Controllo codicistico e controllo pubblico congiunto “di fatto” o “presunto”

07 Novembre 2019

Il controllo nelle società a partecipazione pubblica nel caso di una pluralità di soci amministrazioni pubbliche sta suscitando un vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale. Con il presente contributo si cerca di fare il punto della situazione prospettando soluzioni operative per le società e per gli enti pubblici soci in relazione alle diverse configurazioni che le società a partecipazione pubblica possono assumere in virtù delle modalità di gestione dei servizi pubblici ad esse affidati.
La disciplina delle Società partecipate dalle Amministrazioni Pubbliche

Le società a partecipazione pubblica sono regolamentate dal d.lgs. n. 175 del 19 agosto 2016, così come integrato dal d.lgs. 16 giugno 2017, n. 100, (Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica - TUSPP). Dall'introduzione del TUSPP non è corretto riferirsi a tali società come a “società pubbliche” ma a “società a partecipazione pubblica”.

La partecipazione da parte di Enti pubblici, di varia natura – dagli Enti locali ai Ministeri alle Agenzie alle Università – deve costituire il mezzo per raggiungere finalità istituzionali (art. 4 TUSPP), vietando la legge, pertanto, partecipazioni pubbliche in società cd. “commerciali” che non perseguano interessi pubblici, attraverso lo svolgimento di servizi di interesse generale o di interesse economico generale o prettamente strumentali allo svolgimento di detti servizi per conto delle amministrazioni pubbliche di esse socie.

Il TUSPP, inoltre, statuisce che le amministrazioni pubbliche possono partecipare esclusivamente a società, anche consortili, costituite in forma di società per azioni o di società a responsabilità limitata, anche in forma cooperativa (art. 3).

L'adozione del modello societario da parte della pubblica amministrazione per il conseguimento del fine pubblico – come sopra rappresentato - comporta l'applicazione del diritto comune, salvo quanto non derogato dalla normativa speciale confluita nel Testo Unico di riordino della materia.

Inoltre, le disposizioni del decreto de quo si applicano, solo se espressamente previsto, alle società quotate, nonché alle società da esse controllate.

Nel solco prospettico delineato dal principio generale di cui al comma dell'art. 1, è doveroso, tuttavia, precisare che molte ed importanti disposizioni del TUSPP, derogatorie delle regole ordinarie dal codice civile e delle norme generali di diritto privato, sono state previste dal legislatore nell'ipotesi in cui la società è definibile in “controllo pubblico”.

La disciplina, ad esempio, prevista in tema di governance di cui all'art. 11, ove si dispone che i componenti degli organi amministrativi e di controllo devono possedere particolari requisiti di onorabilità, professionalità e autonomia e che l'organo amministrativo è costituito, di norma, dall'amministratore unico, salvo delibera motivata dell'assemblea con riguardo a specifiche ragioni di adeguatezza organizzativa e tenendo conto delle esigenze di contenimento dei costi, si rivolge alle società in controllo pubblico.

Stesso dicasi per le regole disposte dal medesimo art. 11, comma 4, sulla salvaguardia degli equilibri di genere e dal successivo comma 5 per cui, quando la società a controllo pubblico è costituita in forma di società a responsabilità limitata, non è consentito, in deroga all'art. 2475, comma 3, c.c., prevedere che l'amministrazione sia affidata, disgiuntamente o congiuntamente, a due o più soci.

A dette società si rivolgono, poi, le disposizioni in materia di limiti del trattamento economico, nonché quelle dettanti le regole sulle incompatibilità/inconferibilità degli incarichi, per non dimenticare l'applicabilità delle norme in tema di trasparenza e di prevenzione della corruzione.

Norme specifiche per le società in controllo pubblico sono dettate, ancora, in tema di principi fondamentali sull'organizzazione e sulla gestione (art. 6), con riguardo alla disciplina della crisi di impresa (art. 14, commi 2 e 3), della gestione dei rapporti di lavoro (art. 19).

