Allerta precoce e ristrutturazione preventiva: Codice della crisi e Direttiva 2019/1023 a confronto

30 Ottobre 2019

In data 26 giugno 2019 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea la direttiva 2019/1023 sui quadri di ristrutturazione preventiva che dovrà essere recepita dai singoli Stati membri entro il 17 luglio 2021. Nel frattempo, sul piano interno, la quasi totalità delle nuove disposizioni introdotte dal Codice della crisi e dell'insolvenza (CCI) entrerà in vigore il 15 agosto 2020, ma in virtù dell'art. 1 della legge 8 marzo 2019, n. 20 il Governo avrà tempo sino al 15 agosto 2022 per adottare disposizioni integrative e correttive. È quantomai auspicabile, pertanto, che il legislatore interno approfitti di tale lasso di tempo per integrare e correggere la futura disciplina sulla crisi e sull'insolvenza anche alla luce degli obblighi derivanti dall'appartenenza all'Unione europea, primo fra tutti quello della corretta e tempestiva trasposizione delle direttive.
Premessa

Per tutti gli “innamorati” del diritto fallimentare, il 14 febbraio 2019 (non a caso il giorno di San Valentino) ha rappresentato una data storica: da un lato, a livello terminologico, il termine “fallimento” (e l'associato concetto di “diritto fallimentare”) è stato definitivamente archiviato a vantaggio di altre e meno screditanti (?) espressioni, quali crisi di impresa, insolvenza e liquidazione giudiziale; dall'altro lato, a livello sostanziale, si è assistito al tentativo (allo stato non si sa ancora se e fino a che punto riuscito) di diffondere una nuova concezione della crisi imprenditoriale declinata in termini di cultura del salvataggio (rescue culture) e di seconda opportunità (second chance) di chiara derivazione statunitense.

Tale operazione, lessicale e sostanziale, ha comportato la riscrittura di gran parte delle norme che per oltre settant'anni (ed una lunga serie di convulse riforme parziali) hanno rappresentato il corpo e l'anima di quello che si era soliti chiamare diritto fallimentare. Nonostante sul piano interno già da tempo si auspicasse un intervento del legislatore in grado di (ri-) dare sistematicità ed organicità ad una disciplina divenuta troppo farraginosa e poco funzionale sia per gli imprenditori in crisi sia per i creditori, è indubbio che una spinta fondamentale in tal senso si è avuta per effetto dei vari interventi dell'Unione europea in materia concorsuale nel corso degli ultimi venti anni.

L'Unione europea e la materia concorsuale

Il primo intervento del legislatore europeo in materia concorsuale è rappresentato dal Regolamento n. 1346/2000 del Consiglio del 29 maggio 2000 in materia di procedure di insolvenza relative ad imprese che avevano sede e beni in Stati diversi dell'Unione europea. Esplicitamente finalizzata a dissuadere gli imprenditori dal trasferire i beni e le procedure concorsuali che li riguardavano da uno Stato membro all'altro al solo fine di beneficiare di una migliore situazione giuridica (c.d. forum shopping), il Regolamento n. 1346/200 ha per la prima volta introdotto nel diritto concorsuale degli Stati membri concetti quali "centro degli interessi principali del debitore", "procedura principale di insolvenza", "procedura secondaria di insolvenza" unitamente a regole uniformi in materia soprattutto di competenza internazionale, legge applicabile, riconoscimento delle procedure di insolvenza aperte in altri Stati membri, poteri del Curatore ed esercizio dei diritti dei creditori. Nonostante l'indubbia rilevanza di tale intervento legislativo, il Regolamento n. 1346/2000 non affrontava due temi assai rilevanti:

a) il problema relativo alle divergenze, talvolta assai rilevanti, tra i diritti concorsuali nazionali; e

