria dell'illecito penale nel nostro ordinamento, che pure non può essere invocato per giustificare una indiscriminata preclusione alla conformazione del diritto interno al diritto dell'Unione europea in materia penale”.

Insomma, nessuna paura deve provare il giudice nel formulare un comando che sembra in deciso contrasto con la ratio stessa del suo potere ovvero dichiarare che l'imputato ha commesso il reato ma che, ciò nonostante, lo stesso deve andare esente da sanzione in ambito penale essendo stato già adeguatamente punito con altri strumenti disciplinati dall'ordinamento.

Che dire… D'ora in poi ogni processo sarà sottoposto alla spada di Damocle della discrezionale decisione del singolo giudice circa la severità del trattamento punitivo che nel caso di specie viene riservato al singolo con la facile pronosticabilità di una atteggiamenti difformi da parte dei diversi componenti del potere giudiziario.

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