E' di tutta evidenza, pertanto, che l'inquadramento di una società come in “controllo pubblico” produce degli effetti sul piano pratico di rilevante importanza, per la società, per i soci pubblici nonché per gli eventuali soci privati presenti nella compagine societaria.

Le definizioni di “controllo” adoperate dal TUSPP: Analogie e differenze rispetto alle disposizioni del codice civile

L'art. 2 TUSPP è dedicato alla esplicitazione di concetti “chiave” del decreto, tra cui quelli relativi al “controllo”.

In particolare è utile, ai fini della rappresentazione della problematica in esame, riportare di seguito – letteralmente - quanto tale articolo dispone in merito:

b) «controllo»: la situazione descritta nell'art. 2359 del codice civile. Il controllo può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all'attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo;

m) «società a controllo pubblico»: le società in cui una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo ai sensi della lettera b);

n) «società a partecipazione pubblica»: le società a controllo pubblico, nonchè le altre società partecipate direttamente da amministrazioni pubbliche o da società a controllo pubblico.

Secondo il diritto civile, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2359 c.c., sono considerate società controllate:

  • le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria;
  • le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria;
  • le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.

È evidente come la definizione di cui alla lett. supra b) TUSSP, oltre a richiamare l'art. 2359 c.c. “estenda” il concetto di “controllo” anche nelle ipotesi in cui, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all'attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo.

Mentre il controllo codicistico fa riferimento alla ipotesi di un controllo “isolato” da parte di un'altra società (o comunque di un singolo soggetto) tale da disporre della maggioranza dei voti in assemblea o comunque tali da esercitare una influenza dominante, il legislatore TUSPP ipotizza anche una pluralità di soggetti (pubblici) che possano condividere tale controllo.

Dal quadro normativo così delineato – mutuato dal diritto civile (2359 c.c.) ed integrato dalla regola pubblicistica (art. 2, comma 1, lett. b) – ne discende che si considerano società in “controllo pubblico”:

  • le società controllate direttamente da una amministrazione pubblica, in quanto la stessa dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria (art. 2359, comma 1, n. 1). Trattasi del cosiddetto controllo interno di diritto, che si manifesta allorquando una pubblica amministrazione detiene la maggioranza dei voti esercitabile in assemblea ordinaria, in forza della detenzione di più della metà delle azioni con diritto di voto che le attribuisce, per ciò solo, atti fondamentali quali la nomina e la revoca degli amministratori, dei Sindaci, l'approvazione del bilancio d'esercizio, la destinazione degli utili etc. (art. 2364, comma 1, c.c.);
  • Le società in controllo interno pubblico di fatto. La fattispecie è quella del controllo interno indiretto, perché una amministrazione dispone, pur se di un numero di azioni inferiori rispetto a quelle che le consente un controllo di diritto, di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria. Si pensi all'ipotesi della previsione di quorum per l'assemblea ordinaria in seconda convocazione che delibera, ai sensi dell'art. 2369 c.c., a maggioranza, indipendentemente da quale sia la parte di capitale rappresentata dai soci partecipanti;
  • Le società in controllo pubblico esterno – cosiddetto controllo contrattuale – perché la società, a prescindere dal possesso da parte dell'amministrazione di partecipazioni azionarie, è sotto l'influenza dominante della stessa, in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa (art. 2359, comma 1, n. 3).

Il controllo “congiunto” anche “presunto” attraverso le diverse e recenti interpretazioni giurisprudenziali

Come sopra ricordato, con riferimento al diritto societario, considerato che la formulazione dell'art. 2359 c.c. fa riferimento sempre ad unica società controllante, l'opinione civilistica dominante è nel senso che la norma non contempli anche l'ipotesi del controllo congiunto che si manifesta allorquando nessuna società (o socio) dispone – singolarmente – di una posizione di dominio e, pertanto, due o più società, al fine di acquisire la stessa, definiscono accordi tra loro.