b) la necessità di una radicale inversione di rotta a favore di un diritto concorsuale finalizzato non già a punire gli imprenditori in crisi, ma a offrire loro una seconda opportunità. E' solo con l'inizio del terzo millennio che tali temi entrano a pieno titolo nell'agenda politica europea. Il 3 ottobre 2012, con la Comunicazione “L'Atto per il mercato unico II”, la Commissione propone espressamente un'azione chiave finalizzata a modernizzare le norme UE in materia di insolvenza per facilitare la sopravvivenza delle imprese ed offrire una seconda possibilità agli imprenditori. Analogamente, nella di poco successiva Comunicazione del 12 dicembre 2012 intitolata “Un nuovo approccio europeo al fallimento delle imprese e all'insolvenza”, la Commissione sottolinea in modo chiaro e diretto che “un diritto fallimentare moderno negli Stati membri dovrebbe aiutare le società a sopravvivere ed incoraggiare gli imprenditori a cogliere una seconda opportunità; dovrebbe assicurare la rapidità e l'efficienza delle procedure nell'interesse tanto dei debitori che dei creditori; contribuire a salvaguardare i posti di lavoro; aiutare i fornitori a mantenere la clientela e gli azionisti a preservare il valore delle società economicamente solide”. In seguito, nel 2015, con il Regolamento n. 2015/848 del Parlamento europeo e del Consiglio, l'Unione europea ha provveduto, da un lato, ad abrogare il precedente Regolamento n. 1346/2000 e, dall'altro lato, a fondere e consolidare in un unico testo la disciplina delle procedure concorsuali che presentano elementi transfrontalieri. Peraltro, in linea con il nuovo approccio delineato dalla Commissione, il Regolamento n. 2015/848 estende il proprio ambito di applicazione anche alle procedure che promuovono il salvataggio delle società economicamente solide, ma che si trovano in difficoltà economiche e che danno una seconda opportunità agli imprenditori. In tal senso, il Considerando n. 10 richiama espressamente le procedure di ristrutturazione del debitore nella fase in cui sussiste soltanto una possibilità di insolvenza, le procedure nelle quali il debitore mantiene il controllo (totale o parziale) dei suoi beni, le procedure di remissione del debito nonché le procedure che autorizzano una sospensione temporanea delle azioni esecutive promosse dai singoli creditori nei casi in cui tali azioni possono ripercuotersi negativamente sui negoziati ed ostacolare le prospettive di ristrutturazione dell'impresa. In tale contesto di profonda trasformazione, legislativa e culturale, dell'approccio europeo alle procedure concorsuali, la svolta significativa arriva con la recente direttiva n. 2019/1023 relativa ai quadri di ristrutturazione preventiva, all'esdebitazione ed alle misure volte ad aumentare l'efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione. L'obiettivo della direttiva è definito in modo chiaro e diretto dal Considerando n. 1 a mente del quale tale direttiva mira a rimuovere gli ostacoli che derivano dalle differenze tra legislazioni e procedure nazionali in materia di ristrutturazione preventiva, insolvenza ed esdebitazione “garantendo alle imprese e agli imprenditori sani che sono in difficoltà finanziarie la possibilità di accedere a quadri nazionali efficaci in materia di ristrutturazione preventiva che consentano loro di continuare ad operare, agli imprenditori onesti insolventi o sovraindebitati di poter beneficiare di una seconda opportunità mediante l'esdebitazione dopo un ragionevole periodo di tempo”.

L'allerta precoce e i quadri di ristrutturazione preventiva nella direttiva 2019/1023

Con riferimento all'istituto dell'allerta precoce, l'art. 3 della direttiva stabilisce che gli Stati membri devono provvedere affinché i debitori abbiano accesso ad uno o a più strumenti di allerta precoce chiari e trasparenti in grado di individuare situazioni che potrebbero comportare la probabilità di insolvenza e di segnalare al debitore la necessità di agire senza indugio. Giova sin d'ora sottolineare che la nozione di probabilità di insolvenza viene definita dalla direttiva mediante rinvio alla definizione contenuta a livello a nazionale. Ne consegue, pertanto, che per quanto riguarda l'Italia il concetto di possibilità di insolvenza sembra identificarsi con la nozione di crisi intesa come lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l'insolvenza del debitore e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate, in conformità all'art. 2, comma 1, lett. c) CCI. La direttiva non impone agli Stati membri l'adozione di uno o più modelli particolari di strumenti di allerta precoce, ma si limita a stabilire che tali strumenti possono includere:

a) meccanismi di allerta nel momento in cui il debitore non ha effettuato determinati tipi di pagamenti;

b) servizi di consulenza forniti da organizzazioni pubbliche o private;

c) incentivi a norma del diritto nazionale rivolti a terzi in possesso di informazioni rilevanti sul debitore, come i contabili e le autorità fiscali e di sicurezza sociale affinché segnalino al debitore gli andamenti negativi.

Due altre disposizioni della direttiva in materia di allerta precoce meritano di essere menzionate: da una parte, l'obbligo per gli Stati membri di provvedere affinché i debitori ed i rappresentanti dei lavoratori abbiano accesso ad informazioni pertinenti ed aggiornate sugli strumenti di allerta precoce e sulle misure di ristrutturazione preventiva; dall'altra parte, l'obbligo per gli Stati membri di prevedere che le informazioni sull'accesso agli strumenti di allerta precoce siano pubbliche, disponibili on line, facilmente accessibili e di agevole consultazione. E' rimessa, invece, alla discrezionalità degli Stati membri la facoltà di prevedere un sostegno a favore dei lavoratori nella valutazione della situazione economica del debitore.

Per quanto riguarda, invece, i quadri di ristrutturazione preventiva, l'art. 4 stabilisce che, qualora sussista una probabilità di insolvenza, il debitore deve avere accesso ad un quadro di ristrutturazione preventiva che gli consenta la ristrutturazione al fine di impedire l'insolvenza e di assicurare la sostenibilità economica in modo tale da tutelare i posti di lavoro e preservare l'attività imprenditoriale. Anche in questo caso la direttiva non definisce il format del quadro di ristrutturazione, prevedendo unicamente che tale quadro può consistere in una o più procedure, misure o disposizioni, alcune delle quali possono realizzarsi in sede stragiudiziale. Tale quadro deve necessariamente essere disponibile su richiesta del debitore, mentre gli Stati membri restano liberi di prevedere che tale quadro sia disponibile anche su richiesta dei creditori e dei rappresentanti dei lavoratori, previo accordo con il debitore. La direttiva sancisce espressamente all'art. 5 il principio secondo cui il debitore che accede alle procedure di ristrutturazione preventiva deve mantenere il controllo totale o almeno parziale dei suoi attivi e della gestione corrente dell'impresa. La nomina da parte dell'autorità giudiziaria o amministrativa di un professionista nel campo della ristrutturazione, infatti, è decisa caso per caso. Per contro, la nomina di un professionista nel campo della ristrutturazione per assistere il debitore e i creditori nel negoziare e redigere il piano è sempre obbligatoria nei seguenti casi:

a) quando è stata concessa una sospensione generale delle azioni esecutive individuali e l'autorità giudiziaria ritiene che tale professionista sia necessario per tutelare gli interessi delle parti;

b) quando il piano di ristrutturazione deve essere omologato dall'autorità giudiziaria o amministrativa; c) quando la nomina è richiesta dal debitore o dalla maggioranza dei creditori, purché, in quest'ultimo caso, i creditori si facciano carico del costo del professionista.