Nell'ambito delle amministrazioni pubbliche, considerato che sovente l'intervento pubblico in forma di partecipazione societaria non si manifesta per il tramite di una sola amministrazione, ma si realizza attraverso la presenza di una pluralità di enti con partecipazioni singolarmente non confluenti nelle ipotesi di cui all'art. 2359 c.c. ma che, unitariamente, rappresentano la maggioranza, se non addirittura la totalità della partecipazione, il d.lgs. n. 175/2016 ha disposto alla lettera m) dell'art. 2 la possibilità che più amministrazioni pubbliche esercitino poteri di controllo ai sensi dell'art. 2359 c.c., cristallizzando, così, normativamente l'istituto del controllo pubblico congiunto, ampliando, conseguentemente, l'ambito applicativo della norma civilistica, ove a partecipare alla compagine societaria siano più pubbliche amministrazioni.

Tale “opzione” normativa, che dà origine ad un controllo pubblico congiunto, pone, tuttavia, diversi interrogativi che stanno originando conflitti interpretativi particolarmente significati e che possono avere riflessi sulla gestione delle società a partecipazione pubblica, soprattutto da parte degli enti soci pubblici.

L'aspetto più delicato che è sorto ultimamente attraverso diversi interventi della Corte dei conti e del MEF riguarda la “presunzione” della situazione di “controllo” pubblico anche nel caso mancasse la formalizzazione – tra i diversi enti soci pubblici – di patti parasociali ovvero anche in assenza di norme di legge o statutarie in merito, originando problematiche attuative ed operative.

Il MEF, con l'orientamento del 15 febbraio 2018, ha precisato che la lettura combinata del lett. m) e b) del comma 1 dell'art. 2 TUSPP induce a ritenere che il legislatore abbia voluto ampliare la fattispecie di controllo, prevedendo che il controllo di cui all'art. 2359 c.c. possa essere esercitato da più amministrazioni congiuntamente pur in assenza di un vincolo legale, contrattuale, statutario o parasociale tra le stesse.

Tale orientamento appare condiviso anche da una parte della giurisprudenza della Corte dei conti, che, nel caso di società con capitale prevalentemente pubblico, ha rilevato come “l'ipotesi di cui all'art. 2359 c.c. possa ricorrere anche quando le fattispecie considerate dalla norma si riferiscano a più pubbliche amministrazioni, le quali esercitino tale controllo congiuntamente mediante comportamenti concludenti, a prescindere dall'esistenza di un coordinamento formalizzato”, in un'ottica di tutela delle risorse investite (Corte dei conti, Sez. reg. Emilia Romagna, Del. n. 61/2018/VSGO; n. 36/2018/VSGO).

Le Sezioni riunite della Corte dei conti, a propria volta, richiamate diverse posizioni espresse dalle Sezioni regionali, dalla Sezione delle autonomie, nonché dai giudici amministrativi, hanno ritenuto che “sia sufficiente che una o più amministrazioni pubbliche dispongano in assemblea ordinaria, dei voti previsti dall'art. 2359 c.c.”.

In base ad un altro orientamento, invece, prospettato dal Consiglio di Stato e dalla stessa Corte dei conti, in sede giurisdizionale, per configurare il controllo sulle decisioni strategiche riguardanti l'attività della società partecipata “è necessaria la formalizzazione del coordinamento fra le pubbliche amministrazioni attraverso patti parasociali o altri strumenti negoziali” (Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. 23 gennaio 2019 n. 578; Corte dei conti, Sentenze 22 maggio 2019 n. 16 e 29 luglio 2019 n. 25).

In base a tali ultime interpretazioni, pertanto, anche in presenza di una partecipazione maggioritaria di più amministrazioni, “la situazione di controllo pubblico non può essere presunta in presenza di comportamenti univoci o concludenti ma deve risultare esclusivamente da norme di legge, statutarie e da patti parasociali che, richiedendo il consenso unanime di tutte le pubbliche amministrazioni partecipanti, siano in grado di incidere sulle decisioni finanziarie e strategiche della società”.