La sospensione delle azioni esecutive individuali nella direttiva 2019/1023

Accanto alla previsione relativa alla disponibilità di un quadro di ristrutturazione preventiva nei casi di probabile insolvenza, la direttiva 2019/1023 prevede l'istituto della sospensione delle azioni esecutive individuali. A mente dell'art, 6, infatti, gli Stati membri sono tenuti a prevedere la possibilità per il debitore di beneficiare di tale istituto al fine di agevolare le trattative sul piano di ristrutturazione nel contesto di un quadro di ristrutturazione preventiva. In linea di principio la sospensione delle azioni esecutive individuali può riguardare tutti i tipi di crediti, anche privilegiati o garantiti e può essere generale (ossia riguardare tutti i creditori) oppure limitata soltanto ad uno o a più singoli creditori o categorie di creditori. Sono in ogni caso esclusi i crediti dei lavoratori, ma agli Stati membri è concessa la facoltà di prevedere anche per tali crediti la sospensione delle azioni esecutive individuali soltanto se viene contestualmente assicurato che il pagamento di tali crediti sia garantito nell'ambito di un quadro di ristrutturazione preventiva con un livello di tutela analogo. E' prevista la facoltà degli Stati membri di escludere determinati crediti in circostanze ben definite, previa giustificazione e nel caso in cui: a) l'azione esecutiva non è in grado di compromettere la ristrutturazione dell'impresa; b) la sospensione comporta un ingiusto pregiudizio dei creditori.

La durata della sospensione delle azioni esecutive individuali è stabilita in quattro mesi, fatta salva la facoltà degli Stati membri di autorizzare l'autorità giudiziaria a prorogare tale termine o a concedere una nuova sospensione su richiesta del debitore, di un creditore o di un professionista (se nominato) nel campo della ristrutturazione. Al fine di poter beneficiare della proroga o del rinnovo è indispensabile fornire una valida giustificazione, come, ad esempio, il fatto che sono stati compiuti progressi significativi nelle trattative sul piano di ristrutturazione, oppure che il prolungamento della sospensione non pregiudica i diritti delle parti, oppure ancora che nei confronti del debitore non sono state ancora aperte procedure di insolvenza. In ogni caso, però, la durata totale della sospensione, incluse proroghe e rinnovi, non può superare dodici mesi. A garanzia dei diritti dei creditori è prevista la possibilità per l'autorità giudiziaria di revocare una sospensione delle azioni esecutive individuali nei seguenti casi:

a) la sospensione non soddisfa più l'obiettivo di agevolare le trattative (ad es., perché risulta evidente che una parte dei creditori in grado di impedire l'adizione del piano di ristrutturazione non appoggia più le trattative);

b) su richiesta del debitore o del professionista della ristrutturazione;

c) ove previsto dal diritto interno, se uno o più creditori sono o sarebbero pregiudicati dalla sospensione;

d) ove previsto dal diritto interno, se la sospensione comporta l'insolvenza del debitore.

La direttiva prevede, altresì, il divieto per i creditori cui si applica la sospensione di rifiutare l'adempimento dei contratti pendenti essenziali, o di risolverli, anticiparne la scadenza o modificarli in altro modo a danno del debitore, in relazione ai debiti sorti prima della sospensione, per la sola ragione di non essere stati pagati dal debitore. A tal fine, i contratti pendenti essenziali vengono definiti come i contratti pendenti necessari per la continuazione della gestione corrente dell'impresa, inclusi i contratti relativi alle forniture la cui interruzione comporterebbe la paralisi dell'attività del debitore. Tale previsione, peraltro, non impedisce agli Stati membri di conferire a tali creditori adeguate garanzie per evitare che subiscano un ingiusto pregiudizio. Inoltre, è prevista la facoltà per gli Stati membri di estendere la disciplina prevista per i contratti pendenti essenziali anche ai contratti pendenti non essenziali.

E', inoltre, fatto carico agli Stati membri di assicurare che ai creditori non sia consentito di rifiutare l'adempimento dei contratti pendenti né di risolverli, di anticiparne la scadenza o di modificarli in altro modo a danno del debitore in forza di una clausola contrattuale che prevede tali misure, in ragione esclusivamente:

a) di una richiesta di apertura di una procedura di ristrutturazione preventiva;

b) di una richiesta di sospensione delle azioni esecutive individuali;

c) dell'apertura di una procedura di ristrutturazione preventiva; oppure

d) della concessione di una sospensione delle azioni esecutive individuali in quanto tale.

Gli strumenti di allerta preventiva nel nuovo Codice della crisi e dell'insolvenza

Sul versante del diritto interno una delle principali novità introdotte dal nuovo codice della crisi e dell'insolvenza (CCI) è rappresentata senza dubbio dai c.d. strumenti di allerta preventiva. Tali strumenti consistono essenzialmente in specifici obblighi di segnalazione posti a carico degli organi di controllo societari (c.d allerta interna) e di alcuni creditori pubblici qualificati (c.d. allerta esterna) e sono finalizzati espressamente a consentire una tempestiva rilevazione degli indizi di crisi dell'impresa e alla sollecita adozione delle misure più idonee alla sua composizione. In base all'art. 14, comma 1, CCI gli organi di controllo societari, il revisore contabile e la società di revisione, ciascuno nell'ambito delle proprie funzioni, hanno l'obbligo di verificare che l'organo amministrativo valuti costantemente, assumendo le conseguenti idonee iniziative, se l'assetto organizzativo dell'impresa è adeguato, se sussiste l'equilibrio economico finanziario e quale è il prevedibile andamento della gestione, nonché di segnalare immediatamente allo stesso organo amministrativo l'esistenza di fondati indizi della crisi. Tale nuovo istituto sembra collocarsi nel solco tracciato dall'art. 3 della direttiva 2019/1023 e, in particolare, dal comma 2, lett. c) che annovera tra gli istituti di allerta precoce gli incentivi rivolti a terzi in possesso di informazioni rilevanti sul debitore, come i contabili, affinché segnalino al debitore gli andamenti negativi. La natura di incentivo dell'obbligo di segnalazione sembra potersi ricavare dalla previsione contenuta nel comma 3 dell'art. 14 secondo cui la tempestiva segnalazione all'organo amministrativo da parte degli organi di controllo societari, del revisore contabile e delle società di revisione costituisce causa di esonero dalla responsabilità solidale per le conseguenze pregiudizievoli delle omissioni o azioni successivamente poste in essere dai predetti organi.

L'art. 15 CCI, invece, introduce un obbligo di segnalazione a capo di taluni creditori pubblici qualificati individuati nell'Agenzia delle entrate, l'INPS e l'agente della riscossione. Tale obbligo di segnalazione consiste, da un lato, nell'obbligo di avvisare il debitore che la sua esposizione debitoria ha superato un determinato importo (c.d. importo rilevante, che varia a seconda del creditore considerato) e, dall'altro lato, di avvisare il debitore che, se entro novanta giorni non avrà provveduto ad estinguere il proprio debito o a regolarizzarlo, verrà fatta una segnalazione all'OCRI (organismo di composizione della crisi d'impresa). Anche in questo caso la natura premiale di questo obbligo si ricava dal fatto che l'obbligo di segnalazione è stabilito a pena di inefficacia del titolo di prelazione spettante sui crediti dei quali l'Agenzia delle entrate e l'INPS sono titolari e a pena di inopponibilità del credito per spese ed oneri di riscossione per quanto riguarda l'agente della riscossione. Al pari di quanto previsto con riferimento all'allerta interna, anche l'allerta esterna disciplinata dal CCI sembra collocarsi nell'alveo degli strumenti previsti dal legislatore europeo e, in particolare, quelli relativi ai mancati pagamenti di taluni debiti (art. 3, comma 2, lett. a) direttiva 2019/1023). Per quanto riguarda, invece, gli strumenti di allerta precoce consistenti in servizi di consulenza forniti da organizzazioni pubbliche o private di cui alla lettera b) dell'art. 3, comma 2 della direttiva 2019/1023, a livello di diritto interno sembra potersi richiamare il ruolo dell'OCRI nel contesto della procedura che si apre a seguito della segnalazione da parte degli organi di controllo societari e/o da parte dei creditori pubblici qualificati. Ai sensi dell'art. 18, comma 4, CII, infatti, se viene rilevata l'esistenza della crisi, l'OCRI è tenuto ad individuare con il debitore le possibili misure per porvi rimedio. Come evidenziato dai primi commentatori, “nel caso di attivazione dell'OCRI attraverso le procedure di allerta, il ruolo del collegio di esperti sarà inizialmente quello di supportare l'imprenditore nella risoluzione della crisi, principalmente mediante l'adozione di misure riorganizzative dell'attività imprenditoriale. In questo caso, il ruolo dell'OCRI sarà equiparabile a quello di un advisor esperto ed attento ad ottimizzare i processi interni per la soluzione della crisi” (L. Ponti, Tutto inizia davanti agli OCRI, in La riforma del fallimento, Italia Oggi, Serie speciale 2, 23 gennaio 2019, p. 89).