Ultimamente, l'Autorità Nazionale Anticorruzione, con Delibera 859 del 25 settembre 2019, nel ricostruire le diverse interpretazioni sopra richiamate, auspica un intervento urgente del legislatore allo scopo di chiarire i presupposti dell'esistenza del controllo pubblico in presenza di una pluralità di pubbliche amministrazioni che detengono quote del capitale sociale, nessuna delle quali in grado di esercitare un controllo individuale, rimuovendo così le criticità riscontrate che “non giovano ad una coerente ed uniforme applicazione sia della normativa del TUSPP sia della normativa in materia di prevenzione della corruzione e della trasparenza”.

Tuttavia, la medesima Autorità per questioni di sua competenza in termini di vigilanza sulle società a controllo pubblico, ritiene di considerare la partecipazione pubblica maggioritaria al capitale sociale quale “indice presuntivo della situazione di controllo pubblico”, con la conseguente applicabilità delle norme di cui alla L. n. 190/2012 e al d.lgs. n. 33/2013, e spetterà alla società interessata, che intenda rappresentare la non configurabilità del controllo pubblico, “dimostrare l'assenza di un coordinamento formalizzato tra i soci pubblici e l'influenza (eventuale) dominante del socio privato”, ipotizzando, a tal fine, la possibilità dell'apertura di una fase istruttoria per la verifica della situazione di controllo.

Le diverse fattispecie configurabili

Le diversità di posizioni emerse stanno provocando sensibili disorientamenti negli operatori e nelle amministrazioni pubbliche, obbligando queste ultime a verificare da vicino e dettagliatamente se la partecipazione alle diverse società, sopravvissute ai vari piani di razionalizzazione ex artt. 20 e 24 TUSPP, sia da ricondurre alla qualifica di “controllo pubblico” ovvero alla mera “partecipazione pubblica”.

Innanzitutto, è doveroso ancorarci alle norme che definiscono il concetto di “controllo pubblico”, evitando di far dire alla norma quello che – nel bene o nel male – la norma non dice, ed è opportuno distinguere tre fattispecie di “potenziale” controllo pubblico in relazione ad altrettante situazioni societarie:

a. Società Miste;

b. Società In-House;

c. Altre Società a maggioranza pubblica.

Se le prime due fattispecie risultano di più facile inquadramento sia legislativo – civilistico ed amministrativo – sia giurisprudenziale, per l'ultima la situazione è più delicata, anche in relazione alla possibilità di detenzione delle stesse partecipazioni.

a. Società Miste

L'art. 17 TUSPP disciplina la società mista pubblico-privata, facendo un esplicito rinvio ai rapporti tra i due soggetti che devono essere disciplinati nell'ambito dello statuto e degli eventuali accordi parasociali, entrambi da allegare al bando di gara per la scelta del socio privato.

Al di là del caso scolastico di un ente pubblico e di un privato che compongono la compagine sociale, vi possono essere situazioni in cui siano presenti più amministrazioni pubbliche ed un socio privato; se nel primo caso è facile verificare se il controllo è posto o meno in capo al soggetto pubblico, nel secondo caso per esserci controllo si dovrà fare riferimento a quanto stabilito dallo statuto e nei patti parasociali, a condizione, però, che sia richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo, laddove nessuno dei Soci pubblici abbia una maggioranza, per far sì che la società venga inquadrata come società a “controllo pubblico”.

E ciò in ossequio in ossequio a quanto definito alle lett. b) ed m) del comma 1 dell'art. 2 TUSPP.

b. Società In-House Providing

L'art. 16 TUSPP disciplina le società in house providing che, per aspetti ontologici, non possono che essere a “controllo pubblico”, in quanto si richiede – come precisato anche dalla definizione di tale controllo dalla lett. c) del comma 1 dell'art. 2 TUSPP – che l'amministrazione socia sia in grado di esercitare un'influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della società controllata.