Allo stato attuale, per contro, nel CCI non si rinvengono specifiche diposizioni che possano in qualche modo rappresentare il recepimento sul piano interno delle disposizioni contenute nella direttiva 2019/1023 relative agli strumenti che consentono ai debitori ed ai rappresentanti dei lavoratori di avere accesso ad informazioni pertinenti ed aggiornate sugli strumenti di allerta precoce disponibili come pure sulle procedure di ristrutturazione e di esdebitazione. Inoltre, sarà interessante verificare se il legislatore interno intenderà esercitare la facoltà prevista dal comma 5 dell'art. 3 della direttiva che prevede per gli Stati membri la possibilità di prevedere un sostegno a favore dei rappresentanti dei lavoratori nella valutazione della situazione economica del debitore. Per contro, uno strumento di allerta preventiva previsto in ambito nazionale, ma non contemplato a livello europeo è rappresentato dagli obblighi organizzativi posti a carico dell'imprenditore a norma del Codice civile. Ai sensi dell'art. 375 CCI, infatti, il (nuovo) comma 2 dell'art. 2086 Cod. civ. prevede che l'imprenditore che operi in forma societaria o collettiva ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa anche in funzione della tempestiva rilevazione della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi ed il recupero della continuità aziendale. Per quanto riguarda, invece, l'ambito soggettivo di applicazione delle disposizioni in materia di allerta precoce, è noto che il legislatore interno ha inteso espressamente escludere le grandi imprese, i gruppi di imprese di rilevante dimensione e le società quotate in borsa (art. 12, comma 4, CCI); per contro, a livello europeo una simile limitazione non risulta prevista (né autorizzata), tanto da doversi interrogare sulla necessità di un intervento correttivo sul piano interno.

Le misure protettive e la sospensione delle azioni esecutive individuali nel CCI

Ai sensi dell'art. 20 CCI l'imprenditore che ha presentato istanza per la soluzione concordata della crisi può chiedere al Tribunale delle imprese le misure protettive necessarie per portare a termine le trattative in corso. Tra queste misure rientra senz'altro la sospensione delle azioni esecutive e cautelari dei singoli creditori di cui all'art. 54, comma 2, CCI. Sul piano interno la sospensione delle azioni esecutive individuali ha portata generale e sembra, pertanto, riguardare tutte le tipologie di crediti. Sebbene tale possibilità sia espressamente prevista anche dalla direttiva 2019/1023 (cfr. art. 6, comma 3: gli Stati membri possono prevedere che una sospensione delle azioni esecutive individuali possa essere generale, ossia riguardare tutti i creditori, o limitata, ossia riguardare uno o più singoli creditori o categorie di creditori), deve essere sottolineato che a livello europeo la sospensione non riguarda i diritti dei lavoratori, ferma restando la possibilità per gli Stati membri di ricomprendere anche tali crediti nell'ambito di quelli soggetti al blocco delle azioni esecutive individuali ma soltanto a patto che il pagamento di tali crediti sia garantito nell'ambito di un quadro di ristrutturazione preventiva con un livello di tutela analogo.

Anche in questo caso, pertanto, si ritiene auspicabile un intervento legislativo sul piano interno al fine di allineare le disposizioni del CCI con quelle della direttiva 2019/1023. La durata della sospensione risulta più breve sul piano interno (tre mesi prorogabili per un massimo di altri tre mesi) rispetto a quanto previsto a livello europeo (quattro mesi prorogabili fino ad un massimo di dodici mesi). E', peraltro, interessante notare che nel diritto interno la proroga può essere disposta soltanto in caso di progressi significativi nelle trattative tali da rendere probabile il raggiungimento dell'accordo; per contro, in base all'art. 6, comma 7 della direttiva 2019/1023 la proroga può essere concessa anche nel caso in cui la continuazione della sospensione non pregiudichi ingiustamente i diritti e gli interessi delle parti interessate oppure nel caso in cui nei confronti del debitore non siano state ancora aperte procedure di insolvenza. Trattandosi di una facoltà concessa agli Stati membri si tratterà di verificare se il nostro legislatore intenderà intervenire per allargare gli attuali casi in cui è possibile ottenere una proroga della sospensione delle azioni esecutive individuali nel senso previsto dalla direttiva 2019/1023. Anche con riferimento alla disciplina della revoca della sospensione delle azioni esecutive individuali si registrano talune diversità tra la disciplina interna e quella europea. Ai sensi dell'art. 20, comma 4, CCI la revoca può essere disposta in qualsiasi momento; la direttiva, tuttavia, attribuisce agli Stati membri la facoltà di prevedere un periodo minimo, non superiore a quattro mesi, durante il quale non è possibile disporre la revoca. I presupposti per la revoca previsti dal diritto interno sono i seguenti:

a) la commissione di atti di frode nei confronti dei creditori;

b) l'impossibilità di addivenire ad una soluzione concordata della crisi;

c) la mancanza di significativi progressi nell'attuazione delle misure adottate per superare la crisi.

Anche in questo caso le ipotesi previste sul piano interno non coincidono perfettamente con quelle previste dalla direttiva 2019/1023, fatti salvi i casi sub b) e c) assimilabili a quanto previsto dall'art. 6, comma 9, lett. a) della direttiva (la sospensione non soddisfa più l'obiettivo di agevolare le trattative sul piano di ristrutturazione). Peraltro, se è vero che le ulteriori ipotesi previste dalla direttiva (ingiusto pregiudizio per uno o più creditori o rischio di insolvenza per un creditore) possono operare soltanto se espressamente previste dal diritto nazionale, l'ipotesi della richiesta di revoca da parte del debitore (o del professionista nel campo della ristrutturazione) non risulta soggetta ad alcuna condizione e sembra prescindere completamente dal giudizio circa la perdurante utilità della sospensione delle azioni esecutive individuali ai fini del buon fine della trattative. Sotto tale profilo, pertanto, quasi certamente si renderà necessario un intervento integrativo da parte del legislatore interno. Nulla, per contro, è previsto dal CCI con specifico riferimento alle conseguenze della sospensione delle azioni esecutive individuali alle quali, invece, la direttiva dedica l'intero art. 7 in precedenza analizzato. Anche in questo caso, quindi, sembra indispensabile un intervento sul piano del diritto interno al fine di adeguare l'attuale disciplina alle previsioni del diritto europeo, soprattutto in materia di contratti pendenti essenziali (art. 7, comma 4) e di obbligo di adempimento dei contratti pendenti (art. 7, comma 5).

Conclusioni

I meccanismi di allerta preventiva (o precoce) costituiscono senza alcun dubbio il principale leitmotiv della riforma del diritto concorsuale, sia sul piano interno, sia sul piano del diritto europeo. I due legislatori hanno disegnato, ciascuno nell'ambito delle rispettive competenze, un complesso di norme e regole (più snello a livello europeo, decisamente più complesso e farraginoso sul piano interno) accomunate dall'obiettivo ultimo di anticipare il prima possibile il momento in cui l'imprenditore può rendersi conto delle proprie difficoltà finanziarie ed intervenire per evitare che la crisi degeneri nell'insolvenza. Nonostante la condivisione di questo obiettivo di base, l'adattamento del diritto interno ai principi enunciati dalla direttiva 2019/1023 non può ritenersi implicito nell'attuale disciplina e quasi certamente richiederà alcuni interventi correttivi.

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