Tuttavia, nel caso di più amministrazioni pubbliche socie, appare necessario e doveroso verificare:

  1. Se le modalità del controllo analogo effettivamente rispecchino quello che i singoli enti esercitano (o meglio dovrebbero) esercitare sui propri servizi gestiti in economia, a partire dalla previsione nel DUP degli obiettivi strategici per terminare con la produzione di report periodici di controllo dell'andamento dei risultati e del raggiungimento degli obiettivi assegnati, pena – anche – la violazione delle regole comunitarie in termini di affidamento dei servizi affidati alla società “apparentemente” in house;
  2. Laddove nessuna amministrazione raggiungesse il quorum per il controllo di cui all'art. 2359 c.c., e anche lo statuto non esprimesse nulla a riguardo, la necessità di ricorrere alla stipula di patti parasociali per assicurare “il consenso unanime” di tutti i soci che condividono il controllo, affinchè possa esserci il controllo analogo congiunto – e quindi preservare e salvaguardare anche l'affidamento in house del/i servizio/i affidati.

c. Società a maggioranza o a totale Partecipazione Pubblica ma non in House

L'art. 2 TUSSP alla lettera b) del comma 1, dà una definizione di controllo (pubblico) molto asciutta e definita: “la situazione descritta nell'articolo 2359 c.c.”, per proseguire – in termini di diritto societario-amministrativo: “ Il controllo può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all'attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo”.

Pertanto, da un punto di vista strettamente letterale, ipotizzando una società con tanti soci pubblici nessuno dei quali possieda la maggioranza del capitale sociale, la situazione di “controllo pubblico” si avrà solo nei casi sia richiesto il “consenso unanime” in base alle norme di legge o statutarie ovvero ai patti parasociali.

In mancanza, non si avrebbe una società “a controllo pubblico” e si porrebbe il delicato problema di possibilità di mantenimento della partecipazione in merito alle finalità generali del TUSPP. Uno sforzo di metter mano a patti parasociali da parte degli enti soci può apparire doveroso per la salvaguardia delle partecipazioni che devono, comunque, soggiacere alla stretta necessità di perseguimento delle finalità istituzionali dell'ente.

In conclusione: L'indifferibile modifica al TUSPP

Se si vuole legislativamente estendere l'applicazione del TUSPP alle società a maggioranza pubblica, a prescindere dal concetto di “controllo”, così come ermeneuticamente si sta cercando di far rientrare un po' a tutti i costi per non svilire la legge stessa, occorrerebbe metter mano al TUSPP prevedendo, ad esempio, un comma specifico in tal senso, oppure modificando tutti gli articoli e i vari commi degli stessi che fanno riferimento alle “società a controllo pubblico”.

Basterebbe cambiare in “società a maggioranza pubblica”, ad esempio, tutti gli articoli “più delicati” che riguardano l'organizzazione e la gestione delle società - art. 6 – gli organi amministrativi - art. 11 - e l'art. 19 in tema di gestione del personale.

Sarebbe la via più lineare per abbracciare quelle società che, altrimenti, potrebbero restare fuori dal TUSPP, con un probabile fiorire di ricorsi.

Nel frattempo, più che demandare alla Corte dei conti lo sforzo di far rientrare le società nella disciplina de qua tutte quelle situazioni di incertezza, alle pubbliche amministrazioni socie la responsabilità di definire preventivamente – anche in vista del prossimo Piano di Razionalizzazione ordinaria ex art. 20 TUSSP – l'esatto inquadramento del controllo societario pubblico congiunto e gli adempimenti conseguenti necessari per la coerenza del tutto, pena incorrere nelle eventuali contestazioni della Corte in fase di controllo.

I patti parasociali, nel silenzio dello statuto, sembrano doverosi per quegli enti che decidono di mantenere una partecipazione in una società a “maggioranza pubblica”, pena l'incoerenza tra la stretta necessità della stessa e la non applicabilità del TUSPP.

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